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Autore: Letsneko_chan    03/06/2015    3 recensioni
Cicerone accarezzò un papiro: sapeva bene quale fosse il testo – in fondo era grazie alla congiura di Catilina se era diventato famoso a Roma – tuttavia, ripensare a quel tempo, a quel periodo di sconvolgimenti politici, e non solo, produceva solo dolore.
In quell'anno, il 63, – erano già passati venti anni? – un'aria carica di tensione opprimeva Roma: il desiderio di rivoluzione e i disordini sociali sconvolgevano le normali attività.
[...]
«Nolebam. Et hoc nostrum amor crudele est».
[Cicerone/Catilina] [Questa storia partecipa al contest "L'amore non vuole avere, vuole soltanto amare", indetto da Road_sama sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Autore:  Letsneko_chan (sia efp che forum)
Titolo:  Redimete nos a nostra solemne hora
Coppia:  Cicerone/Catilina
Rating: giallo
Genere: storico, romantico
NdA: Lo ammetto, questa coppia è abbastanza strana. Ma, in fondo, le serate passate sulla I catilinaria di Cicerone o il “Bellum Catilinae” di Sallustio, non potevano portarmi a nient’altro se non a vedere in Cicerone e catilina una – seppur crack al massimo grado – una coppia.
Alla fine della storia ci sono le traduzioni delle frasi in latino.
 
 
Redimete nos a nostra solemne hora
 
 
 
Formio, 7 dicembre 43 a.C.
 
 
Cicerone accarezzò un papiro: sapeva bene quale fosse il testo – in fondo era grazie alla congiura di Catilina se era diventato famoso a Roma – tuttavia, ripensare a quel tempo, a quel periodo di sconvolgimenti politici, e non solo, produceva solo dolore.
In quell'anno, il 63, erano già passati venti anni? – un'aria carica di tensione opprimeva Roma: il desiderio di rivoluzione e i disordini sociali sconvolgevano le normali attività.
La notizia che Catilina stava ordendo una congiura era nota alla maggior parte dei senatori ma fino ad allora nessuno aveva osato pronunciare una sentenza.
La corruzione dei giovani era il danno più grande che la res publica potesse ricevere: Catilina non esitava a legare a sé i giovani, comprando e procurando loro cavalli, cani e donne.
La situazione degenerò in fretta non appena fu scoperto l'attentato contro di lui, uno dei due consoli.
Seppur accusato di essere il mandante, il sobillatore della plebe e il corruttore dei giovani, Catilina ebbe il coraggio di presentarsi in Senato.
In quella seduta, convocata per l'occasione nel tempio di Giove Statore, volarono parole dure mentre il silenzio accresceva la tensione del momento.
Nessun senatore osava parlare mentre il console, Marco Tullio Cicerone, parlava contro Catilina.
Quello non si scompose più di tanto, lasciando che le parole dell'avversario gli scivolassero addosso.
Dopo la conclusione del proprio discorso, Catilina era uscito di corsa e Cicerone l'aveva perso di vista.
Il console non si scompose più di tanto: sapeva dove avrebbe potuto trovarlo.
S’inoltrò in un vicolo buio, cercando di sembrare il più naturale possibile - può capitare a tutti di perdersi nei vicoli di Roma, console compreso.
Notò subito una figura nella semi oscurità: intenta a giocare con un coltello, non aveva alzato lo sguardo nemmeno quando il console era entrato nella stradina.
«Vuoi tentare di uccidermi di nuovo, Catilina?»
«Sai che non potrei mai» rispose quello incrociando il suo sguardo e rinfoderando il coltello.
«Ma ci hai provato».
Catilina, sbuffando, si staccò dal muro.
«Sei il console, non potevo non progettare nulla contro di te!»
Rimasero a fissarsi negli occhi, mentre i rumori di Roma rendevano meno pesante il silenzio.
«Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?»
Un sorriso beffardo apparve sul volto di Catilina prima che quel sussurro – diu – raggiungesse le orecchie del console.
Cicerone allungò una mano verso il volto dell'altro, accarezzandogli dolcemente una guancia.
«Perché?»
«Lo sai il perché».
«Voglio sentirlo da te».
Catilina scosse la testa, abbassando lo sguardo.
«Dimmelo, Lucio. Voglio sentirlo dire».
Il congiurato strinse i pugni, fissando con aria di sfida il console.
«Perché te lo devo dire, se lo sai? L'hai dimostrato prima che sei a conoscenza di tutti i miei progetti: cosa posso fare se non scappare?»
«Puoi sempre dimostrare il contrario».
«No».
«Sei il solito testardo».
«Perché mi sei capitato come avversario alle elezioni?»
«Era destino» sorrise Cicerone.
Catilina, con aria falsamente arrabbiata, lo colpì alla spalla con un pugno.
«Vuoi la guerra?»
«Mi basta quella che si sta per scatenare a causa mia» rispose Catilina alzando le spalle.
Cicerone lo spinse al muro, strappandogli un gemito strozzato di dolore.
Il congiurato stava per aprire bocca, in modo da protestare contro le troppe libertà che il console si stava prendendo nei suoi confronti ma Cicerone sfruttò l'occasione per rubargli un bacio. Quel contatto fu seguito da altri, fintanto che Catilina non si abbandonò totalmente al console.
«Perché?» chiese nuovamente il console.
«Sono stanco di questa situazione, Roma ha bisogno di cambiamenti. E se l'unico modo per ottenerli è la guerra civile... Be', ci rivedremo in Etruria».
«Non feram, non patiar, non sinam».
Un sorriso mesto si distese sul volto di Catilina.
«Cerchi di convincermi a rimanere usando le stesse parole con cui m'invitavi alla fuga?»
Cicerone sorrise appena.
«Non possiamo proprio evitare questa situazione?»
«Smettila con le domande retoriche» soffiò Catilina. «Lo sai benissimo che non possiamo».
«O non lo vogliamo?»
Il congiurato alzò lo sguardo, fissando strabiliato Cicerone.
«Che... Che intendi?» balbettò incredulo.
Il console gli accarezzò la guancia e Catilina socchiuse gli occhi, abbandonandosi al suo tocco.
Avrebbe voluto concedersi nuovamente all'altro, godere ancora di quell'amore così sbagliato prima che fossero divisi per sempre.
«C'è differenza tra non volere e non potere».
Catilina si limitò ad annuire con la testa, appoggiandola poi contro il muro.
«La scelta sta a te. Pensa alla risposta e dammela stanotte».
Il cuore di Catilina perse un battito.
L'uomo annuì, avvicinandosi al viso dell'altro.
Cicerone lo strinse a sé, sperando di rubargli un altro bacio ma Catilina, con un rapido movimento, si liberò dalla presa e gli sussurrò all'orecchio: «Quo usque tandem, Cicero, abutere amore meo?»
Il console sorrise mentre osservava Catilina scomparire nei vicoli più bui di Roma.
Poggiò la testa al muro, passandosi una mano tra i capelli.
Era sicuro che, prima o poi, Catilina lo avrebbe fatto impazzire.
 
***
Era bastato un morso sulle labbra per scatenare quell'inferno di baci ardenti.
Catilina mugolò appena quando Cicerone gli tirò una ciocca di capelli.
«Allora?»
«Vuoi la risposta, vero?» chiese il congiurato, passandosi una mano sulle labbra per asciugare il sangue fuoriuscito a causa di un morso ben assestato da parte dell'altro.
Cicerone annuì, continuando a tenerlo intrappolato fra lui e il muro.
Catilina sospirò.
«Nolebam. Et hoc nostrum amor crudele est».
Cicerone annuì, stringendolo a sé.
«Visto che non ci voleva tanto ad ammetterlo?»
Catilina affondò la testa nelle pieghe della tunica del console.
«Parto stanotte».
«È così?»
«Sì. Dimenticami, Cicerone. Pensa a Roma, pensa alla tua famiglia. È stato tutto uno sbaglio».
«È stato lo sbaglio migliore della mia vita» gli rispose il console baciandogli la testa e stringendolo a sé.
Rimasero in silenzio a lungo, persi ognuno nei propri pensieri ma ricercando nelle braccia dell’altro una qualche rassicurazione sul futuro.
Cicerone ripensò alla loro storia, tanto sbagliata quanto passionale: Catilina era entrato veloce nella sua vita, ma altrettanto velocemente rischiava di uscirne.
Una lacrima gli scese lungo il volto.
«Giuro che è la prima volta che ti vedo piangere».
«Sappi che mai ti dimenticherò, Catilina. Hai segnato la mia vita e ciò non potrà mai essere cancellato».
Le braccia del congiurato s’intrecciarono dietro il collo del console. Catilina si sporse leggermente fino a sfiorare le labbra dell'altro.
«Ci rimane poco tempo... Manlio mi aspetta in Etruria, devo andare da lui».
«Rimani con me, un'ultima notte...»
«Dimenticami...»
«Mai».
«Perdonami allora» sussurrò Catilina a fior di labbra all'altro, prima di baciarlo con passione a lungo.
Quando si staccò, Cicerone cercò di imprimersi il più possibile l'immagine di Catilina con le guance leggermente arrossate.
Il console avrebbe voluto stringere ancora il corpo tremante di Catilina ma il congiurato mandò in fumo le sue speranze.
Catilina si staccò appena dal corpo dell’altro – la distanza di un braccio – e abbassò la testa.
Non disse nulla prima di allontanarsi lentamente, lasciandosi alle spalle l’unica persona che sentiva di amare veramente.
 «Ci rivedremo?»
Catilina si fermò, richiamato da quella domanda; tuttavia non si girò indietro.
«Sulle rive dell'Acheronte» mormorò tra sé, prima di scomparire nel buio.
 
 
Cicerone sorrise, nonostante il dolore che i pugnali dei sicari di Antonio producevano, intanto che la mano si stringeva intorno al testo della I Catilinaria.
Il motivo di quel sorriso era semplice, uno solo: finalmente, a distanza di vent’anni dalla congiura – dal suo apice politico – avrebbe mantenuto fede a quella promessa.
 
 
Note
Redimete nos a nostra solemne hora: è la traduzione di una frase di una canzone – “Our solemn hour” by Within Temptation – e significa “Salvateci dalla nostra ora solenne”
Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? (dalla I Catilinaria): Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?
Diu: a lungo
Non feram, non patiar, non sinam: (sempre dalla I Catilinaria): non lo sopporterò, non lo tollererò, non lo permetterò.
Quo usque tandem, Cicero, abutere amore meo? (rimodellata sull’incipit dell’orazione): fino a quando, Cicerone, abuserai del mio amore?
Nolebam. Et hoc nostrum amor crudele est: non lo volevamo. E questo nostro amore è crudele.
   
 
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