Double Ace
Davanti
a lui aveva un ragazzo che gli assomigliava incredibilmente: aveva i
suoi stessi capelli, i suoi stessi occhi, le sue stesse lentiggini;
eppure nel comportamento non riusciva a ritrovarsi. Questo tipo
sorrideva continuamente, aveva l'aria allegra nonostante i suoi occhi
tradissero una certa tristezza.
Possibile
che avesse un fratello più grande?
Era
sempre stato abituato ad essere lui, insieme a Sabo, il maggiore; mai
aveva pensato ad una possibilità di quel genere.
Era
persino riuscito ad anticipare le sue mosse, parare i suoi colpi e a
fargli volar via con un solo semplice calcio, quel bastone di ferro
che lo accompagnava dappertutto.
Avrebbe
tanto voluto che ci fossero Sabo e Rufy lì con lui, ma
inspiegabilmente lo avevano lasciato da solo. Con quel tizio.
Quella
situazione aveva qualcosa di inquietante e surreale.
Non
aveva affatto voglia di stare lì, avrebbe preferito scappare
il più
lontano possibile, ma il suo orgoglio glielo impediva.
Non
si fermava davanti a niente, nemmeno ad una tigre gigante.
Beh,
forse a quella sì, ma ancora per poco.
“Che
vuoi?” gli aveva chiesto con un tono poco gentile, sperando
di
intimorire il ragazzo dalla ribelle chioma corvina.
Per
tutta risposta quello lì sorrise ancora di più,
facendo saltare i
nervi al piccolo Ace.
“Che
hai da ridere?” il suo tono si era alzato, quasi ad urlare,
per
poter sembrare un minimo più convincente, ed ingoiare la
paura che
gli si era insinuata in gola.
Di
nuovo quel tipo sorrise, se possibile con ancora più denti
di quanti
ne avesse un uomo normale.
Ma
che diavolo aveva da ridere?
Osservò
quel bambino dall'aria scontrosa davanti a lui, mentre un sorrisetto
si faceva largo tra le sue labbra a sostituire quello gigantesco di
poco prima.
Il
piccolo Ace lo guardava un po' intimorito, non capendo davvero per
quale motivo quel colosso muscoloso e dallo strano cappello, fosse
piombato davanti a lui a quel modo.
Era
giunto all'improvviso senza fare rumore, parandosi come un muro
davanti a lui.
“Devo
dire che non ero molto simpatico, da bambino!” disse il
ragazzo,
lasciando che sullo sguardo del bambino si facesse largo un'occhiata
molto dubbiosa.
“Ma
che diavolo stai dicendo?” chiese scorbutico, non capendo
davvero
che cosa potesse intendere.
Il
ragazzo più grande si stiracchiò, lasciando che i
raggi di sole,
che filtravano dalle alte fronde degli alberi, gli inondassero le
tante lentiggini disseminate sul viso.
Rise
ancora.
“Tu
devi essere Ace, vero?” chiese, dopo un minuto di silenzio,
facendo
cadere la domanda di poco prima.
Il
piccolo Ace era stupito e iniziava ad avere seriamente paura. Avrebbe
almeno voluto avere il suo fedele bastone; invece quello era stato
buttato vicino ai piedi di un albero poco lontano.
“E
anche se fosse? Cosa ti interessa?” aveva ringhiato, ma la
sua voce
tradiva paura e un leggero tremore.
Quel
ragazzo aveva qualcosa di familiare, eppure non riusciva a non
esserne spaventato a morte.
“Tranquillo,
non voglio farti del male” aveva risposto gentilmente,
sorridendo
sincero.
“Anzi,
ti chiedo scusa per averti fatto volare via il bastone”
E
detto questo, raggiunse proprio quest'ultimo, raccogliendolo da terra
e stando ad osservarlo per un po'. Gli tornarono alla mente tanti
ricordi legati a quell'oggetto, ricordi che avrebbe sempre portato
nel cuore, preziosi come un tesoro.
Tornò
indietro, porgendolo al bimbo, che lo prese con uno scatto felino,
pronto ad attaccare in caso di pericolo.
Il
piccolo notò un grosso tatuaggio sul braccio sinistro che
assomigliava al suo nome, ma non fece domande, limitandosi ad
osservarlo, attento a non farsi scoprire. Chissà cosa stava
a
significare.
“Che
cosa vuoi?” chiese al più grande in tono
minaccioso.
“Voglio
parlare con te per un momento” il sorriso era sparito,
lasciando
spazio ad un'espressione molto seria.
Il
piccolo Ace ancora non si fidava, e teneva ben saldo il bastone tra
le mani, come se gli desse sicurezza.
“Chi
sei?” quasi lo sussurrò, come se fosse intimorito
dal sapere la
risposta. Aveva il presentimento che non gli sarebbe piaciuta
affatto.
“Non
importa, in questo momento...” fu la sua risposta, che in
qualche
modo celava qualcosa di strano e in un certo senso temibile.
Il
piccolo Ace non volle indagare oltre, nonostante la
curiosità
iniziasse a farsi largo nella sua mente. Quella piccola sicurezza che
derivava dal non sapere chi fosse il ragazzo davanti a lui, lo
rendeva inspiegabilmente più tranquillo.
Ci
fu un attimo di silenzio, dove nessuno dei due proferì
parola; l'uno
perché troppo intimorito, l'altro perché stava
pesando le giuste
parole da pronunciare.
“Sei
il figlio di Gol D. Roger, non è vero?” fu
così che ruppe il
silenzio, con una domanda che sapeva bene, avrebbe scatenato una
reazione non molto gentile.
“E
tu come fai a saperlo?” il piccolo strinse i pugni sulla sua
arma,
facendo diventare bianche le nocche, indeciso o no se scagliarsi
contro chi aveva nominato il nome di suo padre, che tanto odiava.
“Non
è importante nemmeno questo”
“Adesso
basta!” questa volta il piccolo Ace perse la pazienza,
scagliandosi
contro quel ragazzo misterioso che iniziava ad infastidirlo. Sapeva
che probabilmente lo avrebbe atterrato con estrema facilità,
ma
stare lì impalato mentre veniva offeso, non rientrava di
certo nei
suoi canoni.
Fece
un balzo che lo portò proprio sopra la sua testa,
tirò le braccia
in aria e si preparò per colpire l'avversario con un colpo
micidiale. Ma non poteva sapere che colui che era appena un metro
sotto di sé, era uno degli uomini più forti del
mondo. O per meglio
dire, sarebbe stato uno degli uomini più forti del mondo.
Una
lingua di fuoco avvolse il bastone, costringendo il bambino a
lasciarlo cadere a terra, le mani doloranti. Con un movimento
velocissimo, il ragazzo lo prese per il colletto della maglietta,
portandoselo vicino al viso, in modo da poterlo vedere negli occhi e
costringerlo a fare lo stesso.
“Stai
esagerando” gli disse serio, a pochi centimetri dal suo naso,
gli
occhi quasi ridotti a due fessure.
“Ho
detto che voglio solo parlarti, ma se mi costringi a usare le maniere
forti, lo farò”
Il
piccolo Ace si irrigidì, cercando di divincolarsi dalla
stretta, ma
capendo poco dopo che sarebbe stato tutto inutile. Quel ragazzo era
troppo forte e troppo muscoloso per lui.
Si
arrese all'inevitabile, aspettandosi qualsiasi cosa da un momento
all'altro.
Contro
tutte le sue previsioni, l'uomo lentigginoso lo lasciò
andare,
appoggiandolo delicatamente a terra. Senza aspettare nulla, nemmeno
che il bambino avesse tempo di pensare di poter scappare,
iniziò a
parlare, l'aria seria come non aveva mai avuto.
“Lo
so che non vuoi che il nome di tuo padre venga pronunciato”
iniziò,
provocando una scossa alla spina dorsale del più piccolo.
“Ma
so anche che avrai un padre, uno vero, che ti saprà rendere
orgoglioso di chiamarlo tale”
Il
piccolo non capiva; il ragazzo lo guardò, tornando a
sorridere. In
effetti era ancora un bambino, doveva fargliela un po' più
semplice.
“Un
giorno, troverai un uomo degno di essere chiamato padre”
disse
infine.
“Non
ci credo, è una bugia!” gli urlò il
piccolo per risposta,
convinto della sua affermazione. In effetti non ci credeva davvero,
abituato ad essere considerato il figlio di un mostro.
“Anche
io non ci credevo, quando ero come te” riprese lui calmo,
abbassando leggermente la testa.
Il
piccolo Ace la inclinò di lato.
“Ma
poi ho trovato chi mi voleva davvero bene, oltre ai miei
fratelli”
Un
'altra scossa pervase la colonna vertebrale di Ace, immobile e
ammutolito davanti a lui.
“Ne
ho trovati tanti altri, e mi hanno accettato per quello che sono. E
ho capito che nel mondo c'era davvero qualcuno che poteva
amarmi”
“Tu
non sei come me!” un altro grido del bambino, sull'orlo delle
lacrime che non avrebbe mai pianto davanti a quel tizio. Un vero uomo
non piange mai.
“Siamo
più simili di quanto credi” gli aveva risposto
sorridendo, alzando
lo sguardo verso di lui, per poi abbassarlo e continuare il discorso.
Il cappello arancione gli copriva gli occhi.
“So
che pensi che forse sarebbe stato meglio non nascere, per evitare di
creare mille problemi a te e a chi ti sta accanto”
Il
piccolo Ace era pietrificato. Come diavolo faceva a sapere quello che
pensava?
“Ma
ti assicuro che non è così. Io l'ho capito troppo
tardi, ma tu puoi
farlo prima” alzò nuovamente lo sguardo per
incontrare quello
sgranato e impaurito del bambino di fronte a lui. Era zitto e non
osava proferir parola; sembrava inchiodato a terra, come se qualcuno
lo stesse trattenendo. Il ragazzo sorrise.
“Chi
ti ama, lo fa a prescindere da chi sei”
“Nessuno
può amarmi! Io sono il figlio di un mostro!”
Una
morsa allo stomaco prese il ragazzo più grande; gli faceva
ancora
male dopo anni. Forse non ne sarebbe mai uscito per davvero.
“Tu
sei figlio di chi scegli di essere. Un padre non è
necessariamente
quello con cui hai un legame di sangue; un padre è colui che
ti
cresce e che ha fiducia in te. Colui che non sta a guardare chi sei
in teoria, ma che guarda chi sei in pratica”
E
credeva fermamente nelle parole che stava dicendo; notò con
piacere
che negli occhi del bambino, di appena dieci anni, si accese un
barlume di quella che pareva speranza. Non disse nulla, ma i suoi
occhi dicevano tutto.
“Ricorda
che se sei al mondo, una ragione esiste. Ed esistono anche le persone
che ti ameranno incondizionatamente, e che faranno di te un punto di
riferimento. Ad esempio tuo fratello Rufy”
Il
bambino, se possibile, rimase ancora più spiazzato.
Prima
leggeva i suoi pensieri nemmeno fosse stato lui stesso a dirglieli, e
adesso sapeva anche che suo fratello si chiamava Rufy?
Ma
chi era quel ragazzo? Cosa voleva da lui?
Voleva
parlare, ma le parole che sarebbero dovute uscire, morirono in gola
ancora prima di prendere vita. Il suo discorso lo stava stregando,
quasi; era come se dentro di lui si stesse facendo strada una
consapevolezza mai avuta prima.
“Ricordati
sempre, sempre, ovunque andrai, che là fuori c'è
sempre qualcuno
che penserà a te” tornò a sorridere,
avvicinandosi al bambino,
che rimase piantato per terra, incapace di muoversi.
“E
non dimenticare nemmeno, che anche i veri uomini, piangono”
Si
abbassò per arrivare a guardarlo un momento negli occhi, per
poi
rialzarsi e scompigliargli i capelli corti.
Si
allontanò, prendendo il sentiero che lo avrebbe condotto in
città,
se non si fosse perso prima.
Il
piccolo Ace guardò la sua schiena diventare sempre
più piccola;
voleva dire qualcosa, ma era ancora paralizzato da non sapeva bene
cosa nemmeno lui.
Poi,
d'un tratto, quelle parole fino a quel momento soffocate, uscirono
impetuose in un grido sonoro.
“Ma
tu chi sei?!”
Il
ragazzo si girò, lo poteva ancora vedere sorridere.
Alzò la mano
destra, che improvvisamente prese fuoco, le fiamme divamparono quasi
pericolosamente.
“Io
sono Ace Pugno di Fuoco!”
Quel
nome avrebbe capito presto essere il suo.
Quelle
parole essere anch'esse le sue.
Non
sapeva né come e né tanto meno il
perché, il sé stesso che
sarebbe diventato, si fosse presentato lì. Non lo avrebbe
mai
saputo, in realtà.
Era
stato un incontro molto breve, ma che gli sarebbe per sempre rimasto
impresso a fuoco nella memoria, e gli avrebbe cambiato tutto.
Doveva
ringraziarlo per avergli permesso di vivere in maniera diversa quello
che rimaneva della sua vita.
Non
avrebbe cambiato il suo destino, perché le scelte che
avrebbe fatto
sarebbero state comunque le stesse, a prescindere da tutto.
Ma
avrebbe cambiato il modo di vederlo, quel destino e quel futuro; gli
avrebbe permesso di non tormentarsi più con quelle mille
domande che
da sempre lo assillavano. Gli avrebbe permesso di vivere la vita con
una sfumatura mai percepita prima di allora, in modo più
sereno.
Gli
avrebbe permesso di vivere.
Dopotutto,
era stato proprio lui a raccomandarsi su quelle cose, o no?
Chi
più di lui, poteva aver ragione su tutto quello?
ANGOLO DELLA DEMENZA
Ammetto
che non so bene da dove mi sia uscita fuori, e come mi sia uscita
fuori soprattutto, questa idea. Forse girovagando per google e
vedendo per caso un'immagine di Ace adulto che stringe la mano al
sé
stesso più piccolo.
Mi
è venuta voglia di mettere a confronto i due Ace, che a
parer mio
cambiano solo nel carattere, perché i valori e i tormenti
rimangono
sempre gli stessi. Ho voluto forse dare una possibilità ad
Ace di
vivere una vita più dignitosa e serena di quanto non abbia
mai fatto
veramente.
Spero
solo di non aver preso a calci questo personaggio, che io amo con
tutto il cuore, davvero.
È
ben accetta qualsiasi cosa, ovviamente.
E
ovviamente, grazie per aver letto!
Peace
& Love! <3