Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |      
Autore: NIKELMANN    07/06/2015    2 recensioni
Breve racconto onirico su una ragazza in lutto; il Dottore deve intervenire perché qualcuno ne ha bisogno. L'idea del racconto arriva in parte da tratti autobiografici ed in parte dalla voglia di far usare al Dottore termini medici, cosa che nella serie avviene molto di rado. Il lettore è libero di immaginare l'incarnazione del Dottore che più preferisce, non vengono forniti dettagli di proposito.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - Altro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Aveva pianto finché non aveva più lacrime. Le sembrava fossero pioggia su una statua, una pioggia lenta, ma corrosiva, che mangiando poco a poco la calce dalla pietra, lasciasse solchi indelebili.

Per fortuna non è tanto facile leggere i solchi sul volto delle persone. Sono troppo piccoli, troppo leggeri e, alle volte, sono solo troppi per essere distinti. Non voleva toccarsi il volto per paura di sentirli sotto i polpastrelli o, viceversa, di constatare che non ci fosse nulla, cosa che l’avrebbe fatta sentire in colpa perché il proprio dolore non era abbastanza profondo da lasciare segni indelebili.

Aveva anche considerato di farsi del male da sola, presa da una follia amara.

Fenomeno strano la follia. È un rumore nella testa che non vuole andare via, un’ustione a freddo che ti spinge a strapparti di dosso i vestiti e gridare nuda sotto la pioggia battente, è un dolore che il cuore non può sopportare e che il cervello non riesce ad elaborare, una misurazione fuori scala in cui il male che si prova si confonde e ti turbina dentro tanto a lungo da diventare quasi un’estasi, da spingerti a provare un vergognoso piacere e capire quanto ti saresti sentita vuota se venisse portato via da te.

Giureresti che, come il dolore, da tsunami violento ed arrogante, tanto potente da spazzare via tutto il resto, se ne sarebbe andato via, ti avrebbe lasciato tanto vuota da farti implodere su te stessa, magari cadere a terra come un mucchio di stracci vecchi e bagnati, in attesa di marcire all’umidità e ai tarli.

Stava male, troppo e non riusciva a sopportarlo oltre. Chiunque in quelle condizioni ha bisogno di aiuto. Chiunque in quelle condizioni lo merita, ma lei non era semplicemente in grado di rendersene conto. Come se i propri problemi, no, il dolore stesso, fosse diventato un amico troppo caro, l’unica cosa che ancora le permette di andare avanti e tutto l’epicentro della sua esistenza e se qualcun altro glielo avesse strappato via, avrebbe provato la stessa angoscia e disperazione di una madre che si vede strappare il figlio dalle braccia.

O forse, tutto il contrario.

Forse che qualcuno, aiutandola, avrebbe promesso una miracolosa guarigione e le avrebbe venduto con un sorriso eloquente un elisir di lunga vita, svelandosi per ciarlatano solo in un secondo momento, quando lei avrebbe scoperto che l’elisir erano solo fiori di neve ed acqua di fonte, lasciandola con l’assoluta, agghiacciante consapevolezza che la speranza ed il futuro non erano più cosa sulla quale lei potesse fare affidamento.

Una situazione impossibile. Se fosse stata una fiaba, lei sarebbe stata una principessa afflitta da un drago che l’aveva rapita per aggiungerla alla propria collezione e che la teneva in una torre segreta e aveva persino spento la sua memoria dal mondo, così che nessuno avrebbe più potuto trovarla e salvarla. In una circostanza del genere, solo un eroe avrebbe potuto salvarla.

Avrebbe potuto.

Voleva poter dire che gli eroi non esistono, voleva poter dire di averci smesso di credere una volta divenuta adulta, quando il suo primo amore era cambiato, o forse era cambiata lei e si era resa conto che la vita chiede compromessi e che le favole sono così meravigliose solo perché si poggiano sulla piccola, sporca, meschina ed irrealistica bugia che le conclude con un “e vissero tutti felici e contenti”.
Invece lei conosceva un eroe. Un viaggiatore dei sogni, del tempo e dello spazio, un uomo meraviglioso che metteva tutto a posto con un cenno del suo cacciavite sonico, che arrivava in qualunque momento lei ne avesse avuto bisogno con un destriero a forma di scatola blu, che nitriva un rumore stridulo ed al contempo così intriso di speranza da renderlo dolce all’udito.

Lei conosceva il Dottore, ed il Dottore l’aveva visitata. Le aveva chiesto di raccontarle tutto. Il terribile misfatto, la famiglia distrutta, troppo in pezzi per essere tenuta insieme, l’angoscia, la solitudine, la disperazione e persino la follia, quella vera, quella che ti tenta di smettere di sancire un confine tra piacere e dolore e vivere in una stretta e precipitosa scala a chiocciola che non porta da nessuna parte se non da dove sia venuto.

Il Dottore l’aveva vista in pezzi e tutto quello che le aveva chiesto era chi fosse stato.

E lei gli aveva parlato di quel piccolo uomo, quel ratto immondo che le aveva rubato il tesoro più prezioso ed era scappato ad infilarsi in cunicoli troppo bui ed intricati perché la luce del sole e la giustizia lo trovassero. Aveva corrotto altri topi con succulenti banchetti a base di immondizia e marciume, che, complici squittenti, avevano giurato di tenerlo in salvo, a meno di trovare chi offrisse loro di più.
Aveva raccontato di come questi ratti avessero sussurrato alle orecchie della gente per bene mentre dormiva, confondendo i loro sogni e le loro menti per manipolarli come burattini.

Aveva raccontato di come fossero entrati di notte in silenzio ed avessero rosicchiato prove, manomesso i fatti, rigirato la frittata in modo da rendere tutto astratto e confuso e di come nessuno volesse mettere la cosa a posto.

Aveva raccontato che quel ratto aveva compiuto quel gesto in un momento di ebbrezza e che lei non ci aveva mai nemmeno creduto che alcuni uomini fossero tanto viscidi dal fuggire le proprie responsabilità anche quando crimini di tale bruttura fossero stati commessi.

Ed il Dottore aveva ascoltato in silenzio. Si era aggiustato quel capo di vestiario tanto particolare un paio di volte, ed alcune volte aveva distolto lo sguardo per un secondo, per poi posarlo nuovamente su di lei, come se fosse difficile guardarla, ma andasse fatto lo stesso.
Poi il Dottore si era alzato in piedi e si era avviato per tornare al TARDIS.

Con la voce rotta dalle lacrime lei gli aveva gridato di aiutarla prima che sparisse. Si era fermato sulla soglia, solo i suoi contorni visibili e le aveva risposto:

-Non posso fare niente. Non per te. Io sono il Dottore, non un giudice.-

Quando nemmeno la fantasia può portarti in salvo, quando nemmeno il più dolce dei sogni può salvarti dall’incubo più atroce, quando non resta nulla se non l’oscurità.

Era in uno stato di trance mentre riempiva la vasca da bagno. Non si era mai accorta di quanta ruggine ci fosse in quella vasca e tutto ad un tratto le importava che fosse pulita. Chissà perché solo loro avevano una vasca di metallo, mentre tutti ne hanno in ceramiche o plastiche bianche.

Così provò a pulirla ed a levare le incrostazioni sudicie, ma per quanto riempissero le sue mani di sporcizia, non riusciva mai a levarle. Poco importava, si rassegnò.

Riempì la vasca di acqua calda e la fissò colmarsi millimetro per millimetro. Stese un letto di petali di rosa sul pelo dell’acqua, alcuni si sciolsero colorandola, stranamente di un verde radioattivo.

Scherzi dell’ottone, si disse tra sé e sé. Non era un concerto per ottoni quello. Non c’erano fiati, né percussioni, nemmeno un direttore di orchestra. Era un assolo per violino. Lanciò uno sguardo a terra all’archetto.

Un rasoio.

Entrò nella vasca un piede dopo l’altro, scossa dallo sbalzo termico e da quella strana sensazione della ruggine sotto i piedi, come di tanti piccoli insetti che le mordevano la carne.

Non importava naturalmente, tutto ciò che contava era che sarebbe rimasta bella e dignitosa. In un bagno coperto di petali di rosa, quelli che non erano marciti all’acqua, recuperata dopo qualche giorno quando qualcuno si sarebbe fatto forza abbastanza per andare a trovarla.
Si distese e quella sensazione di disgusto e di profanazione le si estese per tutto il corpo. Era pronta per il viaggio. Sentiva di trovarsi in un posto troppo angusto e pieno, non riusciva a tenere la testa fuori dall’acqua, doveva aver riempito troppo la vasca. Si rammaricò perché il suo viaggio cominciava in un tugurio tanto più piccolo all’interno, al contrario di quanto aveva sempre sognato.

Si afferrò al bordo per tirarsi oltre quello e raggiungere il rasoio, ma l’acqua traboccante l’aveva spinto troppo lontano. Il bordo della vasca era di metallo tagliente ed arrugginito, e lei si era dovuta issare contro fino ad appoggiarci la pancia, ferendosi con il peso del proprio stesso corpo e per l’acqua ormai melmosa che la tirava a fondo. Allungò il braccio, cercando di arrivare alla lama, sentendo la disperazione crescere mentre anche quell’ultimo, estremo conforto le veniva negato.

Un braccio forte la cinse alla vita, sollevandola e tirandola fuori dall’acqua. Si dimenò, sbracciando, mentre le veniva in mente l’associazione con una trota pescata dal fiume che cerca di liberarsi dall’amo.

-Cosa diavolo stai facendo, Sophie?!- Il Dottore le parlò con una voce dura e fredda come il ghiaccio, che andò a raffreddarle la mente. In altre circostanze si sarebbe resa conto di essere nuda di fronte al Dottore, ma era troppo alienata e continuò a divincolarsi.

Il Dottore le prese il volto tra le mani e la guardò negli occhi: -Sophie! Sophie, va tutto bene. Andrà tutto bene…-

Le lacrime tornarono a rigarle il volto: -No, non è vero è una bugia!-

Lui sorrise amaramente e teneramente: -Certo che è una bugia. Ma non per questo ne hai meno bisogno.- Appoggio la propria fronte alla sua e lei sentì la propria mente febbricitante farsi fredda e lucida, mentre il corpo scosso da brividi si rilassava di un calore asciutto.

Quando riaprì gli occhi, si trovava in mezzo alla strada, completamente vestita, con il Dottore al suo fianco. Si guardò attorno senza capire.
-Stai sognando, Sophie. È tutto solo un sogno, ma per fortuna non è il tuo.-

Sophie non aveva mai dubitato delle parole del Dottore. Il Dottore non sbagliava mai, anche se a volte mentiva. Come avevano fatto ad essere in un sogno?

-Kantrofarri, rispose il Dottore prima che lei avesse il tempo di porre la domanda, Granchi dei Sogni. Sono dei predatori di cervelli che si avviluppano alla testa delle loro vittime. Ma in questo caso le vittime sono loro. Presto capirai.-

Camminarono per un periodo lunghissimo, ma, come in tutti i sogni, a lei parve durare al contempo un’eternità ed un solo respiro. Le auto nella lunga discesa sopra la scuola erano bloccate nel traffico. Letteralmente bloccate. Tutto era immobile, fermo, congelato. Un ragazzo teneva le mani tra i capelli, guardando un punto fisso, una bambina aveva girato di scatto la testa, le sue trecce sospese a mezz’aria.
Era come se però tutto respirasse, come se oscillasse leggermente, tra due secondi di tempo consecutivi.

Era lì in mezzo alla strada. L’occhio del ciclone. L’epicentro del terremoto, la scena dell’incidente. Un motorino a mezz’aria, il suo pilota, così familiare, censurato dal casco, a testa in giù, il mezzo sopra la sua testa, quel corpo piegato in maniera innaturale, il tutto sembrava voler cadere e schiantarsi contro la strada.

Si avvicinarono alla scena, cominciando ad udire un flebile rantolio. Sophie vide quell’uomo il cui volto non avrebbe mai potuto dimenticare, con i lineamenti contratti dall’orrore. Guardava in un punto fisso, verso suo fratello.

-Dove credi stia guardando, Sophie?-

Lei seguì la direzione del suo sguardo. Da fuori dell’abitacolo non poteva esserne sicura, ma era convinta che fosse l’unica posizione dalla quale fosse possibile scorgere dentro il casco della sua vittima.

Si rese conto che l’autista assassino era cosciente. Non sapeva dire come, perché anche lui era congelato in quel grigio istante. Si avvicinò alla macchina per cercare di scorgere il volto che non aveva più visto, ma il Dottore glielo impedì.

-No, ascolta. Ascolta in silenzio, Sophie…-

Lei ascoltò un paio di secondi prima di rendersi conto che l’autista stava urlando un grido senza voce, un rantolo che partiva dalle sue stesse viscere. L’intensità del grido crebbe e crebbe ancora, finché non fu in grado di ingoiare tutto nelle sue fauci aperte e disperate.
L’uomo era nel suo letto. Appena sveglio, madido di sudore freddo per l’incubo. Loro osservavano la scena come fantasmi, in silenzio ed in punta di piedi. L’uomo che cerca la lampada del comodino e si rende conto di non trovarsi affatto a casa.

Si rende conto di avere un giovane cadavere sdraiato vicino. Freddo, rigido e congelato. Vorrebbe muoversi, scappare, ma all’improvviso si rende conto di non poterlo fare, anche lui è immobilizzato, come se le sue membra fossero morte e solo la sua mente cosciente.

Per nessun valido motivo, il cadavere era ora illuminato e ricambiava lo sguardo con occhi sbarrati e vuoti.

L’uomo non può fare altro che restare immobile ed implorare pietà. Lo prega di allontanarsi, invoca il nome del suo dio in aiuto, ma nulla accade fin quando non chiede perdono. A quel punto è la voce del fratello di Sophie che grida un secco “NO”.

L’uomo, terrorizzato comincia a correre, in un corridoio buio e stretto, con centinaia di mani che tentano di afferrarlo ed occhi che lo scrutano pieni di giudizio e bocche che sussurrano “Assassino! Assassino!”.

Finché non viene preso dalla folla di ombre e trascinato in mezzo alla strada, dove la folla crea un corridoio infinito e quel ratto è costretto a correre nell’unica direzione possibile. Quando finalmente vede la propria destinazione si ferma, cerca di tornare indietro, ma la folla gli blocca la strada. Viene costretto ad aprire la propria macchina, tirare fuori il proprio cadavere morto di spavento e prendere il suo posto, mentre il tempo si blocca nuovamente e deve ricominciare tutto da capo.

L’incidente. Il cadavere. Il giudizio. Nessuna scappatoia. Pagare per i propri errori.

-Te l’ho detto Sophie. Io sono un Dottore, non un Giudice. Non potevo fare niente per te perché tu non eri ammalata.- Allungò il dito indice, comunque più corto del medio verso l’autista del suv nero: -Era lui il mio paziente.-

Lo fissò inclinando leggermente la testa:

-Sintomi: il paziente indica di non essere in grado di assumersi le proprie responsabilità, le rifugge senza preoccuparsi degli effetti collaterali. Diagnosi: mancanza di empatia a livelli patologici. Prognosi: condizione cronica. Terapia: forzata identificazione e rielaborazione delle proprie colpe in stato onirico.-

Le pareti di quel mondo di sogni si sgretolarono e Sophie si risvegliò nel proprio letto, con il dottore seduto a terra, appoggiato contro il bordo. I Kantrofarri si stavano divincolando e riducendo in polvere. Non sono adatti a sopportare incubi di quel livello, loro sfruttano sogni leggeri per nascondere la realtà; quando il dolore degli incubi supera quello della realtà, non possono resistere a lungo.

Sophie si allungò ad accarezzare il volto del Dottore.

-Non potevo lasciare impunito chi ti ha fatto questo. Voglio che ogni giorno viva tenendo a mente quello che ha fatto. Voglio che di notte si addormenti solo quando la stanchezza vince la paura dei suoi sogni. Voglio che senta tutto il peso della sua colpa e si svegli urlando e maledicendo il proprio nome. Voglio che impari che cosa significa fare del male agli altri e che senta di dover essere punito per quello che ha fatto, se vuole ottenere una parodia di perdono. Alla fine non sono poi un bravo Dottore.-

-Ma sei un bravo amico- Gli rispose Sophie. Lui le sorrise amaramente.

-Tu ti senti meglio?- Lei chiuse gli occhi e si interrogò. Il dolore era ancora lì, per nulla mutato. Scosse la testa in segno di diniego.

-Bene. Vedi, Sophie? Non c’è assolutamente niente che non vada in te. Perdi chi hai amato e soffri fin quasi ad impazzire. Ottieni vendetta e non ne provi piacere. Sei sana come un pesce. Tutto quello che ti serve è il tempo.-

Si tirò su in piedi e schioccò le dita per aprire le porte del TARDIS.

-E di quello, per fortuna, ne ho una bella scorta io.-
 
(E vissero per sempre felici e contenti)
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: NIKELMANN