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Autore: Nanek    02/06/2015    10 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
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3. Worth
 
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This is the start of something beautiful
This is the start of something new
You are the one that make me loose it all
You are the start of something new

And I throw it all away
Watch you fall into my arms again
And I throw it all away
Watch you fall, now
You are the earth I will stand on
You are the words I will sing.
 
 
E passavano i giorni, da quel pessimo incontro, da quella pessima figura fatta con la mamma.
E, vi confesserò una cosa: ero maledettamente triste.
Sì, triste è l’aggettivo più giusto.
Perché, sapete quella sensazione che vi prende il petto, quando credete di aver mandato a puttane tutto? Quando vi sembra che l’altra persona non sia più tanto presa da voi?
Ecco, io mi sentivo esattamente così, nei mesi seguenti a quella pessima figura.
Mi sembrava di perderla ad ogni messaggio, mi sembrava che le parole da dire fossero ormai al capolinea, lei non rispondeva per ore, anche a causa del fuso orario, lei sembrava stanca di me.
Non ci eravamo più chiamati su Skype, non ci eravamo più chiamati al telefono, solo miseri messaggi.
La stavo perdendo, la stavo vedendo sparire sempre di più dalla mia vita.
La distanza, i mille impegni, la mia testa confusa, i suoi impegni di lavoro, il libro che stava tentando di finire per tempo, dato che la mamma voleva partecipare ad un concorso per giovani scrittori, tutto il mondo sembrava volerci dividere.
E io… beh, ero lì.
In quel bus, la chitarra in mano, il viso rivolto verso il finestrino, qualche melodia che riempiva quel vuoto, quel silenzio, mentre nella mia testa c’era un casino assoluto.
Ero lì con il cellulare vicino, sempre in attesa di una risposta, sempre in attesa di un qualcosa a cui rispondere, ma dentro mi sentivo morire.
Non so perché, bambini, non lo so davvero, ma non volevo perderla.
Vi sembra possibile?
Adesso, senza vantarmi troppo, io ero il cantante di una band, una band che stava avendo successo, avevo milioni di ragazze pronte a stare con me, da semplici fan a modelle.
Banale, lo so, il solito cantante che, se potesse, sceglierebbe una figa da paura, con tette enormi e un culo che, wow.
Eppure, io mi sono impuntato sulla mamma.
Un’ossessione.
Una cotta che non voleva andarsene, nonostante il tempo stesse giocando contro di me, nonostante la distanza stesse cercando di azzerare ogni cosa.
Volevo lei, lei e basta.
La cercavo in ogni volto che incontravo, la vedevo da ubriaco, come se avessi le allucinazioni, ogni singola canzone era per lei, per i suoi occhi blu, per il suo sorriso timido, per i suoi monologhi che avrei ascoltato per ore e ore.
Eppure io, Luke Hemmings, non sapevo che fare per tenerla con me.
La stavo lasciando andare senza neanche rendermene conto e l’autunno stava già arrivando da lei, in Italia.
Io avevo compiuto i miei diciannove anni, lei i suoi ventidue, e neanche in queste occasioni avevo avuto modo di rivederla.
Non desideravo altro, lo giuro, desideravo solo lei quel sedici luglio, desideravo trovarla a sorpresa nel tour bus, desideravo vederla comparire dal nulla… ma non è stato così.
E io, poi, quel tre agosto avrei fatto carte false per poter essere da lei, per poterle stare accanto, per poterle portare quel regalo che, alla fine, ho inviato per posta.
Ma non potevo.
Ero in America da un mese, avevo il tour, avevo tappe attaccate, non avrei neanche fatto in tempo a scendere dall’aereo per un saluto: quella distanza era proprio in mezzo alle palle.
E ho sospirato, bambini, ho sospirato e a momenti tiravo la chitarra addosso al finestrino.
Fuori di testa, completamente, perché non c’era soluzione, non c’era via di fuga: bisognava aspettare la fine di settembre, bisognava aspettare la fine del tour in America.
Sarei tornato da lei.
Ma… temevo che lei non sarebbe rimasta lì ad aspettarmi.
E me la ricordo ancora quella conversazione, mi ricordo ancora quelle parole, sono suonate come una supplica, sembravano urlate quelle parole scritte per messaggio.
“Sai a cosa penso?”
“A cosa pensi, Luke?”
“Penso a te, e quando vorrei essere accanto a te. I wish I was beside you”
“Non vale usare parole di canzoni, furbetto”
“Ma è quello che sento”
“Okay, Luke”
E quanto l’ho odiata in questi momenti, perché sembrava non credere ad una singola parola, sembrava schivare i miei sentimenti, i miei pensieri, sembrava volersi solo allontanare dal fuoco.
“Vanessa… io ho bisogno di capire”
“Capire cosa, Luke?”
“Ho la sensazione che tu sia sempre più distante”
“Effettivamente c’è un oceano tra noi”
“Non intendo questo, e lo sai”
“Sì, Luke, lo so”
“E quindi?”
“Perché ti ostini a cercarmi, Luke? Questo è ciò che non capisco io”
“Non ti piaccio più? Ti do fastidio? Ti vedi con qualcun altro?”
E sentivo pure nascere la gelosia, la paura di perderla a causa di un comune mortale che poteva starle sempre accanto.
“Sarei pazza a dire che tu non mi piaci più. No, Luke, non mi vedo con nessuno”
“E allora perché ti sento sempre più lontana?”
“Perché, effettivamente, sto cercando di non farmi prendere troppo”
“Perché lo fai?”
“Perché quando questo finirà, sarò un mucchio di pezzi, distrutta, insieme alle mie illusioni”
E la capivo, la capivo come non mai.
“Siamo in due, allora”
“Luke… per favore. Tu hai il mondo ai tuoi piedi”
“Eppure il mondo non mi serve, dato che ho pensieri e sogni solo per te”
“E sbagli”
“Perché?”
“Perché non valgo la pena, tu sì, vali tanto la pena, e corro il rischio di bruciarmi”
“Se non valessi la pena, quel foglietto con il tuo numero sarebbe insieme a tutti gli altri, ancora nei miei pantaloni”
“Mi stai dicendo che hai le tasche piene di foglietti?”
“Ti sto dicendo che voglio te, non le altre. Ti sto dicendo che sto male al pensiero di non poterti vedere, ti sto dicendo che… cazzo, darei l’anima pur di essere vicino a te”
“Quanto siamo romantici”
“Quanto siamo difficili. Io almeno ammetto i miei sentimenti, non voglio vederti sparire”
E non ho ricevuto risposta per tutto il giorno.
Logorato da quella mancata risposta, logorato per aver confessato a pieno i miei sentimenti ad una persona che, forse, non era neanche così presa, come osava affermare.
Eppure, a mezza notte di quel giorno, il mio cellulare ha vibrato l’arrivo di un messaggio.
“We both fall asleep underneath the same sky”
“Non vale usare le canzoni, Vanessa”
“Sai a cosa penso?”
“A cosa pensi, Vanessa?”
“Penso che… sì, ti vorrei qui, vicino a me”
“Okay, Vanessa”
“Volevo dirti una cosa, prima di darti la buonanotte”
“Ti ascolto, Vanessa”
E per un secondo, ho pensato volesse troncare ogni tipo di contatto.
“Wherever you are, io ti aspetto, sono qui e ti aspetto, lo giuro”
E il sospiro che ho tirato, non lo potete nemmeno immaginare.
Solo con quelle poche parole, ho capito che settembre sarebbe finito presto.
*
Il sei ottobre, alle tre del pomeriggio, l’ho vista aspettarmi in centro città.
I jeans stretti, scuri, il giubbotto più pesante, i capelli lisci che andavano più in basso delle spalle, la frangetta più scura, causa della ricrescita, quegli occhi blu e quel sorriso mi stavano già aspettando.
Ad un passo da lei, l’ho vista avvicinarsi a me, l’ho vista aprire le braccia e l’ho sentita abbracciarmi stretto.
Quante emozioni può dare un abbraccio, bambini, voi magari non lo immaginate neanche.
Ma solo con un abbraccio, ho capito ogni singola cosa che le passava per la testa.
Sentivo la nostalgia, sentivo la sofferenza, sentivo il dolore di quei quattro mesi passati lontani, passati a riempirsi la testa di interrogativi.
Perché la mamma pensa troppo, lo sapete anche voi.
E io, i suoi pensieri, li sentivo tutti.
Che sto facendo?
Perché mi lascio prendere così?
Perché ci credo ancora?
Perché io?
Perché non qualche modella?
Perché insistere?
E lei ha sempre finto di non sentire le mie risposte.
«Sono tornato, e sei tu The only reason» le ho sussurrato, mentre portavo il viso sul suo collo, respirando il suo profumo, sentendola finalmente così vicina a me.
La mamma, poi, con mio grande stupore, mi ha preso la mano e mi ha trascinato ancora per quelle viette che ora conosco bene.
Mi ha portato sulle mura della città, dove è possibile camminare, circondati da alberi, con qualche panchina lungo quel viale, ma voi sapete bene di che parlo.
Abbiamo camminato per un’oretta, abbiamo parlato delle nostre vite, di quello che era successo, di quello che ci eravamo persi l’uno dell’altra.
La mamma mi ha parlato del libro, del poco tempo a disposizione per finirlo, del senso di insoddisfazione nell’aver scelto quella trama, considerata da lei troppo banale, troppo scontata, troppo adolescenziale: ma la mamma ama sottovalutarsi, perché la sua idea a me piaceva da matti.
E poi, è stato il mio turno.
Abbiamo preso posto su una panchina, io che non ho esitato a metterle il braccio attorno alle spalle, mentre i suoi occhi blu andavano ad concentrarsi sulla mia bocca, sulle mie parole…
Perché, bambini, papà non ne sa mica molto in genere, infatti, ho creduto che volesse baciarmi.
Mi fissava le labbra, non si perdeva un solo movimento, quasi le studiava, non mi guardava negli occhi, e qualche dubbio mi era anche nato, tanto che ad un certo punto ho pure osato chiederle «Vuoi un bacio?» notando il suo sopracciglio inarcato.
«Io?»
«Mi fissi la bocca da tipo dieci minuti, quindi, i casi sono due: o ho spinaci tra i denti o tu vuoi baciarmi.»
E per la prima volta, ho sentito il suono della sua risata.
La conoscete la risata della mamma, no?
Esilarante, un’autentica scimmia con il singhiozzo, una risata che fa ridere anche se non vuoi.
Sono scoppiato a ridere con lei, incredulo, quella ragazza non era solo bella e pure con un bel po’ di cervello in quella testa bionda, ma era pure una pagliaccia che sapeva ridere di se stessa e sapeva far ridere pure uno come me.
«Smettiamo di ridere, ho male alle guance» mi ha detto, portandosi le mani sul viso.
Ho annuito, per poi tornare serio, in attesa di una sua risposta.
«No, Luke, non hai spinaci tra i denti e no, Luke, non voglio baciarti. Ho solo un brutto vizio: leggere le labbra delle persone, chiamala malformazione professionale» e credo di averla guardata come se fosse stata l’essere più strano al mondo.
Ma la spiegazione era più che semplice: studiando lingua dei segni, stando a contatto con persone sorde che labializzavano le parole senza emettere suoni, aveva preso l’abitudine di guardare le labbra anche quando parlava con le persone in generale.
Illuso, stupido, ingenuo.
Quella ragazza sapeva tenermi sempre testa, sapeva sempre come spegnermi, senza neanche impegnarsi troppo.
Ho alzato gli occhi al cielo, dato che avevo appena bruciato un’altra possibilità per poterla baciare.
Ma la mamma aveva già capito le mie intenzioni.
Si è alzata in piedi di scatto, incitandomi a seguirla, per andare in un punto non coperto dagli alberi, vicino al muretto in mattoni, illuminato dal sole d’ottobre.
Si è appoggiata con la schiena, io davanti a lei, ad un passo di distanza: il ceffone di quattro mesi prima me lo ricordavo molto bene.
«Ti va di imparare qualcosa in lingua dei segni italiana?» ha esordito così.
«Sì, mi piacerebbe»
«Okay, allora. Cosa vuoi imparare per primissima cosa?»
E quante cose avrei voluto dire, ma che non ho osato far uscire di bocca.
«Io mi chiamo Luke Hemmings, questo» quando si dice “la banalità”.
Ma la mamma ha eseguito il tutto con lentezza, mostrandomi lo spelling delle singole lettere in lingua dei segni, mostrandomi l’ordine delle parole.
E così, sono seguite tipo una decina di frasi idiote.
«Io sono un cantante»
«Io sono bello»
«Io mangio la pizza ogni giorno»
«Mi piace tantissimo suonare la chitarra»
«Mi piace fare sesso quando mamma Liz non c’è»
Da così a peggio, sembravamo due bambini stupidi, che ridevano ancora per le parole come “sesso” “pene” “culo”, ci divertiamo così, io e la mamma.
E in un’altra mezz’ora, ho imparato l’importanza delle espressioni facciali, della labializzazione, e tutte quelle cose che, ora come ora, non ricordo quasi più.
«Tocca a me, ora, ti insegno lo slang australiano» e mi sentivo fiero di quella dote a lei sconosciuta.
E lei rideva, rideva di se stessa, della sua lingua che si incastrava tra i denti, rideva per il suo accento che io semplicemente adoravo, rideva e continuava a ripetere «Non ce la faccio, non ce la faccio» quando in realtà ripeteva tutto alla perfezione.
E io morivo dalla voglia di baciarla, baciare quelle labbra che si arricciavano ad ogni suono.
«Insegnami a dire questa frase: vorrei baciarti» ho pregato tutte le divinità possibili per non ricevere un’altra sberla.
Ma… ho ricevuto un sorriso, in realtà.
Ho guardato le mani della mamma.
L’indice destro indicava il suo petto, per poi indicare me.
La mano destra, poi, diventava quello che lei ha sempre definito “Becco di struzzo”, dove tutte le dita sono distese e unite sui polpastrelli.
Ha portato le dita sulle labbra, per poi portarle verso le mie.
La stessa mano, poi, tornava verso il viso, vicino alla bocca: ha fatto scorrere verso il basso mignolo, anulare, medio e indice, mentre con le labbra diceva “volere”.
Non mi sarei mai ricordato l’intera frase in segni e, ancora una volta, ho agito per gesti.
Mi sono avvicinato, senza pensare allo schiaffo, senza pensare ad un’altra delusione, le ho preso il viso tra le mani e l’ho baciata.
Ho appoggiato le labbra alle sue, ho fatto combaciare i nostri petti, i nostri bacini, ho lasciato che le mani scivolassero sui suoi fianchi.
E sentire le sue mani sulle mie guance, mi ha calmato.
Quello era il momento giusto.
Quello era il momento perfetto.
E non scorderò mai come le nostre bocche si sono cercate, veloci all’inizio, come a voler compensare l’attesa insopportabile che avevamo sulle spalle, per poi rallentare, sempre più gentili, lente, delicate, mentre le nostre lingue si sfioravano per la prima volta, senza fretta, senza troppa foga, mentre il vento tagliava la pelle, mentre il sole tramontava, facendo da sfondo a quel momento che ancora oggi ricordo con il cuore felice.
Quel bacio ha segnato l’inizio di ogni cosa.
Quel bacio ha segnato il via della nostra storia.
E, devo ammetterlo, aspettare che settembre finisse ne è valsa la pena.
La mamma, lei, vale sempre la pena.
 





 
Note di Nanek
Sigh, sti capitoli mi fanno venire sempre un magone assurdo.
“Vale sempre la pena”, ma magari proprio.
Con questa ff mi sto facendo davvero tanto male a volte, anche perché, piccola confessione, a volte metto in Luke vecchi ricordi che fanno sempre piacere ricordare… però, ricordi fatti uscire dalla bocca di Luke… hanno effetti devastanti, perché Luke è Luke e nessun comune mortale potrà mai superarlo :D
Quindi bene insomma, pure oggi la mia dose di masochismo è andata e… questo è il capitolo che vi propongo.
Si sono baciati YEEEEAAAAH
Dopo decenni ce l’hanno fatta anche loro.
Vi ho messo pure un po’ di lingua dei segni italiana, giusto per rendervi partecipi di questo mondo.
E… boh, non so che dire ahah
Spero che questa storia vi piaccia e che questi due personaggi vi stiano simpatici :D
Spero di trovare qualche vostro commento <3 e vi ringrazio sin d’ora anche solo per aver letto <3
Per chi volesse, os su Luke Au!Vampiro:
Daylight
Ci sentiamo presto <3
Nanek
 
  
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