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Autore: northernlight    10/06/2015    3 recensioni
Un oscilloscopio è un apparato di misura in grado di rappresentare visivamente regolari cambiamenti dell'attività elettrica, ad esempio una corrente elettrica o di segnale. I dati risultanti vengono visualizzati come una forma d'onda disegnato su un grafico con due assi, in cui l'asse X orizzontale rappresenta il tempo e l'asse Y verticale indica tensione.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Arielle Vandenberg, Matt Helders, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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                Oscilloscope.



 
i. Do I Wanna Know? 
 
Arrivò davanti al negozio di chitarre, spense a malincuore la sigaretta a metà accesa troppo tardi ed entrò. Al trillo del campanellino della porta, il solito saluto del proprietario non giunse alle orecchie di Alex quella mattina. Si guardò attorno, l’odore del legno e del lucido per le chitarre lo accolse come un caldo abbraccio in un giorno molto freddo.

“Heilà? C’è nessuno?”
Il negozio sembrava vuoto fatta eccezione per le decine di bellissime chitarre appese sui sostegni a muro. Alex aveva scoperto quel posto semi sperduto una delle prime volte che aveva messo piede a Los Angeles con la band, anni prima: era in giro da solo ad esplorare la città e aveva bisogno di un po’ di corde nuove per la sua acustica personale e si era imbattuto per caso nel negozio. Il proprietario del negozio si era mostrato sempre molto gentile e disponibile con Alex e ogni volta era sempre un piacere discutere di musica con lui. Quella mattina era lì più o meno per lo stesso motivo: doveva ritirare una chitarra nuova che non riusciva a reperire in Europa e aveva bisogno di un paio di corde nuove, quelle che aveva sistemato mesi prima le aveva rotte una sera che era tornato a casa incazzato e non molto lucido e si era sfogato suonando. Si riscosse, fu attratto da un movimento repentino alla sua destra, proprio accanto ad una parete piena di Manson. Accigliato, notò una ragazza dai lunghi capelli che puliva delicatamente le preziose chitarre mentre ballava in punta di piedi su un paio di Converse nere alte. La sua pessima abitudine di squadrare la gente da capo a piedi, gli permise di notare subito la t-shirt bianca e la salopette che indossava.

Se non avesse i capelli così chiari potrebbe essere l’unica altra persona al mondo a risultare così aggraziata con addosso delle Converse ed una salopette’ pensò. Scacciò via i ricordi scuotendo la testa e schiarendosi la gola nel tentativo di richiamare l’attenzione della ragazza. Provò a salutare ancora, ma non ricevette risposta. Non voleva essere maleducato e nemmeno spaventarla però aveva proprio bisogno di quelle corde quella mattina. A qualche passo da lei, Alex si allungò per toccarle lievemente una spalla. La ragazza si voltò di scatto, un urlo soffocato, la mano alzata pronta a dare uno schiaffo in pieno viso al suo aggressore. Alex indietreggiò, le mani avanti in segno di resa e difesa.

“Oddio!”
Le sottili dita della ragazza sfiorarono appena il naso di Alex per poi andare a strappare con forza gli auricolari che aveva alle proprie orecchie.

“Ferma! Ferma! Non voglio farti del male!”
Solo in quel momento la ragazza realizzò che nessuno stava cercando di ucciderla e lasciò cadere il panno che teneva nella mano che non aveva usato per provare a picchiare Alex. Imbarazzata si portò le mani alla bocca.

“Oddio!”

“Sì, questa l’ho già sentita…” disse Alex sorridendo toccandosi il naso.

“Oddio… ehm, scusami! Avevo la musica troppo alta e non ti ho sentito” si giustificò lei “s-stai bene? Non ti ho colpito, credo…”

“Sto bene, tranquilla. Tu? Eri così concentrata a pulire che pensavo ti venisse un infarto, ma non sapevo come fare per chiam-…
Alex la seguì con lo sguardo mentre raccattava le cose che stava usando per portarle dietro ad un bancone di vetro pieno di accessori per chitarre. Le mani nelle tasche dei jeans, non molto sicuro sul da farsi.

“È che non mi hanno detto che c’erano consegne in programma stamattina e allora ne ho approfittato per ascoltare un po’ di musica e sistemare qualcosa” lo interruppe lei. Alex la osservò tendersi, di spalle, verso uno scaffale molto alto per prendere un cellulare. Lo controllò rapidamente e lo infilò nella tasca destra della salopette. Solo allora Alex notò che la misteriosa ragazza indossava una maglia con un logo a lui molto noto, quello degli Strokes. La guardò e lei lo guardava di rimando, sorridendo.

“Ehm… bella maglia. Cosa ascoltavi prima?” disse Alex tamburellando con le dita sul bancone.

“Oh, ehm… non vuoi saperlo davvero” rispose la ragazza con una risatina isterica di sottofondo.

“Mettimi alla prova!”
Alex fece spallucce, aspettando la risposta.

“Beh, era Rihanna…” riferì imbarazzata. Alex rise sommessamente, divertito più dall’imbarazzo di lei – figlia di uno che di musica ne sapeva una più del diavolo – che per ciò che stava ascoltando.

“Sai, tempo fa ho fatto una sua specie di cover con la mia band, quindi non essere imbarazzata” la rassicurò Alex ripensando a quella giornata di prove finita a puttane, come sempre. Non vedeva l’ora di tornare in studio e passare da giorni super produttivi a giorni in cui giocavano a lanciarsi Smarties in bocca da un lato all’altro del divano.

“Hai una band?” chiese lei, apparentemente impegnata a digitare qualcosa al pc.

“Sì, ma non è importante. Comunque, lavori da poco qui? Non ti ho mai vista, eppure ci vengo spesso!”

“No, sono la figlia del proprietario, vengo qui quando ha dei pezzi importanti da ritirare di persona. Sono Arielle, in ogni caso” si presentò la ragazza con un sorriso enorme, alzando lo sguardo dal pc e porgendogli la mano.

Arielle...’
Alex si rigirò mentalmente il nome di quella curiosa ragazza.

“Arielle come…?”

“Come la fottuta Sirenetta? Sì, come lei.”
Alex le sorrise, osservò le lentiggini danzare assieme alla smorfia che le spuntò sul viso.

“Perché ridi?” chiese Arielle sinceramente.

“Perché sono abituato a sentire quel ‘fottuto’ con un accento molto diverso da quello americano.”

“Non sei di qui?” chiese incuriosita, non era riuscita a capirlo dall’accento.

“Sono un invasore del vecchio continente, sono solo bravo a simulare cose non mie” rispose il cantante facendo spallucce. Uno strano silenzio cadde tra loro, sembravano due felini che si osservavano da lontano: si fendevano a vicenda con lo sguardo, imperturbabili. Marrone contro verde, castano contro biondo, mascella affilata contro zigomi degni di una scultura di marmo. Alex si accorse di stare tamburellando ancora sul bancone, perciò si fermò e distolse lo sguardo ma lei fu più rapida di lui nel tirarsi fuori da quel pantano di silenzi.

“Comunque, cosa posso fare per te?” chiese risoluta.

“Ho una chitarra da ritirare ma se tu sei qui presumo che il signor Vandenberg sia a recuperare proprio la mia.”

“Posso controllare, se vuoi. Cognome?” chiese Arielle tornando al pc.

“Turner” disse Alex.

“Mmh…” mugugnò scrollando lo schermo, leggendo nomi e dati probabilmente “Alexander David?”

“Alex. Solo Alex. Però sì, sono io.”

“Sì, è andato a prendere la tua chitarra un po’ lontano da qui perciò prima delle cinque di oggi pomeriggio non sarà di ritorno, mi dispiace” rispose lei, pratica e risoluta, tornando a guardarlo dritto negli occhi.

“Oh, perfetto.”
Arielle notò che Alex si rabbuiò e si perse un attimo tra i suoi pensieri.

“Beh, se più tardi o domani non puoi passare a ritirarla, sono sicura che qualcuno può portartela a casa…”

“Sono in hotel.”

“Allora in hotel. Nessun problema! Dovresti solo lasciarmi un numero di cellulare, se non è già nel databas-… ah no, eccolo qui” disse lei consultando ancora il pc.

“Ahem, mi servirebbe per domani pomeriggio” comunicò il ragazzo, la mano a grattare un punto imprecisato del collo, gli occhi imploranti.

“Domani mattina alle 10 sarà al tuo hotel” confermò la ragazza.

Speravo in un saremo’ formulò Alex nella sua mente, senza un motivo ben preciso, ma si guardò dal esprimere quel pensiero ad alta voce.

“Ottimo! Allora ti ringrazio per tutto, Arielle…”
Alex, sollevato, fece per andarsene.

“Alex?” lo chiamò la ragazza proprio mentre le voltava le spalle.

Voglio davvero sapere cosa deve dirmi?

“Sì?” rispose lui in tono eccessivamente speranzoso di non sapeva ancora cosa, effettivamente.

“Se vuoi la chitarra però dovresti dirmi dov’è il tuo albergo.”

Coglione’ aggiunse lui, come a voler completare la frase di Arielle. Alex si diede del ridicolo, dell’idiota e del cretino. E anche altro se non avesse paura dei suoi stessi pensieri in quel momento. Notò un sorriso affiorare sul volto della ragazza, le andò nuovamente incontro.

“Uhm, hai perfettamente ragione. Che sbadato. Sono allo Chateau Marmont, comunque.”
Vide Arielle sgranare appena gli occhi, probabilmente adesso stava pensando alla band dove poteva aver visto Alex e che doveva anche essere parecchio famoso per alloggiare su Sunset Boulevard. Ma lei non fece una piega, prese un appunto su un post-it azzurro e gli sorrise.

“Grazie, Alex.”

“A te” rispose lui avviandosi di nuovo verso l’uscita. Fece appello a tutte le sue forze per non voltarsi a guardarla un’ultima volta, conscio del fatto che sentiva gli occhi di lei piantati nella schiena come lunghi artigli affilati. Appena fuori dal negozio si accese una sigaretta, ringraziando il fatto che fosse intera. Ne aveva bisogno. Fatto qualche metro verso la sua moto si accorse di una cosa: alla fine aveva dimenticato di comprare le corde per la chitarra. Ma non osò rimettere piede in quel negozio. O magari, per quel giorno, l’incazzatura era passata. 
  
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