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Autore: Baka_Empire    05/06/2015    1 recensioni
Vili, Vanagloriosi, codardi.. Erano solo alcuni degli aggettivi legati agli esseri umani. Esso fu uno dei tanti popoli puniti durante la cosiddetta “epurazione”. Allontanati dalla loro patria e spogliati dalla proprio individualità, l’uomo oltre a esse, perde anche il suo bene più prezioso: I ricordi. Destinati a vagare nell’ universo senza uno scopo, gli umani vengono schiavizzati per secoli senza pietà riducendo di molto la popolazione globale. Quest’era viene anche chiamata “l’epoca buia”.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prigione


 
La schiavitù umana per mano di diverse razze superiori porta il genere umano a dividersi in piccole colonie aventi il compito di fornire manodopera. A questo scopo i giovani venivano incarcerati per essere poi esportati in altri pianeti. Le leggende dicono che i pianeti vicini possano udire le urla strazianti dei detenuti.
Prigione dell’impero Val’Gar, Cella 764



 
Tra urla strazianti, lamenti e continui sussulti ogni stanza della prigione poteva essere riassunta in una sola parola: Disperazione. In quelle mura la speranza non esisteva, sapevano già il loro destino, come scritto fra le pagine di un libro di cui si conosce già la fine, si può solo aspettare il momento nel quale verrà sfogliata l’ultima pagina e leggere “The End”. C’era una cella però cosi silenziosa da incutere persino più timore delle altre, sembrava come se tutti quei sentimenti di odio, rancore e rabbia fossero soffocati da qualcosa di più grande, di immensamente più grande. In quella cella c’era un ragazzo umano, nato in una colonia vicina di nome Lerhed, che nella lingua dei Val'Gar significava "vuoto", come per loro era l'anima degli schiavi. Esso non aveva mai visto l’universo nella sua infinita grandezza e non poteva immaginare cosa ci fosse oltre quelle sbarre. L’unica sua attività che si alternava ai lamenti emessi dagli altri prigionieri, era osservare una stella, una stella che gli donava qualcosa che in quel luogo non avrebbe mai trovato, la speranza.
Nonostante un sentimento cosi nobile e puro il ragazzo non era poi cosi diverso dagli altri detenuti, esso provava odio e rancore verso chi l’aveva schiavizzato. Sentiva però che il suo odio non doveva essere scagliato contro i Val’Gar ma contro qualcosa di più grande, di più potente, quel qualcuno che aveva ridotto l’umanità all’essere inerme privandola di ogni cosa. D’altronde il suo odio era rinchiuso tra delle mura, non sarebbe mai potuto fuggire al di fuori di esse. L’unica cosa che poteva fare è stare li seduto, mischiare le proprie lacrime al gocciolio delle pareti, aspettando il giorno in cui sarebbe stato portato in una nuova colonia per essere usato come schiavo.
Ogni giorno i Val’Gar, sempre in un determinato orario, ispezionavano quell’ala della prigione per evitare ogni tipo di sommossa. Appena si udivano i loro passi, la coda che strisciava sul pavimento e la loro lingua viscida fare strani versi l’intera prigione piombava in un silenzio inquietante. Era il turno della cella di Lerhed, ormai la paura per quelle creature era mutata in qualcosa di simile all’indifferenza, per il ragazzo qualsiasi creatura nell’universo ci fosse stata al loro posto il suo atteggiamento non sarebbe mutato. Per lui qualsiasi creatura era malvagia, e nessuno poteva cambiare ciò, solo provando sulla propria pelle ciò che si sta facendo si può comprendere il vero male. Grazie alla tecnologia dei Val’Gar le due razze potevano comunicare tra loro grazie a un traduttore universale, ma nessuno ascoltava appieno le loro parole, la maggior parte o sono pietrificati dalla paura o talmente prosciugati nel loro essere da non notarli nemmeno. Mentre i due Val’Gar cominciarono a parlare con il ragazzo, un rumore tagliò quel silenzio. Non potevano essere urla, nessuno avrebbe mai osato tanto con i Val’Gar in ronda, poteva essere solo una cosa: L’allarme. Esso non aveva mai suonato per anni e anni, nessuno aveva vantaggio nel salvare gli umani e chi lo aveva non era abbastanza forte ne coraggioso da intraprendere un attacco contro un intero popolo. Le due creature chiusero la cella di Lerhed e si diressero verso la camera di controllo, dove era scattato l’allarme. In mezzo a tutto quel frastuono una figura coperta da un mantello apparve all’interno della cella. Per la prima volta il ragazzo provò scalpore nel vedere qualcosa di cosi diverso da ciò che vedeva ogni giorno da anni. Purtroppo il Lerhed non avendo mai imparato a parlare, cosa riservata solo alle razze superiori, non poteva interagire con quell’uomo, poteva solo limitarsi all’osservarlo. L’uomo si avvicina a lui senza proferire parola. Il ragazzo in quel momento provò un sentimento inspiegabile, sentiva paura pur trovandosi davanti a un essere della sua stessa stazza fisica, ma non era essa che faceva paura. Era il suo avanzare senza paura verso di lui, il suo passo deciso e vigoroso a incutere timore. Man mano che si avvicinava poteva intravvedere parte del suo viso, e con il progredire della visione di esso il ragazzo comincia ad aver sempre meno timore. La paura di quello che celava era il vero terrore che lo pietrificava. La conoscenza gli aveva fornito un arma contro le proprie paure. L’uomo ormai era davanti al ragazzo, arrivato a qualche centimetro da lui si fermò e allungò la mano verso la testa del ragazzo e ci appoggiò sopra il palmo della mano.
Dopo qualche secondo il ragazzo gli rispose: “Chi sei?”. Poteva parlare. –Ragazzo ti ho donato di un dono molto prezioso, sfruttalo appieno. - disse la creatura che parlava la stessa lingua del ragazzo. L’essere si tolse il cappuccio e rivelò la sua vera identità: era un umano. Il ragazzo fece la prima cosa che il cuore gli diceva di fare: abbracciarlo. –Perché ragazzo mi abbracci? - disse l’uomo.
Il ragazzo rispose -Era ciò che il mio cuore mi ha detto di fare- . L’uomo sorrise e decise di prendere confidenza con quel ragazzo – Io mi chiamo Roht, qual è il tuo nome?-
-Il mio nome…il mio nome è Lerhed- disse fiero e deciso
Roht rompendo il silenzio sussurrò al ragazzo –Mi dispiace interrompere questa piacevole conversazione, ma non penso che avremo molto tempo a nostra disposizione-
L’uomo indico al ragazzo il corridoio e corsero entrambi verso l’attracco per le navi spaziali della prigione, l’unica via di fuga.-Ragazzo tu libera i prigionieri dal lato est, io penso a quelli ovest, cercheremo di liberarne il mio possibile ci vediamo al molo!- Subito dopo aver pronunciato quelle parole i due si imbattono in altrettante guardie Val’Gar. Il ragazzo indietreggiò e lascia l’uomo davanti a quelle due creature, la codardia lo invase e il suo viso piombò nuovamente nel baratro della disperazione dopo aver visto la debole luce della speranza. L’uomo si girò e incoraggiò il ragazzo con un sorriso –Prima non ti ho mentito ragazzo.. Io sono umano, ma non del tutto. Voi umani puri mi avete chiamato in tanti modi nel corso dei secoli, forse il termine più adatto è Dio, Dio della guerra. - Le paure del ragazzo mutano in un espressione piena di dubbi e perplessità, doveva davvero credere alle parole di quell’uomo? Un Dio? Non aveva mai sentito quella parola ma era come se gli fosse famigliare, come se ne conoscesse già il significato. Dopo qualche secondo avrebbe trovato la risposta a tutte le sue domande. L’uomo emanò un potere talmente forte da far quasi cadere il ragazzo, non era una forza tangibile, era una volontà ferrea e fiducia nel proprio essere a sprigionarla. Bastò un istante e i due nemici erano a terra, inermi, come fossero morti. L’uomo come se qualsiasi altra spiegazione sarebbe stata solo superflua disse – Atteniamoci al piano di prima, cercherò di attirare l’attenzione di più nemici possibili per agevolare il tuo compito, ci vediamo al molo! Prendi queste chiavi, le ho sottratte ai Val’Gar”.
I due si divisero e il ragazzo si senti nuovamente insignificante. In quel momento avrebbe tanto voluto poter rivedere la sua amata stella, gli avrebbe fornito la forza per smettere di tremare. I secondi, i minuti, essi passavano e il ragazzo temeva che dietro ogni angolo poteva celarsi un nemico. Lerhed sentì dei passi, non avrebbe mai potuto sbagliare, era un Val’Gar. Non sapeva che fare era pietrificato dalla paura, ormai il Val’Gar stava per sbucare dall’angolo e l’avrebbe probabilmente ucciso senza nemmeno pensarci troppo. In quell’attimo il ragazzo chiuse gli occhi e pregò. Udii crollare una parete e insieme a lui anche il Val’Gar, che si precipitò subito a controllare. Era salvo. Con un nodo in gola il ragazzo comincio a correre verso l’ala est, che non era poi cosi lontana da dove si trovava. Arrivato li apri le celle dei prigionieri, essi scapparono fuori come dei topi imprigionati in una scatola. Senza razionalità ne calma. Il ragazzo sapendo che le uniche parole a loro conosciute erano quelle dei Val’Gar, decise di mettersi davanti al gruppo e di indicare loro la strada del molo. Durante l’avanzata verso l'attracco navale c’era un silenzio innaturale, nessun Val’Gar era nei corridoi e nessuno si preoccupò di questo a parte il ragazzo. Arrivati al molo videro spuntare dalle varie vie per arrivare a esso un esercito di Val’Gar. Era una trappola. –Sapevamo che il vostro scopo era scappare, e che l’unico luogo in cui potevate farlo era questo, siete in trappola!” Gridò un Val’Gar. Si avvicinavano verso di noi, pensarono tutti che fosse la fine in quel momento, saremmo tornati in quelle celle buie e piene d’odio. Proprio come nel primo momento in cui lo incontrai, proprio quando le mie speranze si erano spente ricomparve lui, il Dio della guerra. Con un entrata trionfale spazzò via una gran fetta dell’esercito nemico si avvicinò a me e mi disse – Prendete la nave e scappate, qui ci penso io! - In quel momento il ragazzo lo trattò come un fratello e gli rispose senza pensarci – Non fare lo spaccone, sarai un Dio ma anche tu rischi la nostra vita come noi! Vogliamo aiutarti-. Il Dio dopo aver sorriso come all’abbraccio nella cella del ragazzo gli rispose scompigliandoli i capelli – Non preoccuparti, noi Dei siamo diventati tali per atti leggendari, se non li avessi compiuti non sarei degno di essere il Dio in cui voi credete.  Stava per girarsi e sparire nella folla dei nemici quando aggiunse – Ricordati queste parole ragazzo- indicando il cuore del ragazzo -La forza di un uomo è celata nel suo animo, agli uomini è stato donato un potere ben più grande di ciò che gli è stato tolto- in seguito sparì tra l'orda di nemici. Il ragazzo avrebbe voluto aiutare quella persona che riteneva quasi come un famigliare, ma sapeva che sarebbe stato solo d’intralcio. Tutti i prigionieri riuscirono a imbarcarsi nell’astronave e partire, tra di essi c’erano meccanici e ingegneri quindi non fu difficile organizzarsi rapidamente. Dal finestrino dell’astronave il ragazzo vide quell’uomo, che tanto l’aveva aiutato. Gli aveva dato speranza, proprio come la stella che guardava ogni giorno. Osservandosi nel vetro riflettente dell’astronave stava sorridendo, quel sorriso misto a lacrime e dolore, che però risaltò su tutto. Era luminoso, luminoso come una stella.
   
 
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