Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: GERARD_GAY_IS_WAY    03/06/2015    0 recensioni
"Piacere, io sono Calum!", mi salutò con un dolce sorriso sulle labbra e con quegli occhi, neri, profondi.
"Uhm ci-ciao, io sono Ariel", mi presentai, con un piccolo sorriso e con le guance rosse.
E oh, Calum, tu sarai sicuramente il mio piccolo pezzo di paradiso.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A LITTLE PIECE OF HEAVEN

Prologo


Continuavo a guardare quel bambino che, ormai sul punto di piangere, chiedeva al padre di comprare quello stupido gelato a forma di Spongebob, tra l’altro non era neanche buono, erano solo soldi buttati al vento e si, è vero, erano pochi soldi ma se tutti voi foste nella mia situazione non la pensereste così. Alla fine di quella piccola ‘litigata’, che, avanti, hanno tutti i genitori con i propri figli, il padre accettò e dopo pochi minuti dal bar, in fondo alla strada, uscirono un bambino felice e un genitore leggermente scocciato e.. intenerito? Non avevo mai visto mio padre guardarmi in quel modo e mai lo vedrò. Guardavo quella scena con invidia, consapevole, che a me, non sarebbe mai capitata una cosa del genere. Forse solo due o tre volte, quando ancora ero troppo piccola e ingenua per capire, quando ancora la mamma era viva e.. normale. Normale si, perché dopo i miei quindici o sedici anni perse completamente il controllo su stessa e l’unica cosa ad vere potere su di lei era l’alcol e la depressione. Mio padre l’aveva portata a tutto questo, diceva di non amarla più da tempo e di aver trovato un’altra donna, ma disse che poteva comunque rimanere in casa con lui e con la sua nuova ‘famiglia’. E io? Io in tutto questo che ruolo avevo? Un peso per mio padre e mia madre, invece, beh lei era come se si fosse dimenticata di me. Forse era l’alcol che la stava distruggendo e divorando dentro, pensavo, credevo. E intanto, continuavo a non capire. Perché ci teneva ancora con lui se aveva trovato un’altra famiglia? Disprezzava mia madre e di conseguenza anche me, forse perché le somigliavo o per il modo in cui stavo crescendo? Forse perché non volevo entrare a far parte della sua famigliola felice, perché non diventavo come i suoi figli perfetti? Avevo troppe domande e nessuno che poteva rispondermi. Poi capì, noi eravamo ancora in quella casa solo per il semplice fatto che mia madre era malata, il suo fegato stava per scoppiare per tutto quell’alcool, per tutta quella droga, qui farmaci per la depressione, per tutto quello schifo e aveva bisogno di cure, di un posto pulito e spazioso dove stare. Mio padre non faceva niente, guardava e basta, la guardava, ogni giorno, morire lentamente. Io non potevo fare niente, ero solo troppo spaventata, troppo giovane per controllare tutto quello schifo. Troppo delusa. Passavano i giorni e la mamma peggiorava, finché circa un mese fa, tutto il dolore scomparve e lei andò via, per sempre. Sparì, in un battito di ciglia. E piansi fino alla sfinimento. I sensi di colpa mi divoravano, la malinconia, la rabbia. Iniziai a distruggermi, come aveva iniziato mia madre. Fino a qualche ora fa, ricordo ancora le parole di mio padre. Il suo sguardo falso e il disprezzo nei suoi occhi e in quelli della sua famiglia. Un’intrusa, uno scarto, ecco cos’ero per loro.

Il palmo della mia mano si graffiò a contatto con le pietruzze del vialetto di casa mia e le calze, già bucate, si bucarono ancora di più. Sentii qualcuno ridere alle mie spalle. Frank, il mio migliore amico, strafatto alle due del mattino, era in piedi dietro di me e rideva a crepapelle. E la sua risata era così bella, così cristallina, pura. Tutto il contrario di lui, un teppista, uno spirito completamente libero, forse troppo. Migliori amici fin dalla nascita, l’unica persona che mi capisce, che mi ha voluto veramente bene. La persona sbagliata da frequentare per gli altri, ma era così giusta per me. E tutti si chiedevano, perché Ariel Hale così timida, dolce e pura dovrebbe frequentare un ragazzo come Frank Witterson e la sua compagnia di teppisti? È vero eravamo così diversi, ma così vicini e nessuno può contare tutto il bene e l’amore che ho dato a queste persone. Ma in quest’ultimo periodo non ero così tanto pura, mi ero lasciata trasportare dalla tristezza e stavo ricadendo nello stesso buco di mia madre e non ne sarei uscita facilmente. Quella notte, anzi mattina, stava per succedere qualcosa e io avevo una strana sensazione nel petto.     
Mi guardai le mani, sui palmi c’erano dei piccoli graffietti che, con il vento tagliente, bruciavano ancora di più. Cercai di rialzarmi, barcollante, con l’aiuto di Frank che, ormai, aveva smesso di ridere. La vista offuscata, per il troppo alcol bevuto prima, insieme ai miei amici. Ero stanca di questa vita, non volevo essere questo. Volevo solo disintossicarmi da tutto questo schifo, da tutti, da questa cittadina, dal mondo. Guardai Frank e di slancio, lo abbracciai forte.
«Ti voglio così bene, Frankie.» affondai il viso nell’incavo del  suo collo e lui mi strinse a se, sussurrando un ‘Anche io, Ariel’. Mi lasciò un bacio sulla fronte e staccandosi, mi saluto con un piccolo movimento della mano. Prima che potesse andarsene definitivamente, gridai il suo nome.
«Cosa?» mi guardò interrogativo, avvicinandosi di nuovo.
«Qualunque cosa succeda non dimenticarti mai di me, ti prego. Ricordati che ti vorrò sempre bene e grazie per tutto e ch-» mi interruppe prima che potessi continuare la frase.
«Ariel, io- io ti amo.» e quella frase fece frantumare qualcosa dentro di me. E io lo sapevo, me lo diceva ogni sera quando era completamente andato per capire qualcosa e io lo sapevo, lo sapevo che questa era una bomba pronta a scoppiare. Era successo tutto in fretta. Lui mi guardava e io avevo gli occhi spalancati, dalle mie labbra uscivano solo monosillabi.
«Ariel, lo so che non mi ami e capisco che hai altro a cui pensare adesso e fa niente, io sarò sempre qui. Non mi importa, non mi aspettavo di certo un ‘anche io’, no,» fece un sorriso amaro «volevo solo dirtelo, volevo solo liberarmi. Siamo sempre noi, non è cambiato niente, vero? Dimentica tutto e ritorniamo come quelli di pochi minuti fa, ti prego.» mi prese per le spalle e mi guardò preoccupato, fisso negli occhi. Sussurrai un flebile si, prima di alzare leggermente gli angoli della mia bocca, sorridendo.
«È tutto okay, Frankie, tranquillo.» lui mi sorrise e io feci lo stesso.
«Bene, allora, ci vediamo domani Ariel.» e io lo abbracciai e lo salutai.  Per me quello era un addio, per lui un semplice saluto. E lo sapevo che domani non ci sarebbe stato nessun Frank, nessuna compagnia, niente. Lo sapevo che non avrei più rivisto questa città, me lo sentivo.
Mi girai, pronta ad entrare. Pensai ‘E se mi vedessero in queste condizioni?’; decisi così di entrare dalla porta sul retro, dove c’era la cucina. Avrei potuto bere un po’ di acqua e sciacquarmi il viso. E così feci. Mi appoggia al lavello e pensavo a cosa ne stavo facendo della mia vita. Perché ero ancora qui? Avevo messo da parte molti soldi proprio per partire e andare via da tutto questo schifo e invece, ero ancora bloccata qui.
Dopo aver bevuto un altro bicchiere di acqua, uscì dalla cucina, camminando in punta di piedi, nel buio più totale, in salotto. Sentii gli occhi bruciarmi, quando la luce si accese, rivelando mio padre seduto sul divano, mi guardava con disprezzo e rabbia.
«Ti sembra l’ora di tornare?» mi urlò contro, raggiungendomi. Sua moglie e i suoi due figli guardavano la scena seduti, sui primi gradini delle scale.
Io non fiatavo, se avessi parlato, le cose sarebbero solo peggiorate.
«Guardati, sei uguale a tua madre. Un fallimento, entrambe,» rise di me «Ho visto tutto dalla finestra, ma come ti sei ridotta? Non riesci neanche a stare in piedi per il troppo alcol e ti fai aiutare sempre dal tuo fidanzatino del cazzo, che fa ancora più schifo di te.» le lacrime erano pronte ad uscire, ma le ricacciai dentro. Dovevo essere forte.
«Non puoi parlare dei miei amici così! E io faccio quello che voglio, tu non sei nessuno per me e mai lo sarai, non hai nessun controllo su di me.» urlai più forte.
«Dio, ho cercato in tutti i modi di farti entrare in questa famiglia, di farti diventare come loro e guarda come mi ripaghi. Guarda come cazzo sei vestita, mi vergogno di te. Sembri una cazzo di barbona, anzi una puttana come tua madre e droga-»
«La mamma non era una puttana! Sei tu, brutto pezzo di merda, ad averla portata alla morte, l’hai distrutta. Sei solo un codardo che scappa dai problemi della sua vera famiglie e se ne ricrea una nuova, cazzo, mi fa-» venni interrotta dal suo schiaffo, la pelle bruciava e lacrime scendevano. Un ‘ragazzi andate a letto, forza’ si sentì dalle scale e girai lo sguardo solo per vedere quelle tre figure sparire al piano di sopra.
«Ti odio, cazzo. Tu mi hai rovinata, tu e la mamma. Odio la mamma per essere stata così egoista, per avermi lasciata da sola, con te. E, cristo,» tirai su con il naso, asciugandomi le guance «non dire che hai fatto tutto per me. Non inventare cazzate. Sono sempre stata un peso per te, non ti è mai importato niente di me e la mamma. Cazzo, quando stava per morire, tu pensavi alla tua nuova famiglia del cazzo e non alla tua vera famiglia. Dove cazzo ero io? Non- non mi hai ancora cacciata solo perché ti faccio troppa pena, vero? Ti odio così tanto. E sai che ti dico? Vaffanculo, io me ne vado da questo schifo, non ci voglio stare più con te e con la tua stupida famiglia felice, sono solo un’intrusa qui.» e guardandolo con odio ancora una volta, salì al piano di sopra. Liberai tutti i cassetti e presi le cose più importanti per me, le mie foto con i miei amici, la ‘Scatola di Frankie e Ariel’, una scatola che racchiudeva tutti i nostri momenti. Presi tutto, riempiendo una valigia e un borsone. Quando chiusi il borsone, il mio sguardò si posò sul secondo cassetto del mio comodino, lì c’era la mia libertà. Lo aprii e presi la busta con dentro tutti i soldi che avevo guadagnato in quegli anni. Avevo quindici anni quando iniziai a lavorare e adesso ne avevo diciassette, quei soldi bastavano e avanzavano. Sotto la busta trovai una foto. Eravamo io e mia madre, lei rideva e io la abbracciavo, avevo solo cinque anni, ero così felice. E lei era così bella. Misi la foto nella mia borsa e presi la valigia e il borsone, scendendo le scale, pronta ad uscire e a non entrare più in quella casa. Le luci erano spente, mio padre si era già dimenticato di tutto, di me. Non aspettava altro, quel bastardo. Aprii la porta e guardando un’ultima volta la mia vecchia casa, mi richiusi la porta alle spalle, avviandomi verso il centro, per cercare qualche taxi o pullman.

 
Chiusi gli occhi, provando a dimenticare quello che era successo poche ore fa. Sentii un colpo d’aria gelida attraversarmi le ossa e poco lontano da me, vidi un pullman, pronto a ripartire.
«Merda, si fermi, per favore!» urlai, provando a raggiungerlo e la cosa era alquanto difficile, per via della valigia e del borsone. Per fortuna l’autista mi vide e si fermò, aprendo le porte. Mi guardò male, per aver interrotto la sua guida e io impacciata, chiesi dove portava il pullman.
«All’aeroporto e ora per favore, si sieda oppure scenda da pullman, io devo lavorare!» un’idea mi balenò in testa. L’aeroporto. Avrei potuto prendere un aereo e andare chissà dove, avevo i soldi, i documenti, tutto. Potevo andare lontana, ricominciare da capo. E allora mi sedetti e appoggiai il viso sul finestrino.

 
‘L’AEREO PER ROMA FARÀ DIECI MINUTI DI RITARDO’
Roma, Milano, Inghilterra, Germania, Spagna, leggevo tutti i nomi dei voli sul tabellone.
‘AUSTRALIA SIDNEY VOLO ALLE 7.00am’ e senza pensarci due volte, mi diressi verso la biglietteria.
«Buongiorno, un biglietto di sola andata per Sidney, è il volo delle sette del mattino.» pagai tutto e mi allontanai, pronta per un nuovo inizio.

 
 
oh mai gAHD I MIEI OCCHI CHIedono pietà, è da tutto il giorno che sto davanti al computer a scrivere
allUR Salve salvino io sono irene e uhm questa è la prima volta che prenDO SUL SERIO UNA SToria
dato che sono una persona poco paziente ho deCISO DI PUBBLICARE SUbito il proloGO DI QUESTA SCHIFEZZ, avevo intenzione di scrivere un po’ di capitoli prima di pubblicarla per vedere come andava MA VABB
e niente, questa tipa ariel è una sfigata si vero però va in australia e CIAone che poi si chIAMA ARIEL HALE
HAAALE
H A L E
si, sono fissata con teen wolf, ho finito quattro stagIONI IN TIPO POCo più di due settimane rydo
tra l’altro io nel ruoLO DI ARIEL MI IMMAGINO MALIa hale e si è tipo bellissima, come del resto tutto il cast di teen wolf ;___;
se non l’avete mai vista, andate a cercarla!! si chiama shelley hennig
è un po’ triste la sua storia, porella e suo padre è uno stronzo e poI IL SUo amik si chiama FRANK ammetto che stavo pensando a frank iero e quindi si l’ho chiamato così ma il personaggio non è fRANK cioè lui è occupato con la diVAH GERARDA                                   
e vabb si, sono una persona molto pigra quindi non aspettatevi tipo ogni giorno un aggiornamento perchè si sono molto pigra e passeranno tipo una o due settimane per il prossimo aggiornamento anche perchè c’è la scuola e VORREI EVITARE LA BOCCIATURA grz      anyway domain inizio a scrivere il primo capitolo  e naAaAaAaaAaAaAda notte, vado a vedermi shameless CWC
 

 
 
 

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: GERARD_GAY_IS_WAY