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Autore: deborahdonato4    02/06/2015    3 recensioni
Ade è annoiato per via dell'assenza di Persefone.
Apollo si trova negli Inferi come punizione.
Cosa mai potrebbe accadere tra i due?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ade, Apollo
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ade guardò sconsolato il trono vuoto della moglie. Come accadeva ogni anno, Persefone aveva lasciato gli Inferi per congiungersi alla madre. Era passata già una settimana da quando lei era partita, e gli mancava tantissimo.
Probabilmente Persefone non la pensava come lui, ma poco importava. Ade l’amava, era questo l’importante.
Il signore dei morti guardò la fila di anime che attendevano di essere smistate nei Campi. Altre attendevano le loro punizioni piagnucolando e chiedendo perdono. Era troppo tardi per il perdono.
Ade alzò gli occhi sul soffitto del suo palazzo, composto da sanguinanti scene di guerra. Si stava annoiando. Gli capitava di rado. Gli piaceva stare in mezzo ai morti, però…
Le cose erano cambiate dopo la conversazione avuta con suo figlio Nico. Il figlio gli aveva aperto il suo cuore, parlandogli così tanto del figlio di Apollo che Ade si era domandato spesso quando aveva smesso di provare quelle sensazioni per Persefone.
Forse dopo i primi secoli passati insieme.
Sbuffando, Ade lanciò una seconda occhiataccia al soffitto. Tutta colpa di Nico, quindi. Il figlio si trovava in superficie, probabilmente in quel momento si stava divertendo con il suo fidanzato, e viveva una vita spensierata. Mentre lui era costretto lì, al suo noioso lavoro, alla sua vita monotona, senza Persefone.
«Ehi, William!» chiamò Ade, puntando lo sguardo sul celebre poeta, che subito si mosse nella sua direzione. «Ti va di sostituirmi per qualche ora?»
«Ma certo, sir Ade.» sorrise William Shakespeare, facendogli mezzo inchino. «Posso sedermi sul tuo trono?»
«No. E stagli alla larga.»
Shakespeare sbuffò infastidito con modi teatrali, e Ade lasciò il trono. Lui e il poeta si chiamavano per nome ormai da secoli, dopo che Shakespeare ebbe composto per lui una ballata e l’ebbe cantata per più di un secolo.
Ade lasciò la stanza del trono sbadigliando, chiedendosi cosa poteva fare nelle sue alcune ore di libertà. Forse poteva dormire, o andare in superficie a spiare il figlio. Non lo vedeva da mesi, ormai. Era in pensiero.
Ma suo figlio, e tanto meno il suo fidanzato Will, non sarebbe stato affatto contento di vederlo apparire nel nulla. Era già capitato che Ade fosse comparso nella cabina 13 del Campo Mezzosangue senza farsi annunciare, mentre il figlio si trovava in atteggiamenti intimi con il figlio di Apollo Will Solace. Nico non se l’era presa, ma il figlio di Apollo sì. Sembrava essere stato colpito allo stomaco centinaia di volte, sempre nello stesso punto.
Ade sorrise tra sé. Ricordò che, dopo quell’episodio, era andato dritto nella stanza di Apollo lì nel suo palazzo e avevano riso dell’espressione di Will Solace, descritta in ogni più piccolo dettaglio da Ade. Era stato un momento veramente idilliaco.
Ade si passò una mano sulla barba, pensieroso. Forse poteva farlo. Andare a trovare Apollo. Il dio della musica sembrava apprezzare sempre una sua comparsa. Almeno per qualche minuto avrebbe dimenticato la sua tristezza chiacchierando con lui.
Ade sospirò, combattuto. Apollo sarebbe stato felice di vederlo, ma lui per niente. Quando Apollo era in vena, cantava e ballava, cose che Ade disprezzava con tutto sé stesso. Quando Apollo, invece, era triste, piangeva e si disperava, Ade lo apprezzava molto di più. Le cose tra loro erano migliorate molto quando, sei mesi prima, Ade gli aveva portato degli strumenti musicali.
Ade camminò per qualche minuto, scendendo alcuni piani e ritrovandosi a pochi passi dalla porta di Apollo. Zeus gli aveva ordinato di tenerlo segregato nel suo palazzo per cinquant’anni, e dopo le prime settimane, Ade gli aveva concesso una stanza grande quanto un appartamento. Era stufo di sentirlo singhiozzare e cantare al tempo stesso.
Bussò alla porta del dio della musica ed entrò senza essere invitato. Apollo sedeva sul suo letto, i capelli scompigliati e non pettinati da chissà quanto tempo, la pelle color miele che sembrava molto malaticcia sul dio del sole, e gli occhi azzurri, privi di allegria, si illuminarono nel vederlo.
«Divino Ade!» esclamò Apollo, lasciando perdere la sua arpa e balzando in piedi. «A cosa devo tale onore?»
«Mi stavo annoiando.» rispose Ade, facendo spallucce.
Apollo batté le mani, allegro. «Io mi annoio tutti i giorni! Allora? Andiamo a fare un giro in superficie?»
Ade scosse la testa, osservando la vestaglia di Apollo. Per farlo stare zitto, gli aveva concesso delle vestaglie e dei vestiti degni di un dio del sole e delle arti. Quel giorno, Apollo indossava una vestaglia dorata, con tanti disegni di strumenti musicali, con bordatura bianca. Sembrava attorniato sempre dalla sua aura dorata, che lo aveva abbandonato dopo i suoi primi giorni negli Inferi. Anche in quel posto, dimostrava sempre non più di diciotto anni.
«Potremo andare a trovare i nostri figli!» esclamò Apollo, continuando a sorridere imperturbabile, ben sapendo che se avesse rotto abbastanza le scatole ad Ade, prima o poi il dio gli avrebbe concesso qualcosa. «Non li vediamo da mesi!»
«Mi dispiace, ma non puoi lasciare gli Inferi. Ordini di tuo padre.»
Apollo sbuffò, incrociando le braccia e tornando a sedersi sul letto.  «Ordini di mio padre.» borbottò, e Ade ebbe la brutta sensazione che lo stesse scimmiottando. «È tuo fratello. Non puoi fare nulla a riguardo?»
«No, mi dispiace. Posso giocare a carte con te, se me lo permetti.»
Apollo scosse i riccioli dorati. Ade si meravigliò non poco. Di solito i capelli di Apollo erano lisci, ma quel giorno erano riccioluti. Poté giurare sullo Stige che non erano così quando era entrato poco prima. Apollo era vanitoso quanto Afrodite, se non di più.
«Sono stufo di giocare a carte.» disse Apollo, prendendo la sua arpa.
«Qui non hai molta libertà di scelta.»
«Me ne sono accorto.»
«Ti ho fatto portare degli strumenti!» gli disse Ade, indicando un’intera parete su cui erano ammucchiate chitarre, flauti, violini, oboi, violoncelli, arpe, pianoforti, e chissà cos’altro. «Non sei sufficientemente a tuo agio?»
«Ti ringrazio, ma qui non sarò mai a mio agio. Se ti portassi nella mia stanza, su nell’Olimpo, nemmeno tu ti sentiresti a tuo agio.» ribatté Apollo.
Ade pensò alla stanza di Apollo nell’Olimpo. Non l’aveva mai vista, ma poteva benissimo immaginarla: dipinti a grandezza uomo di Apollo, statue del dio, immagini del sole e strumenti musicali ovunque. Per non parlare del colorito solare della stanza. Ade rabbrividì.
«Non sono io ad aver combinato una… mmh… sciocchezza, due anni fa.» gli fece notare Ade, osservando uno strumento che non riconobbe. «Cos’è quello?»
«Oh!» Apollo si alzò in piedi e gli corse vicino, tutto ringalluzzito, felice come un bambino. «È il Valdezinator.»
«Valdezinator.» ripeté Ade. «Non l’ho mai sentito.» Ma il nome gli diceva qualcosa.
«È strumento dolcissimo!» esclamò Apollo, con amore, prendendo il Valdezinator in mano e iniziando a suonarlo. Era composto da strati di fili di rame e quelle che sembrava corde di chitarra, incrociati attraverso l’imbuto di ferro. File di perni controllavano le leve all’esterno del cono, fissato ad una base di metallo quadrata con delle manovelle. Sembrava costruito da un figlio di Efesto.
Ade dovette ammettere che Apollo aveva ragione. Il Valdezinator, sebbene il nome orribile, aveva un bel suono. E Apollo lo suonava da… be’, da dio.
«Credo che sia il momento di andarmene.» disse Ade. Apolli si divertiva anche senza di lui, e non voleva passare troppo tempo nelle stanze di Apollo. Temeva di essere costretto a fare un duetto con il dio della musica.
«No!» esclamò Apollo, terrorizzato all’idea di rimanere nuovamente solo. «Resta qui con me! Possiamo giocare a carte! O possiamo parlare dell’ultima lettera di Nico e Will!»
«Ne abbiamo già discusso dieci volte.» disse Ade, aggrottando la fronte.
«Possiamo parlarne ancora!»
«No. Ti saluto, Apollo.»
Ade si avviò alla porta, ma Apollo non intendeva lasciarlo andare via così facilmente. Si sentiva solo, e aveva bisogno di chiacchierare. In più aveva fame, ma era troppo spaventato all’idea di mangiare qualcosa proveniente dai giardini di Persefone. Non intendeva restare per sempre negli Inferi. Per sempre era un tempo troppo lungo, per un immortale.
Apollo riprese a suonare il Valdezinator, molto più appassionato, trasformando la sua gioia di compagnia in splendide note sonore che toccarono il cuore del signore dei morti. Ade si bloccò alla porta, pensieroso. Apollo punzecchiò anche le corde dell’arpa, che si mise ad accompagnarlo, e Ade scoprì di essere molto stanco, e di non avere più tanta voglia di andarsene.
«Puoi stenderti sul mio letto.» mormorò Apollo, con tono dolce, continuando a suonare. «Il mio letto è caldo e accogliente.»
Ade lo fissò per qualche secondo, sentendo la stanchezza assalirlo. Magari un pisolino poteva schiacciarlo… Si avvicinò al letto di Apollo, e fu sul punto di sedersi quando calpestò i cocci di un vecchio bicchiere. Il rumore sordo lo fece sussultare. Puntò lo sguardo furioso su Apollo, che stava arrossendo per l’imbarazzo.
«Hai provato ad abbindolarmi, Apollo?» ringhiò Ade, furioso.
«N-No!» balbettò il dio biondo, posando il Valdezinator. «Ho solo notato che eri stanco, e ti ho suggerito di riposarti!»
Ade lo fissò in cagnesco. «Credo che sia proprio il caso di andarmene. Tornerò il prossimo mese, se ti sarai comportato bene.»
Apollo tremò all’idea di passare un intero mese da solo. Ade gli aveva lasciato l’opportunità di lasciare la stanza, ma Apollo era spaventato. Tutti quei morti, tutta quella morte… Quel luogo non faceva per niente bene alla sua pelle o al suo corpo. Ogni volta che entrava uno zombie-cameriere, Apollo cercava di fargli spiccicare parola, senza successo. Erano morti. Non parlavano. E non sembravano nemmeno colpiti dalla sua audace bellezza, il che lo rendeva nervoso.
«Aspetta!» esclamò Apollo, correndo verso Ade. «Aspetta, scusami. Non mi lasciare da solo per tutto il mese. Ho voglia di chiacchierare, e i tuoi servitori sono sempre così silenziosi!»
«Sono morti.» annuì Ade, come se non fosse ovvio. «Beati loro. Una vita di pace.»
Apollo lo guardò terrorizzato. Forse avrebbe preferito finire infondo al mare da Poseidone… Purtroppo il padre divino non gli aveva dato una scelta. «Sono qui già da due anni, ormai. Per un immortale non sono niente, ma io mi sto annoiando. E ho voglia di chiacchierare. Perché non rimani, non ti fai portare, ehm, il pranzo, e mi ascolti suonare? Oppure possiamo parlare degli altri nostri figli!»
Ade sospirò. «Sono stufo di parlare dei nostri figli. Io ne ho solo due, e ti ho raccontato tutto quello che posso su di loro.»
«Be’, io ne ho cinquanta! Uno più, uno meno…» sorrise Apollo, malizioso. «Ti ho già parlato di tutti loro?»
«No, e non mi interessa. Grazie, Apollo. Torno sul mio trono, i morti sono più interessanti…»
«Ma tornerai domani, vero?»
«Mmh.»
La non-risposta di Ade non piacque ad Apollo, che afferrò il dio dei morti per il braccio, con l’intento di fermarlo. Ma non mangiava da settimane, e si sentiva debole. L’unica cosa che riuscì a fare fu spingere Ade nel letto con lui.
«Che ti salta in mente, Apollo?» ringhiò Ade, districandosi dalla vestaglia del dio e rialzandosi in piedi. «Sono stanco dei tuoi giochetti. Rimarrai chiuso qui dentro per tre mesi, completamente solo.»
«No!» esclamò Apollo, quasi singhiozzando .«No, scusami!»
Lo afferrò per le vesti.
«Lasciami, o giuro sullo Stige che ti toglierò anche il tuo amato Valdezinator!»
Apollo singhiozzò ancora più forte, e non lo lasciò andare. Non ne aveva alcuna intenzione, non fino a quando non gli avesse detto che ritirava tutte le minacce. Ade tentò con tutte le sue forze di liberarsi della presa di Apollo, ma il dio del sole era forte, quando si trattava dei suoi amati strumenti.
«D’accordo.» brontolò Ade. «Ti lascerò il Valdezinator. Ma devi lasciarmi andare subito.»
Apollo aprì la mano e Ade si lisciò la veste.
«Bene.» disse il dio dei morti. «Ci vediamo.»
«Resti ancora un po’ con me?» lo supplicò Apollo.
«No. Ho delle faccende da sbrigare. Non sono qui in vacanza…»
Apollo sbuffò, infastidito. «Anch’io vorrei essere qui in vacanza! Anzi, se avessi potuto scegliere la meta turistica, di sicuro non sei venuto qui.»
«E io ti avrei sconsigliato vivamente di venire qua.»
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
Ade trovava l’altro dio simpatico, soprattutto quando non si comportava da primadonna.
Apollo, rincuorato dalle risate di Ade, si alzò in piedi e si avvicinò al dio. Prima di potersi fermare, lo abbracciò.
«Ehm, no.» borbottò Ade, a disagio.
Apollo continuò a stringere Ade, che cercò di liberarsi dalla presa del dio biondo. Si chiese se anche Nico provasse lo stesso quando Will lo abbracciava. Fu sul punto di minacciare di nuovo il dio della musica, quando questi alzò la testa, allentando la presa, e lo baciò dritto sulle labbra.
   
 
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