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Autore: Ink_    30/05/2015    3 recensioni
Incastrato nel ruolo del Profeta, Chuck Shurley tenta di dirottare le sorti dell'umanità verso un finale definitivo diviso tra il desiderio di mettere un punto fermo ad una storia vecchia quanto il mondo e i propri demoni.
I fratelli Winchester potrebbero - per una volta - non opporsi al volere divino.
"Per quanto ne sapeva avrebbe potuto essere anche pieno giorno e le ombre che si rincorrevano lungo le pareti filtrando attraverso le persiane sbilenche avrebbero potuto essere minacciose nubi temporalesche smosse da un forte vento;
piacevole illusione considerando che le ombre che sfumavano i simboli di protezione frettolosamente scarabocchiati sulla carta da parati erano il via vai burrascoso di mille demoni – incazzati, tra l’altro, cosa a cui Dean non riusciva a dare un senso visto che parevano divertirsi come bambini allo zoo – che si agitavano nel cielo come un’unica enorme – incazzata – nuvola nera [...]"
Genere: Angst, Horror, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chuck Shurley, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Quinta stagione
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I personaggi citati in quest’opera di fantasia a scopo non lucrativo appartengono alla Kripke EnterprisesWonderland Sound and Vision e Warner Bros a meno che non venga altrimenti esplicitato.
 
 
 
 
  Sinestesia 
 


 
Chuck Shurley osservava con aria pensierosa la macchia ambrata che il suo bicchiere di Jim proiettava sul tavolo, lì dove un pallido raggio di sole era penetrato attraverso le persiane.
Alla martellante emicrania che l’aveva destato quella mattina – pomeriggio? – si era aggiunto un curioso formicolio ai polpastrelli, come se fremessero per fare qualcosa.

Scostò con calcio un pacchetto vuoto per tre quarti di patatine al formaggio e un termos di caffè svuotato fino all'ultima goccia che cadde sul mucchietto di bottiglie – vuote – di liquore, producendo un suono devastante per la sua testa ovattata. Si sedette sul piccolo divano a due posti, impregnato di aroma di formaggio, whiskey e un sottile fetore di vomito rappreso, alzandosi di scatto – pessima possa, notò quando la stanza prese a vorticare in senso antiorario – barcollò fino al piccolo bagno dove rigettò una quantità di bile acida, oltre che alle due aspirine che aveva ingollato qualche minuto prima. Aspettò che la tazza smettesse di oscillare, dopodiché si sciacquò di bocca quel saporaccio e tornò verso il divano dove si lasciò cadere di peso con un gemito, si coprì gli occhi con un braccio nel disperato tentativo di bloccare quell’unico raggio di sole che dal tavolo di era spostato al divano, come un cagnolino curioso.

Aveva bisogno di dormire, una lunga dormita di dodici ore senza sogni, ma le sue dita continuavano a fremere ed agitarsi, ansiose di raggiungere la tastiera del laptop abbandonato sul piano della cucina, vicino ad una listarella accartocciata di aspirine, già le sentiva ticchettare compiaciute sui tasti consumati, insensibili al suo mal di testa.
Chiuse irritato le mani a pungo, nella speranza di bloccare le sue falangi apparentemente animate da vita propria, ma come piccoli vermi grassocci e callosi, quelle continuarono ad agitarsi contro il suo palmo.
Nel peggiore dei casi avrebbe comunque potuto rompersi un dito o due; qualche giuntura fratturata, niente di serio comunque.
Ciò che più lo irritava – ad essere sinceri – maggiormente era la consapevolezza e la coscienza di ciò che quelle piccole traditrici infami volessero: Carver Edlund.

Oh magnifico, ecco che arrivavano le immagini o ricordi o sogni o prova incriminante che dovessero rinchiuderlo in un manicomio: scene nitide impresse a fuoco dentro le palpebre che si presentavano con devastante chiarezza, insistendo per essere raccontate. Vedeva paesaggi attraversargli la mente come se stesse guardando fuori dal finestrino durante un viaggio in auto, sentiva le parole premere contro le tempie ansiose di uscire e riversarsi sulla tastiera: come una boccata di vomito pensò amaramente, eppure le immagini erano lì sotto i suoi occhi, come uno di quegli album da disegno per bambini con le figure già fatte dai contorni spessi un centimetro, pronti per essere riempiti di coloro sgargianti; quasi li invidiava quei disegni infantili, lì gli alberi potevano avere tronchi viola e fronde gialle e i fiumi arancione con pesci dai colori innaturali, mentre qui – là, nelle sua testa là,  fuori dove il mondo stava crollando come un castello di carte sotto una brezza leggera – tutto doveva essere definito, tutto doveva seguire una regola e allora ci potevano volere anche dieci minuti per descrivere un dannato albero, con le sue foglie dalla forma caratteristica, dai colori sfumati e singolari e perché non descrivere poi l’odore emanato dalla terra umida dopo una giornata di pioggia? ed il filtrare scenografico dei raggi di luce attraverso le fronde? E se poi qualche adolescente con la gonna a pois e i capelli alla James Dean aveva deciso di violare la proprietà altrui incidendo le iniziali sue e della sua amata sul tronco? Allora giù con la storia di due innamorati divisi dalla guerra, tragica storia che terminerà con lui a mollo a faccia in giù in una trincea del Vietnam e lei incastrata nel matrimonio perfetto a dormire con una sua foto sotto il cuscino. Nauseante.

Nella sua semplicità la prospettiva di sedere per le prossime ore su quella sedia che gli ammiccava dalla cucina gli risultava appetibile quanto una testa mozzata servita su un piatto d’argento. Nonostante ciò, sentì la professionalità e la fredda determinazione di Carver Edlund colargli addosso come cera bollente; presto si sarebbe ritrovato imprigionato nel suo stesso corpo come Wade Vattelapesca in quel patetico remake di House of Wax [1], inerme spettatore dello spettacolo di un profeta dilettante con i postumi di una sbronza.
Vagò con lo sguardo per la stanza dove il pulviscolo aleggiava nell’aria come piccoli pianeti in rotta di collisione, trovò comunque la micro astronomia più interessante dell’orda di demoni che stava devastando gli States.

Cinico egoista bastardo

Probabilmente, si rispose.

Un microscopico Giove andò verso la libreria attratto dalla gravità di un qualche romanzo di Stephen King e Chuck si ritrovò ad imprecare contro – se stesso forse, non ne aveva una precisa idea.

Non aveva mai compatito nessuno come compativa Paul Sheldon: già lo vedeva aggirarsi dolorante per la sua camera d’albergo, travagliato dalle doglie e dal bisogno di liberarsi e abbracciare il suo piccolo “Bolidi” – con l’unica differenza che lui “Supernatural” l’avrebbe volentieri gettato nel cestino seguito dal laptop se non gli fosse servito per guadagnarsi il pane. Fosse sufficiente poi. [2]
Una cosa doveva ammetterla però: la tentazione di mettere un punto a capo decisivo a quella ridicola novella era quasi tanto forte quanto quella di girarsi dall’altra parte e rimettersi a dormire. Per un mese magari. Non che le milizie infernali ci avrebbero impiegato così tanto per ridurre le metropoli in cenere e gli umani in schiavi spuntini o cadaveri, comunque.

Gli sarebbe stato sufficiente sollevarsi dal divano, raggiungere la sedia, accendere quell’aggeggio infernale – oh l’ironia – inforcare gli occhiali e lasciare che Carver Edlund facesse l’unica cosa che gli veniva bene; dopotutto come disse Wilde, il miglior modo per resistere ad una tentazione è cedervi.

 I successivi venticinque minuti furono un susseguirsi di pensieri più o meno sconnessi ed immagini, ma il motivo che più spesso ricorse fu: “Vuoi davvero fargli questo?”
La questione aveva sollevato un nuovo confuso polverone di opinione contrastanti e animate discussioni interiori: io non farò proprio nulla a quei ragazzi, non è colpa mia se qualcuno ha deciso che il mondo sarebbe finito tra il fuoco e le fiamme! Così come non è colpa mia se l’unico coglione disponibile ero io quando Dio cercava qualcuno a cui affidare l’onorevole ruolo del profeta nella sua patetica commedia.

“Ci sarà comunque la tua firma al fondo del copione “
“No che non ci sarà, io non sono Carver Edlund”
“Ambasciator non porta pena? “
“Esatto! Non mi prenderò la responsabilità di quei ragazzi, così come non ho mai avuto la responsabilità delle vite di tutti quei personaggi … esattamente come non ne ho mai avuta nemmeno della mia.”
“Non hai scelta, lo sai “
“Ne ho mai avuta?”
L’eco di una risata amara, poco divertita.
“No “        
   
 
 
 
 




***
[1] Riferimento al film “La maschera di cera” (House of wax, 2005) in cui recitò Jared Padalecki. Se lo avete visto spero possiate apprezzare il mio macabro umorismo
[2] Riferimento al romanzo “Misery” di Stephen King
 

 
 
 
 
 
                 
 
 
   
 
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