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Autore: futacookies    05/06/2015    3 recensioni
Prima classificata al contest: "Not my cup of tea!", indetto da cloe sullivan sul forum di Efp.
Così Harry scompare, inghiottito nella vita di ogni giorno, in sorrisi che non gli appartengono, in gesti compiuti meccanicamente – alzarsi, vestirsi, mangiare, baciare Ginny, scrivere lettere per i figli ad Hogwarts –; in pensieri che ormai non lo toccano più – ma ci sono i sogni, in cui ha trovato la sua oasi e abitudine è diventata un brutto ricordo –; nei Natali trascorsi in famiglia e nelle estati passate in vacanza; nelle Burrobirre del sabato sera con i vecchi compagni del Grifondoro, nelle partite di Quidditch viste allo stadio; nella barba che a volte dimentica di radere e nei capelli bianchi che aumentano a dismisura. [...] Perché abitudine uccide. Silenziosamente, appare nella tua vita, e prima spegne i suoni, poi scolorisce le tinte e infine cancella le immagini. Abitudine uccide ogni giorno un po’ di più, ma nessuno se ne accorge. È questo, il dramma di Harry: abitudine uccide, ma è l’unico a saperlo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Questa One Shot partecipa al contest ‘Not my cup of tea’, indetto da cloe sullivan sul forum di Efp.

NdA: blablabla. Perché è davvero tutto ciò che sono in grado di fare. Ho scoperto – con mio sommo orrore – di essere logorroica e di parlare a vanvera, e, come se non bastasse, parlo logorroicamente (?) a vanvera di futilità che non interessano a nessuno. Ma, prima che si inizi la lettura, vorrei far notare Harry!centric reso leggermente fuori di testa dalla guerra (credo), e con un rapporto più o meno traballante con Ginny. E, a tutti coloro che si aspettavano una OS, voglio far notare che questa è una flash mascherata per benino da OS (solo 1006 parole). Per il resto alla fine, che sennò faccio spoiler e nessuno mi fila più la storia.

Buona lettura, Fede 

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Abitudine uccide

All’inizio la chiama routine – quella vellutata certezza che tutto andrà nel verso giusto, che cenerà con Ginny e i bambini, che non riceverà nessun incarico importante, perché Voldemort è morto e restano residui di Mangiamorte sparsi in Inghilterra.
Poi routine diventa snervante – non è più come ai tempi di Hogwarts. Sa già cosa accadrà ancor prima che questo avvenga, si sente quasi incarcerato – riesce a vedere solo sbarre e una prigione umida.
Sa già che Ginny si sveglierà alle sette in punto, si assicurerà che i ragazzi stiano ancora dormendo, scenderà le scale – e ogni volta il rumore sottile dei suoi passi rimbomba assordante nella sua testa –, preparerà la colazione, farà alzare tutti loro e poi andrà alla Gazzetta del Profeta.
Sa già che la sua giornata inizierà venti minuti dopo quella della moglie, mangerà le frittelle cucinate per lui, si vestirà, sorriderà alla sua perfetta famiglia felice, si recherà a lavoro – e quasi non aspetta altro, perché Harry sa anche che il Ministero della Magia potrebbe essere l’unica via di fuga da quell’onniscienza che lo irrita tanto.
Tuttavia, lì non cambia molto: lo aspetta un’alta pila di scartoffie e forse – se si tratterà di un giorno estremamente fortunato – il Ministro avrà bisogno di una scorta per presenziare chissà dove.
Routine è come un rampicante: è cresciuta intorno a lui e adesso rivela le foglie nocive – ma sembra sia l’unico che si rivolga a lei con sospetto, perché tutti apprezzano quella che amorevolmente chiamano ‘abitudine’.

*

Harry sa che abitudine non è un bene: prova invano a scrollarsela di dosso – e vorrebbe tanto che accadesse qualcosa, qualunque cosa. Ma qualcosa non accade mai.
Se ne rende conto una tranquilla sera di novembre, ordinaria come tutte le altre. Ginny sta per portare a tavola l’arrosto, quando Albus gli domanda cosa abbia fatto quel giorno. Nulla di che, risponde, il solitonella sua mente, Harry sbatte forte il coltello e se ne va.
Abitudine non è quello che vuole – non lui, che ancora rincorre l’avventura, come se avesse nuovamente diciassette anni e potesse lasciare tutto per partire con i suoi migliori amici. Vorrebbe raccontare ai figli una storia diversa ogni giorno – di come abbia sconfitto un mago oscuro dietro l’altro, di come non abbia temuto il pericolo, di come ci sia addirittura andato incontro. Perché anche il pericolo è meglio dell’abitudine. Soprattutto il pericolo.
Abitudine è il cancro che sta avvelenando le sue cellule: non trova una cura, perché non è una malattia. Tutti parlano di abitudine come di un miracolo – perfino Hermione e Ron, che dovrebbero condividere la sua tortura, perché loro sanno, hanno vissuto tutto ciò che non era abitudine. L’adrenalina del muoversi ogni giorno, del rischiare la vita per trovare risposte, del voltare le spalle a ciò che li avrebbe imprigionati nella stessa realtà troppo a lungo.
Non possono capire, non loro che hanno trovato la giusta dimensione nei battibecchi quotidiani, in una famiglia felice quanto la sua –  Harry ne è davvero, davvero lieto e vorrebbe soltanto che notassero l’abitudine, prima che questa lasciasse terra bruciata dietro di sé.

*

Capisce di essere solo in questa battaglia mentre parla con Ginny. Ci sono sempre le stesse risposte alle stesse domande, finché non gli chiede cosa abbia negli ultimi tempi – vorrebbe tanto rispondere “Nulla”, darle un bacio sulle labbra e andarsene il più lontano possibile a sfogare la sua frustrazione, ma sa che non funzionerebbe.
Perché Ginny lo ama e lo conosce meglio di chiunque, perché lei ci ha fatto il callo, a furia di abitudine, di attesa, di cose che sarebbero dovute succedere e che non si sono mai verificate.
Eppure scuote la testa e pare che non riesca a capacitarsene. Sospira, guarda altrove a disagio, vorrebbe dire qualcosa, ma tace e gli rivolge uno sguardo comprensivo. Ginny sa – sa che l’abitudine potrebbe far impazzire suo marito –, ma preferisce ignorarlo.
Quasi non vorrebbe perdonarglielo, ma Harry giustifica sempre la sua condotta – forse per abitudine, forse per quell’amore che gli ha inizialmente impedito di affondare, che potrebbe fargli accettare perfino la regolarità di ogni giorno, se abitudine non fosse un’assassina.
Non gli resta che annuire, di fronte a quegli occhi belli che ama tanto – gli stessi occhi che gli chiedono almeno di fingere, di recitare la sua parte, di convincere tutti che abitudine va bene, che ne ha sopportate tante, che è l’unica cosa che desidera.

*

Così Harry scompare, inghiottito nella vita di ogni giorno, in sorrisi che non gli appartengono, in gesti compiuti meccanicamente – alzarsi, vestirsi, mangiare, baciare Ginny, scrivere lettere per i figli ad Hogwarts –; in pensieri che ormai non lo toccano più – ma ci sono i sogni, in cui ha trovato la sua oasi e abitudine è diventata un brutto ricordo –; nei Natali trascorsi in famiglia e nelle estati passate in vacanza; nelle Burrobirre del sabato sera con i vecchi compagni del Grifondoro, nelle partite di Quidditch viste allo stadio; nella barba che a volte dimentica di radere e nei capelli bianchi che aumentano a dismisura.
Harry è un uomo qualsiasi, che vive come centinaia di altri prima di lui – il Bambino Che È Sopravvissuto è più leggenda che realtà, tutto è stato dimenticato, sepolto sotto strati di abitudine: la pietra filosofale è andata distrutta; la camera dei segreti perduta; il prigioniero di Azkaban è morto, senza nemmeno un corpo da seppellire; il calice di fuoco giace inutilizzato da decenni in qualche angolo del Ministero; l’Ordine della Fenice è stato sciolto e non restano che foto sbiadite e lapidi con fiori candidi; del Principe Mezzosangue nessuno conosce l’esistenza e nessuno ne sarà più al corrente; i Doni della Morte, per cui tanto aveva combattuto, non potranno mai essere ricongiunti.
Il Prescelto era morto alla fine della guerra – abitudine l’aveva ucciso.
Perché abitudine uccide. Silenziosamente, appare nella tua vita, e prima spegne i suoni, poi scolorisce le tinte e infine cancella le immagini. Abitudine uccide ogni giorno un po’ di più, ma nessuno se ne accorge. È questo, il dramma di Harry: abitudine uccide, ma è l’unico a saperlo.



Note dell’autrice:
piccolo delirio pre-estivo. Almeno, è così che mia sorella ha definito la storia, dopo averla letta.
E in effetti, è la prima lunga mattina che passo a scrivere, quindi yeah!
Ammetto che è molto contorta, perfino per i miei standard, quindi si necessitano un paio di spiegazioni. Prima di tutto, però, le citazioni:
  • “e riesce a vedere solo sbarre, e una prigione umida”
Questa è un riadattamento di un verso della canzone ‘Abitudine’, dei Subsonica, mentre:
  • “quegli occhi belli”
Questa perla qui viene dal romanzo ‘Orgoglio e Pregiudizio’, di Jane Austen.
Per il resto, c’è da dire che nella mia concezione è più che plausibile che Harry, dopo la guerra, accetti difficilmente la vita da persona normale (simpatica strizzatina d’occhio a John Watson e al fandom di Sherlock), e quando mi sono chiesta come avrebbe potuto reagire, questa è stata la risposta.
Tutti i riferimenti al ‘miracolo abitudine’, sempre nella mia testolina, sono possibilissimi, in quanto dopo tre, quattro anni di guerra, sfido chiunque a non volere una vita tranquilla e ordinaria.
Per quel che riguarda il rapporto tra Harry e Ginny, beh, non si può dire che sia una fautrice di questa coppia – tutt’altro – ma ho fatto il possibile, sperando di non aver pasticciato troppo con l’IC. Considerando che Ginny ha passato gran parte della sua vita osservando Harry, mi sembra normale che sappia cosa gli passi per la testa, e mi sembra ancor più normale, tenendo conto di ciò che anche lei ha dovuto vivere in quegl’anni, che non accetti di buon grado l’alienazione del marito.
E non mi sembra ci sia altro da dire – a parte che sono molto contenta di essere tornata dopo sei e più mesi di assenza!
Baci, Fede ♥
  
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