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Autore: melianar    06/06/2015    13 recensioni
Elwing ha soltanto tre anni, quando il Doriath viene messo a ferro e fuoco dai figli di Feanor.
In questa piccola one-shot ho cercato di indagare i pensieri e le riflessioni che accompagnano una bambina che ha perduto tutto, ereditando, forse, un peso troppo grande per lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elwing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La chiamano rian nin, mia regina.
E lei li guarda con occhi smarriti, cercando sui loro volti l’ombra di un sorriso, di uno scherzo.
Ma non la trova.
Attorno a lei soltanto visi seri, composti, quasi li avessero scolpiti nella pietra.
Fatica a riconoscere, Elwing, in quei cipigli severi e segnati, gli uomini e le donne che un tempo giocavano con lei tra le alte fronde di Neldoreth, che ridevano delle sue buffe follie di bambina. Anche le loro voci le sembrano cambiate: così basse, soffocate, a tratti aspre… Eppure un tempo intonavano melodie così dolci da far stringere il cuore. Canti in grado di trascinare in mondi sconosciuti e strani, o che riuscivano a far danzare chiunque, senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Elwing lo ricorda. Ricorda ogni cosa. L’odore fresco e rassicurante di Menegroth e quello intenso e pregno di segreti della foresta di neldoreth. Ma ricorda anche l’odore acre del fumo e quello penetrante, inconfondibile, del sangue.
Ricorda grida selvagge e incomprensibili in una lingua sconosciuta, pregne d’un’ira antica quanto crudele.
E quell’unica, assordante parola a risuonarle nelle orecchie:
Silmaril. Silmaril.
Che cosa vogliono? Cosa significa Silmaril? Avrebbe voluto chiedere.
Ma gli occhi di sua madre erano colmi di terrore.
E suo padre? Dov’era ada? Elwing non sa dirlo e, in ogni caso, non ha più importanza.
Perché sono morti, tutti. Suo padre, sua madre, i suoi fratelli.
Lo ha capito subito. Prima che glielo dicesse hiril Galadriel, con quel tono gentile con cui spesso gli adulti si rivolgono ai bambini. Per questo non ha pianto.
Non piange mai, Elwing. La chiamano rian nin, mia regina. E le regine non piangono.
Siede in silenzio, diritta, composta, a osservare questa terra così lontana, così diversa.
Sono le foci del fiume Sirion, le hanno detto. E’ qui che il fiume incontra il mare, le hanno spiegato. Ma lei continua a preferire il sussurro inquieto e rapido dell’Esgalduin. La sua voce lieve e possente a un tempo, di cui aveva appena cominciato a capire il linguaggio.
Il canto del mare è troppo cupo, feroce. Un canto che racchiude in sé segreti, ma sono troppo misteriosi e oscuri perché Elwing abbia voglia di scoprirli.
Uccelli d’ogni sorta volano sopra di lei in ampi cerchi, emettendo le loro grida acute e stridule.
A volte, quando non la vede nessuno, Elwing spalanca le braccia e finge d’essere un gabbiano, un cigno, uno qualsiasi di quegli uccelli di cui ignora il nome. Come può soffrire, chi è in grado di volare?
Ma non saprebbe che farsene, Elwing, di un paio di ali. Non tornerebbe certo a Menegroth, a contemplare le rovine di un passato ormai perduto per sempre. E non vi sono altri luoghi, che possa interessarle visitare.
Spesso lo sguardo le cade sul Silevril, splendente come una stella sul suo petto.
Un gioiello pesante, troppo per una bambina. Ma lei non ha voluto separarsene.
Non ricorda nemmeno come sia finito in mano sua, chi sia stato ad affidarlo a lei.
Ma non importa.
Quando lo guarda Elwing rivede suo padre, i suoi occhi gentili, il suo sorriso, e allora artigli spietati le serrano la gola.
Ma non piange. Non vuole. Non può.  
“Me lo regali, ada?” Aveva chiesto una sera, saltando sulle ginocchia del padre.
Lui aveva riso. “E’ un gioiello importante, questo”.
Così le aveva detto, e le aveva raccontato una storia. Una storia d’amore e di morte, di sacrificio e speranza.
“E’ anche la tua storia, bambina mia. La nostra storia”.
Sì, è anche la sua storia. Elwing lo capisce, ora che uomini e donne le si avvicinano e con gentilezza le chiedono di poter vedere il Silevril, di poterlo toccare, per poi andarsene con gli occhi accesi di speranza.
La chiamano rian nin, mia regina. E mentre li guarda, per la prima volta da lungo tempo, Elwing sorride.

 
 
 
 
 
Note
 
Torno alla carica dopo mesi e mesi di lungo silenzio, con questa cosina che, lo so, è abbastanza mediocre.
Ma è il primo racconto che riesco a terminare da tempo immemore, perciò beh, sono felice!
Ebbene sì, a volte mi piace farmi del male. Così ho deciso di concentrarmi sull’impronta che il secondo fratricidio deve inevitabilmente aver lasciato su Elwing che, secondo le cronologie forniteci da Tolkien, all’epoca aveva tre anni.
Non so, forse ho reso Elwing più adulta e, in qualche modo, più “matura” di quanto la sua età non richieda, tuttavia ho pensato che gli eventi l’abbiano fatta crescere anzitempo, inoltre penso che i bambini elfici, per quanto bambini come tutti gli altri, abbiano in sé una saggezza maggiore rispetto ai loro coetanei mortali.
“Ada” significa “papà” in Sindarin, il “Silevril” altro non è se non il nome Sindarin del Silmaril, mentre “hiril” significa “dama”, sempre in Sindarin.
La Galadriel qui citata è esattamente colei che tutti ben conosciamo: ci vien detto, infatti, che nella prima era ella dimorò a lungo nel Doriath presso Melian… Non so se si trovasse ancora lì al tempo del fratricidio, ma io ho sempre immaginato sia stata lei a trarre in salvo Elwing, perciò ho inserito questo mio Headcanon.
Altra mia piccola licenza sono gli incendi: non sappiamo se il Doriath sia effettivamente andato in fumo, ma a me “piace” immaginarlo così.
Ultima, enorme libertà che mi sono presa, è il fatto che il popolo già si rivolgesse a Elwing, una bambina così piccola, con l’appellativo di “regina”. Ma questo mi serviva a sottolineare il peso che Elwing avverte su di sé, inoltre immagino che, essendo l’unica sopravvissuta della sua famiglia, nonché portatrice del Silmaril, Elwing rivestisse già un’enorme importanza per i superstiti del Doriath.  
I termini “uomo” e “donna” utilizzati nella narrazione naturalmente si riferiscono sempre a Elfi, ma ho preferito utilizzarli per rappresentare rispettivamente persone di sesso maschile e femminile, indipendentemente dalla razza cui appartengono.
 
Un caloroso ringraziamento va a Tyelemmaiwe, mia inconsapevole ispiratrice nonché mia pazientissima beta, e a Benni (Leila91) altra donna dotata di pazienza e disponibilità incredibili, a cui si devono la bella impaginazione e l’html ben riuscito di questa storia.
A questo proposito ne approfitto per farmi un po’ di pubblicità: ringrazio Benni, di nuovo, per aver sistemato l’html anche di “Ritratti di dame”, che ora è decisamente più leggibile e che spero di riprendere ad aggiornare presto, ma questa è un’altra storia, in tutti i sensi XD.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui, se qualcuno vorrà lasciarmi un commento (anche critico, sono sempre aperta!) ve ne sarò, come sempre, infinitamente grata.
A presto!
 
Melianar        
     
  
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