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Autore: FAT_O    08/06/2015    1 recensioni
Dopo più di duemila anni di dominazione, la divinità ermafrodita Cambìsex può finalmente godere dei frutti del suo duro lavoro. Il continente abitato dai suoi seguaci, la Serotheia, sta conoscendo un periodo di pace e prosperità, che sembra destinato a protrarsi per un lungo tempo. Nulla lascia presagire che ben presto il continente sarà colpito da una crisi di proporzioni inimmaginabili, che porterà Cambìsex, le altre divinità e tutti i serotheiani a dover lottare per ciò che più sta loro a cuore. Le vicende degli dei si intrecciano alla lotta per la redenzione del cinico avventuriero Cole, agli sforzi del Sommo Sacerdote Vermann per salvare la sua gente e al folle viaggio del suo amico e consigliere Locknoy, con lo scopo di capire le cause della crisi e trovare per essa una soluzione. A poco a poco, le trame si dipaneranno, giungendo infine a mostrare il loro fondamentale collegamento, insieme alla risposta che un intero universo attende fin dalla sua remota origine. E a un cambiamento che non lascerà nessuno indenne.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sesto
 
 
Vermann si lasciò cadere sulla sua sedia con un sospiro, chiudendo gli occhi. Dall’ufficio era appena uscito il predicatore che gli aveva fornito il bollettino sulla situazione del trasferimento degli automi nella città vecchia.
Quella mattina, da quando poco meno di due ore prima aveva ricevuto la notizia della follia che sembrava aver colpito le macchine, aveva lavorato incessantemente. Il messaggio, partito dalla periferia, aveva attraversato tutta la città grazie ad una staffetta di predicatori a cavallo, giungendo infine a lui. Era perciò venuto a sapere che gli automi erano diventati violenti e stavano compiendo una strage. Non si conosceva la causa del loro comportamento, ma pareva che le macchine impazzite fossero in grado di convertire gli automi ancora sani attraverso una procedura quasi istantanea.
Vermann non aveva perso tempo. Sapeva che a Cruserobia il numero di macchine era elevatissimo, e sicuramente non c’era una quantità sufficiente di vigilanti per fermarle. Era semplicemente una questione di numeri: la città era persa. Certo, non gli era stato facile ammetterlo. Tutto il suo mondo sembrava essere stato stravolto nel giro di pochissime ore. Ciononostante, c’era ancora la possibilità di salvare una parte della popolazione, agendo rapidamente. E così aveva fatto Vermann. Aveva inviato verso la periferia un buon numero di vigilanti, quasi la metà di quanti erano presenti in città, affinché rallentassero l’avanzata degli automi. Lungo tutti gli sbocchi di Corso Ascensione degli dei, un ampio viale che spezzava in due la città in senso orizzontale, buona parte dei vigilanti rimanenti aveva istituito presidi che dovevano impedire il passaggio alle macchine, quando fossero arrivate.
Vermann sapeva che questi provvedimenti non avrebbero risolto la situazione, ma confidava che gli facessero guadagnare tempo per l’evacuazione. Aveva scelto di trasferire i numerosissimi automi presenti nel centro storico nella città vecchia, probabilmente in quel momento il posto più sicuro di tutta la regione. Essa era separata dalla capitale vera e propria da alcune montagne di difficile superamento, ma raggiungibile attraverso un tunnel sotterraneo. Rispetto a Cruserobia, era scarsamente popolata e quindi disponeva di ampi spazi in cui trasferire le macchine, e gli abitanti dei quartieri più vicini al tunnel. Vermann era convinto che mettere la massima distanza possibile tra gli automi ancora sani e quelli impazziti fosse la scelta migliore, anche se ciò significava dover trovare altre sistemazioni per buona parte della popolazione. Più macchine fossero state convertite, più la situazione sarebbe diventata ingestibile. Altri cittadini erano stati trasferiti nei numerosi templi del centro storico. Al loro interno c’era spazio a sufficienza per almeno centoventimila vite. I templi erano edifici solidi e gli automi avrebbero dovuto faticare se avessero deciso di farvi irruzione. I vigilanti affidati alla loro difesa erano poco numerosi, ma equipaggiati con cariche di dinamite, da far detonare nel caso in cui il numero di macchine nelle vicinanze fosse cresciuto troppo. Il resto della popolazione stava evacuando la città a favore delle campagne. Vermann era consapevole del fatto che questa non fosse una soluzione ottimale, ma sperava di ridurre il numero di vittime grazie alla dispersione dei cittadini su un’area più vasta.
Presi questi provvedimenti, non poteva fare a meno di provare apprensione e incertezza riguardo alla situazione nel resto del continente. Cruserobia era isolata. Era praticamente sicuro che le macchine avessero preso possesso della stazione più periferica della città, e questo implicava l’interruzione delle comunicazioni. Non sapeva da dove fosse giunta quella follia degli automi, ma temeva che potesse espandersi in tutta la Serotheia. Sperava solo che gli undici elettori riuscissero a contenere la situazione come stava cercando di fare lui, ognuno nella propria regione. D’un tratto, qualcuno bussò alla porta, strappando Vermann alle sue considerazioni.
Chiese: “Chi è?” Una voce da fuori rispose: “Il caporale Prumbont e il predicatore Segréne, per servirla.” “Entrate, entrate.”
I due fecero quindi il loro ingresso. A parlare era stato il caporale, un vigilante di più di trent’anni, ligio al suo dovere ma privo di particolari capacità. Indossava la classica uniforme blu con bottoni dorati e aveva un paio di poderosi mustacchi che ben si accordavano con la sua tendenza alla pomposità. Il predicatore invece, appariva meno teso e attaccato alle formalità, con un certo guizzo intelligente negli occhi azzurri. I due erano stati inviati alla fabbrica degli automi di Cruserobia, situata in realtà poco fuori dalla città, affinché cercassero informazioni su ciò che stava accadendo alle macchine.
Vermann disse: “Avanti, ditemi cosa avete scoperto.” Prumbont sembrava sul punto di rispondere ma Segréne lo precedette: “Nulla, mio signore. Abbiamo trovato la fabbrica chiusa, come temevate.” Il sommo sacerdote sospirò. Aveva sperato di scoprire qualcosa di più sulle ragioni del comportamento degli automi, ma sembrava che su quel fronte tutto fosse inutile. La sua prima mossa era stata inviare un predicatore alla villa dell’amministratore delegato delle Industrie Keller, la società che produceva le macchine, che abitava vicino al palazzo di governo. Ma pareva che l’amministratore si fosse dileguato fin dalle prime ore della mattinata. Allora Vermann aveva mandato Prumbont e Segréne alla fabbrica. Aveva considerato che potesse essere chiusa, data la situazione in città, ma si era illuso di riuscire comunque ad ottenere informazioni in qualche modo. Cercando di non mostrarsi troppo avvilito, il sommo sacerdote disse: “D’accordo. Avete comunque fatto un buon lavoro, andate pure.” Prumbont scattò sull’attenti mentre Segréne si inchinava leggermente, poi i due uscirono dalla stanza, chiudendo la porta.
Vermann, rimasto solo, chiuse gli occhi. Sembrava che le ragioni della follia degli automi fossero destinate a rimanere misteriose. Certo, l’evacuazione era in corso, e forse grazie alla sua reazione fulminea sarebbe riuscito a salvare un buon numero di vite... per il momento. Ma se la minaccia delle macchine avesse continuato a diffondersi, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vanificati. Scoprire ciò che stava dietro al comportamento degli automi sarebbe stato un passo importante nella composizione di una strategia che permettesse di eliminarli, ma sembrava che quello fosse un proposito non raggiungibile. Vermann si sentiva svuotato, demotivato. Si sforzava di mostrarsi forte, determinato, come se avesse la situazione in pugno, al fine di donare fiducia ai suoi sottoposti e fornire loro un esempio da seguire. Ma la verità era che non aveva certezze, né energie sufficienti per affrontare quella minaccia.
Aveva bisogno di Locknoy. Con lui sapeva di non dover fingere, di poter mostrare come si sentiva veramente. Si alzò e si affacciò all’ingresso dello studio, chiedendo al vigilante di guardia in fondo al corridoio di andarlo a chiamare. Poi tornò alla sua scrivania, aspettando nervosamente. Dopo qualche minuto, Locknoy entrò, aprendo lentamente la porta. Vermann lo accolse: “Doug, eccoti. Accomodati.”
L’altro avanzò e sedette di fronte al sommo sacerdote, chiedendo: “Di che cosa volevi parlarmi Vast?” “Non lo so esattamente. Sono molto stanco.” Locknoy inarcò un sopracciglio: “Lo immagino, è normale. Siamo nel bel mezzo di una tragedia. Abbiamo lavorato senza interruzioni e siamo tutti sotto pressione. Tuttavia, mi sembra che qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Si parla di limitare i danni, di salvare delle vite umane. Non riesci ad essere soddisfatto?” Vermann sospirò: “Non proprio. Nessuno dei miei tentativi di scoprire qualcosa sul comportamento degli automi è andato a buon fine. L’amministratore delegato delle Industrie Keller è scomparso, la fabbrica è chiusa. Non so dove andare a cercare informazioni. E senza conoscere l’origine della follia delle macchine, temo che non sarà possibile trovare una soluzione a lungo termine per il problema.”
Alle sue parole seguì un lungo silenzio. Locknoy si era fatto pensieroso. Alla fine, come se avesse concluso una lunga riflessione disse: “Gli uffici centrali a Woboterdatz. Se non lì, non so dove potremo trovare quello che cerchiamo.”
Woboterdatz era la città dove gli automi erano stati messi sul mercato per la prima volta, quasi novant’anni prima. Lì erano nate le Industrie Keller. Poco fuori dalla città c’era una delle più grandi fabbriche di macchine del continente, seconda solo a quella di Cruserobia. Inoltre Woboterdatz ospitava gli uffici centrali amministrativi della società, in cui si gestiva la coordinazione dell’attività delle fabbriche di automi di tutta la Serotheia. L’amico aveva ragione, quello era il posto in cui era più probabile scoprire qualcosa di utile.
Vermann disse: “Sarebbe una buona idea, non fosse che in questo momento non c’è modo di arrivare fin là.” Woboterdatz si trovava infatti nella parte settentrionale del continente, mentre Cruserobia era a sud. Già in condizioni normali il viaggio per la città sarebbe stato lungo e difficile. In quella situazione, al sommo sacerdote appariva quasi impossibile che qualcuno riuscisse a raggiungerla. Locknoy, con l’ombra di un sorriso sul volto rispose: “Un dirigibile.”
Vermann strabuzzò gli occhi per qualche istante, domandandosi se l’amico non fosse impazzito: “Il porto dei dirigibili è in periferia, e se gli automi non l’hanno ancora occupato, lo faranno tra poco.” “Non dico che sarà un’impresa facile, ma è anche l’unica possibilità che abbiamo.” Seguì un silenzio. Senza rendersene conto il sommo sacerdote si stava stringendo con forza una mano con l’altra, come faceva ogni volta che era agitato. Locknoy lo scrutava dall’altra parte della scrivania, più tranquillo. Alla fine, Vermann cominciò a parlare lentamente, come se stesse esprimendo una riflessione ad alta voce: “Da una parte, un’azione simile mi sembra folle. Dall’altra, come dici, non abbiamo alternative. Penso che saperne di più sia essenziale per capire come risolvere il problema, e di conseguenza anche la missione assume un’importanza vitale. Tuttavia, non so a chi potrebbe essere affidato un compito tanto delicato.” Locknoy stava per rispondere, ma il sommo sacerdote aggiunse: “E non pensare che lasci partire te, Doug. Sei vecchio, quasi quanto me, e sei prezioso, ho bisogno di te qui.”
L’altro scosse la testa, con un mesto sorriso sul volto: “Non hai veramente bisogno di me, Vast. Non qui. Se mi lasci partire, può darsi che riesca a fare qualcosa di veramente utile. Considera l’eventualità che, arrivati a Woboterdatz, sia necessario qualcuno che si intenda di scienza per comprendere la causa della follia degli automi. Sarebbe non poco demotivante se qualcuno dei nostri riuscisse a raggiungere la destinazione ma non disponesse poi dei mezzi per comprendere il problema.” “Ci sono ingegneri, chimici e fisici in tutta la città, perché dovrei ricorrere proprio a te?” Locknoy rispose semplicemente: “Perché sono qui, a portata di mano. Data la situazione, penso che non sia il caso di fare lo schizzinoso.” Vermann stava iniziando ad irritarsi. Soprattutto per la ragionevolezza delle argomentazioni dell’altro. Avrebbe voluto tenere Locknoy vicino a sé, al sicuro. Ma, d’altra parte, si rendeva conto che la sua proposta era valida, dopotutto. Alla fine chiese: “Come pensi di arrivare fino al porto?” Locknoy rispose: “Se me lo concedi, con una scorta di vigilanti, che poi dovrebbero seguirmi anche sul dirigibile, insomma, per tutta la missione.” Vermann annuì, inquieto.
Era un momento cruciale. Se avesse lasciato partire l’amico, avrebbe anche dovuto mettere in conto l’eventualità di non rivederlo mai più. Tuttavia, doveva essere obiettivo. Aveva un intero continente da governare e se non avesse lasciato che Locknoy provasse a compiere quella missione, probabilmente avrebbe sempre vissuto nel rimorso di non aver fatto tutto ciò che era in suo potere per salvare la Serotheia. Infine, a voce bassa, quasi impercettibile disse: “D’accordo. Puoi andare.” L’altro annuì, soddisfatto: “Vedrai, non te ne pentirai.” “Lo spero davvero Doug. Ora cerchiamo di non perdere tempo. Organizziamo questa spedizione.” “Sì. Lascia che torni a casa a prendere qualche bagaglio.” Vermann assentì e l’altro si alzò, congedandosi rapidamente.
Dopo che l’amico fu uscito, passò qualche istante prima che il sommo sacerdote si accorgesse che i suoi occhi si stavano inumidendo. Colto di sorpresa, tentò di analizzare i suoi sentimenti, senza successo. Sentiva un grave senso di oppressione al petto. Non gli capitava da moltissimo tempo di provare un’emozione così intensa. Una costante stanchezza, un logorio persistente, a quelle sensazioni l’avevano abituato gli anni della vecchiaia. Non credeva che uno struggimento simile a quello che l’aveva colto in quel momento potesse manifestarsi ad un’età così avanzata. Si era illuso che appartenesse ad una giovinezza ormai perduta. E poi senza alcun preavviso, ecco che le lacrime giungevano ad insidiare le sue guance grinzose. In collera con se stesso per essersi lasciato andare in quel modo, Vermann si asciugò il viso con un gesto stizzito della mano. Poi si alzò, fece un respiro profondo e si avviò verso l’uscita dell’ufficio. C’era tanto da fare. La spedizione doveva partire il prima possibile. Attraversò i corridoi, scese le scale e si ritrovò nell’atrio del palazzo di governo. Quando lo videro, i vigilanti all’ingresso scattarono sull’attenti. Rivolto ad uno di loro, Vermann disse: “Vai a cercare il capitano Werdian. Falla venire qui, dille che è urgente.” L’uomo assentì vigorosamente e si mise subito in moto a passo spedito.
Il sommo sacerdote si sedette su una delle panche dell’atrio, sperando di non dover attendere a lungo. Avrebbe avuto tutto il tempo per interrogarsi sulla sorte di Locknoy dopo la sua partenza, ma in quel momento non voleva pensarci. Era intenzionato a fare in modo che il momento di debolezza avuto poco prima nell’ufficio costituisse un evento isolato, che mai si sarebbe ripetuto. Infine, dopo alcuni minuti, vide il vigilante fare ritorno, insieme al capitano. Libeth Werdian era una donna di più di trent’anni, non alta, ma con un fisico tonico e asciutto. I capelli erano castani, lunghi fino alle spalle. Indossava la tipica uniforme dei vigilanti, con le varie mostrine indicanti il suo grado. Quando fu di fronte a Vermann si espresse in un rapido ma rispettoso saluto militare. I suoi occhi erano pieni di ammirazione ma allo stesso tempo di fierezza. Il capitano Werdian difficilmente lasciava che le si mettessero i piedi in testa.
Il sommo sacerdote si alzò e la salutò con un sorriso. Anni prima la donna si era distinta in operazioni contro la criminalità organizzata di Cruserobia, al tempo molto più presente e pericolosa, e grazie alle sue capacità aveva fatto una brillante carriera nel corpo dei vigilanti. Vermann aveva avuto modo di conoscerla personalmente e ne era rimasto favorevolmente colpito. Quando Locknoy gli aveva esposto il suo piano, il sommo sacerdote aveva subito pensato che Libeth potesse essere la candidata ideale per guidare quella spedizione.
Vermann esordì: “Capitano Werdian, sono lieto di vederti in questo momento di crisi.” La donna rispose: “Per quale incarico mi avete convocata signore?” Con Vermann, così come con tutti i suoi superiori, Libeth utilizzava un tono molto formale, ma privo di affettazione. “C’è bisogno di te per una missione speciale. Si tratta di accompagnare il consigliere Locknoy a Woboterdatz.” L’espressione del capitano non mutò minimamente, mentre chiedeva: “Qual è l’itinerario stabilito?” Il sommo sacerdote rispose: “A cavallo, con un gruppo selezionato di vigilanti, fino al porto dei dirigibili. Là, prenderete possesso di uno dei mezzi e partirete verso nord.” Libeth annuì: “D’accordo signore. Di quanti vigilanti potremo disporre?” “Temo non più di venti. Non possiamo permetterci di separarci da un maggior numero di uomini in queste condizioni.” “Naturalmente. Se mi è concesso, vorrei avere la possibilità di selezionarli personalmente.” “Permesso accordato. E disporrete di tutto l’equipaggiamento di cui pensate di avere bisogno.” “D’accordo signore.”
Vermann fece un respiro profondo prima di congedare la donna: “La missione è in mano tua, capitano. Spero che la preparazione avvenga in tempi brevi. Ci aggiorneremo davanti al palazzo, quando tutto sarà pronto per la partenza.” Libeth, dopo essersi accommiatata, si avviò verso l’uscita.
Il sommo sacerdote tornò a sedersi sulla panca. Dopo ore di attività tanto intensa, era giunto il momento di aspettare. Aspettare di essere certo che tutti gli ordini che aveva impartito fossero stati eseguiti. Che gli automi fossero tutti trasferiti nella città vecchia, e i cittadini al sicuro nei templi, o lontani da Cruserobia, nelle campagne. Ma soprattutto, non riusciva a non pensarci per quanto ci provasse, che la spedizione per Woboterdatz fosse pronta a partire, e che giungesse il momento in cui avrebbe dovuto salutare Locknoy, l’amico di una vita, forse per non rivederlo mai più. Vermann aveva sempre pensato di essere un uomo paziente. Un calcolatore, in grado di comprendere il momento più adatto per agire, e quello in cui invece era conveniente lasciar passare un po’ di tempo. Tuttavia, in quel frangente, l’ansia lo rodeva.
D’un tratto, si rese conto che per innumerevoli anni, il suo animo non era stato scalfito da alcun evento traumatico. Aveva avuto momenti o periodi difficili, ma soprattutto a causa della sua posizione, dell’impegno nel gestire una carica importante come la sua. Nulla che lo avesse realmente coinvolto a livello personale. E poi, in una sola mattinata, tutte le sue certezze erano crollate. La sua città, e forse tutta la Serotheia, erano sull’orlo del baratro, così come si sentiva lui. La persona che per anni l’aveva sostenuto, impedendogli di precipitare, stava per scomparire. Si sarebbe ritrovato solo, a fronteggiare la sfida più impegnativa della sua vita, che giungeva nel momento in assoluto meno opportuno.
In preda a questi cupi pensieri, Vermann appoggiò i gomiti alle ginocchia, affondò le mani nei capelli bianchi e chiuse gli occhi, sperando ardentemente di riaprirli e scoprire di aver sognato ogni cosa.    
   
 
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