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Autore: Savannah    05/06/2015    27 recensioni
Quando si accorse di lei pensò che avrebbe dovuto aspettarsi di vederla comparire proprio al termine della battaglia perché, in fondo, ognuno ha un avversario ma per batterlo deve prima giocare contro se stesso. Così inghiottì una risposta, un pezzo di vetro che gli avrebbe lasciato quelle parole in bocca nelle sembianze di una cicatrice che non sarebbe guarita mai più.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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A Beautiful lie


                            Il gioco degli scacchi
è lo sport più violento che esista

Garry Kasparov


La tavola era un orizzonte sterminato di caselle nere e bianche che si succedevano all’infinito confondendo lo sguardo con vie tortuose e salti impossibili.
Era la desolazione del campo di battaglia al termine del giorno, dove il fragore della guerra cedeva lo scettro a un silenzio assordante.
Il mestiere delle armi e l’arte della strategia si arroccavano ai lati opposti di una valle, due generali impotenti senza più un esercito con cui combattere né uno da sconfiggere, l’uno che scrutava l’altro al di là di un distesa di cadaveri.
Metà dei pezzi erano scomparsi, distrutti in un eccidio sistematico che si ripeteva a ogni partita, all’infinito.
Ogni pezzo perduto gli rammentava qualcosa che gli era stato sottratto. Dopo il terzo aveva smesso di soffrire: tutto sprofondava nella pozza buia e informe che dilagava tra le sue costole sotto strati di vestiti costosi, blasoni e stemmi.
La scacchiera era il pavimento di una stanza vuota e lui il trentatreesimo pezzo che non aveva posto né scopo in alcuna casa.
Quando alzò la testa da quel labirinto infinito di bianco e di nero e la vide ferma vicino alla porta, i capelli scarmigliati e il mantello ancora indosso, Draco Malfoy pensò che avrebbe dovuto aspettarsi di vederla comparire proprio al termine della battaglia perché, in fondo, ognuno ha un avversario ma per batterlo deve prima giocare contro se stesso.




A Beautiful lie

[Bury me]


What if I wanted to break
Laugh it all off in your face
What would you do? (Oh, oh)

Il suo avversario aveva scelto il nero. Una cosa seccante, sicuramente voluta, quasi a privarlo di quel colore che era la sua prerogativa in favore di un chiarore insipido e senza alcuna sostanza.
Era una mossa prima dell’inizio del gioco: al bianco spettava l’apertura. Un vantaggio, uno svantaggio. Lui poteva attaccare e qualcuno sarebbe rimasto nelle retrovie per osservare e decidere con calma, dietro un esercito di figure nere, tramando in silenzio.
Così scelse un gambetto di Re.
Formulò la richiesta al pedone, indicandogli la casa in cui avrebbe dovuto spostarsi e quello, una statua alta più di lui, scivolò in avanti con un incedere pesante e gli obbedì senza protestare.
La luce del tramonto pioveva sulla scacchiera stregata dall’alto delle finestre a ogiva della Sala degli Scacchi, l’oro di un pomeriggio troppo breve al principio dell’autunno. Il mese di ottobre aveva teso le sue forbici d’argento sul giorno, tagliando le ultime frange degli immensi crepuscoli estivi, accorciandolo in un modo allo stesso tempo dolce e insostenibile. Le ombre si allungavano dietro Alfieri, Cavalli e Re, chiusi nelle loro corone e armature e nel silenzio di quell’ala della Biblioteca, di solito poco frequentata.
Malfoy sollevò la bacchetta nel gesto automatico di ogni mago per il quale essa rappresenta un semplice prolungamento del proprio corpo – una terza mano, un sesto dito, tutta una serie di deformità che la società dei Babbani aveva cercato nei secoli di sterminare – e incantò la scacchiera perché nessuno potesse modificarla. L’avversario, con altrettanta riservatezza, avrebbe fatto la sua mossa prima di congelarla a sua volta con un Incantesimo.
Per caso Madama Pince stava lavorando presso l’enorme scrivania posta all’ingresso prima della porta a vetri. Malfoy sentì il suo sguardo perforargli la schiena mentre la superava.
«Signor Malfoy».
Lui si immobilizzò, le dita sospese sopra la maniglia d’oro. Non rispose e si limitò a fissare il proprio riflesso nel pannello di vetro della porta.
«I libri che avevi richiesto sono arrivati».
In un istante si vide scagliare il pugno contro la porta, una miriade di frammenti volare tutto intorno, i tasselli di un mosaico scomporsi una volta per tutte. Il castello di Hogwarts però era avvezzo da secoli a ospitare la magia irrequieta dell’adolescenza e gli ambienti vi si erano adattati in una sorta di evoluzione spontanea: la vetrata sarebbe tornata subito al suo posto in virtù di un antico incantesimo che l’avrebbe riportata indietro nel tempo, in un momento in cui era ancora intatta.
Lui avrebbe rivisto la sua immagine esattamente come gli appariva ora, in ombra e stravolta dalla rabbia, con una scacchiera in fondo al limitare campo visivo, simile a quei mostri notturni abituati a spostarsi ogni qual volta si guardava nella loro direzione.
Lasciarsi andare alla rabbia avrebbe significato sanguinare inutilmente ancora una volta, per qualcosa che si sarebbe ricomposto con indifferenza senza curarsi di lui.
«Signor Malfoy».
«Sì, ho sentito».
Madama Pince mosse la bacchetta e senza accorgersene lui si ritrovò a fissare gli scarti dei suoi desideri.
«Sono arrivati dalla Francia ieri sera, ho chiesto al Signor Nott di riferirtelo, non lo ha fatto?».
Theodore Nott.
Tieni i tuoi amici vicini.
«Madame Deshayes è uno dei migliori Pozionisti del mondo, i suoi testi saranno sicuramente illuminanti». L’accento di contrarietà nella voce di Madama Pince non era certo frutto della sua immaginazione, né era un mistero che lui quei libri non li avrebbe mai potuti nemmeno nominare senza la potente intercessione del Professor Piton. Il Capo di Slytherin aveva scritto di suo pugno richieste e raccomandazioni, nonché una lunga lettera partita alla volta di Beauxbatons munita del suo sigillo nero, indirizzata alla collega che – nelle loro previsioni – avrebbe dovuto prendersi cura di Malfoy durante un semestre di studi all’estero.
Quei libri erano solo un’anticipazione di quando avrebbe avuto il favore e gli insegnamenti del secondo più grande esperto di Pozioni del Mondo Magico, talmente brava e dalla fama talmente sinistra che i suoi artefatti e le sue pubblicazioni erano state più volte al vaglio del Ministero della Magia Inglese prima di poter varcare la soglia ideali tra le loro nazioni.
«Li prendi o li rimando indietro?».
Malfoy non batté ciglio. «Posso tornare domani. Adesso sono in ritardo per la cena».
Erano inutili ormai, lo sapevano entrambi. Il primo posto nella graduatoria dei candidati al semestre in Francia apparteneva a Hermione Granger prima ancora che si parlasse del progetto di scambio studentesco; il secondo avrebbe dovuto essere suo.
«Come vuoi», Madama Pince lo guardò da dietro gli occhiali tondi in un modo che gli ricordò Silente. Poteva essere soltanto una sua impressione – paranoia Slytherin, che da secoli salvava carriere e patrimoni – ma gli parve che ci fosse riprovazione in quello sguardo, appena più marcata rispetto alla solita di cui lo omaggiava ogni normale avanzo del Gryffindor.
«Aspetterò ancora un poco prima di chiudere per la notte».
L’osservazione non era casuale e lo sguardo della donna corse con intenzione alla scacchiera. Inconcepibile che a lui non interessasse guardare in faccia il suo antagonista, un’indicazione di codardia o di un calcolo incomprensibile e, verso il quale, per questo, essere diffidenti.
Draco annuì, apprestandosi ad andare. «Si perderà il pudding».
Non era necessario guardarsi negli occhi, né una sfida privata aveva bisogno di spettatori. I testimoni si riservavano ad altro genere di esecuzioni.
Madama Pince dall’alto dei suoi anni e dei suoi libri avrebbe dovuto saperlo che ogni sfida tocca sempre i tre vertici di un triangolo imperfetto, ognuno ha un avversario ma, per batterlo, per prima cosa gioca contro se stesso.
****

What if I fell to the floor
Couldn't take all this anymore
What would you do, do, do?


«Dov’eri? Siamo in ritardo». Theodore Nott gli si affiancò quando già le porte della Sala Grande incorniciavano il quadro della cena serale. «Speriamo che Tiger non abbia finito tutto il pudding».
Draco Malfoy mantenne un’espressione neutra.
Non c’era necessità che Nott lo aspettasse ma in quel caso avrebbe perso un’occasione per lamentarsi e sottilmente sottolineare che qualcosa era colpa sua.
«Madama Pince ti aveva detto qualcosa a proposito di libri che avevo richiesto?».
Nott finse di pensarci su.
Naturalmente.
Tieni i tuoi nemici ancora più vicini.
«Ha detto qualcosa, ma non ti saprei dire cosa. E poi tu quei libri non eri nemmeno sicuro di volerli. Sapevi quanto tempo ci avrebbero impiegato ad arrivare e tu avevi paura di trovarteli davanti quando non ti sarebbero serviti perché il secondo posto per Beauxbatons era andato a qualcun altro. Come è stato».
Nott era quel tipo di persona della quale potevi essere certo che avrebbe usato i tuoi momenti di debolezza rinfacciandoteli al momento opportuno - a muso duro o con fare comprensivo, Salazar solo sapeva cosa fosse peggio - e, in generale, il confidente che ti faceva rimpiangere di non esserti sfogato con una delle bestie di Hagrid i cui artigli, almeno, erano bene in vista dal primo momento.
Dopo sette anni però il danno era fatto e non più rimediabile. Nott sapeva tutto di lui – come aveva imbrogliato a una prova di Incantesimi, il modo esatto in cui suo padre aveva proposto alla squadra di Slytherin l’acquisto delle nuove scope per procurargli il ruolo di Cercatore - per questo era il suo migliore amico. L’alternativa sarebbe stata avvelenarlo e non aveva ancora deciso come farlo passare per un incidente.
Per un meraviglioso istinto di sopravvivenza non gli aveva mai rivelato un’unica cosa. Era stato sul punto di farlo, a volte, quando aveva visto Blaise Zabini e Pansy Parkinson diventare migliori amici e le notti sfioravano l’alba davanti a una bottiglia di Ogden Stravecchio e certe scaglie di drago essiccate che, aggiunte alle sigarette, potevano sciogliere la lingua. Qualcosa, però, lo aveva sempre trattenuto. Conosceva senza vederla, per averla ascoltata mille volte, quale sarebbe stata la sua reazione: la coinvolta compassione (solo un altro riflesso del disprezzo) con cui ridimensionava ogni sua aspirazione, che fosse la Coppa del Quidditch o il Premio di Trasfigurazione.
Nott sembrava prendere come un affronto personale ogniqualvolta lui tentasse di uscire dall’asfittico, soffocante recinto in cui la sua opinione lo aveva rinchiuso.
«I Gryffindor stanno festeggiando», disse Nott, come dando conferma a quel pensiero. «Che gentaglia. Meno male che non hai mai guardato al di là del tavolo di Ravenclaw».
Lo sguardo di superiorità che Nott lanciò a quelli di Hufflepuff era esemplare. Due ragazze con le insegne gialle e nere sul mantello che stavano chiacchierando accanto al loro tavolo si fecero da parte per permettere loro di passare. Era un gesto dovuto a una spontanea cortesia, accompagnato anche da un sorriso fuggevole e impersonale. Nott rise loro in faccia.
Draco Malfoy scavalcò una panca al tavolo di Slytherin sollevato, in cuor suo, che Nott avesse trovato posto soltanto dalla parte opposta. Si tirò indietro e, opportunamente nascosto dietro la mole di Goyle, azzardò uno sguardo verso il Gryffindor.

Come break me down
Bury me, bury me
I am finished with you

Caraffe di succo di zucca volavano da un’estremità all’altra del tavolo sotto lo sguardo affascinato delle matricole incapaci anche a formulare il più semplice Incantesimo di Levitazione. Chi muoveva le stoviglie con un cenno distratto della bacchetta – l’attenzione assorbita da Potter che parlava a raffica – era naturalmente la Granger, la cui immensa competenza era ormai sancita dall’aura d’oro che circondava il suo nome al primo posto della graduatoria che indicava gli assegnatari dei posti per il semestre di studi alla Beauxbatons Academy.
Adesso stava prendendo in giro Ron Weasley per il suo pessimo francese, lei che lo parlava con una splendida fluidità.
«Ron», gli sembrava di sentirla. «Adesso sarai costretto ad impararlo. Non tengono lezioni in inglese a Beauxbatons».
Draco Malfoy si era immerso nello studio con un impegno che rasentava l’ossessione, aveva dato tutto con la fredda, calcolata passione di cui era capace; il Professor Piton aveva scritto favolose lettere di raccomandazione, suo padre aveva promesso a Madame Maxime una nuova ala per la loro Biblioteca e di ingaggiare un coro di dodici Ninfe Marine per festeggiare il loro Natale.
Non era servito. Il secondo posto era andato a Ron Weasley perché, si era deciso, almeno uno tra quelli disponibili doveva essere attribuito a uno studente con una borsa di studio. Questione di correttezza e democrazia e pari opportunità, né era importato a nessuno che metà delle prove richieste per essere ammessi Weasley le avesse superate per divina intercessione di San Potter e per il micidiale indottrinamento della Granger.
Adesso avrebbero trascorso sei mesi in Francia, da soli.
Draco Malfoy allontanò il piatto con una mossa brusca. L’ultima porzione di pudding, salvata da Tiger in extremis, giaceva intatta accanto a una montagna di patate.
«È il pudding? Non ho fatto in tempo a prenderlo. Era finito tutto». Theodore Nott comparve all’improvviso con lo sguardo fisso nel piatto di Malfoy, poi vi gettò sopra il tovagliolo sporco che aveva in mano. «Tanto faceva schifo. Non avresti dovuto mangiarlo comunque».
****

What if I wanted to fight
Beg for the rest of my life
What would you do?

Gli Scacchi Magici di per sé erano complicati: se non concordavano con la strategia scelta dal mago potevano iniziare a creare questioni a non finire. Domarli era difficile, era necessaria una mente fredda e una mano salda. Inoltre Il suo avversario era il migliore di Hogwarts.
Della bravura di Ron Weasley si favoleggiava già dal primo anno quando, appena matricola, aveva battuto la Scacchiera Magica della Professoressa McGranitt, la cui riproduzione si trovava nella Biblioteca di Hogwarts a disposizione di chiunque volesse cimentarsi.
Era una sfida ardua: Scacchi creati da una leggenda della Trasfigurazione, dotati di una volontà di ferro e di una solida conoscenza delle regole. Gli Scacchi Magici usati a Slytherin erano dotati di una mentalità più elastica: nessuno si stupiva se un alfiere falciava le gambe del cavallo e i due Re erano capaci di affiancarsi e tramare in un armistizio impossibile; non era neppure inusuale vederne uno mandare a morte tutto il suo esercito, accordandosi in segreto per avere salva la vita.
Sì, giocare con Slytherin era più semplice: la guerra come alla guerra era qualcosa che Malfoy poteva capire.
Quando invece entrò nella Sala degli Scacchi vide la scacchiera nel caos. L’Alfiere e il Cavallo dei Neri discutevano ad alta voce, i pedoni si agitavano, gettandosi occhiate dubbiose. Un pesante sospiro della Regina li richiamò all’ordine, nell’istante stesso in cui lui varcava il confine della scacchiera posizionandosi tra le sue pedine. Con l’esercito bianco alle spalle, Malfoy osservò i Neri acquietarsi: ognuno raggiunse la sua casa e lì si fermò mentre lui, con calma, si muoveva lungo il perimetro per decidere la propria mossa. Scelse di arroccarsi. Ordinò al Re di muoversi e dopo fece altrettanto con la Torre. Quando da tutte e angolazioni gli parve che la situazione fosse sotto controllo, rinfoderò la bacchetta e si voltò per andarsene.
Fu solo un guizzo, un movimento impercettibile che lo costrinse a girarsi. La Regina Nera lo stava guardando: aveva ruotato, silenziosa, sul proprio asse e adesso il suo volto impassibile era rivolvo verso di lui. Nel mondo bianco e nero che si estendeva i suoi piedi, Malfoy scorse una traccia di colore spento. Si avvicinò e scorse accanto all’orlo della veste regale un bocciolo di rosa secco e avvizzito che si chinò a raccogliere, incuriosito.

You say you wanted more
What are you waiting for
I'm not running from you

La porta della sala si socchiuse, portando con sé un’ondata di freddo e un profumo leggero. Ancora un tremolio impercettibile increspò l’aria ma dopo un poco Malfoy si convinse di essere solo e uscì dalla Sala degli Scacchi per andare a curiosare intorno alla Sezione Proibita.
Dopo essere riuscito a farsi cacciare in malo modo da Madama Pince, si ritrovò in una delle sale studio alla ricerca di qualche faccia familiare e di qualcuno con cui andare ad allenarsi a Quidditch, invece trovò una tavolata di Gryffindor intenta a sbucciare arance e a fare in comunità i compiti di Antiche Rune.
«Ognuno traduce una frase», annunciò Dean Thomas con aria autorevole. «Poi le uniamo».
Neville Paciock alzò una mano. «Io ho l’ultima, come faccio a capire se non so cosa viene prima?».
Thomas perse tempo a rispondere e fu bersagliato da una gragnola di bucce d’arancia. A un’estremità del tavolo, Harry Potter e Ron Weasley stavano facendo lezione di francese. Weasley leggeva ad alta voce le frasi da un libro elementare con un accento languido ed esagerato nella sua migliore imitazione di Fleur Delacour.
«Mi serve per ameliorare il mio franscese».
Harry Potter era piegato sul tavolo con gli occhiali di traverso e rideva come un deficiente. Weasley si schiarì la voce e si alzò, posò un piede sulla panca e cominciò a declamare tutta una scena della Sorcière Marie che prendeva la bacchetta da sopra il table e incantava le rose accanto alla fenêtre.
«Nessuno ha imparato l’Incantesimo di Traduzione?», domandò Thomas.
«È vietato dal regolamento», esclamò una voce femminile.
Le bucce d’arancia volarono immediatamente nel cestino della carta straccia, Ron Weasley smise di blaterare e Neville Paciock alzò uno sguardo adorante sulla nuova arrivata.
«Ron, il tuo accento è orribile», disse Hermione Granger in tono altezzoso, lasciando cadere la borsa dei libri ai piedi di una sedia. Stava per aggiungere qualcosa quando il suo sguardo si posò su Malfoy, ancora immobile accanto alla porta sul lato opposto della stanza, scivolò lungo la sua persona fino a fissarsi sulle sue mani. Gli occhi scuri si dilatarono appena, Paciock le disse qualcosa che parve sfuggirle.
Malfoy si guardò le dita e vide che il bocciolo secco aveva assunto la forma di una piccola rosa rossa e selvatica, petali carnosi e adesso vivi e colorati da cui si sprigionava un lieve profumo. Aveva dimenticato di averla con sé e, sorpreso, la lasciò cadere per terra.
Quando guardò di nuovo in direzione dei Gryffindor, la Granger aveva preso il tomo di Antiche Rune e stava spiegando qualcosa a Paciock senza prestargli più alcuna attenzione.

(From you)

****
Come break me down
Bury me, bury me
I am finished with you

«Ciao».
«Pansy, questo è il bagno dei maschi».
«Sto aspettando Blaise, facciamo sempre due chiacchiere mentre lui fa il bagno».
Malfoy non commentò, si limitò a controllare che il nodo dell’accappatoio non fosse troppo lento.
«Sai che pensavo l’altro giorno?», continuò lei senza prestare alcuna importanza al riflesso cupo nello specchio appannato dal vapore della doccia. «Che è passato un sacco di tempo dall’ultima volta che abbiamo fatto qualcosa insieme».
Draco si scompigliò i capelli bagnati deciso a non darle alcuna importanza.
«Potremmo andare a bere qualcosa da Madama Rosmerta, il prossimo fine settimana, così ci aggiorniamo su un po’ di cose. Non mi racconti più niente».
Lui si strinse nelle spalle e si passò una mano sul mento, indeciso se radersi o meno. «Non c’è niente da dire, Pans».
Con un movimento circolare della bacchetta si depose un ricciolo di schiuma densa sul palmo della mano, poi iniziò a spalmarla sul mento e sulle mandibole.
Con un sorriso amichevole, Pansy saltò a sedere sul ripiano dei lavandini. «Davvero? Carina quella cosa della rosa, invece».
«Non ho assolutamente idea di cosa tu stia parlando».
«Secondo me sì, invece. Una rosa, tu e la Granger che vi guardate in sala studio».
La mano di Malfoy era ferma mentre passava la lama del rasoio proprio sopra la vena del collo, il suo sguardo era del tutto indifferente. «Quel fiore secco che ho trovato in Biblioteca».
«Non te lo ha dato lei?».
«Tu sei fuori di testa».
«Meglio così. Lasciami essere chiara per il tuo bene», disse lei, in tono gentile. «Tu non sei Potter. È meglio se guardi un po’ più in basso».
«Come verso di te?».
«Non volevo offenderti», Pansy sollevò entrambe le mani. «Non c’è niente di personale ma non è a quelli come te che vanno la Coppa delle Case, quella del Quidditch e certe ragazze».
Draco Malfoy fissò con intensità la propria faccia nello specchio, dopo si sollevò un ciuffo biondo dalla fronte. «Niente stupida cicatrice, genitori vivi e vegeti, … no, non sono Potter». Intercettò lo sguardo di Blaise Zabini nello specchio ed entrambi scoppiarono in una grassa risata. L’espressione cortese sul volto di Pansy si sgretolò, mostrando un lampo di rabbia negli occhi neri.
«Portati via questa stordita», disse Malfoy rivolto a Zabini, in tono leggero. «Prima che mi tagliuzzi la faccia a forza di ridere».
«Andiamo a fumare», disse Zabini. La Parkinson uscì senza aggiungere altro, limitandosi a sbattersi la porta alle spalle. L’altro la seguì e Malfoy rimase di nuovo solo.

Look in my eyes
You’re killing me, killing me
All I wanted was you

Nel silenzio nato dalla risata interrotta, sospeso come vapore, aspro come il profumo del limone e della paura, si guardò nella cornice dello specchio e abbassò la mano che teneva il rasoio e che, adesso, tremava senza freno. Perse la presa sul manico e un rivolo di sangue sbocciò al lato del pollice, gocciolando sulla porcellana immacolata e fredda del lavandino.
****

I tried to be someone else
But nothing seemed to change
I know now, this is who I really am inside.

Una settimana dopo la Regina Nera teneva sotto scacco il suo Re.
La pioggia batteva contro i vetri con furia divina. Rivoli d’ombra scorrevano come acqua scura sui profili delle pedine, profili alti e muti nella semioscurità della Sala degli Scacchi.
Studiò a lungo la scacchiera. Accecato dalla rabbia dovette compiere il giro del perimetro ben quattro volte prima di comprendere l’origine del disastro. La facilità con cui il suo avversario aveva approfittato di un fianco scoperto, la perfezione con cui lui aveva costruito la sua difesa lasciando però libero un unico lato. Lui aveva previsto migliaia di mosse e contromosse, giocato centinaia di partite nella sua testa e non aveva previsto la semplicità.
Non apparteneva alla sua natura: lo disorientava al limite dell’odio, quell’ostilità e diffidenza che solo il diverso e l’arcano possono suscitare, la gente per cui tutto era lineare e che poteva arrivare, casa dopo casa, a toccare un obiettivo quando lui non era nemmeno in grado di concepire qualcosa che non fosse indiretto e tortuoso – girare intorno a un disegno così ampio che una mente qualsiasi non avrebbe potuto nemmeno abbracciarlo, né con i passi obliqui dell’Alfiere né con i salti del Cavallo.
Ordinò al Re di spostarsi, con una fredda collera che stroncò sul nascere qualsiasi protesta, solo un brusio metallico, simile a uno sciame di api meccaniche, si diffuse dietro le celate degli elmi. I finimenti di un Cavallo tintinnarono, una Torre si schiarì leggermente la voce.
«Silenzio», tuonò lui. «Oppure vi distruggo, tutti quanti».
Fu andandosene che vide l’errore, quell’imperdonabile distrazione che arriva solo alla fine di lunghi ragionamenti. Nel riflesso del pannello di vetro della porta, tra rivoli di acqua scura, nel bagliore di un lampo che, quasi un minuto dopo, ebbe la sua eco in un tuono lontano.
Tanto valeva ordinare al Re di arrendersi.
Con un cenno distratto della mano e senza neppure voltarsi, impartì il comando e il Re Bianco, con un gesto rabbioso ma non privo di rispetto, si piegò su un ginocchio, davanti alla Regina Nera.
Draco Malfoy studiò la scena nello specchio della vetrata e si impose di tacere. Mettersi a urlare e inveire davanti a una platea di scacchi non aveva senso e lui nella sua vita aveva fatto mille cose stupide ma mai una inutile.
Al tuono successivo però qualcosa prese il sopravvento e, prima di averne coscienza, si vide scagliare il pugno contro la vetrata, avvertì il gelo delle schegge e il caldo del sangue quando la pelle si squarciò. Poi, mentre il pannello si ricomponeva, i frammenti che per magia si ricomponevano tornando indietro nel tempo, lui vide un volto nel riflesso così come il vetro lo aveva catturato qualche ora prima quando era ancora integro.
Il suo avversario si girò per contemplare a lungo il Re Bianco e, infine, gli sfiorò un braccio come a chiedergli scusa prima di ordinare alla propria Regina di terminare il massacro.

Finally found myself
Fighting for a chance.
I know now, this is who I really am.

****

Sentì alle spalle dei passi che riconobbe all’istante. Impossibile confondersi: ogni volta si sentiva strisciare la sua presenza sottopelle. Intossicante, riempiva l’aria del corridoio deserto simile al profumo di certi oleandri investiti dal sole, un veleno comune che allungava dietro di sé le ombre di un’estate indiana.
La sua partenza per Beauxbatons era fissata per l’indomani mattina, una carrozza azzurra si sarebbe fermata davanti all’ingresso del Castello e ci sarebbero stati un’infinità di abbracci, saluti, il Preside Silente e la Professoressa McGranitt composti e commossi; promesse di cartoline, lettere e cioccolatini, bisou
e au revoir.
Non era così che doveva andare.
Per lui avrebbe dovuto inventare bugie da raccontare ai suoi amici e tenuto segreti da non condividere con nessun altro. In un luogo nascosto sui Pirenei, avrebbero dovuto guardare una luna francese attraverso fronde di alberi, abbracciati in un letto a baldacchino.
Quando lo superò per pararglisi davanti e sbarrargli la strada, Draco Malfoy scartò di lato senza mutare espressione e si allontanò.
«Malfoy».
Era la prima volta che sentiva il suo nome su quelle labbra senza gelo né rimprovero.
Si fermò, attese che quei passi lo raggiungessero di nuovo, che gli girassero intorno.
Avrebbe dovuto chiedere che cosa voleva oppure ordinarle di togliersi di torno, invece gli uscirono dalla bocca solo due parole. «Eri tu».
Hermione Granger incrociò le braccia sul seno e socchiuse gli occhi. «Non mi sbagliavo, eri convinto di giocare con Ron».
«Non sapevo che giocassi a scacchi. Pensavo fosse stato Weasley a sfidarmi».
«Ho letto dei libri», gli rispose, quasi scocciata, come se non avesse importanza.
«Come ti pare, Mezzosangue. Hai vinto. Ora vattene».
Anche davanti a quell’insulto spregevole il volto di lei non perse colore. Aveva le guance accese, gli occhi brillanti.
«Ho vinto perché ti sei distratto. Sei un bravo giocatore, Malfoy».
«Ti direi cosa puoi fartene dei tuoi complimenti ma in fondo sono un gentiluomo, e se adesso vuoi scusarmi …».
Si mosse verso destra, lei a sinistra, simile a una figura speculare di nuovo gli sbarrò il passo.
«Non ho finito».
Lui le rivolse uno sguardo esasperato. «Io sì. Vai a vantarti con Potter o vattene al diavolo, fa’ un po’ tu, per quanto mi può importare».
«Invece ti importa». Hermione Granger si interruppe e, se fosse stata un’altra, lui avrebbe giurato che sotto il suo sguardo sprezzante sarebbe fuggita in lacrime. «Ho notato che mi guardavi. Prima non capivo, adesso sì», terminò lei e la sua voce non era disgustata o soddisfatta, era soltanto melodiosa.
«Tu sei pazza», fece un passo verso di lei, il sorriso congelato sulla faccia. «Adesso togliti di torno, per cortesia. In un altro momento adorerei vedere come ti rendi ridicola ma al momento ne ho abbastanza di te».
«Domani andrò via».
C’era qualcosa nella sua voce, un’incrinatura – ansia, incertezza – che lo inchiodò a terra e quella fu la sua rovina.
«Te ne ricordi?», domandò lei.
Adesso aveva sotto gli occhi una rosa, quel piccolo bocciolo avvizzito che lui aveva raccolto dai piedi della Regina Nera e che, inaspettato, gli era sboccato tra le dita. Era ancora viva, petali spessi, un profumo dolce.
«È così da sei giorni, senza avere avuto neppure una goccia d’acqua», disse lei.

Come break me down
Bury me, bury me
I am finished with you, you, you.

Sei giorni senz’acqua, sei mesi senza incontrarla.
«Non ho idea di cosa tu stia dicendo» rispose lui e, mentre lo faceva, ricordò di avere detto la stessa cosa a Pansy e allora capì.
«Ma brava la signorina Gryffindor», esclamò, gelido. «Tutto quel tempo a pontificare contro la magia oscura e alla prima occasione utile utilizza un manufatto di dubbia classificazione».
Hermione Granger ebbe la decenza di arrossire. Una vampata che le accese un nugolo di lentiggini sul naso e le oscurò lo sguardo di un affascinante disappunto.
«Non si tratta di Magia Nera», disse, altezzosa. «Secondo il Paragrafo quarto del Regolamento Ministeriale numero ...».
«Vogliamo raccontarlo alla Professoressa McGranitt?», la interruppe lui. «Oppure a Madama Pince chiedendole come le sia saltato in mente di inserire la formula nel Reparto Proibito? Tra l’altro potrei anche chiederti come sei riuscita a trafugarla, ma è inutile fare queste domande su un Gryffindor, vero?». Aveva pronunciato quella parola come un insulto e adesso stava quasi urlando.
«Una Rosa di Sangue non può mentire», sussurrò lei. «Proprio tu. Non lo avrei creduto possibile».
«Avrai sbagliato qualcosa nella formula, Granger», sibilò lui. Si voltò verso la parete e vi picchiò il pugno lasciando una traccia rossastra di sangue.
«La tua mano… », cominciò lei.
Malfoy voltò la testa e si allontanò di un passo. «Non è niente, non ti riguarda».
«Non ho commesso errori», disse lei. «L’Incantesimo era eseguito alla perfezione: se tu non avessi provato nulla per me quella rosa sarebbe rimasta così com’era, invece il tuo tocco l’ha ravvivata. Non solo è sbocciata: è fiorita e da quasi una settimana è viva e bella senza una sola goccia d’acqua».
Malfoy abbassò gli occhi sul fiore. «C’è il tuo sangue lì dentro».
Lei annuì. «Ed è cresciuta esposta alle tue emozioni e alla tua passione».
«La Sala degli Scacchi», proferì lui, lentamente. «Ecco il perché di quella sfida anonima». Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e indietreggiò fino ad appoggiare le spalle al muro.

Look in my eyes
You're killing me, killing me
All I wanted was you

«Se lo racconti in giro nessuno ti crederà», disse.
Hermione Granger gli rivolse uno sguardo determinato. «Non lo farò».
Segreti che avrebbero diviso loro soltanto.
«Non hai detto a Potter e Weasley della sfida?».
«No. Ho detto loro che in Biblioteca volevo studiare, da sola».
Per lui avrebbe mentito.
Lei si avvicinò di un passo. «Domani partirò».
(Sei mesi senz’acqua, sei mesi senz’aria).
Una mano cercò la sua toccando la sua pelle offesa e il suo sangue, schegge di vetro nella carne e nel cuore. Esterrefatto guardò dita gentili intrecciarsi alle sue senza trovare la forza di respingerle.
«Tu sei sbagliata», disse lui, sottovoce.
«Sei innamorato di me?».
Draco Malfoy non aveva risposto e solo così era riuscito a sottrarle l’ultima parola, quella per cui aveva lottato e che alla fine gli era rimasta incastrata in bocca
(Veleno dietro l’aspetto ingannevole del miele, tanto amaro da sfigurargli il viso in una smorfia)
come l’esca di una trappola per topi che si chiudeva sopra la sua testa.
Aveva distolto lo sguardo, la mano stretta nella sua al punto che le loro ossa sembravano fondersi.
«Per ora mi basta», sussurrò lei.
L’indomani, quando si svegliò, era già partita.
Il giorno successivo arrivò il primo gufo, sulla pergamena era disegnata una scacchiera dove il bianco aveva già fatto la prima mossa.
****

Come break me down (bury me, bury me)
Break me down (bury me, bury me)
Break me down (bury me, bury me)

L’abitudine di contemplarne la sua mancanza era radicata al punto che quando la vide di fronte a sé, nel buio della Sala degli Scacchi, rimase impietrito.
Nella semioscurità di un’unica candela, la vide farsi largo tra il Cavallo e l’Alfiere che si tirarono di lato, con aria scontenta.

(You say you wanted more)
What if I wanted to break...?
(What are you waiting for?)

Il vuoto aveva riempito le sue ore come nulla avrebbe potuto – il senso di una risata fuggevole, una voce che echeggiava in un’aula, uno sguardo rivolto a qualcun altro che lui aveva preso per sé; riccioli castani che sparivano dietro una svolta del corridoio regalandogli un altro momento di illusione.
L’assenza non era qualcosa da plasmare a suo piacimento: troppo sottile per poterla controllare o, al contrario, poteva dilagare riempiendogli le costole fino a soffocarlo, prendendo il posto di cuore e fegato e respiro fino a lasciarlo sopra il letto, a sopportare senza speranza.
Però a giorni alterni arrivava una lettera dalla Francia, una scacchiera su cui annotare le sue mosse. A volte la completavano brevi commenti, altre la formula di una pozione insolita. Allora riprendeva respirare e si chiedeva se per lei fosse lo stesso.

Bury me, bury me
(I'm not running from you)
What if I

«Sei tornata».
«In questo momento, con una Passaporta da Parigi. Non ho nemmeno tolto i vestiti del viaggio». Lei batté le palpebre e si guardò intorno. «Non eri in Sala Grande. Speravo di trovarti qui, ma non osavo credere che sarebbe accaduto davvero».
«Perché sei venuta a cercarmi, Granger?».
«Ti ho fatto una domanda l’ultima volta che ci siamo parlati. Aspetto una risposta da sei mesi, non volevo rinviare un minuto di più».
Lui non parlò, si limitò a tenderle un braccio, con una risolutezza a cui sarebbe stato inutile tentare di opporsi.
Combattere ancora avrebbe significato perdere l’unica cosa che l’aveva sconfitto.
 (Nemmeno per la prima volta)
come in ogni istante in cui i suoi pensieri si posavano su ciò che sapeva non avrebbe mai potuto avere.
Il suo sguardo, il suo amore, il disgelo nelle sue mani se l’avesse toccata ancora.
Un momento dopo lei era contro il suo petto, le mani aggrappate al bavero del suo mantello. La sentì trattenere il fiato di colpo e capì di averla serrata nell’abbraccio implacabile che albergava, oscuro e bisognoso, nei recessi più incontrollati della sua anima.
«Hai continuato a giocare», disse lei, con un filo di voce incerta.
«Ogni giorno, contro me stesso».
Gli rispose un sorriso ansioso. «E chi ha vinto?».
Draco Malfoy inghiottì una risposta, un pezzo di vetro che gli avrebbe lasciato quelle parole in bocca nelle sembianze di una cicatrice che non sarebbe guarita mai più. Chinò il capo per appoggiarle la fronte sopra la testa e, infine, esalò un sospiro stanco.
«Tu. Hai vinto tu».


What if I
What if I
What if I
Bury me, bury me

30 Seconds to Mars, The Kill

*********


                                        Maybe
                            Per tutto, come sempre
   

Buon compleanno, Draco Malfoy.

Prego gli esperti di scacchi di non volermene per qualche errore e spero di essermi ricordata di non deformare tutta la pagina del sito! Questa storia la dedico a chi avrà capito da sé e a chi continua con pazienza e affetto a seguirmi da sempre. Apro sempre la mia pagina di EFP dove si trova una delle parti più importanti della mia vita. Vi ringrazio sempre per i commenti, per i messaggi, per gli incoraggiamenti. Ciò che ho conosciuto su questo sito e tramite voi – molti, ormai, amici da anni – è inestimabile e prezioso, in un modo che non riesco neppure a descrivere.

Come sempre, scrivere per voi è stato un onore.


                                    Savannah


   
 
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