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Autore: elisbpl    08/06/2015    1 recensioni
New Jersey, Gennaio 2016.
L'idea sembrava morta, ma non lo è. L'idea è folle. L'idea è viva, sembra più viva che mai.
Ma come ha potuto un'idea così potente scorrere, andare via, trasportata dalla corrente? Semplice: non l'ha mai fatto. L'idea sa nuotare. E' stata brava a nascondersi in attesa di una nuova era. L'idea sopravvive.
E loro torneranno.
Sembri viva, idea.
Che ne dici?
___
[dalla storia:
"-Non scappare via. Non farlo più.
-Non lo farò. Giuro su ciò che vuoi che domani sarò ancora qui.
-Mi fido.
-L’hai sempre fatto.
-Lo so."
___
Sospirò e deglutì prima di parlare, questa volta a bassa voce, il tono tra il triste e il rassegnato: - Quindi, cosa vuoi fare, Gee?
Il cantante accennò un sorriso e parlò sicuro, le mani ancora sulle sue guance, guardandolo sempre fisso negli occhi: - Voglio rimettere insieme i My Chemical Romance.
Gerard si rese conto che in quella situazione e in quella posizione, le opzioni riguardo ciò che Frank avrebbe potuto fare dopo la sua affermazione erano due: o annullava la distanza e lo baciava, o annullava la distanza e gli dava una testata in bocca.
Più probabile la testata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~Capitolo 11.
“Stop your crying, helpless feeling
Dry your eyes and start believing
There’s one thing they’ll never take from you”.

 


- Mamma... Mamma… Mammaaaaaaa!
- Ancora cinque minuti…
- No, mamma, svegliati, svegliati, svegliatiii!
- Ma mi sono addormentata mezz’ora fa…
- Ma non è vero, sei una bugiarda dormigliona!
Quelle parole le fecero finalmente aprire gli occhi, e si drizzò sulla schiena come poteva, visto che Bandit le era praticamente salita addosso nel tentativo di svegliarla. La piccola si spostò dalle sue gambe e si mise in piedi sulla parte libera del letto, saltellando allegramente, felice di essere riuscita nel proprio intento.
- Bada a come parli, piccola peste… Ma che ore sono?
- Le otto!
- Di sera?
- No, mamma, c’è il sole…
- Ah. Ma amore, è presto allora…
- Ma mamma, devo andare a scuola! È già tardi! Io mi sono svegliata taaanto tempo fa, però ti ho lasciato dormire perché sono una figlia buooonissima, e anche perché tu ti lamenti sempre che quando ero piccola ti ho tolto tutto il sonno del mondo! - la piccola smise di saltare e restò in piedi, incrociando le braccia al petto, a guardarla dall’alto con dipinto sul viso un ghigno misto di divertimento, superiorità e intelligenza, che sapeva troppo di suo padre.
- Oh, ecco, allora aggiungiamoci anche che quando adesso ti accompagno a scuola la mattina, mi costringi sempre a svegliarmi presto, caccoletta che non sei altro! - Lynz sorrise e allungò le braccia ad afferrare la figlia per i fianchi e farle il solletico, facendola così cadere di nuovo addosso a lei, in preda alle risatine.
- Non sono una caccoletta! - la piccola le fece una linguaccia, le buttò le braccia al collo e le si avvinghiò addosso, e finirono ad abbracciarsi in un groviglio di coperte e risate.
- Oh, sì che lo sei - la voce maschile più familiare che conoscesse interruppe il loro piccolo siparietto.
Alzarono entrambe il viso per guardare nella direzione dalla quale era provenuta la voce: braccia conserte davanti al petto, una spalla poggiata contro lo stipite della porta e peso sbilanciato su una sola gamba, Gerard era fermo sulla soglia e le guardava con un sorriso a ventiquattro milioni di denti che, contagiando gli occhi, gli illuminava tutto il viso. Era proprio bello.
- Papà! - Bandit fece un balzo giù dal letto e corse da lui, che si abbassò per prenderla al volo nel momento in cui lei saltò per finirgli in braccio, come al solito - Sei tornato! Mi sei mancato tantissimo!
- Anche tu mi sei mancata, amore mio - la strinse forte e le diede un bacio sulla guancia, poi alzò lo sguardo sulla moglie, che era rimasta a letto a guardarli sorridendo, e il suo, di sorriso, si incupì leggermente.
Oh, Lynz aveva visto la luce cupa che era passata per un attimo negli occhi del marito prima che riuscisse a nasconderla, e sapeva anche cosa significava, perché non era di certo la prima volta che la vedeva.
- Caccoletta, adesso che papà è tornato, che ne dici se facciamo colazione e poi ti accompagna lui a scuola? - con un sospiro, Lynz si alzò dal letto e si avvicinò ai due, posando una mano sulla spalla della figlia che se ne stava ancora avvinghiata al papà e adesso si era girata a squadrarla con uno sguardo vispo e le labbra ancora tirate in un grosso sorriso.
- Vuoi che mi accompagni papà solo perché tu vuoi dormire!
Lynz si mise le mani sui fianchi e la guardò allo stesso modo, come a farle il verso - È esattamente questo, il motivo, marmocchietta super intelligente del mio cuore - rise e le diede un bacio sulla guancia - Ora però va’ a vestirti, che altrimenti fate tardi. Susu, scattare!
- Corro! - Bandit rise e diede un altro bacetto al papà prima di farsi mettere giù e correre a prepararsi, seguita fino alla sua camera dagli sguardi dei suoi genitori. Quando fu sparita oltre la porta, Lynz spostò lo sguardo su suo marito, che la stava già guardando con la stessa aria di prima.
- Bentornato, eh - provò a sorridergli come al solito, sperando, magari, che il proprio sesto senso si sbagliasse.
- Grazie. Sei più bella di quando sono partito, sai? - Gerard allungò un braccio verso di lei per catturare con le dita un ciuffetto ribelle di capelli che le finiva sul viso, senza mai guardarla troppo a lungo negli occhi quando incrociava il suo sguardo.
- E tu sei un ruffiano, anche perché sei stato via meno di una settimana e io non sono cambiata di una virgola - senza cambiare espressione, gli diede una spinta leggera, indirizzandolo fuori dalla stanza - Va’ a impedire a tua figlia di mettere quella maglietta orribile tutta bucata che vuole indossare anche per dormire ormai, e ad apparecchiare la tavola, io rifaccio il letto e arrivo.
- Ma quella maglietta è bellissima… - Gerard si bloccò quando incrociò di nuovo il suo sguardo di fuoco e scattò sull’attenti con una smorfia, perché quella maglietta era una delle poche cose che lui amava e Lynz odiava, e quella battaglia doveva vincerla sempre lei perché “Ma ti rendi conto di come ti vestivi prima di conoscermi?”, “Sotto un completo nero non si mettono scarpe marroni!” oppure “No, Gerard, non puoi tenere il pigiama se vuoi portarmi a mangiare fuori. Al massimo puoi chiamare il cinese da asporto, e la porta vado ad aprirla io, quando arriva.” - Signorsì, signora - sospirò e le diede le spalle per raggiungere Bandit in camera sua.
Lynz non fece neanche in tempo a girarsi e a tornare verso il letto per metterlo a posto, che cominciarono le urla della figlia che combatteva per tenersi la sua maglietta vecchia e bucata, interrotte solo dalle suppliche del padre che le chiedeva in tutti i modi di rimetterla nell’armadio. Lynz dovette ammettere che quella volta Gerard si stava impegnando. Brutto segno.
 

- Allora, com’è andato il viaggio? - gli chiese finalmente, dandogli le spalle mentre lei preparava pancakes per colazione e lui era seduto al tavolo della cucina, con Bandit che aveva deciso di vendicarsi per essere stata privata della sua maglietta preferita.
- No, Bandit, non metterci tutto quello zucchero, ti prego… - rise esasperato perché aveva capito le intenzioni della figlia, che si era impossessata della sua tazza di caffè per cercare di addolcirlo fino a farlo diventare una pozione letale per un diabetico qualsiasi, o semplicemente qualcosa di imbevibile per lui, che, di solito, non ci metteva neanche mezzo cucchiaino di dolcificante - Uhm, bene… Benissimo, credo.
- Ottimo - Lynz sorrise nel voltarsi e andare a posare sulla tavola un piatto di pancakes caldi appena cucinati - Bandit, tesoro, lascia stare il caffè di papà e mangia questi, dai.
La piccola fece per dire qualcosa (probabilmente qualcosa riguardo quella maledetta maglietta) ma poi il suo sguardo andò alle frittelle e parve dimenticarsene, si leccò le labbra e si mise il piatto davanti, cominciando a mangiarle di gusto, con le mani, e a dedicarci tutta la propria attenzione.
Gerard bevve un sorso di caffè e fece una smorfia: evidentemente non era riuscito a salvarlo dalle grinfie della piccola peste che era loro figlia. Posò la tazza davanti a sé e alzò lo sguardo per incrociare quello di Lynz, e lei lo vide prendere un grosso respiro prima di parlare.
- Devo… Devo parlarti.
Lei sospirò, capendo di averci visto giusto prima, e confermando a se stessa che il suo sesto senso non sbagliava mai. Prese la tazza del marito e bevve un sorso di caffè, visto che a lei piaceva dolce, ma si ritrovò a fare una smorfia anche lei: Bandit ci aveva praticamente svuotato la zuccheriera dentro.
- Accompagni lei a scuola, prima?
Lui annuì e, abbandonando l’idea di bere un caffè che sapeva più di zucchero che di caffè, si alzò, fece il giro della tavola per sussurrare delle scuse nell’orecchio della figlia per la sua povera maglietta, con la promessa di comprargliene una uguale prima o poi, e poi, prendendola per la vita, se la caricò a sacco di patate in spalla, ridacchiando assieme a lei, seppur evidentemente preoccupato.
Quando entrambi uscirono di casa, Lynz si prese il viso tra le mani e si lasciò andare a un grosso sospiro: era abituata alle stranezze di Gerard, ma quando le diceva che “dovevano parlare” voleva dire che aveva fatto, oppure stava per fare, qualcosa che non le avrebbe fatto piacere. Quelle parole non la mettevano in crisi come qualsiasi altra persona che se le sentisse dire dal proprio compagno, semplicemente la mettevano in guardia sul fatto che molto presto si sarebbe dovuta rassegnare a qualcosa: Gerard Way non era una persona impulsiva, non come quando era un ragazzino, e prima di dire o fare qualsiasi cosa ci pensava anche un milione di volte. Ogni cosa aveva un significato e uno scopo preciso, con lui, e quando prendeva una decisione, per quanto potesse far male, a lui o a chiunque altro, quella era e quella era, e basta.
Ne aveva così tanti esempi, a partire da quando aveva deciso di sciogliere la propria band dopo averci riflettuto su mesi e mesi, indeciso se continuare per il benessere altrui ma senza metterci più l’anima o mollare per provare a riprendere in mano la propria vita, o anche semplicemente a quando le aveva chiesto di sposarlo nonostante sapessero benissimo entrambi che lui non amava lei nel modo in cui lei amava lui. Quando aveva accettato, Lynz sapeva che non sarebbe mai stata altro che un’amante per lui, la sua migliore amica al massimo, ma lei era così innamorata di quel ragazzo così folle, e allora cosa le impediva di accettare? La morale, si rispondeva ogni volta che si poneva quella domanda e faceva così partire uno dei suoi soliti monologhi interiori che andavano sempre a finire col suo giustificarsi con se stessa, perché Gerard aveva deciso che lui non avrebbe più dovuto far parte della sua vita nel modo in cui ne faceva parte, e aveva scelto proprio lei per dimenticarlo… Voleva solo aiutarlo, anche se con un pizzico di egoismo.
Ripensare al loro matrimonio, con così tanti alti e bassi ma felice, per quanto potesse essere normale un rapporto tra due persone come loro, nato tra l’altro in circostanze così strane, e alla proposta di matrimonio, con tutte le paure che aveva affrontato scegliendo di dire sì e fidarsi, così, di una persona che sapeva innamorata di un’altra, riportò Lynz a pensare a Frank Iero, così, a caso, dopo anni che neanche lo sentiva nominare se non nelle proprie interazioni fatte da ragazzine idiote su Twitter o sul Kerrang. Notò che, persa nel flusso dei ricordi, aveva messo in ordine tutta la cucina ed era andata a sedersi su una delle grandi poltrone del salotto, ad abbracciare stretto un cuscino, senza neanche rendersene conto. Scrollò le spalle, notando che suo marito non era ancora tornato, e tornò a viaggiare, come al solito, nella propria testa.
Aveva sempre provato una strana sorta di affetto, quasi materno, per Frank. Come fosse stato il suo personaggio preferito di un bel fumetto che aveva letto, era quasi arrivata a tifare per lui nella loro strana corsa al cuore di Gerard. Be’, quando il cretino si era messo con quella sciacquetta di Eliza Cuts, aveva effettivamente tifato per Frank, ma doveva ammettere che avrebbe tifato anche per un comodino se fosse stato contro quella cosa orribile che aveva anche il coraggio di definirsi una ragazza.
Chissà come stava, quel nanetto. Era padre di famiglia anche lui, si ricordò, e pensò che magari ora era felice e non la odiava più. Per un attimo le venne l’istinto di alzare la cornetta del telefono di casa per chiamarlo e chiedergli tutto, ma poi ricordò che stava aspettando che Gerard tornasse, e che probabilmente non era il caso di chiamarlo in quel momento, e probabilmente non lo sarebbe stato mai, perché lui non avrebbe mai smesso di vederla come la stronza che gli aveva portato via l’uomo che amava. Giusto.
Sospirò ancora e sbuffò anche, schiaffandosi il cuscino sulla faccia e soffocandoci dentro un lamento, drizzando le orecchie nel sentire le chiavi che giravano nella toppa della porta di casa. Posò il cuscino accanto a sé e prese un respiro, provando a prepararsi mentalmente a qualsiasi cosa, anche se, si rese conto, che il suo subconscio poteva averla portata già alla risposta.
Gerard era stato a New York per qualche giorno. Aveva una riunione solo il primo, di giorno. E il New Jersey decisamente non era lontano. Ripensò alla scintilla di oscurità che aveva visto poco prima nei suoi occhi, e riconobbe, finalmente, cos’era precisamente: senso di colpa. Era senso di colpa nei suoi confronti? Si erano davvero rivisti? Quale diavolo di idea stava girando per la testa di suo marito? Oppure quali diavolo di film mentali si stava facendo lei? Oh, non avrebbe dovuto aspettare molto per avere la risposta a tutte le domande inespresse che le inondavano il cervello.
Quando alzò lo sguardo e lo vide davanti a sé e incrociò i suoi occhi, credette di stare per cedere. Si rese conto di non averlo mai visto così dannatamente e mortalmente serio, e completamente dispiaciuto, quasi distrutto… Neanche quando nel periodo che credeva fosse il peggiore aveva cominciato a imbottirsi di antidepressivi. Ma quella nei suoi occhi non era depressione, no, lo vedeva. Era mortificato, aveva l’espressione dell’assassino prima di uccidere la propria preda. Le fece quasi gelare il sangue.
Ma Lynz era una donna forte, lo era sempre stata. Prese l’ennesimo respiro e, nel momento in cui aprì bocca, si era già rassegnata all’accettare il suo destino, qualsiasi sarebbe stato.
- Sputa il rospo.
- Sono stato con Frank.
Fu come uno schiaffo in pieno volto. Ma lei era forte, era preparata, e non lasciò trasparire nulla, se non la durezza della sua mascella contratta nello sforzo di tenere la bocca serrata. Gerard sembrava non sapere cosa aspettarsi: dondolava sui piedi e si torturava le mani, senza staccare lo sguardo da lei. Probabilmente si era preparato uno dei suoi discorsi e poi aveva mandato tutto all’aria con quelle quattro parole sparate a razzo. Sì, era sicuramente così.
- Lyn… - mosse un passo in avanti verso di lei - Io non volevo…
- Sta’ zitto, Gerard, ti prego - si passò una mano sul viso e si alzò in piedi, intimandogli con lo sguardo di lasciarla parlare - Non voglio i dettagli. Ti conosco da tempo, ormai, e so che qualsiasi cosa tu faccia, non la fai senza pensare. Quando ti ho sposato, sapevo che non mi amavi… Ma io ti amo, e non posso farci niente.
- Anche io ti amo, Lyn… - la interruppe lui, facendo un altro passo e prendendole entrambe le mani con le proprie.
Lynz non si oppose, anzi, gliele strinse forte, abbassando lo sguardo mentre tornava a parlare con sempre meno forza, la voce sempre più stanca - Non mi hai mai amato quanto ami lui, Gerard, lo so, l’ho sempre saputo… Io sono sempre stata un po’ come la tua migliore amica, e mi è sempre andato bene. Me lo sono fatto bastare. E tu hai sempre provato a farmi stare bene, lo so, e io ci sono stata, bene, l’ho apprezzato, tanto, pur sapendo tutte quelle cose… Ma se ti eri stufato davvero così tanto di me, ti bastava dirlo. Non avevi bisogno di tradirmi anche fisicamente, oltre che mentalmente. Lo avrei accettato, come accetto la maggior parte delle cose che fai, perché ti conosco, e so che è inutile tentare di farti cambiare idea… - la voce le si spezzò sulle ultime parole e si morse il labbro, senza alzare lo sguardo, per provare a tornare a parlare normalmente, invano.
Gerard era rimasto in silenzio, accusando tutti i colpi come chi sa di star facendo soffrire una persona alla quale non tiene quanto dovrebbe, come chi sa di non essere nel giusto - Non avrei mai voluto farti stare così. Credevo di farcela, ce l’ho fatta per tanti anni…
- Per tanti anni hai mentito a te, ma non a me.
- Avrei voluto che non fossero state bugie.
- Ma lo erano.
- Lyn…
- Senti, Gerard, è inutile stare qui a parlarne. Mi fai solo più male. Il passato ormai è passato, io tutto quello l’ho accettato, in un modo o nell’altro. Il fatto è: cos’hai intenzione di fare ora? - fece qualche passo per allontanarsi da lui, andando in cucina, sapendo che lui l’avrebbe seguita anche se non lo stava guardando.
- È partito tutto dal fatto che vorrei rimettere insieme il gruppo… - e lui la seguì, rispondendole cautamente.
A quelle parole, Lynz si fermò davanti al frigorifero mezzo aperto - Questo… Questo mi fa piacere. Davvero - ne estrasse una bottiglia d’acqua e lo richiuse, misurando ogni movimento e continuando a non guardare Gerard - E hai deciso che, a riparare una cosa che in realtà non volevi rompere, sarebbe stato facile farne anche due?
- È venuto tutto da sé, non avrei voluto che tu…
- Ho detto che non voglio i particolari. Per favore.
- Scusami.
- Ti perdono. Come sempre - sospirò e, dopo aver bevuto il bicchiere d’acqua e posato di nuovo la bottiglia nel frigo, si girò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime trattenute, ma che avrebbe continuato a trattenere - Io comunque ti appoggio, come ho sempre fatto. Resterò la tua migliore amica, la madre di tua figlia, una delle tante persone a cui vuoi bene. Non ti metterò i bastoni tra le ruote. Voglio che tu sia felice…
A quel punto, fu Gerard a rompere le distanze e ad avvicinarsi a lei, stringendole le braccia alla vita e poggiando la fronte contro il suo collo - Anche io voglio che tu sia felice, Lyn… Sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto e che mai conoscerò in tutta la mia vita. Sei bella, sei simpatica, sei la donna più forte che conosca, sei così fottutamente altruista: ti faresti uccidere per uno stronzo come me, e non me lo merito - sollevò il viso e la lasciò per prendere il suo tra le mani e portarla a guardarlo negli occhi, pieni di lacrime come i suoi - Io ti amo…
- Ma non abbastanza. Non nel modo giusto.
- Ma ti amo. Potrò essere lontano, potrò fare stronzate, ma continuerò ad amarti, e non ti lascerò mai da sola, almeno finché non sarai felice - sospirò e le lasciò il viso per tornare a prenderle le mani, e stringerle - Lo so che, detto adesso, detto così, può sembrare una cazzata, ma credo sia vero: io non sarei mai stato in grado di renderti felice. Non completamente. Non è di me, che hai bisogno. So che sarai felice, e voglio aiutarti anche perché io non ci sono riuscito quando avrei dovuto.
Lynz chiuse gli occhi per un secondo, lasciando scappare una lacrima che cadde sull’intreccio delle loro mani, poi prese un respiro e tornò a guardare l’uomo che le stava spezzando il cuore: - Grazie.
Disse solo quello, fu l’ultima cosa che ebbe la forza di dire mentre lo abbracciava di nuovo, seppellendo il viso nel suo petto e bagnando la sua maglietta di tutte le lacrime che aveva cercato di trattenere fino a quell’istante.
Ne avrebbero riparlato, questo era certo. C’erano tante cose da mettere a punto, tante situazioni di cui discutere, tanto tutto. Ma tutto ciò che Lynz riusciva a fare in quel momento era cercare di trattenere i singhiozzi, aggrappandosi all’uomo che amava. L’uomo che dopo averle dato tutto le stava strappando via il cuore, e le stava promettendo di non abbandonarla, di salvarla dopo averla uccisa, ma lei annegava, e lui non lo sapeva. O forse sì.
Non riusciva a pensare lucidamente. L’unica cosa che sapeva, era che niente sarebbe stato più lo stesso.
Che loro non sarebbero più stati gli stessi.
Come fantasmi nella neve. Come fantasmi nel sole.











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ALLORA
ciao
okay, bene, parto con delle scuse:
1) per questo capitolo che boh non lo so io ci ho pianto nello scriverlo ma ok
2) PER L'ESTREMO RITARDO
ma ho delle scusanti:
- ricordate il blocco dello scrittore de quale vi avevo parlato nello scorso capitolo? bene, non era finito
- quest'anno ho la maturità, e il l'ultimo periodo è stato il peggiore tra interrogazioni e compiti etc e ho dovuto per forza aprirmi il culo a studiare visto che negli ultimi cinque anni non ho fatto na ceppa e rischiavo pure la non ammissione lol
- come se non bastasse, ho avuto i lavori in casa quindi sono stata senza pc per due mesi e anche se avessi potuto aggiornare per l'assenza dei motivi precendenti, non avrei potuto per questo
insomma, un gran bel casino
ora che vi ho chiesto scusa direi che mi tolgo di mezzo visto che c'è un temporale con fulmini saette e grandine che AIUTO proprio sopra casa mia e non vorrei che un fulmine mi colpisse e mi bruciasse il pc rido
vi informo, tra l'altro, che credo manchi qualcosa come cinque o sei capitoli alla fine della storia, ma non ne sono sicura, e tra l'altro non so quando aggiornerò la prossima volta perché sono davvero impegnatissima e probabilmente mi verrà un esaurimento nervoso molto presto
in bocca al lupo a tutte le maturande come me, che la forza sia con noi lolz
VA BENE VE BENE ME NE VADO 

con la speranza che ci sia ancora qualcuno che segue la mia storia,
un grosso abbraccio che gnawgnawgnaw
-Elis ♥
  
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