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Autore: Danail    01/06/2015    1 recensioni
“Uno col simbolo dell'Inizio, che l'Oceano ritrova.
Uno col simbolo della Fine, che la Terra reclama.
Una che col canto ammalia e nel mare dimora.
Una che brucia e rigenera nel Cielo infinito.
Un fratello con un'armatura d'acciaio, che inganna e schiaccia negli antri marini.
Un fratello con una pelliccia di rame, che sbrana e dilania nella notte più chiara.
Solo essi salveranno Raqalis e il mondo dall'incombente Oscurità”.
Con quest'oscura profezia, il pokemon Luxor si ritira nel suo mondo oscuro. La Terza Guerra di Raqalis sembra ormai finita: il mondo pokemon può ora tirare un sospiro di sollievo, la pace si instaura presto. Ma il Team Kigen si risveglia ancora: il suo capo riesce a scampare a Luxor e a rievocare i Demoni. Il Caos dilaga, e la Coalizione si ricostituisce: Raqalis, Altyerre, Sereal e Teyrnas sono ancora insieme. Morenti, ma insieme. Kanto, Jotho, Hoenn, Sinnoh, Unima e Kalos rispondono alla richiesta di aiuto, e tutte le persone venute a contatto con leggendari vengono invitate a combattere. Compresi i Team.
Attraverso gli occhi di Max, Ivan e i loro Team, la violenza e la disperazione della guerra raggiunge il suo apice.
Riusciranno a
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Cyrus, Max, N, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Capitolo 7 PICCOLA PREMESSA:
Prima di iniziare, ci tenevo a precisare alcune cose.
Innanzitutto, quando si parla del passato dei personaggi e del loro aspetto esteriore, faccio sempre riferimento alla loro vecchia versione, per esempio Max da bambino non portava ancora gli occhiali, Ada aveva i capelli rossi ecc
Ho adottato questo sistema più per un fattore cronologico: difatti la storia si sviluppa più o meno dopo qualche mese dagli eventi di ORAS, che a loro volta si sono sviluppati dopo dieci anni dagli avvenimenti di RZS. Quindi tutti gli eventi antecedenti a RZS (quindi il passato dei personaggi) che verranno descritti prenderanno come riferimento le old version, mentre gli avvenimenti presenti prenderanno, ovviamente, come modello le new version.
Seconda cosa: come forse avrete capito nella storia il cognome dei figli viene passato dalla madre e non dal padre, così come il simbolo della famiglia. Questo simbolo compare dopo tre mesi dalla nascita su un punto variabile del corpo. Questo simbolo serve a riconoscere la provenienza della persona in caso di smarrimento o simili. Tornerà utile nel corso della storia.

Era notte fonda, e a Cair Syltherin regnava il silenzio più totale.
In cielo si scorgevano le luminosissime stelle e un quarto di luna, oscurato da qualche nuvola vagante.
La pace sembrava regnare nei corridoi delle stanze, nei portici, nei chiostri, nelle torri, insomma, niente e nessuno disturbava la quiete.
Ada però era ancora sveglia, e osservava al di sotto della finestra della sua camera, che dava su un piccolo cortile con una vasca, riempita da una fontana a zampillo.
Ascoltare la fontana e il suo spruzzo era molto rilassante, per la Corsara, ma non era per quello che, a mezzanotte, lei aveva aperto le inferriate per guardar fuori.
Di lì a poco infatti, sarebbe avvenuto uno degli appuntamenti più importanti della vita del suo fidato Alan.
Ada già scorgeva la figura scura del suo gigante, seduta sui bordi della vasca, ad aspettare.
La Corsara tese le orecchie, sorridente.

Ottavio s'incamminava lentamente verso il luogo dell'incontro.
Non era ancora giunto a capo della situazione.
Dentro di sè c'era un turbinio d'emozioni e pensieri sconnessi e senza un'apparente logica.
La cosa che lo confondeva maggiormente era quello che provava stando vicino ad Alan.
Perchè è lo stesso sentimento che, dieci anni prima, provava per Max.
Era qualcosa di strano e inafferabile, come uno Jumpluff che, accompagnato da una leggera brezza, vola senza peso su per le praterie di Jotho.
Ecco, questo era per lui quella sensazione: una fresca brezza marina nel pieno dell'estate.
Ma se quella di Max si era pian piano spenta, quella di Alan persisteva.
Perso nei suoi pensieri, Ottavio raggiuse senza accorgersi al portico con la fontana.
Era molto bello stare lì: lo scroscio rilassante dell'acqua, il venticello fresco, l'ambiente illuminato dalla fioca luce lunare, che creava piccoli riflessi argentei nella grande vasca centrale.
Ottavio si avvicinò per osservare meglio l'opera.
Il corpo della fontana era costituito da due pokemon: Reminas, la dea acquatica, e sotto di lei Kyogre, una delle sue manifestazioni.
La dea era rappresentata come i suoi sette fratelli: un canide (o un felide?) dal corpo nero solcato da linee azzurre. Sulla testa era incastronato uno zaffiro, mentre gli occhi erano fatti di smeraldo.
Tutti i Sette avevano perso quella forma, una specie di grosso lupo con le orecchie (se si posson chiamare così) a cilindro e attraversati da linee che si intersecavano e si incrociavano.
La leggenda vuole che quelle siano le linee della Vita, e ogni spirito le aveva di un colore differente, perchè era solo una parte dello Spirito originario.
Solo quando essi si sarebbero uniti, quelle linee diventeranno bianche.
Era una vecchia leggenda piuttosto diffusa.
Reminas, in particolare, lungo la coda e sulle zampe aveva delle pinne, che la distinguevano dal resto dei fratelli.
Proprio dalla bocca della dea s'innalzava lo zampillo dell'acqua, che si andava a tuffare poi nella vasca.
"Bello, vero?" disse una voce alle sue spalle.
Alan s'avvicinò silenziosamente, come un'ombra. La luce lunare non lo illuminava gran che, ma non ce n'era bisogno: il gigante si vedeva comunque benissimo.
"Reminas, la seconda ad essere nata. Colei che inondò il mondo donandoci l'acqua" disse, a voce bassa.
Rimasero per un pò ad osservare l'acqua che sgorgava, poi Ottavio, impaziente, interruppe quel silenzio che lo opprimeva.
"Alan, senti..."
"Ottavio, lo so che sei confuso. I tuoi gesti, il tuo tono, come ti muovi rilevano il tuo stato d'animo".
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Ottavio rimase senza parole per un momento, poi riuscì a rispondere.
"Si, bhe, hai ragione. Non so cosa pensare... e non riesco a decidere"
"Ho un metodo infallibile per questo. Ma devi essere d'accordo" sussurrò il gigante.
"Ehm... bhè..." cominciò il Magmatenente, non comprendendo completamente le parole dell'altro.
Non finì di dirlo che il Corsaro lo attaccò a una colonna del portico immobilizzandolo delicatamente intrecciando le mani con le sue.
"Rilassati e pensa a quello che provi" gli mormorò, prima di poggiare di nuovo la bocca sulla sua.
Ottavio si lasciò andare completamente, seguendo il consiglio di Alan.
Ma anche se l'idrofilo non gli avesse detto nulla, lo avrebbe fatto comunque.
Ma si, potrebbe funzionare... pensò Ottavio, prima di abbandonarsi completamente alla passione.
Per un attimo dimenticò tutti i problemi che lo affligevano: Max, i demoni, la guerra, tutto scomparve nel giro di un istante, soppiantato da un turbinio di emozioni intensissime.
Dopo un tempo che parve un giorno, un mese, un anno o semplicemente infinito, Alan si discostò di appena qualche centimetro dal viso di Ottavio.
Sentiva il respiro affannato del Corsaro sul suo, vedeva distintamente le vene del collo pulsare violentemente, sentiva il cuore dell'altro battere all'impazzata, come il suo.
Alan fece per dire qualcosa, ma Ottavio non ci pensò due volte ad afferrargli delicatamente la mascella e attirarlo di nuovo a lui, in un secondo, terzo, quarto e molti altri baci.
Quella era la sua decisione.
Se davvero poteva compiere quel viaggio, lo avrebbe fatto con Alan. 
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Ada, dalla sua finestra, controllava l'andamento delle cose.
Sorrise, felice, per il successo di Alan, ricordando alcuni eventi accaduti dieci anni fa.
Sospirò, ed uscì silenziosamente dalla stanza. Non aveva sonno, e forse una gita sui tetti e sulle terrazze del castello Syltherin le avrebbe fatto bene.
Con passo felpato, corse per i corridoi bui e vuoti della fortezza, lasciando le due falci in camera sua.
Nonostante l'oscurità fosse rischiarata solo dalla luce lunare che attraversava le ampie vetrate, non si vedeva molto bene.
Ma l'addestramento Corsaro aveva acuito i sensi della donna, che di lì a poco era già fuori ad arrampicarsi su una torre.
Qualcuno avrebbe detto che era troppo pericoloso anche a provare, ma per lei era una cosa da nulla.
Anche perchè da lassù si godeva di un panorama mozzafiato.
In lontananza di vedevano le luci di Asan, la capitale.
Ada pensò a Hoenn, e a quando ci tornerà.
Con chi ritornerà.
Ma soprattutto, se potrà tornare.
O se dovrà restare lì, magari a terra, circondata da altri cadaveri, fredda come la roccia, con una ferita troppo grave da permettere la vita.
"No" pensò.
"Non andrà così".
E' difficile non pensare alla morte quando si ha visto un compagno sparire.
Con la coda dell'occhio, colse un movimento sul tetto sottostante.
Dalla sua posizione apparentemente instabile, Ada aguzzò la vista.
Non era altri che Ivan, che aveva avuto la sua stessa idea.
Il Capo Idro si era portato un paio di coperte e stava lì, disteso sulle tegole piatte del tetto a guardare le stelle e la  luna, come faceva con lei e Alan quando erano giovani e stavano ancora tra i Corsari. Si sdraiavano su un campo senza erba o sul ponte della nave di turno, a sognare gesta memorabili, a raccontarsi miti e storie fantastiche di draghi e spiriti e creature forti e strane come i pokemon. Parlavano dei pokemon leggendari, e dei loro smisuarti poteri. Parlavano degli Okeanos, finchè venne il giorno in cui tutti e tre riuscirono a instaurare un rapporto d'amicizia con queste nobili creature.
Ada pensò a come Ivan li avesse cambiati: da quando Sirius era morto, Alan si chiudeva sempre di più in sè stesso, divorato dal senso di colpa.
Passarono circa sei anni prima che Ivan, allora tredicenne, arrivasse al campo con una brutta ferita sul viso e ridotto in condizioni pessime.
Dapprima Alan non se ne curò, ma quando Ivan gli salvò la vita al fiume cominciò a considerarlo diversamente.
Un'ombra distolse la Corsara dai suoi pensieri.
Guardò quel corpo che si muoveva furtivamente, e riuscì a distinguere ua seconda sagoma che si avvicinava timidamente a Ivan.
Rossella.
Ada sorrise.
Notte insonne per tutti.
La donna sistemò meglio la sua posizione, in modo da vedere senza essere vista.
Sorrise, pensando che forse quella notte fosse propizia anche per quei due.

Ivan guardava le stelle sovrappensiero.
Quel pomeriggio Damson e la sorella gli avevano detto che c'era un nome anche per gli Okeanos di fiume: recentemente, la comunità scientifica li aveva chiamati Kraken.
Dragoni, Leviatani e Kraken.
Ivan sorrise lievemente, al pensiero. Alan era molto felice di quella scoperta.
Ma subito la realtà ripiombò nella sua mente: tre giorni ed Eskraas non tornava con Max.
Il Capo Idro cominciava a perdere le speranze.
Ma no, non potevano abbattersi in quel momento!
Ivan strinse i pugni: no, Max non poteva abbandonarlo.
Proprio ora che forse potevano andar d'accordo!!
Sentì dei passetti leggeri annunciare l'arrivo di un intruso, poi una voce timida da dietro richiamò la sua attenzione.
"Ehm... scusa... posso mettermi vicino a te?" disse la voce tutto d'un fiato.
Ivan ruotò la testa verso l'intrusa, e sobbalzò lievemente dalla sorpresa.
Rossella. La sua amata Rossy.
La guardò per un istante, incantato, poi si accorse che tremava leggermente per il freddo.
Dopotutto non portava la divisa, ma una semplice maglietta bianca che lasciava intravedere di poco le forme e dei pantaloncini grigi che terminavano sulle ginocchia esili.
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"Vieni, dai" le rispose, facendole spazio sotto le coperte e alzandole per farle spazio.
La ragazza si mise vicino a lui, arrossendo.
"Come mai sei venuta qui?" le chiese gentilmente Ivan.
"Bè... non riesco a dormire bene ultimamente... Sono un pò agitata per Max... e ho pensato che venire qui mi calmasse..."
"Anche io sto in pensiero..."
Rossella si girò verso di lui, sorpresa.
"No, Rossella, io e lui possiamo essere solo amici" precisò, imbarazzato.
"Tranquillo... io... non ho nulla in contrario..." balbettò lei, rannicchiandosi su sè stessa per il freddo.
Le coperte non erano sufficientemente pesanti, forse il pirata non soffriva più di tanto la mancanza di calore.
Ivan la osservò per un pò.
"Rossy, potevi dirmi che continuavi a sentire freddo..." le sussurrò, sfiorandola su un fianco per farle capire che voleva stringerla a lui.
Rossella non ci pensò due volte, quel contatto la faceva fremere, e fece scorrere le braccia fini sulle grosse spalle del Capo Idro, mentre Ivan le stringeva dolcemente i fianchi.
La Magmatenente di colpo non sentì più freddo, forse per il calore che il Corsaro emanava, forse per il fuoco che la bruciava dall'interno.
Ivan rabbrividiva sentento il suo corpo al contatto col suo: il viso di lei che affondava nel suo collo, i piedi che sfioravano i suoi, i seni che premevano sul suo petto.
Represse i suoi istinti più bassi e primordiali, non voleva rovinare quel bel momento con lei con cose sconcie.
Per un pò regnò la calma tra i due, confortati un poco dalla presenza dell'altro.
"Sai, Rossella?" mormorò Ivan, interrompendo la pace.
"Noi Corsari, per navigare e volare, ci orientiamo con una costellazione. Guarda" dicendo così indicò il cielo.
Rossella lo guardava mentre indicava delle stelle, alcune molto luminose, altre no. Non sapeva molto di astronomia, solo le basi.
Notò che la costellazione ricordava un serpente alato.
"Noi la chiamiamo il Drago Polare, perchè la testa ci guida verso nord. Ci sono tre stelle principali: Thuban, sulla "testa", Eltanin nel mezzo e Rastaban sulla "coda" ".
"Avete chiamato i vostri Okeanos con nomi di stelle?"
Ivan la guardò.
"Me ne ha parlato una vostra recluta...".
"... si, a me, Alan e Ada sembrava bello chiamarli come le stelle che ci guidano".
Rossella sbadigliò vistosamente, per accoccolarsi più vicino al pirata, infreddolita. Ivan la contemplò per un momento, così fragile e al contempo forte, anche se forse lei non se ne rendeva conto.
Era il caso di dirglielo?
"Ehm, Rossy..." cominciò lui.
"Mh?". La ragazza sollevò gli occhi assonnati verso di lui.
"Ehm... io... volevo darti questo" balbettò imbarazzato.
Dannazione, pensò Ivan. In trentotto anni solo in quel momento doveva confondersi?
Una vita passata a prendere decisioni all'ultimo momento, compiere gesti improvvisi e con la massima scioltezza, e ora che si doveva dichiarare?
Ma non si scompose, aveva comunque una possibilità.
"Volglio regalarti una cosa molto speciale" continuò, porgendo a Rossella una Pokèball.
La ragazza lo guardò, curiosa.
"C'è all'interno un Pokèmon molto caro e significativo per me, ma vorrei che d'ora in poi te ne prendessi cura tu, va bene?"
Rossella annuì, non sapendo bene come fare. Non sapeva se era all'altezza di prendersi cura di una creatura così importante per qualcuno.
"E' un Pokèmon d'acqua?".
"Bè, sì... non è neanche un pokemon raro, a dir la verità... ma quello che rappresenta, per me, è molto importante".
"Grazie..." sorrise grata la Magmatenente. Non pensava che Max avesse qualcosa in contrario se lei teneva un Pokèmon acquatico.
"Dai, ti porto in camera".
Senza attendere una risposta, Ivan avvolse Rossella tra le coperte e la prese in braccio.
Non era troppo pesante, e la trasportò senza fatica su per i tetti, attraverso l'entrata della torre e nella chiara oscurità dei corridoi con passo veloce e leggero.
 Mezza addormentata, Rossella si faceva cullare senza pensieri.
Semplicemente, le sarebbe piaciuto dormire insieme a lui...
Fare cose che solo le coppie fanno...
"Ecco, siamo arrivati" le sussurrò Ivan.
Peccato, pensò con dispiacere la ragazza. Ivan entrò nella stanza buia della donna per adagiarla sul letto matrimoniale. Non c'era molta luce, la finestra era sprangata, ma dei sottili raggi lunari si proiettavano sul pavimento. Oltre a quelli, solo la porta aperta "illuminava" il resto della stanza, decorata con un ampio armadio, una scrivania, e due comodini con due lampade.
"Tieni pure le coperte, me le ridarai domani" le sussurrò, per poi avviarsi verso la porta.
"Ivan" lo fermò lei. Lui si girò.
"Perchè fai tutto questo per me e per il Team Magma? Siamo stati rivali per più di dieci anni".
Ivan riflettè un momento. Rossella dopotutto aveva ragione, perchè ci teneva così tanto a coloro che per molto tempo erano stati i suoi nemici?
La risposta, però, non era così difficile: ricordò gli anni prima dei Team, quando lui, Max e gli altri si addestravano da giovani per entrare in quello che poi sarebbe diventato il Team Rocket. A quanto avevano condiviso in quei due mesi: paure, gioie, sconfitte, ed infine, la serenità di avercela fatta.
Ricordò quando, tanti anni addietro, erano venuti a contatto in modo inconsapevole.
Alle timide occhiate di Ottavio ad Ada, molto tempo fa nelle Foreste delle Isole Hauly.
Erano giovanissimi. Eppure...
Alla fine, lui e Max avevano legato molto, ma quei dieci anni sembrava che avessero cancellato tutto, lasciando posto all'odio e al rancore.
Guardò brevemente Rossella, ricordandosi di quella notte all'addestramento che l'aveva vista per quello che era.
"Perchè lo faccio? Perchè mi sono stufato di questo odio che c'è tra noi. Odio che ci siamo inventati solo perchè avevamo idee diverse. Non voglio più avere a che fare con voi se devo odiarvi ancora. E poi là fuori ci sono dei mostri che possono perfino prendere possesso dei corpi dei Pokèmon e di esseri umani. Rossella, io non voglio ritrovarmi a dover uccidere Max, Ottavio o te solo perchè fuori siete morti  e dentro avete un qualcosa che neanche è di questo mondo. Alan non è ancora uscito dal suo trauma di Sirius, dopo più di trent'anni ancora ne soffre! Io voglio solo un mondo senza quelle... cose... a portar sofferenza e morte ovunque vadano" sbottò.
"Voglio avere sicurezza, pace e certezze per me, Alan e Ada. Avere una ragazza, magari una moglie. Farmi una famiglia. Ma con quelle cose ancora in giro tutto questo non è possibile. Capisci?".
Per fortuna Rossella sorrise.
"Si, capisco".
Ivan voleva anche spiegargli una volta per tutte che era anche per lei. Che voleva un mondo dove lui non avrebbe temuto di vederla soffrire per un lutto, come era capitato al suo Alan. O perlomeno, avrebbe sofferto in misura migliore. Voleva dirglielo, dirgli che nonostante là fuori ci fosse solo la desolazione lui l'amava come non aveva mai amato nessuno.
Ma forse quello non era il momento giusto.
"Ehm, allora... buonanotte".
"Buonanotte, Ivan".
E il pirata se ne andò a dormire, improvvisamente stanco.

Rossella attese per un pò dopo che il Corsaro chiuse la porta, poi afferrò la Pokèball che le aveva regalato.
Un pokemon speciale, aveva detto. Un Pokèmon molto significante, per lui.
Rossella non sapeva se era all'altezza, regalare un pokemon così importante...
Premè il pulsante della sfera per liberare il Pokèmon all'interno, che uscì in un mare di stelle e luci.
Un Pokèmon shiny, pensò la Magmatenente coprendosi gli occhi con una mano.
Appena la luce si affievolì, abbassò la mano e sgranò gli occhi. L'esemplare davanti a lei era un...
"Luv!!".
Il Luvdisc dorato la osservava con i suoi occhietti curiosi.
Rossella lo accarezzò piano, commossa.
I Luvdisc si regalavano tra due coppie particolarmente affiatate, il fatto che Ivan le avesse regalato adirittura un esemplare cromatico...
Alla ragazza gli stavano venendo le lacrime per la felicità, mentre il pokemon Rendezvous si accoccolava vicino a lei.
Aveva letto, in una ricerca, le voci del pokedex riguardante quel Pokèmon, sul fatto che si regalavano alla persona amata come simbolo del proprio sentimento. Aveva letto che se una coppia ne trovasse uno, sarebbe destinata a vivere una passione infinita, e che la colorazione cromatica significasse un cuore puro e privo di malizia.
Rossella si sdraiò sul letto, col musino del Luvdisc vicino alla sua guancia.
Era certa del messaggio che Ivan le aveva mandato.
Si sfiorò le labbra con un dito, pensando a cosa avrebbe sentito se quelle stesse labbra sfiorassero quelle del pirata, che fino a quel momento le sembrava impenetrabile.
Dimentica della situazione critica al di fuori, si addormentò serena.
No, probabilmente Max non avrebbe approvato.  Lei lo sapeva con certezza. Ma non ci poteva far niente, anche se lo volesse non sarebbe riuscita a rifiutare Ivan. E lei non voleva. Aveva vissuto con Max tutta la vita, gli voleva bene come un fratello, e sperava che almento questo lui lo accettasse.
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"Credi che mi accetterano anche in queste condizioni?".
Eskraas osservava Max. Erano ormai davanti al portone della fortezza, avevano superato con successo anche le protezioni mangiche.
"Hanno accettato me, Max. E sto per avere un figlio. Rossella e Ottavio sono due tenenti fedeli, lo sai. E poi, meglio con noi che con Kelsett, non trovi?"
Il Capopalestra sapeva che era una realtà difficile da affrontare. Molti venivano rifiutati.
"Eskraas, loro sono una famiglia per me. Lo sai che non temo solo un rifiuto. Ho paura di fargli del male".
Sotto la luna Max sembrava più magro e ossuto di quanto non lo fosse in realtà. Erano entrambi parecchio stanchi, e Max dava segni evidenti di febbre.
"Pensiamo ad entrare, intanto".
Eskraas pronunciò una runa, che risplendè sul portone massiccio. Mentre si apriva, ricordò con curiosità di Pokèmon chiamati Unown nella regione di Jotho. Che fossero pokemon creati da antichi popoli stilizzando alcune rune?
Chi lo sa. Forse, appena avrà un pò di tempo libero, si metterà a fare una ricerca in proposito.
Sostenendo Max con un braccio, lo accompagnò alla sua stanza, quella più a est, e lo aiutò a cambiarsi e ad adagiarsi sul letto.
Scottava, aveva la febbre alta, ma riuscì ad addormentarsi.
L'indomani avrebbe detto che lo aveva trovato, finalmente. Si trasformò in lupo e si addormentò davanti alla porta.

Rossella si svegliò di buon umore, ma non ricordava perchè.
Si ricordava di una specie di sogno con Ivan. Sorrise al pensiero.
Era stato veramente un bel sogno.
Lo amava, ma non aveva il coraggio di palesare questo sentimento.
Tutti credevano che lei fosse attratta solo da Max.
Si chiedeva il perchè.
Forse perchè la vedevano così attaccata a lui.
Ma non conoscevano il loro passato.
Ma Ivan... per lui la cosa era diversa.
Poi un musino giallo si strofinò contro la sua guancia, attirando la sua attenzione.
Il Luvdisc!
Rossella si girò di scatto, guardando il pokemon che si era addormentato insieme a lei sul suo stesso cuscino, e che ora la leccava affettuosamente per svegliarla.
La donna si mise a sedere, con i capelli viola ancora scompigliati e gli occhi assonnati.
"Dovrai avere fame... dammi il tempo di sistemarmi e andiamo a fare colazione, va bene?".
Luvdisc emise un verso gioioso, Rossella lo accarezzò per un pò per poi lasciarlo libero di scorazzare per la stanza.
"Non lasciare Squame Cuore in giro, ok?" ridacchiò.
Tempo di farsi una doccia e di vestirsi che già Allenatrice e Pokèmon erano fuori dalla camera.
Per fortuna che aveva conservato l'abitudine di svegliarsi presto, molte reclute di vari team si stavano avviando in quel momento per far colazione, insieme a capi e tenenti.
Ma non vedeva Ivan.
Rossella si fece strada tra le reclute e adocchiò Cyrus.
Il capo Galassia le aveva sempre messo paura, a prima vista sembrava un tossico appena uscito dal centro riabilitativo.
Rossella sapeva che era una grande mente, freddo e privo di emozioni quasi come Max.
Ma metteva paura lo stesso.
"Cyruuuus!!" lo chiamò.
"Mh?" lo scienziato si voltò impassibile.
"Hai visto Ivan?".
Cyrus restò un attimo in silenzio prima di parlare. Aveva le occhiaie, aveva passato la notte insonne, ma non dava segni di stanchezza.
"Penso che si sia addormentato in biblioteca. L'ho lasciato lì ieri, e non credo che si sia mosso"
"Ok, gra... no aspetta, cosa ci facevi in piedi?"
"Affari miei" rispose con un tono che non ammetteva repliche, per poi sparire tra la folla.
Rossella lo guardò, perplessa, per poi correre nella biblioteca, al primo sotterraneo con un Luvdisc al seguito, senza badare alle reclute che travolgeva.
Voleva solo vedere Ivan.
Quello era il suo pensiero.
Non si chiese neanche perchè lui fosse lì.
Luvdisc, allegro, cercava di tenere il suo passo, usando Agilità per accelerare.
Dopo un paio di rampe di scale fatte di corsa, Rossella raggiunse la biblioteca, una vastissima sala circolare disseminata di scaffali e tavoli e lanterne.
Le pareti, forse in pietra, erano coperte fino al soffitto da alti scaffali, ricolmi di libri, come quelli che occupavano i lati della sala, formando un corridoio centrare per permettere il passaggio.
Tra uno scaffale e l'altro c'era abbastanza spazio per ospitare una fila di tavoli con sedie.
Regnava il silenzio più assoluto, interrotto solo dal fruscìo dei Prophergy e dei Wisetome, Pokèmon provenienti da Sereal a forma di fogli e di libri.
Luvdisc, rendendosi conto di dove si trovava, rimase in silenzio.
Rossella era meravigliata, tutti quei libri... chissà quanta storia, quante nozioni, quanto sapere contenevano quei volumi.
"Luv!" pigolò piano il pokemon, guidandola verso l'ultima fila di scaffali non addossati alla parete.
Ivan era proprio lì, addormentato su un librone aperto, con i capelli neri spettinati e una pila di volumi ancora da consultare. Russava lievemente.
Rossella rise piano, era così buffo. Si chiese cosa l'avesse spinto ad andare fin laggiù, e cosa cercasse.
Gli sfiorò una spalla, cercando di svegliarlo nel modo meno brusco possibile.
"Ehi, Ivan..."
Sentendo la sua voce e il suo tocco, il possente Corsaro si svegliò di soprassalto.
"Eh? Cosa? Dove?"
"Ivan, sono io, Rossella. Sei in biblioteca" sussurrò lei.
"Oh, già...".
Ivan si ricompose, cercando di darsi un contegno. Poi vide Luvdisc, e il suo piano di essere serio sfumò.
"L'hai... l'hai visto allora...".
"Ivan. E' stupendo...".
Rossella socchiuse gli occhi, afferrando dolcemente la mascella dell'altro e avvicinandosela. Ivan non se lo fece ripeter due volte, si alzò e l'abbracciò sui fianchi, facendo aderire il suo corpo su lei, sfiorando le sue labbra con le sue, chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere.
Sentì il cuore in tumulto, il sangue affluirgli al cervello, e quelle labbra che sapevano di salsedine pian piano affondare nelle sue.
"Capo! Tenente!".
Due voci, una maschile e una femminile, infransero l'atmosfera.
Ivan sospirò, mentre i pokemon di Sereal continuavano indisturbati il loro lavoro.
Si sentirono dei passi veloci su per le scale, e il Capo Idro e la Magmatenente si avvicinarono, incerti.
A un certo punto si sentì uno dei due scivolare e cadere giù per le scale.
Ivan distinse con divertimento un giovane con la divisa Magma, che atterrò malconcio davanti a loro.
Subito il ragazzo si rialzò, cercando di simulare sicurezza, raggiunto poi da una recluta Idro chiamata Thunder.
"Tenente Rossella, signor Ivan, abbiamo una notizia" cominciò con modi professionali.
"Uh, avanti Furl, sii più rilassato" ridacchiò la ragazza.
"Ma Thunder... rimango sempre una recluta Magma, anche se siamo... ehm...".
Il giovane arrossì.
"Siete cosa?" disse Ivan, fingendo un tono minaccioso. Gli piaceva spaventare le reclute Magma.
"Capo, io e lui stiamo insieme. E a quanto vedo non siamo l'unica coppietta Magma-Idro..." rispose lei, guardando maliziosa il Luvdisc che girava vivace intorno a Rossella, che cercava di calmarlo.
"Aehm... cosa ci dovevate dire?" disse affrettatamente la Magmatenente per cambiar discorso.
"Ah, sì. Hanno ritrovato il Capo, Max!" rispose rapido il ragazzo, che doveva chiamarsi Furl.
Non fece in tempo a dirlo che già Ivan er partito in quarta per raggiungere il rivale.
"Ivaaaan!" gridò Rossella, cercando di stargli dietro, seguita a ruota dalle due reclute.
La donna riuscì a stento a raggiungere l'altro, mentre le reclute degli altri team gli facevano spazio, incuriosite.
"Ivan, ci stanno guardando tutti" ansimò Rossella.
"Che vadano da Luxor! Io voglio vedere Maxie!" rispose lui determinato.
Mancava solo un piano, un piano che li separava dalla camera dove doveva dormire Max.
... Ma le persone cambiano.
Ora più che mai.
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...

"Mai!!! Mai e poi mai!!" gracchiò Max.
Erano tutti riuniti in camera sua: il licantropo Eskraas, il solido Elisio e l'enigmatico Blackthorn di Teyrnas.
"Oh, avanti Max, non sei più un bambino capriccioso. Prima o poi lo verranno a sapere. Non credi che gli piacerebbe saperlo da te?" rispose annoiato Elisio.
Il Capo Flare si era ormai stufato di sentirlo lagnarsi. Va bene che stava subendo qualcosa di irreversibile, ma bisognava tirare avanti.
"Facile per te!! Non sei tu il mostro qua dentro!!" gli gridò di rimando Max, sdraiato sul suo letto, immobile come una statua e vestito con dei semplici vestiti di fibra vegetale.
Max aveva imparato fin da piccolo ad evitare i vestiti di pelle per svariati motivi.
"Guarda che anche io sono nella tua stessa situazione. Sono considerato per caso un mostro dalla mia comunità? No. Sono stato maltrattato e rifiutato? No. Devi capire che tutti ti accetteranno qui a Raqalis. Ormai il cambio di forma è diventato un fenomeno naturale per noi" disse semplicemente Eskraas, che si era seduto sotto a una finestra.
"Oh, certo, vogliamo parlare anche dell' altro licantropo? Cosa gli hanno fatto, eh? L'hanno cacciato a sassate" rispose Max, spaventato.
Un'ombra di dolore passò sul volto del Capopalestra.
"Max, ne abbiamo già parlato. L'hanno cacciato per accuse di tradimento, anche se non vi erano prove sufficienti..."
"E' lui che mi ha ferito" sibilò Max.
Dopo quell'affermazione, per un pò regnò il silenzio.
"Suppongo che non sappiate il perchè dell'attacco, giusto?" chiese Blackthorn.
"Vedete, anche a Teyrnas in passato si raccontavano fenomeni simili con gli Shreddeam e... "
"Blackthorn, sono due cose un pò diverse..." rispose Eskraas.
"Ma ugualmente pericolose" insistè il professore.
"Secondo me c'è un collegamento".
Eskraas fece spallucce.
In quel momento si sentì un vociare assurdo fuori alla porta, e dei colpi potenti alla porta, seguiti dalla voce di Ivan.
"Maaax, ci sei??".
I quattro uomini guardavano la porta, stupiti.
"Che dire, tempismo perfetto" commentò Elisio.
"Vedi, Max? Già ti cercano. Ivan e il tuo Team erano preoccupati per te".
"Pfff, il Team Idro preoccupato per me, il loro rivale. Elisio, alla fine di questa guerra torneremo ad odiarci come prima, ammesso che riusciremo a sopravvivere".
"Max, eventi grossi come le guerre cambiano gli uomini, sconvolgono le loro vite, mettono a nudo verità che neanche sapevamo che esistessero. In guerra è facile legare, c'è una situazione critica in comune, e questi legami si evolvono e maturano diventando più forti di qualsiasi altra cosa. Tu e Ivan avete più cose in comune di quanto pensiate, basta guardarvi".
Max sospirò, poco convinto.
"Pensala come vuoi, Max, ma da questa guerra ne uscirai sicuramente cambiato. Ora, se permetti, io ed Eskraas andiamo a tranquillizzare Ivan e gli altri..."
"E io? Cosa mi consigliate di fare?"
Eskraas lo guardò per un momento.
"Potresti dormire per una buona volta. Dormi sempre pochissimo".
In effetti aveva ragione: Max era abituato a dormire poco e quando ve ne era bisogno...
"Pensa a qualcosa di bello, Max. Che ne so, un episodio del tuo passato particolamente caro".
Così dicendo, i tre uscirono dalla camera, lasciando il Capo Magma da solo con i suoi pensieri.
Un evento particolarmente caro?
Max sorrise lievemente, posando gli occhiali sul comodino.
Oh si, aveva bei ricordi di quando era nelle Foreste delle Isole Hauly.
Continò a sorridere anche mentre scivolava pian piano nel sonno, rivivendo ricordi passati.

"Allora?" chiese in ansia Ivan.
Rossella lo abbracciava su un fianco, guardando Elisio turbata.
"Non sta bene, ma fra poco potete vederlo. Tornate ai vostri compiti" rispose impassibile, e si allontanò seguito dagli sguardi dei due e di alcune reclute curiose.

...

 [...] Da tali studi è emerso che il sonno non è costante, ma costituito da cicli, ciascuno dei quali consta una fase NREM, ovvero "sonno ortodosso", e una fase REM, ovvero "sonno paradosso" poichè sono stati osservati movimenti della pupilla; in quest'ultima fase si hanno i sogni.

Era autunno, e le foglie rosso fuoco cadevano poco a poco dai rami risecchiti degli alberi decidui.
Un occhio esperto avrebbe notato sicuramente un bambino di circa cinque anni appollaiato su un ramo.
Come ci era arrivato?
Non lo sapeva neanche lui.
Max guardava le foglie danzare per poi cadere.
Non voleva ricordare.
Ricordare il "prima".
Da quell'incendio i ricordi divennero sfumati, confusi, e non sapeva neanche più dov'era, chi era, da dove veniva.
Voleva solo restare lì, nel suo sconforto che neanche riusciva a comprendere.
Perchè?
Perchè proprio a lui?
Si raggomitolò su sè stesso, lasciando che sottili e silenziose lacrime gli rigassero il volto.
Gli mancava la mamma, il papà, ma soprattutto il suo fratellino.
Suo fratello dipendeva totalmente da lui.
E Max non riusciva a capire perchè, invece di aiutarlo, fosse fuggito.
Era spaventato, sì.
Quelle cose scure e cattive erano venute sibillando.
Avevano ucciso i suoi genitori e i loro pokemon senza tanti problemi, incendiando la casa e finendo con i due bambini.
E loro erano riusciti a scappare. O perlomeno solo lui.
Max si strinse ancora di più su sè stesso, singhiozzando.
Aveva sentito le urla di dolore dei suoi genitori e le grida straziate dei pokemon caduti e di quelli che si stavano trasformando in Shining Shadow.
E poi?
Poi ricordava un posto scuro che lo portava lontano, e alcuni che lo abbandonarono lì, mormorando che era troppo debole.
Che sarebbe morto.
Parlavano una lingua che lui conosceva benino, era la lingua di suo padre e ogni tanto gliela insegnava.
Il Teyrn.
Poi un cane dagli occhi di cristallo, e altra oscurità.
Max piangeva senza freni, tanto chi lo avrebbe ascoltato?
Chi lo avrebbe accolto?
Chi ormai gli avrebbe ancora voluto bene?
Chi lo avrebbe voluto?
Forse avevano ragione.
Era troppo debole.
Troppo brutto.
Troppo codardo per essere accettato.
Gli mancava terribilmente la sua famiglia.
Gli mancavano i pokemon con cui lui e suo fratello giocavano.
Piangeva a dirotto, gridando di tristezza.
Una foglia si posò sulla sua testa, incastrandosi tra i capelli rossi del bambino.
Max la prese e la guardò per un momento, asciugandosi le lacrime.
Poi guardò su.
Un gesto naturale, semplice.
Due grandi occhi viola lo stavano osservando e Max sobbalzò dalla sorpresa.
Poi notò che gli occhi avevano in mezzo anche un naso, una bocca, insomma, appartenevano a un altro essere umano.
L'altro saltò per raggiungere il robusto ramo dove Max si era sistemato.
"Ciao!" salutò.
Max lo osservò bene. Era più piccolo di lui, sembrava animato da uno spirito curioso.
Occhi viola scuro vivaci e attenti, viso ben proporzionato e capelli violacei.
Di corporatura era snello ma forte.
"Ciao" ripetè.
Parlava un dialetto strano del Teyrn, ma Max lo sapeva capire ugualmente.
"Ti ho visto mentre piangevi. Cosa ti succede?".
Max non rispose.
Aveva imparato a non fidarsi.
Chi era?
"Hai una famiglia?" continuò.
Max scuotè la testa per indicare dissenso.
"Oh..." l'altro sembrò veramente dispiaciuto.
"Anche da noi capita, a volte. Degli amici miei non hanno la mamma, o il papà, o tutti e due".
Max alzò lo sguardo. Aveva detto "noi"?
"Ma noi Harlain siamo forti!" continuò il bimbo, ergendosi in tutta la sua minuscola statura.
"Ho altri sette fratelli, nessuno di noi è morto, e abbiamo ancora una madre e un padre" disse orgoglioso.
Poi rimase a guardare Max per un pò.
"E tu?"
Max abbassò la testa. Come faceva a raccontare il suo corto passato quando nemmeno lui riusciva a sopportarlo?
"Ok, va bene, non ne vuoi parlare. Ma almeno mi vuoi dire il tuo nome?".
Il bambino gli tese la mano.
"Sai, i grandi fanno così quando si incontrano per la prima volta. Possiamo farlo anche noi due, eh? Io mi chiamo Ottavio Harlain. E tu?"
Max sapeva di quel gesto, e sorrise impercettibilmente.
Afferrò la mano del bambino chiamato Ottavio e gliela strinse.
"Mi chiamo Max"
"Non ricordi il nome della tua famigia?".
Max dissentì una seconda volta.
"Pazienza. Avrai ancora il simbolo della tua famiglia, no? Papà li conosce molto bene, forse ti può aiutare. Vieni, seguimi, ma stai in silenzio e fà quel che faccio io".
Max seguì incerto Ottavio, che con passo veloce s'inoltrava nelle foreste.
Max non si ne era reso ancora conto che si trovava nelle Isole Hauly.
Posti strani, con pokemon altrettanto strani.
Ma affascinanti.
E pericolosi, per gli inesperti.
Ottavio procedeva con passo svelto e sicuro, badando a non lasciare tracce e non fare rumori.
Max lo seguiva come meglio poteva, intimorito dai rumori, dai colori, dagli odori che aumentavano d'intensità mano a mano che entravano nel cuore della foresta.
Sentiva i rumori e i versi dei pokemon e degli animali attorno a lui, eppure Max ancora non riusciva a distinguere un essere da un altro.
Ma dopo un certo punto i suoni cominciarono a decrescere, finchè sbucarono in una minuscola radura coperta completamente dai rami degli alberi, in modo che la luce non filtrasse quasi per niente.
Ottavio, in silenzio, gli fece segno di stare immobile, e iniziò a canticchiare qualche nota incerta.
Doveva essere un richiamo, perchè il bambino ripeteva sempre la stessa melodia sempre più sicuro e più forte.
I suoni del ragazzino si incastravano perfettamente nell'ambiente circostante, senza attirare predatori di alcun genere.
Sembrava che evocava delle immagini fatte per tenere lontani gli intrusi.
...
Max riuscì a prevederlo un secondo prima che accadesse.
Qualcuno lo sollevò da dietro facendo passare le mani sotto le braccia e cominciando a correre, un momento a terra e poi subito dopo arrampicandosi sugli alberi, per saltare magari qualche fosso, qualche stagno, qualche ostacolo.
Max si sentiva stretto a un corpo di qualcuno molto più grande, più agile e più forte di lui.
Vedeva sotto di lui il terreno scorrere a una velocità spaventosa.
Poi, sempre correndo, uscirono all'aperto un una valle troneggiata al centro da un maestoso albero millenario su cui sorgeva una specie di villaggio, protetto damura fatte in pali di legno. L'albero faceva ombra a quasi la maggior parte del villaggio, ma non mancavano gli spazzi per alcuni campi, dove uomini, donne e pokemon lavoravano la terra.
Entrarono da una delle porte principali e il ragazzo che teneva in braccio Max si fermò soltanto davanti a un'apertura delle radici dell'albero, ansimando.
"Bene, Ottavio, ora mi dici chi ho trasportato?" disse il ragazzo con tono beffardo.
Una ragazza sui diciassette anni posò Ottavio a terra.
"Bè, sarà un amico, Kotick" rispose lei.
Il ragazzo che doveva chiamarsi Kotick, che non dimostrava più di quindici anni, la guardò con aria di sfida.
"Ho chiesto a Ottavio, non a te, Alba. Allora?" rispose beffardo.
"E' un mio amico. Si chiama Max, non ha famiglia" rispose tranquillamente lui.
"Oh, povero tesoro" mormorò dispiaciuta la ragazza chiamata Alba.
"Senti, Max, io e questo testone di Kotick siamo i più grandi della famiglia Harlain, e ci tocca sempre badare ai più piccoli come la peste qui presente" indicò Ottavio, che ridacchiò.
"Per noi non è un problema adottarti. Non hai nessuno che si prenda cura di te, no? Non hai un posto fisso, quidi ti va di stare qui?"
Max si guardò intorno. Era un bel posto, le persone lavoravano con energia e brio, fermandosi anche per scambiarsi informazioni o consigli. C'erano persone che evidentemente venivano dalle grandi città, perchè non erano vestite con indumenti naturali.
Kotick corse via, riprendendo le sue attività.
Il sole stava per calare, e Alba accompagnò i due bambini dentro l'albero cavo all'interno.
Era sorprendente come la Natura operasse sulle sue creature, aiutata da una bella dose di magia degli abitanti delle Foreste, che riescono a manipolare attraverso l'energia dei loro pokemon l'ambiente circostante.
Una specie di scala a chiocciola scolpita nel tempo sosteneva l'intera struttura, permettendo anche di salire e scendere con comodo da un piano all'altro.
Altre scale si srotolavano sulle pareti per permettere l'accesso alle stanze del piano.
Dei fuochi fatui illuminavano l'interno, e sembrava che lo stesso albero dentro brillasse debolmente.
Lì non c'erano molte persone, se non qualcuna che usciva da una stanza per poi rietrare in un altra, seguiti da qualche pokemon Erba.
Forse dei medici.
"Venite" sussurrò Alba, conducendoli su una rampa ed aprendo una porta che dava in una saletta che sembrava essere creata direttamente dall'albero e non scavata dalla magia.
All'interno c'era qualche letto a terra, costituito da un semplice materasso vegetale con cuscino e coperte.
C'erano solo due persone in quel momento: un uomo che parlava a una donna al nono mese di gravidanza.
"E' arrivata qui una settimana fa, senza dirci cosa le era successo" spiegò Ottavio perplesso.
"Disse solamente che il padre era scomparso. Te l'ho detto che capita spesso...".
La vocetta di Ottavio interruppe la conversazione tra i due, che si voltarono.
La donna era giovane, ma era molto debole.
Pareva svuotata di ogni energia.
L'uomo, al contrario, era in tipo che infondeva ottimismo e allegria.
Portava un paio di occhiali neri e sottili e vestiti da esploratore.
Doveva essere il padre di Ottavio e dei suoi fratelli.
"Oh, Ottavio, sei già tornato. Chi è il tuo nuovo amichetto?".
"Si chiama Max. Non si ricorda la sua famiglia" rispose in fretta Ottavio.
"Oh, vieni qui".
L'uomo fece segno a Max di avvicinarsi, mettendosi in ginocchio per abbassarsi alla sua altezza.
Gli levò la maglietta sporca che indossava chissà da quanto, mettendo a nudo il corpicino pallido ed esile.
Sulla clavicola sinistra però spiccava un simbolo nero raffigurante due spade incrociate con una lama rivolta verso il basso, sovrapposte a un libro stilizzato aperto. Il tutto era racchiuso in un anello.
L'uomo sembrò colpito.
"I Ravenclaw... Max, non so chi tu sia e da dove provieni, ma hai alle spalle un'ottima famiglia. Ehi, Andromeda, guarda qui, il simbolo dei Ravenclaw! E' da secoli che non ricompare".
La donna rivolse un sorriso stanco a Max.
"La famiglia si estinse tempo fa" mormorò.

Il tempo passò.
La famiglia di Ottavio accolse calorosamente Max, che legò in particolar modo anche con Kotick, anche se era molto fastidioso a volte, e con Toomai, che aveva la sua stessa età.
Capitava molto spesso che l'intera si muovesse nella foresta circostante per cacciare e per istruire i più piccoli.
I più grandi, come appunto Kotick e Alba, erano già esperti e si muovevano silenziosamente, come se facessero parte del sottobosco o dei rami degli alberi, a seconda dei casi.
Max era quello che invece creava più impiccio tra tutti, superando appena Ottavio, che comunque era nato lì.
Gli mostrarono come la conoscenza fosse la chiave di tutto: lo aiutarono a capire e a prevedere i pokemon della zona per evitare i predatori, per richiamarli o scacciarli, gli insegnarono a come vivere in equilibrio.
Nelle giornate di pioggia invece lui, Ottavio e Toomai rimanevano nell'albero per evitare di bagnarsi. In quelle giornate si mettevano a giocare agli enigmi, o a disegnare, oppure la mamma di Ottavio, un'amazzone di tutto rispetto, gli insegnava a interpretare le rune. In verità Max e Toomai non ci capivano un gran che, Ottavio era invece curiosissimo e imparava in fretta. Sempre più spesso si rifugiavano nella stessa stanza dove la donna di nome Andromeda riposava
Era proprio un giorno di pioggia qualunque quando un altro evento segnò Max.
"Allora? Vi ricordate almeno questa?" chiese spazientito Ottavio, disegnando con tratto incerto l'ennesima runa.
"Otty, devi capire che non tutti sono appassionati di rune come te" aggiunse un Kotick alquanto spazientito.
Il ragazzo stava cercando una cartella contenente alcuni studi sui Folieroot del padre, aiutato da Toomai.
Ottavio continuò a disegnare.
"Comunque era la Runa d'Unione" bofocchiò cupo.
"Fà vedere!".
Toomai si era stancato del lavoro e aveva strappato dalle mani del fratellino il foglio.
"Ehi!" gridò Ottavio, cominciano a ricorrerlo in giro per la stanza. I due bambini gridavano, uno per il divertimento e l'altro per la rabbia.
Andromeda li osservava, silenziosa come sempre.
"Ma insomma, la volete smettere?" disse seccato Kotick, afferrando i due bambini.
"Non ci siete mica solo voi! Toomai, dai il foglio a Ottavio".
Max osservava la scena distratto. Capitava che i suoi due amici litigassero.
Toomai restituì il foglio al fratello, che ricambiò con una linguaccia.
Kotick trovò la sua cartella e stava per andarsene, quando un gemito partì dal fondo della stanza.
Un silenzio innaturale calò per la stanza per qualche istante.
Improvvistamente dal corpo della donna una macchia scura si allargava, segno che le lenzuola si erano infradiciate.
Max non capiva, ma Kotick li spedì subito fuori urlando, correndo a chiamare i genitori.
Generò una tale confusione e caos tra i tranquilli figli della foresta che per alcuni minuti Max, Ottavio e Toomai non capirono un gran che.
Poi finalmente riuscirono ad aggrapparsi ad Alba e a farsi dare una spiegazione soddisfacente.
La ragazza li trascinò in un angolo meno rumoroso, non riusciva neanche ad urlare, il popolo sembrava più agitato del solito.
"Che succede?" chiese Toomai.
"Andromeda muore?".
"Forse, fratellino. Sua figlia sta per nascere".

Tre ore.
Tre lunghissime, estenuanti ore.
I tre bambini cercavano di giocare con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Il maltempo stava cessando, ma non potevano uscire ugualmente.
Tre ore.
Tre ore ad aspettare.
Max non capiva bene, era vagamente preoccupato, la donna non sembrava particolarmente forte.
Ma gli avevano insegnato che non era tutto la forza.
La base di tutto era la conoscenza.
E Max lo sapeva.
Se avrebbe saputo difendersi suo fratello sarebbe vissuto.
Per questo pian piano si stava chiudendo in sè stesso, limitando le amicizie a Toomai, Ottavio e alla loro famiglia.
Gli bastavano loro.
Tre ore.
E finalmente qualcosa accadde.
Si sentì, dopo un travaglio doloroso, un ultimo grido, e poi dei singhiozzi di un neonato.
Le persone che erano dentro l'Albero alzarono gli occhi, senza smettere di chiacchierare.
Erano strani, i figli della foresta.
Dalla stanza uscì il papà di Ottavio con le mani completamente lorde di sangue, e fece ai tre bambini segno di entrare.
Dentro la stanza faceva più caldo, e Max notò subito Andromeda con un fagotto tra le braccia da cui provenivano alcuni vagiti sommessi.
La donna sembrava essere ancora più smagrita e debole prima del parto.
Max si avvicinò a lei e al neonato.
"Guardala, Max" mormorò la donna.
Era davvero una bella bambina, era sana, pallidissima e con la prima peluria viola/nera che ben presto avrebbe fatto posto ai capelli veri e propri.
"Non so che nome dargli... il padre era un appassionato del fuoco..." sospirò.
"Max. Prometti che te ne prenderai cura? Vero?"
Max non sapeva che fare. Sentiva le lacrime riaffiorare.
"Oh, avanti Andromeda. Non morirai ne ora ne mai" ribattè il papà di Ottavio mentre si ripuliva le mani.
"Qualunque cosa accada, me lo prometti?"
Max scuotè la testa in segno d'assenso.
"Bene". Andromeda si rilassò per un momento.
"Che ne dici di Fiammetta?".
Max guardò la bambina che dormiva, e un ricordo gli attraversò la mente.
Sua madre.
Che gli parlava di una sorellina.
Ne erano entusiasti, lui e suo fratello.
Non riuscì a trattenersi.
"Ti prego, chiamala Rossella!" sbottò.
Andromeda lo guardava.
Max si asciugò una lacrima.
"E-ecco... Mamma voleva una bambina. Voleva chiamarla Rossella. Ti prego!"
Quel ricordo improvviso lo aveva sconvolto.
Andromeda sorrise debolmente.
"Rossella Jordis... si suona bene. Stalle accanto, Max..."
Andromeda chiuse lentamente gli occhi per sempre.
Max allungò la mano, avvolgendo la manina minuscola della piccola Rossella.
Nel sonno, la piccola gli afferrò il dito, sorridendo come solo i neonati sanno fare.
"Ciao Rossella. Benvenuta fra noi".
La baciò sulla fronte, prima che la portassero nella sua culla.

Gli anni passarono, e Rossella crebbe in fretta.
Il tempo volò, gli anni passavano.
All'improvviso Max si ritrovò a dodici anni a correre per i sentieri delle Foreste insieme alla famiglia Harlain.
Era nel ristretto gruppo dei battitori, cercavano di catturare un Nahzguard troppo audace.
Si era spinto fino al loro villaggio rovinando i magri raccolti e sbranando le persone incaute.
Già si era portato via due suoi amici, e per poco Rossella, che allora aveva sette anni, non finiva dritta nelle fauci del Pokemon.
Era davvero una faticaccia badare a lei. Era una bambina curiosa ma fragile, non avendo genitori sin dalla nascita si sentiva spesso sola.
Piangeva spesso e Max e Ottavio erano sempre lì a consolarla.
Lei si avvicinava solo a loro, e si calmava subito con la loro presenza.
Ma riusciva ad allontanarsi senza che nessuno se ne accorgesse, e questo era fonte di stress per Max, che ormai la vedeva come una sorellina che non aveva mai avuto.
Sentiva i ruggiti rabbiosi del pokemon quando il secondo gruppo di battitori, con polveri di Parasect e getti d'acqua dei propri pokemon lo facevano deviare.
Max correva fino quasi volare, sentiva il grosso Pokemon correre sul sentiero parallelo al suo senza accorgersi della sua presenza.
Poi qualcosa andò storto.
Non aveva calcolato che il sottobosco finisse su una curva improvvisa del sentiero principale.
Max si ritrovò, prima di rendersene conto, proprio davanti al Pokemon ferito e furibondo.
Nahzguard ruggì incollerito, e appena lo vide si slanciò in avanti e, con un salto formidabile, lo atterrò per ucciderlo e portarlo nella sua tana per mangiarselo in pace.
La violenza con cui sbattè al suolo lo paralizzò, sentiva gli artigli del Pokemon Rovente lacerargli la pelle delle spalle con i potenti artigli.
Sentiva perfettamente il calore opprimente della criniera di fuoco bruciargli la pelle.
Era finita.
Non era riuscito neanche a raggiungere il suo piccolo coltello di rame, assicurato alla cintura.
Lo stava per uccidere.
Chiuse istintivamente gli occhi, ma poi li riaprì subito dopo: voleva guardare la sua morte in faccia.
Gli occhi violetti del Pokemon incontrarono quelli verdi del ragazzino.
Ed esitò.
Max lo guardava paralizzato: quegli occhi trasudavano rabbia ma anche disperazione.
Aveva capito perchè il Pokemon si era spinto fino a loro, incurante del pericolo.
Era rimasto senza parole.
Troppo tardi sentì il fischio di una freccia che colpì in mezzo alle costole del Nahzguard, facendolo ruggire di dolore.
Max, senza curarsi delle artigliate, rincorse il pokemon più velocemente possibile.
Era difficile con le ferite che bruciavano e che colavano sangue.
Ma sapeva che era necessario.
Percepiva gli altri seguirli, se avessero scoperto il nascondiglio del Pokemon avrebbero sicuramente fatto una strage.
Era comprensibile, era periodo di carestia e gli umani non erano i soli a soffrire la fame.
Max perse di vista il Nahzguard, era giunto davanti a una piccola piana dove la foresta finiva di botto.
Da un lato si ergevano delle basse colline in cui delle caverne buie conducevano sottoterra.
Il ragazzino sentiva il resto dei cacciatori avvicinarsi, e doveva fare in fretta.
Le orme irregolari accompagnate da una leggera scia di sangue rivelavano dove il Nahzguard si era rifugiato: in una corta e bassa caverna.
Max in quel momento ringraziò lo Spirito per avergli donato una costituzione esile e minuta.
S'infilò dentro il cunicolo arrivando in una piccola tana dove il Nahzguard si stava lentamente spegnendo.
La freccia lo aveva colpito in un punto vitale.
La criniera di fiamme illuminava debolmente il resto della caverna, rivelando il corpo smagrito e senza vita della compagna, più qualche scheletro dei cuccioli defunti.
Max li guardava triste.
Voleva che un giorno le carestie finissero.
Il maltempo e la terra sterile erano flagelli a cui nessuno poteva sottrarsi.
Se ci fossero stati più continenti...
Se solo ci fosse stata più terra... per accontentare tutti...
Il Nazhguard ruggì debolmente, l'agonia doveva essere straziante.
Gli stava chiedendo il colpo di grazia.
Max afferrò la piccola lama e si avvicinò al Pokemon, sgozzandolo con un taglio preciso e netto.
Veloce e indolore.
Le fiamme della criniera si spensero con la vita del Pokemon.
Max se ne stava per andare come se nulla fosse successo (ormai riusciva a distaccarsi dal dolore della morte) quando udì un miagolio.
Si girò, e fu colto da un bagliore più tenue e piccolo di quello del Nahzguard.
Di nuovo un miagolio, seguito da uno starnuto.
Un Pupguard che mordicchiava l'orecchio del padre per attirare la sua attenzione, non sapendo che quell'attenzione non ci sarebbe stata più.
Era l'unico rimasto della famiglia.
Gli ricordava terribilmente lui.
Solo e sperduto.
Max lo prese delicatamente in braccio, per poi uscire fuori.
Il piccolo, rassicurato dal suo calore, si addormentò placidamente, singhiozzando lievemente ogni tanto.
I cacciatori, appena lo videro, sporco di terra e con il cucciolo Pupguard tra le braccia, non dissero niente.
I figli delle foreste capivano anche senza le parole.
Avevano intuito cosa era successo.
Il Nahzguard sapeva della sua fine, e voleva assicurarsi che l'ultimo cucciolo fosse in mani sicure.
Quello che nessuno capì perchè Max ispirava fiducia a ogni essere vivente.

Passarono altri due anni.
Inutile dire che Rossella si era letteralmente innamorata del cucciolo, e passava la maggior parte del tempo a giocare con lui, o a dargli nomignoli buffi, o semplicemente accarezzarlo finchè non si addormentava.
Ottavio li guardava divertiti, mentre scriveva o traduceva dei testi runici.
Max, ormai quattordicenne, cercava di addestrarlo, ma allevare un Pupguard era semplicemente impossibile.
Prendeva tutto come un gioco.
"Pupguard, seguimi!" gli gridava mentre correva per abituarlo alla caccia, ma poi dopo un breve tratto di eccellente corsa il cucciolo si girava per rincorrersi la coda o per rotolarsi a terra miagolando soddisfatto.
O faceva entrambe le cose, prima l'una e poi l'altra.
Si distraeva facilmente:  mentre inseguiva una preda bastava un pokemon Volante gracchiare nel cielo per distrarlo e farlo ruzzolare, dando al Pokèmon predato la possibilità di fuggire.
Per non parlare dei predatori.
Nelle Isole esistevano Pokèmon tanto rari quanto terribili, che al solo sentirne il nome ti si accapponava la pelle.
Per poco il cucciolo non finì tra le mani di uno di essi.
Per poco.
Ma tutto sommato il Pokèmon stava crescendo bene.
Le regole imponevano che solo e soltanto l'allenatore doveva addestrare i propri pokemon, al massimo poteva essere aiutato da qualche amico di sua spontanea volontà.
Alla fine, oltre a Max anche Ottavio e Rossella finirono per educare il piccolo Pupguard.
Anche se in verità Rossella ci giocava soltanto.
Ma aveva solamente nove anni.
In quei due anni il cucciolo, nonostante tutto, aveva fatto notevoli miglioramenti grazie al lavoro di tutti e tre, sebbene la strada fosse ancora lunga.

I momenti in cui però era difficile tenerlo a bada erano però i Rituali di passaggio.
Questi si svolgevano ogni estate ed erano motivo di grande festa.
I ragazzi che compivano sedici anni prima dei mesi estivi venivano considerati adulti, e sceglievano una prova da affrontare per confermare il loro ruolo nella società del villaggio. O a perderlo.
Le prove erano svariate, alcune facili altre difficili, e la scelta avrebbe influito su quello che il ragazzo o la ragazza avrebbe potuto fare poi.
Max non ricordava in quei quattordici anni che qualcuno avesse fallito la sua prova.
Piuttosto, qualcuno ci era morto, il che era molto meglio.
Se la prova falliva, o che qualcosa la invalidasse, le pene erano severissime.
Il momento migliore era quando il ragazzo che aveva superato la sua prova veniva accolto con molte feste, e Pupguard, tra tutti quei suoni e colori, si eccitava tantissimo.
Capitava spesso e volentieri che il cucciolo si mettesse a ruggire seguendo tutto quello che vedeva muoversi, che siano vesti, piedi, altri pokemon, per lui non faceva distinzione.
E rischiava di incendiare qualcosa.
Iniziava quindi l'estate con i suoi frenetici ritmi.
Max, Ottavio e Rossella solevano andare in punti precisi delle foreste dove avevano costruito dei veri e propri nascondigli sugli alberi, aiutati da un pò di manualità e magia.
"Allora, Max, che te ne pare?" disse un giorno di quelli Ottavio.
Erano dentro a una casetta-albero, e Ottavio era intento a riparare uno Styler rotto che avevano trovato qualche settimana addietro. Da allora non se ne era più staccato.
Max posò il libro che in quel momento stava leggendo per avvicinarsi al suo amico.
Max amava leggere.
Qualsiasi cosa.
Il popolo delle foreste avevano anche una libreria ben fornita, scavata sotto l'Albero principale.
E i contatti con il resto del mondo c'erano, anche se non molto frequenti.
Ottavio aveva fatto veramente un buon lavoro, ma ancora c'erano dei difetti da riparare.
Diede un'occhiata rapida a Rossella, ma la bambina stava come al solito giocando con Pupguard.
"Guarda, devi migliorare questa parte qui... e questa..."
"Max?" lo chiamò Rossella.
La bambina si era distesa sopra Pupguard. I capelli nerastri le scendevano sulle spalle elegantemente.
Era molto carina.
"Dimmi, Rossy".
"Secondo te potrei avere anche io un Pokèmon tutto per me?" chiese dubbiosa.
"Sì, e poi lasci solo il povero Pupuguard?" ribattè ironico Ottavio, mentre apportava le modifiche al dispositivo.
"Non lo farei mai!" rispose affrettatamente lei, sgranando gli occhi.
Il Pokemon Rovente alzò la testa, sentendosi chiamato in causa.
"Mh, voglio proprio vedere" ridacchiò lui.
"Che Pokèmon ti interessa" chiese invece il rosso.
Rossella fece spallucce, tornando a coccolare Pupguard.
"Uno qualsiasi..." disse vagamente.
Pupguard agitava la coda, creando ampi archi nell'aria.
Di colpo s'immobilizzò, volse la testa verso la foresta rizzando le orecchie.
Pareva che avesse sentito qualcosa avvicinarsi.
O allontanarsi.
Rossella lo guardava, vagamente sorpresa da quel cambiamento repentino.
Pupguard emise un basso ringhio, alzandosi di scatto sulle quattro zampette, per poi saltare fuori dal rifugio.
I tre fissarono per un attimo l'uscita dove il pokemon era sparito, attoniti.
"Max, sbaglio o il tuo gatto infuocato è appena saltato da cinque metri?" notò Ottavio.
Rossella rimase a fissare con occhi sgranati l'uscita.
Max non capì il perchè di quel gesto.

I Pupguard cominciano a distaccarsi dagli affetti al momento dell'evoluzione. Scelgono di solito la cima delle cascate o zone rialzate per evolversi, per segnalare ai nemici la loro nuova forza.

L'idea lo folgorò.
L'aveva letta nel libro sulla fauna e flora del padre di Ottavio, che era anche un naturalista.
Senza badare alle grida sorprese dei suoi amici si scaraventò fuori dalla loro casetta per raggiungere un certo posto.
La strada la ricordava, era sempre il solito grande sentiero di due anni fa.
Ormai le Foreste non avevano più segreti per lui.
La dea Minar dopotutto l'aveva accettato già da tempo come parte integrante del suo popolo, sebbene ancora il suo ruolo doveva essere confermato.
Correva, correva.
Non era mai stato un atleta, sapeva che rispetto agli altri era gracile e debole.
Ma Max sapeva di contare su un'altra forza: quella della mente.
Correva.
In un tempo remoto sua madre gliel'aveva detto. La conoscenza è l'unica vera grande forza dell'uomo.
E Max si impegnava con tutto sè stesso per acquisire più conoscenze possibili.
Rallentò per riprendere fiato, oramai il posto non era lontano...
Si mosse con estrema destrezza, a volte essere magrolini era un bel vantaggio.
Saltellò per evitare alcune buche e tane di Pokemon velenosi, si fece spazio tra gli alberi e finalmente sbucò in una radura.
Due anni passati in un attimo.
Era la stessa radura dove un Nahzguard l'aveva condotto per morire.
Dove aveva adottato il suo primo pokemon.
E ora vedeva quello stesso cucciolo, e si rese conto di quanto fossero cresciuti insieme.
Pupguard si ergeva sulla sporgenza sopra l'entrata rocciosa della caverna dove lui era nato, dove all'interno c'erano solo che ossa.
Con tutta la dignità che aveva, mandò il ruggito più potente che avesse mai fatto, prima di essere avvolto da una luce bianca.
Max, al limitare della piana, si coprì in parte gli occhi.
L'energia sprigionata dall'evoluzione poteva accecare, ma lui non voleva perdersi un momento del genere.
Distinse la forma di Pupguard crescere, farsi più grande, crescere, rafforzarsi.
La luce divenne troppo intensa, e Max si vide costretto a ripararsi gli occhi.

...

Uno.

Due.

Tre.

Max tolse le mani da davanti gli occhi, aprendoli.
Nonostante sapesse cosa poteva vedere, rimase comunque a bocca aperta.
Due anni.
Due anni di assidui allenamenti.
Ne è valsa la pena solo per quel momento.
Alla fine erano cresciuti entrambi, lui e Pupguard.
Insieme.
Sulla stessa sporgenza rocciosa, un giovane Nahzguard ruggì, scuotendo la terra.

"Max, sei pronto?"
Max osservò Ottavio dalla sua amaca.
Altri due anni erano passati.
Rossella era diventata una sanissima undicenne piena di vitalità.
Era ormai da tempo che seguiva Max e Nazhguard nelle caccie come seconda battitrice.
Piccola ed esile per la sua età, riusciva ad infilarsi anche negli anfratti più minuscoli senza problemi.
Ottavio, a differenza del resto dei altri quattordicenni, preferiva rimanere a studiare le rune ed aiutare Max e la famiglia negli studi sul campo.
Il rosso non chiedeva di meglio.
Non aveva mai amato i giochi violenti che i suoi coetanei facevano.
Piuttosto, preferiva lo studio, anche se a volte seguiva Ottavio nelle sue strane esplorazioni in giro per le Isole.
Il suo amico crescendo si era fatto più curioso e ardito, ed era capace di rimanere fuori per giorni senza far ritorno.
In quei frangenti Max non lo aiutava, se non per riconoscere meglio i percorsi e le strategie per una migliore sopravvivenza.
Lui dopotutto era più incline ai pensieri astratti, mentre Ottavio tendeva a essere più impulsivo e concreto.
A volte, nelle esplorazioni, Rossella li seguiva.
La lasciavano fare se erano cose semplici, ma se la difficoltà aumentava la rispedivano a casa.
Era testarda, e non sopportava separarsi da Max neanche per un momento.
Lui le voleva bene, preferiva che non si esponesse troppo.
"Chissà, in futuro voi due potreste ritrovarvi insieme con una famiglia" disse un giorno Ottavio ridacchiando.
"Maddai!!" gli rispose il rosso, fingendosi seccato.
Ma vada come vada, Max rimaneva sempre il più studioso del trio.
"Max?".
La voce di Rossella lo riportò alla realtà.
"Pronto per cosa?" chiese distratto, mentre sfogliava un vecchio volume.
"Oh, dai. Si avvicina l'estate, e hai già compiuto sedici anni..."
Max sentì i peli della nuca rizzarsi.
La stagione dei Rituali si stava avvicinando, e anche in fretta. E lui ancora non aveva deciso in che prova cimentarsi.
"Bhè..." balbettò.
"Non hai ancora deciso" disse Ottavio. Era un'affermazione più che una domanda.
"Non so in cosa potrei andar meglio..." rispose triste.
"C'è sempre la hieros. Mal che vada, l'unica ad essere scontenta sarà la tua compagna" rise l'altro.
Rossella spalancò gli occhi, non credendo a quello che aveva sentito.
"Ottavio, lo sai che Max non è tipo da fare certe cose!" lo rimproverò.
Max non sapeva se essere più imbarazzato per quello che aveva detto Ottavio o più sorpreso di Rossella che aveva inteso.
"Signorinella, come fai a sapere certe cose?" domandò Ottavio, sospettoso.
"Toomai mi ha fatto vedere i Folieroot maschi montare le femmine e me lo ha spiegato, dicendo che anche gli umani lo fanno, e che esiste una prova su questo" rispose candidamente Rossella.
"Io lo ammazzo" borbottò Max, alzandosi di scatto.
"Che aspetti? Hai tutto il mio appoggio" aggiunse Ottavio.
"Tooooomaaaaai!!!" gridò Max.
Il fratello di Ottavio era ai piani più alti, intento a rilegare un libro.
"Max, che c'è?"
"Hai detto a Rossella quelle cose!" gli urlò.
"Chi? Io?" gli rispose il coetaneo, fingendo un tono innocente.
"Noooo!!" gridò a sua volta Rossy.
"Oh, bhè, dai Max. Ha undici anni, mica uno!"
"E allora?"
"Max, non sono più una bambina" rispose lei, leggermente seccata.
"Sì, ma..." cominciò il rosso.
Rossella alzò gli occhi al cielo, spazientita.
"Max sei l'unico che non gli va giù. E' una cosa naturale".
Max arrossì, ma non rispose.
Toomai scese giù fino alla loro stanza.
"Ma perchè parlate di queste cose?"
"Ottavio ha proposto la hieros per Max. Come prova".
"Fratellino, no ti facevo così malizioso! La prova dell'accoppiamento per Max!" esclamò il sedicenne, spingendo l'amaca dove Ottavio era adagiato.
Il ragazzo rise, cercando di fermare l'amaca.
"Tornando alle cose serie. Max, hai deciso? Il periodo si sta avvicinando".
Max sospirò, facendo un cenno di diniego, per poi spostarsi sul corpo di Nahzguard.
Il Pokèmon era addormentato nonostante il baccano.
"Mi piacerebbe fare una di quelle prove di cattura, ma non ne ho la fantasia".
"Amico, conviene che te la fai venire, e anche in fretta".

L'estate si avvicinava, con le sue tempeste improvvise e i torridi giorni di sole.
Toomai aveva scelto la prova subacquea.
Le Isole Hualy, in quanto tali, erano circondate dal mare e attraversate da vari fiumi.
Le prove subacquee potevano differire: si poteva catturare in qualche modo un Pokèmon, recuperare qualcosa di difficile, e via dicendo.
Il fratello di Ottavio aveva proposto a Max di scegliere la sua stessa prova, ma il rosso rifiutò.
Semplicemente, non sapeva nuotare.
Dalla separazione dalla sua famiglia provava una fortissima repulsione per l'acqua.
Ricordava quando era piccolo che era caduto in uno stagno e non riusciva a riemergere. L'avevano recuperato appena in tempo.
O forse il nuotare gli ricordava troppo suo fratello.
A lui sarebbero piaciute, le prove acquatiche.
Il mese dei Rituali, agosto, pian piano si avvicinava.
Max cominciava ad aver paura: se non si fosse presentato, cosa poteva succedere?
Qualcosa che sicuramente non era buono.
Era esile, debole, dotato solo di grande conoscenza e arguzia.
Ma quelle in quel momento non gli servivano gran che.
Gli serviva solo un pò di fortuna.
E quella arrivò.
Era una serata simile alle altre, calda e con troppe zanzare.
Il popolo delle foreste aveva rimediato una strana pianta cui l'odore teneva lontani insetti e Pokèmon Coleottero.
Ma c'erano comunque zanzare in eccesso.
Max mangiava sempre con i suoi due amici, molte volte si aggiungevano il fratello e la sorella di Ottavio rimasti tra loro.
C'erano due gemelle, tempo fa, morte entrambe. Una era caduta nelle sabbie mobili che si trovavano nelle paludi, e non riuscì a riemergere. L'altra era morta poco dopo per malaria. Aveva provato ad aiutare la sorella, ma non fece in tempo e si prese la febbre. La sua tomba era tra le altre, al cimitero. Ottavio non ne parlava mai.
Vi era un'altra sorella, di un anno più grande di Max e Toomai. Ma morì l'estate scorsa per una ferita riportata nel Rituale.
E così dei ragazzi Harlain rimanevano solo Alba, Kotick, i ragazzi che undici anni fa avevano trasportato Max nella loro attuale casa, Toomai e Ottavio.
Max li guardava  ridere, avevano superato le morti in maniera esemplare, come le avevano superate i loro genitori.
Fu allora che un'occasione si presentò.
Gli adulti parlavano di qualcosa, sembrava un argomento serio.
"Di cosa staranno mai parlando" mormorò Maxie a Toomai.
"Bho" rispose lui, masticando una fetta di pane.
"Dai, andiamo a sentire".
Il ragazzo fece spallucce e lo seguì.
Si avvicinarono cautamente e, fingendo di parlare fra loro, origliarono la conversazione.
"Vi dico che è terribilmente grosso! Neanche l'Harlain col canto riuscirebbe a calmarlo!"
Max e Toomai si scambiarono un'occhiata sorpresa.
Ottavio era nato con una strana forma di magia interna che prendeva forma col canto.
Il ragazzo riusciva a comunicare le proprie emozioni e i suoi ricordi semplicemente canticchiando, riuscendo a calmare i Pokèmon furiosi, gli animali più aggressivi e le persone affette da febbri talmente alte che scoppiavano a delirare.
Sapevano entrambi che Ottavio intendeva sviluppare questa sua dote, ma in quel momento cosa c'entrava?
"Non metterò mai in mezzo mio figlio, lo sapete. Quel Folieroot è ferito gravemente, per questo è infuriato. Dobbiano catturarlo prima dei Rituali, è pericoloso. Se si avvicinasse?"
"Ma chi verrà? Un Folieroot incollerito non è roba da poco..."
"Mi offro io!".
Max si stupì da solo.
"Ma cosa fai, stupido!".
Tutti si voltarono verso di lui.
Toomai lo guardava con uno sguardo indecifrabile.
"Cos'hai detto, ragazzo?".
A parlare era uno dei cacciatori più esperti.
Max sentì solo in quel momento il silenzio che era calato nella comunità.
Ma era troppo tardi per tirarsi indietro.
"Catturerò io quel Folieroot. Sarà la mia prova per il Rituale. Posso farcela" disse ostinato, ricordandosi in quel momento dello Styler di cattura che lui e Ottavio avevano riparato tempo addietro.
Non osò guardare nè l'amico nè Rossella. Probabilmente lo stavano guardando con disperazione.
Ma ormai era fatta.
"Bene, ragazzo, se proprio ci tieni..." disse noncurante il cacciatore.
E in quel momento Max giurò con sè stesso di non giocare più con la Morte.
Mai. Più.

...

Le imposte filtrarono debolmente le prime luci dell'alba.
Max aprì debolmente gli occhi.
Aveva sognato il suo passato.
Si alzò a sedere, sentendo la testa pulsare terribilmente.
Riuscì ad afferrare gli occhiali e a metterseli senza incidenti.
Decise di risdraiarsi un attimo, non se la sentiva di alzarsi.
Di fronte a lui c'era uno specchio.
Guardò il suo riflesso: un uomo di trentanove anni smagrito e stanco.
Ripensò a quello che era successo vicino a Ravenclaw, portanto la mano sotto la maglietta per sfiorare le cicatrici.
Se ne scordava sempre.
Il suo corpo era quello che era.
Anche con tutti gli sforzi del mondo non aveva forza a sufficienza nemmeno per difendere sè stesso.
Poteva essere intelligente e cauto quanto voleva, ma a volte invidiava Ivan e la sua forza.
Si ricordò della tregua, e sospirò desolato.
Poteva valere per quella situazione critica.
Ma a fine guerra torneranno sicuramente a scannarsi a vicenda.
Si ricordò di Ada, ma anche lei lo aveva odiato. Quindi perchè dovrebbe smettere solo perchè si trovava costretta a combattere a fianco a lui?
Per un attimo Max aveva sperato in una loro vita insieme, seppur remota.
Ma era un sogno futile, lei e lui erano troppo diversi, c'era stato troppo odio tra Idro e Magma per dimenticare così.
Max chiuse gli occhi, triste.
E poi, con quello che era diventato, neanche Ottavio e Rossella non lo avrebbero più voluto con loro.
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