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Autore: Letizia25    08/06/2015    3 recensioni
«Com’è la vita?»
«La vita è bellissima già per il semplice fatto di esistere, per il fatto di poter dire: “Sono parte di qualcosa di meraviglioso”. Perché la vita è bellissima, nonostante tutti i problemi che possano presentarsi durante il cammino. La vita è un continuo cadere e rialzarsi, a volte da soli, a volte grazie agli altri. La vita è colore, è quell’unico arcobaleno che, qualche volta, comprende anche il nero. La vita è scoprire, emozionarsi, piangere, ridere, soffrire. La vita è originalità, è unica. La vita è pazzia pura.»
*
«Ti prego Ashton, insegnami a vivere!»
«Ma non so come si fa.»
«Allora lo capiremo insieme.»
*
Il destino si divertirà a far incontrare due mondi apparentemente diversi, ma accomunati da tante, troppe cose. Due ragazzi si si ritroveranno a lottare insieme contro qualcosa che all’apparenza sembra impossibile da affrontare. Ma poi l'amore si mette in mette in mezzo.
E sarà proprio l’amore ad aiutarli a superare qualsiasi cosa, insieme.
*
Una storia che parla di quanto sia importante vivere al massimo ogni singolo giorno che ci è dato da vivere, perché la vita è una sola e non va sprecata, mai.
*
Trailer: http://youtu.be/1rNyxp_yUAI
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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3.
Festa



I capelli mossi dal colore marrone ebano le ricadevano in avanti, incorniciandole perfettamente il viso dai lineamenti dolci. Le labbra un po’ violacee erano curvate con gli angoli all’ingiù. Gli occhi grandi, dal color marrone cioccolato, erano circondati da occhiaie, anch’esse violacee ma più tendenti al nero, come se la ragazza avesse ricevuto due pugni in pieno volto. La carnagione era pallida e al tatto generalmente risultava fredda. Lo sguardo freddo, distante, vuoto.
Era questo che Kay vedeva riflesso sullo specchio di quella grande casa di cui non conosceva il proprietario, che quella sera aveva dato una festa a cui le sue amiche l’avevano portata quel sabato sera.
«Fidati, ti divertirai!» le aveva detto la rossa – Nathalie – tutta eccitata all’idea di andare. Le altre due avevano dato man forte e alla fine Kay aveva accettato. Solo che, se la sua amica riteneva che chiudersi in un bagno per non sentirsi fuori posto rispetto a tutti gli altri adolescenti che partecipavano a quella festa fosse divertente, allora non sapeva proprio più cosa pensare.
Perché la mora era sul serio in un bagno, a cui la musica dal piano sottostante arrivava ovattata. Si era chiusa in quella piccola stanza perché non riusciva ad amalgamarsi agli altri ragazzi. Si sentiva tremendamente fuori posto, inadeguata, come se fosse la pecora nera della situazione, come se il suo essere quello che era, senza emozioni, comportasse anche il non riuscire ad interagire con gli altri. Solo che non riusciva a cambiare tutto quello. Ci aveva provato una volta, quasi un anno prima, a cambiare, a lasciarsi andare solo per un po’. Ma tutto quello che aveva ottenuto era stato un dolore sordo, acuto e forte nel petto, durato settimane, durante le quali quel cubo di vetro si era ispessito sempre più, stringendole il cuore in una morsa che presto l’avrebbe annientata del tutto.
Sospirò, a vedere la sua immagine in quello specchio, il volto di una sedicenne troppo stanco per una della sua età. Era la stessa che vedeva da anni, ormai. Rinunciando a combattere, aveva rinunciato a tutto, compresa se stessa. E questo era il risultato. Non che gliene importasse più di tanto, a conti fatti. Se doveva andare così, sicuramente ci sarebbe stato un motivo ben preciso. Solo che ancora non aveva ben capito quale fosse.
Aprì l’acqua del rubinetto e si sciacquò il viso. Tornò ad osservarsi, ma vedeva sempre la stessa cosa: il viso di una ragazza distrutta, una ragazza fatta a pezzi dalla vita, da tutte quelle prove che le si erano presentante davanti ma che non aveva mai superato, una ragazza distrutta da quegli stessi sentimenti che non aveva mai provato e forse non avrebbe mai conosciuto.
Abbassò lo sguardo e si asciugò, per poi uscire da quella stanza, troppo piccola. Una volta fuori, la musica era così assordante che immediatamente le venne un forte mal di testa. Per non parlare dell’odore del fumo, che subito iniziò a farla tossire. Cercando di restare lucida, si fece spazio tra la calca di gente. Doveva uscire, aveva bisogno di respirare aria pulita. Le ci vollero alcuni minuti, ma alla fine riuscì a trovare la porta a vetri che dava sul giardino posteriore. Ma neppure lì c’era abbastanza tranquillità. Ragazzi seduti a bere, in piedi a ballare, alcuni che gridavano da quanto erano ubriachi, altri sdraiati a terra, svenuti o preda delle droghe.
Kay distolse lo sguardo. Ecco perché odiava le feste: chiunque ci andava voleva dimostrarsi diverso da ciò che era. E la ragazza proprio non capiva che gusto ci fosse, a sembrare più grande, a fumare solo per sentirsi il figo del momento, ad andare a letto solo per “far numero”. Che gusto ci trovasse la gente a volersi così male, lei ancora non lo aveva capito. E sinceramente non le interessava nemmeno. Stava nel suo e faceva il suo, restando quella che era senza paura di mostrarlo agli altri, per quel poco peso che le opinioni altrui avevano su di lei e sul suo modo di essere e di fare.
Camminò un po’ per il giardino, alla ricerca di un posto dove stare da sola, senza che qualcun venisse a disturbarla. Avrebbe tanto voluto tornare a casa, ma non se la sentiva di togliere quel divertimento alle sue amiche, benché l’avessero mollata dopo appena cinque minuti che erano entrate. Però, come dar loro torto, c’erano Michael, Calum e Luke che erano venuti apposta per loro, e la mora non aveva avuto l’intenzione di voler rovinare quel loro momento insieme.
Ecco perché era lì, sola, stanca, e un po’ infreddolita, nonostante le calze e il vestito pesante. Quando l’ennesimo brivido le percorse la schiena, si decise a pescare dalla borsa un qualcosa per coprirsi. Fu così che si ritrovò tra le mani la felpa di quel ragazzo misterioso.
Erano passati tre giorni da quello strano incontro sul tetto. E lei ancora non riusciva a capire niente di quel che era accaduto. Non aveva fatto altro che cercare quel ragazzo sconosciuto per tutta la scuola, per il semplice fatto che voleva rendergli la felpa. Aveva provato a ricordarsi la strada che aveva fatto con lui per arrivare al suo armadietto, ma niente da fare, non era riuscito a trovarlo. Aveva così tante domande da fargli, domande che le giravano in testa senza darle tregua. Perché si era comportato così? Insomma, lei non gli aveva chiesto assolutamente niente. E poi, perché la felpa? Era stato quel gesto a mandarla totalmente in confusione. Non aveva mai incontrato una persona come lui, che si preoccupava subito per qualcuno, senza conoscerlo. Ecco perché voleva trovarlo: aveva bisogno di capire se ci fosse qualcosa sotto. Non si fidava, non l’aveva mai fatto, con nessuno, eccetto con i suoi amici, anche se le ci erano voluti anni per riporre la sua fiducia in quel gruppo di ragazzi un po’ pazzi, ma senza i quali lei proprio non sarebbe riuscita a stare.
Sospirò ed indossò la felpa grigia, sentendosi subito avvolgere da un lieve tepore e da un profumo maschile, mentre un brivido lento le accarezzava la schiena, arrivando a toccare ogni sua cellula, anche quelle più piccole e lontane.
Si sentiva come quando aveva messo quell’indumento per la prima volta.
Quando era corsa via da quel ragazzo, aveva cercato subito un bagno per potersi cambiare. Appena lo aveva trovato, si era chiusa la porta alle spalle, per poi appoggiarci la schiena, mentre cercava di riprendere fiato e provava ad abbassare i battiti del suo cuore, che sembrava volerle uscire dal petto, e le faceva male, perché quel cubo di vetro lo intrappolava così fortemente che avrebbe potuto distruggerlo, il suo cuore, se avesse voluto. Perché quel maledetto cubo era infrangibile e non permetteva a niente di entrare o di uscire.
Era così confusa. Insomma, non è da tutti i giorni trovare un ragazzo che presta la sua felpa per aiutare una ragazza che nemmeno conosce. E Kay proprio non riusciva a capire tutto quello strano interesse verso di lei da parte del riccio. Era tutto senza un senso logico. E non sapeva se fosse un bene o un male.
Si era tolta la maglia ed aveva indossato la felpa. E improvvisamente un calore strano le era nato dentro al cuore, un calore che l’aveva invasa tutta, arrivando ad ogni più piccola parte di lei. E quel profumo le era entrato dentro lentamente, a piccole dosi, quasi volesse crearne una dipendenza.
E anche adesso, a quella festa, si sentiva come se non potesse fare a meno di quell’odore. Non era un profumo di marca, non era neppure dopobarba o shampoo. Era il suo profumo, di quel ragazzo che non conosceva per niente ma che, in un certo senso, la incuriosiva, e neanche poco. E questo la spaventava parecchio perché, nonostante tutto, quello sconosciuto non le era indifferente, per niente.
Aveva guardato bene dal parlarne con le sue amiche. Kay voleva teneva moltissimo a quelle tre ragazze, con cui aveva condiviso praticamente tutto fin da quando erano piccole. Ma le conosceva bene, e sapeva che se avesse raccontato una storia simile, loro non avrebbero fatto altro che riempirla di domande, pur di sapere anche la cosa più piccola. Ma lei le domande che riguardavano la sua vita, di qualunque cosa si trattassero, le odiava. Questa era una cosa di cui era assolutamente certa. Non voleva che le persone conoscessero quel che aveva vissuto e quel le girava nella testa. Aveva paura che, se si fosse aperta un po’ di più del dovuto, quel cubo di vetro avrebbe fatto la sua mossa, ancora una volta, peggio delle precedenti.
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, spostandoseli dal viso. E solo in quel momento si accorse di una figura non lontana da lei, che la osservava con i suoi occhi grandi, molto simili all’oro.
 
Ashton si era ritrovato a quella festa poco dopo le undici. Era uscito per farsi un giro, per le strade deserte di quella grande città a quell'ora della notte. Aveva sentito il bisogno di stare un po' da solo con i suoi pensieri e lontano da casa. Non che non avesse una brutta situazione familiare, anzi, stavano benone, in cinque. Si volevano bene e, nonostante qualche difficoltà, c’erano sempre, tutti per tutti. Solo che lui si sentiva sempre fuori posto, completamente inadeguato, come se tra quelle persone – che gli volevano un bene infinito – non ci fosse spazio per lui, non ci fosse spazio per il suo essere taciturno, per il suo starsene sempre sulle sue, per il fatto che teneva sempre tutto dentro e non si sfogava mai, per il suo contraddirsi continuamente, con i gesti e con le parole.
Era fatto così, Ashton. Era solo, lo era sempre stato fin da quando poteva ricordare. Non aveva mai avuto un vero amico, né all’asilo, né alle elementari, e neppure alle medie. E ora che era alle superiori, aveva la netta sensazione che non ci sarebbe stato alcun tipo di cambiamento.
Però non se ne preoccupava più di tanto. Gli andava bene così, anche se ogni tanto notava quanto fosse importante avere una persona al proprio fianco per sfogarsi, giusto un po’. Non era mai stato bravo a rapportarsi con le persone, anche se amava la compagnia, quando c’era e quando lui non veniva messo in un angolo o ci si nascondeva da solo. Perché Ashton si sentiva inadeguato anche per i suoi coetanei, tutti concentrati su cose che a lui non interessavano più di tanto, lontane anni luce dal suo modo di essere e di pensare.
Aveva camminato senza una meta precisa, lasciando che i suoi piedi – o meglio, il caso – lo portassero dove volessero, per quelle strade poco illuminate e silenziose. E proprio il caso volle che arrivasse davanti a quella casa enorme, da cui aveva sentito subito il volume altissimo della musica. Era entrato. Forse perché era stanco di sentirsi così solo e voleva lenire quel dolore sordo nel cuore almeno per quella sera. Forse perché voleva divertirsi almeno un po' prima di ritornare alla sua vita senza colore, monotona. Tanti forse. Il perché della sua decisione non lo sapeva.
Come ancora non riusciva a capire il perché si fosse comportato in quel modo con quella ragazza mora, di cui non sapeva assolutamente niente, neppure il nome. Insomma, non gli era mai successo di sentirsi così, pronto ad occuparsi di qualcuno nonostante il diretto interessato non volesse, pronto ad aiutare quella ragazza che ne aveva bisogno. Erano stati i suoi occhi a farlo smuovere. Quegli occhi che non riusciva a togliersi dalla testa neppure volendo. Erano passati tre giorni dal loro strano incontro, durante i quali non aveva fatto altro che pensare a lei, chiedendosi che cosa avesse quella ragazza alle spalle per essere ridotta in quelle condizioni. Quegli occhi vuoti, spenti, specchi di un’anima distrutta, lo avevano quasi ossessionato, da quanto ne era rimasto colpito, sorpreso. Aveva letto solo nei libri di occhi così, occhi che non emanavano luce, occhi che non sorridevano, occhi che non esprimevano alcun tipo di emozione. Ma era stato un duro colpo trovarseli davanti nella vita reale, che all’inizio non aveva proprio saputo come comportarsi. Solo che poi l’aveva vista, quella muta richiesta d’aiuto. L’aveva vista in quello sguardo perso, stanco, triste, di quella ragazza che forse non si rendeva conto di star lentamente cadendo a pezzi.
O almeno, questo era quello che Ashton si era ritrovato a pensare in quegli ultimi giorni, sperando di aver sparato solo cavolate. Perché non sapeva come avrebbe potuto reagire se si fossero dimostrate vere.
Aveva bevuto qualche bicchiere di birra, niente super alcolici. Non voleva far preoccupare i suoi, nonostante tutto. Aveva ballato un po’, ma presto si era stancato di tutte quelle persone attorno a lui. Delle ragazze che gli ballavano intorno solo per portarselo a letto. Dei ragazzi che cercavano di abbordare tutte pur di avere la solita sveltina. Delle scommesse e degli shottini. Della droga e delle sigarette. Della musica a palla e delle persone dovunque.
Aveva sentito il bisogno di uscire da lì, di allontanarsi da quella normalità che non riusciva a sentire sua, a cui non riusciva a legarsi, pur provandoci, pur sforzandosi. Non ci riusciva, a stare lì dentro e a mostrare una versione di sé che non sarebbe mai stata la sua.
A stento era riuscito ad uscire, ritrovandosi forse sul retro della casa, non che comunque la cosa potesse interessargli. Si era messo il cappello – ‘ché faceva un freddo cane – e aveva camminato un po’, prima di trovare un posto relativamente lontano dall’abitazione, a cui la musica arrivava attutita grazie agli alberi del giardino. E finalmente era riuscito a tirare un sospiro di sollievo, lontano da quel mondo a cui non sarebbe mai appartenuto, per sua scelta.
Aveva osservato quel cielo invernale coperto di stelle, piccoli punti di luce su quel manto nero e infinito, che lo faceva sentire così dannatamente minuscolo ed impotente ogni volta che si ritrovava con gli occhi puntati verso l’alto, a qualsiasi ora del giorno. Però era bello stare così, a guardare in su, come se in quel modo potesse trovare le risposte che cercava da sempre, quelle risposte a tutte quelle domande che gli ronzavano in testa e lo mandavano sempre in confusione. Si sentiva così piccolo, Ashton, di fronte alla maestria della vita, allo spettacolo della natura, alla bellezza di tutto quel che vedeva.
Ad un tratto, un rumore di passi aveva catturato la sua attenzione e lo aveva fatto voltare. E il cuore gli era balzato in gola in un attimo. Perché non si sarebbe mai aspettato di rivedere così presto quella ragazza mora, soprattutto con indosso la sua felpa. La stessa ragazza a cui non aveva smesso di pensare neppure per un secondo da quando l’aveva incontrata.
Era rimasto a guardarla, in silenzio, come tre giorni prima. L’aveva osservata a lungo, mentre il fiato diventava una nuvoletta davanti al suo viso, mentre la temperatura scendeva pian piano, facendolo rabbrividire, mentre le stelle continuavano a splendere luminose nel cielo, mentre il cuore continuava a battere forte. Si era accontentato di scorgerne i lineamenti dolci del viso solo grazie al chiarore della luna, che quella sera splendeva in modo tutto particolare. Si era permesso di perdersi in quello sguardo stanco. Lo stesso che non riusciva ad andare via dalla sua testa nonostante ci avesse provato più e più volte.
Poi lei si era sistemata i capelli, giusto un istante prima che i loro occhi si incontrassero, di nuovo.






Letizia
Beautiful people, hallo! Oggi mi sento molto inglese/americana, non chiedete perchè ahahah ;).
Anyway, oggi è lunedì e, come da scaletta, sono qui per il primo aggiornamento settimanale di Insegnami a vivere.
Allora, del capitolo credo che semplicemente ci aiuti a capire un po' meglio i nostri due personaggi principali. Soprattutto, a capirne meglio il carattere. 
Perché, anche se non sembra ai loro occhi, gli ASHLIN (Ashton + Kaylin) sono molto più simili di quanto pensano, soprattuto per le loro emozioni (anche se Kay crede di non provarne nessuna).
Spero vi sia piaciuto e spero che mi facciate sapere che ne pensate, non avete idea di quanto mi faccia piacere leggere quel che avete da dire su questa storia, quindi, vi prego, non sentitevi in imbarazzo nello scrivere quel che ne pensate! <3
A proposito di questo, ringrazio chiunque abbia recensito fino ad ora e chi ha messo la storia tra preferite | ricordate | seguite.
E vi ricordo, come al solito, gli aggiornamenti per tutto GIUGNO (scusate sul serio, non è per rompervi le scatole <3):
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- ogni mercoledì aggiornerò Links. (la storia a 4 mani con Nanek finalmente online!)
- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggiornerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u

Grazie mille per ogni cosa sul serio,vi amo troppo! ci sentiamo giovedì!
Un bacione, Letizia <3
   
 
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