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Autore: Woland Mephisto    30/05/2015    4 recensioni
Nello stesso istante in cui mise piede fuori dalla porta della sua stanza ben illuminata, ancora in tenuta da notte (dormiva solo con i pantaloni di lino chiaro addosso), vide la sua figura che si allontanava, con le gambe nude, i boxer e la vestaglia leggera che gli ricopriva il busto, mentre andava verso la cucina, ma ovviamente non voleva chiamarlo.
Non parlavano molto, ma d’altronde non ce n’era bisogno

È difficile, dopo anni di astio, dirsi anche solo parole semplici che dimostrino affetto, anche solo un legame. Questa è la storia dell'imbarazzo, per Saga e Kanon, di trovarsi ancora una volta l'uno di fronte all'altro, per la prima volta dopo aver passato 13 anni senza nemmeno sentirsi dire dall'altro "buon compleanno".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I can feel you
 



 
Si risvegliò nelle sue stanze, alla Terza Casa, con un umore pessimo: il ricordo di uno strano sogno aleggiava ancora nella sua mente, ma cercò di scacciarlo via guardando i raggi di luce mattutina che filtravano dalle tende della sua camera da letto.
Era il 30 Maggio, il suo compleanno. Beh, il loro compleanno, comprendendo anche il tipo bislacco che proprio in quel momento riposava – o forse era già sveglio anche lui? – nella camera accanto alla sua.
Si rigirò di lato, pensieroso, dando le spalle alle grandi finestre con le scure serrate, per bearsi ancora un po’ della frescura del lenzuolo di lino che lo ricopriva fino al bacino. Poi decise di alzarsi, scostare le tende, aprire le persiane e andare a mangiare qualcosa per colazione.
Nello stesso istante in cui mise piede fuori dalla porta della sua stanza ben illuminata, ancora in tenuta da notte (dormiva solo con i pantaloni di lino chiaro addosso), vide la sua figura che si allontanava, con le gambe nude, i boxer e la vestaglia leggera che gli ricopriva il busto, mentre andava verso la cucina, ma ovviamente non voleva chiamarlo.
Non parlavano molto, ma d’altronde non ce n’era bisogno.
Saga, naturalmente, si era accorto che suo fratello lo stava osservando, anche se non si era voltato a guardarlo: non gli serviva guardarsi per sapere. A volte era una cosa piuttosto irritante, ma non potevano farci nulla. Avevano questa “dote” (e proprio non sapevano in che altro modo chiamare quella particolarità) e se la sarebbero tenuti fino alla morte.
La sua vestaglia blu notte gli aleggiava attorno, coprendolo fino alle cosce, mentre si dirigeva in cucina per prepararsi la sua colazione proteica: era molto attento a quello che mangiava, lui.
Sapeva che Kanon lo aveva seguito e che avrebbero dovuto fare colazione insieme. Era un po’ estenuante non riuscire ad esprimersi con il proprio gemello, ma parlare era assolutamente imbarazzante; figurarsi darsi gli auguri di compleanno!
«Che mangi oggi?», chiese, quindi, senza guardarlo in faccia, ben sapendo che suo fratello non era esattamente un tipo abitudinario.
«Credo che mi farò un latte macchiato e prenderò una brioche», rispose il gemello minore, avvicinandosi al piano cottura della cucina e cercando un pentolino e una moka negli armadietti pensili.
Saga lo guardò, voleva provare ad essere gentile dicendogli che voleva preparare la colazione per entrambi, ma proprio non gli riusciva; così se ne uscì con un poco elegante: «Hey là, Kanon, siediti, non vorrei che buttassi giù la casa facendo esplodere i fornelli!».
L’altro lo guardò negli occhi, scrutandolo a fondo, e capì: il solito orgoglio, sempre quell’ostinazione nel dover costantemente dimostrare qualcosa. Senza abbassare lo sguardo o la testa, con la sua solita fierezza, si sedette e attese.
Era estremamente strano ritrovarsi lì insieme, per la prima volta dopo le dolorose battaglie che avevano dovuto affrontare, lontani l’uno dall’altro. Il primo compleanno dopo tanti anni.
Per tredici anni Saga aveva creduto il suo gemello morto, dopo aver tentato di farlo annegare, e si era convinto di star bene da solo, di odiarlo a morte.
Per tredici anni Kanon aveva odiato Saga per aver tentato di ucciderlo e aveva imbastito la sua vendetta ai danni dell’umanità, persuadendosi di essere migliore di lui.
Ma poi, incontrandosi in quella maledetta guerra contro il Signore degli Inferi, guardandosi negli occhi e combattendo l’uno contro l’altro, avevano scoperto che quello non era odio, ma semplice dolore per essere stati messi ininterrottamente a paragone per tutti gli anni in cui erano stati insieme, insicurezza per il fatto di dover continuamente dimostrare chi dei due era più degno di indossare la Gold Cloth, negazione dell’affetto che avevano sempre provato da ragazzini per dimostrare nemmeno loro sapevano cosa.
E si erano perdonati per tutto, anche se era difficile sistemare le cose, dopo essere cresciuti in un certo modo, con certi pensieri e atteggiamenti. Era difficile soprattutto per la vergogna di aver provato quei sentimenti astiosi e logoranti, nascondendosi dietro a una maschera.
«Ci sono le brioches al cioccolato, vero?», la domanda di Kanon riportò Saga alla realtà, distraendolo dai suoi pensieri.
«Se continui a mangiare quelle schifezze diventerai un tacchino», la solita “delicatezza” di Saga, che ci teneva alla linea; e  a quanto pareva non solo alla propria.
Kanon ormai non ci restava più neanche male, anche perché nessuno dei due era un tipo sentimentale. Piuttosto entrambi erano disillusi, disincantati, un po’ cinici.
«Direi che sono affari miei, fratello», rispose il minore, sorprendendosi di aver usato quella parola. Era la prima volta che uno dei due la usava dopo essersi incontrati di nuovo.
Vide le spalle di Saga irrigidirsi un po’ a quell’appellativo, ma non poté vedere la sua espressione perché era di spalle. E per fortuna Saga non poté vederlo arrossire di imbarazzo, anche se probabilmente non c’era nulla di imbarazzante. Eppure quella parola ebbe un effetto strano su entrambi.
Quando la colazione fu pronta la consumarono in silenzio, senza guardarsi negli occhi: Saga beveva il suo frullato di soia e banane (era fissato con le proteine), mentre Kanon sorseggiava il suo caffè-latte, addentando di tanto in tanto la brioche, entrambi con lo sguardo sul tavolo.
Non sapeva bene come gli fosse venuto di dire quella parola. Nell’istante in cui l’aveva pronunciata gli era sembrata così naturale da non doverci nemmeno pensare su, ma l’istante dopo era stato il gelo. Probabilmente aveva avuto lo stesso effetto sull’altro, perché anche lui era ammutolito e aveva proseguito a fare tutto come se non fosse mai accaduto, quasi a voler addirittura cancellare l’esistenza di quell’attimo.
Kanon deglutì e alzò la vista, lo stesso fece Saga: lo sguardo ironico del primo incontrò gli occhi severi  dell’altro, smeraldo dentro smeraldo.
 
Perché non parli più?
Ho bisogno che tu mi dica qualcosa.
 
Eppure il silenzio continuò a risuonare nella stanza ancora per qualche minuto. Si scrutavano come se fossero due avversari che tentano di capire le mosse dell’altro, in modo da potersi difendere adeguatamente una volta che l’altro avesse sferrato il suo attacco.
Era tremendamente schiacciante quella situazione, tutto per una sola parola, che poi era anche un riferimento alla realtà delle cose: erano fratelli, non avrebbero mai potuto cambiarlo, neppure con la morte.
E a un tratto, Saga parlò.
«Te la ricordi quella giornata di libertà che ci prendemmo quando ancora ci stavano addestrando? Quell’unica giornata completamente sgombra da preoccupazioni?», sorrise lievemente al ricordo, era un sorriso dolce che mostrava il suo perdersi nelle antiche memorie.
«Quando sono caduto correndo sugli scogli e mi sono slogato la caviglia? Mi ricordo che mi fece un male cane», una risata cristallina seguì a queste parole di Kanon.
«E poi non hai potuto allenarti per i due giorni successivi! Non hai mai voluto darmi retta, sempre a fare di testa tua», il sorriso di Saga si estese agli occhi, mentre guardava i lineamenti di Kanon distendersi per aver cacciato via l’imbarazzo.
«E tu ti sei preso la colpa con Shion dicendo di avermi spinto giù, e ti sei sorbito una gran lavata di capo al posto mio!», scosse la testa rivivendo quei lontani ricordi e aggiunse dolcemente: «E poi sei rimasto lì a prenderti cura di me», e nei suoi occhi Saga giurò di aver visto della gratitudine.
«Beh, se non l’avessi fatto io non l’avrebbe fatto nessuno», cercò di minimizzare, non gli piaceva vantarsi delle cose che aveva fatto con il cuore.
La domanda, però, arrivò inaspettata comunque.
«Quando abbiamo smesso di sentirci veramente fratelli?», la voce di Kanon era tremante per l’incertezza, le guance si tinsero di un colorito lievemente più rosato.
 
Mai.
 
«Non lo so, non lo ricordo», mentì Saga, anche se la sua risposta avrebbe dovuto essere un’altra, «probabilmente è stato un lungo e lento processo», sentenziò infine.
 
Io però non ho mai smesso.
 
«Sì, probabilmente sì», concordò il gemello con la menzogna, perché non sapeva che altro dire. Ad un tratto il suo sguardo si accigliò, mentre un’immagine dello strano sogno della notte appena trascorsa si ripresentava nella sua mente: Saga, morto, con il corpo dilaniato e tagliato in tre pezzi – testa, busto, gambe – completamente insanguinato e giacente sul terreno roccioso della bocca dell’Ade, gli occhi vitrei e persi, mentre un dolore lancinante si insinuava nel petto del gemello che assisteva impotente alla scena.
«Che hai?», Saga lo strappò alle sue elucubrazioni.
«Niente, ero pensieroso», chiunque avrebbe creduto alle sue menzogne, ma non suo fratello: gli leggeva dentro.
«A cosa pensavi?», Saga riuscì a dissimulare la preoccupazione, modulando la voce in un tono casuale, come se fosse semplicemente curioso della risposta e non bisognoso di sapere cosa passava realmente per la mente dell’altro.
«A niente di importante, figurati», finse ancora una volta Kanon, non volendo né farlo preoccupare, né mostrarsi vulnerabile e capace di sentimenti fraterni, né ammettere che aveva paura di esser preso in giro a confidarsi con lui.
 
Davvero, vorrei parlarti, ma non ci riesco.
So che non è facile, ma vorrei che fossimo uniti di nuovo.
 
Il silenzio cadde di nuovo tra i due, anche se non erano ancora intenzionati ad abbassare gli sguardi. Entrambi volevano una riappacificazione, ma nessuno dei due voleva fare il primo passo.
«Credi che un giorno riusciremo ad avere di nuovo quello che avevamo prima?», Kanon si lasciò sfuggire queste parole prima ancora che la sua mente potesse formularle. Però, stranamente, non ne fu così imbarazzato: piuttosto voleva delle risposte. Perché era sempre stato così tra di loro: Kanon chiedeva e Saga dava delle risposte. Sembrava quasi riavvicinarli, questo pensiero.
«Non so neanche questo», Saga si scusò con lo sguardo, poiché era una delle rare volte che non sapeva cosa dirgli. Ma poi continuò: «Ma forse, se ci impegniamo, un giorno ci sentiremo di nuovo…», doveva dirlo, anche se era dannatamente imbarazzante, «…fratelli», concluse.
Kanon sorrise, non si aspettava di meno da lui. Saga gli sorrise di rimando, perché ci credeva davvero.
 
Eppure mi sembra che gli anni non siano mai passati.
Eppure mi sembra che gli anni non siano mai passati.

 







Angolo dell'autrice:
Sono sparita da questo fandom per un sacco di tempo. Due anni, forse? Quelli che mi seguivano sul vecchio profilo di Oxymoros lo sanno bene.
Eppure, oggi, essendo il compleanno di questi due splendidi Saints non ho potuto fare a meno di scrivere questa OS e sottoporla, come al solito, al vostro giudizio.
Amo troppo Saint Seiya e amo troppo i gemelli per non pubblicare nulla il giorno del loro compleanno. E quindi rieccomi, sperando che mi scusiate se sono almeno due anni che non aggiorno le mie long e che non posto altre storie nuove. Spero che la storia di cui sopra mi faccia perdonare da voi!
Sono in un periodo un po' difficile e non dovrei proprio scrivere, essendomi "ritirata" per gli esami universitari, però davvero, questa storia Saga e Kanon se la meritavano.
Non sono una molto sentimentale/romanticona, come ben ricordate, o se non lo ircordate/sapete, beh, ve lo dico ora, perciò non ci ho messo fluff e tenerezze, ma solo un modo per ricominciare. Amo parlare del rapporto tra i gemelli, soprattutto tra questi due gemelli, perché è complesso e speciale e ho voluto rimarcare questa cosa nel testo qui sopra. Spero di essere riuscita ad esprimere tutto ciò che volevo, anche se ne dubito fortemente. Comunque, mi farebbe piacere se la storia piacesse a qualcuno, davvero.
Non so per quanto ancora starò lontana dal fandom, ma sicuramente starò lontana dalla scrittura in generale per qualche mese (sapete, gli esami, la tesi di laurea...), però ogni tanto penso alle storie che devo aggiornare e ho, come al solito, un sacco di idee nuove, quindi sappiate, voi che mi leggete sul fandom, che penso sempre anche a voi!
Tornerò, lo prometto.
Sempre vostra

Sid ♥
 
 
   
 
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