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Autore: Roxar    04/06/2015    7 recensioni
«A diciassette anni, Remus è un nome inciso su un tronco, proprio accanto al suo.
Prima il nome di Sirius, poi il suo.
Come due ragazzini. Come due confidenti.
Come due...
Non osare pensare quella cosa.»
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Wolfstar'
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È tutto frutto di una scommessa Ad undici anni

Warnings: Hurt, Uncomfort, Slash, Slices of life, Angst, Death-fic
Crew&Ship: Sirius Black, Remus Lupin | Remus/Sirius
Note: niente da dire, se non che non mi aspettavo un ritorno in questo fandom, non dopo mesi che non scrivo su questi due - o sul Potterverse in generale. Ma l'ispirazione è così che funziona e quindi beccatevi 'sta cosa. :3
Passo e chiudo.

 

___

 

 

 

 

Ad undici anni, Remus Lupin è un ragazzino che veste abiti sfatti, di due taglie più grandi, che ne sta tutto rannicchiato contro il finestrino, come se fosse pronto a romperlo a pugni e fuggire non appena qualcuno gli rivolgerebbe la parola.
Lui e James non lo degnano di una seconda occhiata: aprono la porta dello scompartimento; indagano il mucchio di vestiti lisi; chiudono la porta dello scompartimento. Poco più tardi, sistemati in un vagone non poi così lontano da quello, rideranno di quel ragazzino, immaginando per lui scenari che vorrebbero essere divertenti e di cui adesso, col senno di molti anni, si vergogna solamente.
Ma all'epoca avevano solo undici anni, ed erano sciocchi, spensierati e fin troppo sicuri di sé. Per questo, quella stessa sera, quando scoprono che il ragazzino dal viso graffiato di cicatrici e i capelli un po' spettinati, come se fosse perennemente reduce da una breve corsa, è nella loro stessa camera stringono una tacita alleanza per tenerlo lontano il più possibile, perché è piccolo, smilzo, si veste male e non sembra intenzionato a sgranare gli occhi e fissarlo pieno di stuporosa ammirazione.
E chi non li fissa con l'aria di aver appena trovato il mago più talentuoso e fantastico del mondo, non è sufficientemente degno di loro.

Ma Remus, ad undici anni, è anche il migliore del suo corso.
È sveglio, recettivo, infinitamente sensibile. Chiaramente è al corrente dei sussurri che seguono la sua persona e che talvolta la precedono; ha potuto ascoltarli personalmente o sentirli riferiti dalla bocca di qualche compagno con cui va d'accordo.
In una certa misura, sente di meritare quella diffidenza macchiata di cattiveria. Ciò che è diventato, ciò che è, non può essere maneggiato diversamente. È finanche giusto che tutti si tengano a distanza dal mostro che è.
(Naturalmente lui, a quel tempo, non sa ancora quale ombre fitte passano sui pensieri e sulle percezioni di Remus; è qualcosa che scoprirà molto dopo, per la quale avrà voglia di prendere una ad una le persone che hanno contribuito a diffondere le dicerie e fargliela pagare, iniziando proprio da se stesso)
Però poi, sul volgere al termine dell'anno scolastico, le cose cambiano.
Succede durante l'ora di Erbologia, nella serra numero due.
Sa cos'è la pianta che ha davanti, ma non riesce a ricordarne le proprietà fondamentali. Quando il professore, dopo aver passato in rassegna ogni singolo scolaro, soffermandosi infine su di lui, gliele domanda, pensa che sarà una patetica scena muta e che lo prenderanno in giro per settimane, perché lui, l'infallibile, incrollabile giovane rampollo della casata Black, è inciampato su una cosa così semplice che perfino i bambini piccoli sanno.
Sorprendentemente, però, nascondendosi dietro di lui, con quel suo corpo minuto e stropicciato, la voce di Remus arriva bassa ma nitida alle sue orecchie. La pronuncia è quella un po' rigida e compassata del Galles orientale, ma oltre quelle sillabe accuratamente scandite si intuisce anche una sorta di morbida cortesia.
Segretamente grato al ragazzino, Sirius Black ripete parola per parola quel che gli viene suggerito, aggiudicandosi dieci punti.
Quella stessa sera, prima di andare a dormire, Sirius infilerà una Cioccorana ancora da scartare sotto il cuscino di Remus, perché vuol dirgli grazie. E perché ha sentito, da qualche parte, che a Remus il cioccolato piace come a lui piacciono le bacchette di menta.

A sedici anni, Remus gli diventa indispensabile.
James, naturalmente, è e resterà sempre la sua metà perfetta, il suo migliore amico, il suo confidente, il suo alleato, il suo rivale e perfino il suo nemico.
Ma Remus è tutto il resto.
Remus è la penna che termina i suoi compiti quando lui s'addormenta sulla scrivania; è il lavorio delle dita esperte, dopo averlo costretto a stare fermo, gli annodano la cravatta in maniera inappuntabile; è il movimento delicato della bacchetta che casta un Accio mentre Sirius sta ancora cercando quel che ha perduto; è il sorriso sfatto e assonnato che gli rivolge al mattino quando Sirius scatta per aggiudicarsi il bagno, spesso e volentieri tirandolo indietro per la maglia.
Remus è tutto il resto.
E tutto il resto è indispensabile.
Remus è indispensabile.
Lo capisce quando, durante una notte di luna piena, Remus scappa dalla Stamberga - in qualche modo riesce a farlo - e corre nelle campagne che abbracciano Hogsmeade, strappando via pezzi di terra con gli artigli lunghi e letali. Lo cercano per tutta la notte. Lo cercano alle prime luci dell'alba. Lo cercano per tutto il giorno, e al diavolo le lezioni. Lo cercano per tutto il pomeriggio. Ed è solo quando viene sera e il cuore gli si fa un po' più pesante che capisce che lui, senza Remus, non ci sa stare. Non ci saprà mai stare. Non ci vorrà mai stare. Diventarlo diventa doppiamente importante. E mentre gli altri alzano bandiera bianca e allertano Silente, lui fiuta, raspa, ansima, ringhia e corre, corre, corre come se dovesse correre per sempre, perché alla fine troverà Remus e quello vale ogni sforzo, ogni energia che brucia nella pira dell'ansia, ogni regola immolata all'altare della necessità che sente di lui.
E lo trova.
Il sole è un'unghia corta che graffia la linea dell'orizzonte, schizzando il cielo livido di bagliori freddi, deboli, insonnoliti.
Lo trova, nudo e ricoperto di sangue rappreso, rannicchiato contro il tronco di un albero, a quattro miglia circa a sud di Hogsmeade. Gli sembra di essere stato scaraventato indietro nel tempo, a quando avevano undici anni e Remus si premeva contro il finestrino, mentre sottili messaggi emanavano da lui: non guardatemi, non vedetemi, andate oltre.
Ora come allora, Remus, anche se di anni ne ha sedici, gli sembra piccolo, sgualcito e indifeso. Ma, ora come mai prima, Sirius sente nelle braccia il bisogno di stringerlo, raccoglierlo come un fagotto e sentire che il cuore, da qualche parte, ancora batte. Sentire che il respiro, anche se debole e fiaccato, ancora c'è.
E Remus (ma è sempre stato così piccolo, Remus? E il suo corpo è stato sempre così gelido?) respira. E il suo cuore batte.
Per adesso va bene anche così. Penseranno domani alle ferite che si vedono e, ancor più, a quelle che non si vedono. Penseranno domani ai suoi rimorsi, ai suoi dubbi, alle sue tristezze, alle sue debolezze, alle sue insicurezze. Sì. Ci penseranno domani. Per adesso, va bene anche così.

A diciassette anni, Remus è un nome inciso su un tronco, proprio accanto al suo.
È l'ultimo giorno di scuola, James e Peter stanno facendo incetta nelle cucine e loro bighellonano per il parco, abbracciando con lo sguardo qualsiasi cosa, come per imprimersela a fuoco tra le pieghe della memoria e rispolverarla quando la nostalgia di questo posto stringerà troppo.
"Sette anni," sospira Sirius di punto in bianco, "e non abbiamo lasciato un segno concreto."
Vuole essere spiritoso, divertente, ma Remus è già lontano, sta già pensando a qualcosa. E prima ancora di poterlo fermare, eccolo chinarsi, raccogliere una pietra e fare una cosa decisamente non da Remus. Conficca la punta frastagliata nel tronco dell'albero vicino e lascia il segno.
Prima il nome di Sirius, poi il suo.
Come due ragazzini. Come due confidenti.
Come due... Non osare pensare quella cosa.
"Volevi lasciare il segno? Ecco il tuo segno."
"Remus," dice, con l'aria di uno che si approssima a svelare il segreto della vita e dell'universo, "grande idiota. Ti si vuole bene, eh, ma resti sempre un grande idiota grande."
Però, sta già ridendo. E Remus insieme a lui.

A vent'anni, Remus è lontano, lontano.
Ricorda il colore dei suoi capelli, quello dei suoi occhi; la forma imprecisa delle sue cicatrici.
Il suono della sua voce che chiama il suo nome.
Sirius, sbrigati, dai!
Ma poi arriva il freddo... e il buio... e Remus... Remus... Chi è Remus?

A trentaquattro anni, Remus sembra Remus, ma non è Remus.
E non dipende dal fatto che, nonostante la giovane età, i suoi capelli siano strinati d'argento, né dalle cicatrici che si sono moltiplicate o dai lineamenti che sono mutati, indurendosi nelle fattezze di un uomo adulto.
È qualcos'altro. È il modo in cui lo guarda, nonostante l'abbia perdonato. È il modo in cui gli parla.
E poi lo capisce.
Remus è cresciuto. Del bambino rannicchiato contro il vetro non resta niente. Del ragazzo rannicchiato contro il tronco non resta niente. Sì, forse solo qualche sprazzo qua e là, ma insufficiente a restituirglielo.
Perché Remus è cresciuto senza di lui.
Perché, chissà quando e come, tra le pareti di Azkaban, il bisogno che aveva di lui si è assopito sotto una coperta di dolore e pensieri bianchi - bianchi come il bianco, come il vuoto.
Sirius prova a scrollarselo di dosso, tutto quel bianco. Fa cose che non dovrebbe fare, rischia, gioca d'azzardo, si tiene sempre un passo avanti a chi lo cerca. Ma il bianco resta.
E Remus non c'è più.

A trentasei anni, Remus è un'immagine sfocata oltre il Velo.
Come due... innamorati. Proprio come due innamorati.

   
 
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