Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Targaryen    10/06/2015    8 recensioni
"Vi è una quiete innaturale in quei luoghi quando ogni suono tace, una quiete che spaventa e in cui riecheggia il silenzio denso che avvolge i morti lasciati a marcire sui campi di battaglia. Thranduil è sicuro che sia questa una delle ragioni per cui sul Gorgoroth nessuno cerca la solitudine."
Nel 3434 S.E. uomini ed elfi diedero vita all'Ultima Alleanza e affrontarono Sauron nella terra d'ombra, in una guerra che durò sette anni e che si concluse con la temporanea sconfitta del servo di Morgoth.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Amroth, Elrond, Gil-galad, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Sussurri di foglie e di vento'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Barad-dûr (3441 S.E.)


Per sette anni uomini ed elfi hanno stretto Sauron nella loro morsa, assediando il suo ultimo rifugio e guadagnando terreno giorno dopo giorno. Molti sono morti, arsi vivi nei roghi appiccati dagli incursori o trafitti dai dardi, e la stanchezza si è insinuata negli animi strisciando silenziosa insieme alla paura, ma l’alleanza ha resistito e l’anno 3441 della Seconda Era sta per volgere al termine.
Di nuovo l’inverno imperversa malsano nella terra d’ombra, senza pioggia né vento, e la cenere sottile ammorba l’aria con più insistenza di prima, scendendo grigia e spegnendo ogni colore. Solo il rosso delle fiamme che nascono e muoiono resiste, quasi a voler ricordare che c’è un altro mondo oltre le alte catene di monti, dove la pioggia cade, il vento soffia e il cielo regala la neve, e dove le stagioni non sono riflessi confusi che nessuno riuscirebbe più a riconoscere. Stagioni di cui nessuno avrebbe mai creduto di poter sentire una tale nostalgia.
In piedi intorno al tavolo gremito di mappe logore e rischiarato dalle fiamme guizzanti del fuoco, i signori dei popoli liberi della Terra di Mezzo alzano lo sguardo di scatto allo squillo improvviso dei corni.
Volgono il capo in direzione dell’ingresso e seguono l’alta figura di Círdan mentre lo varca e si avvicina a Gil-galad. Ha il fiato corto e la sua voce rivela un’inquietudine che gran parte dei presenti avrebbe giurato egli avesse per sempre perduto insieme alla giovinezza.
“Barad-dûr è illuminata a giorno da centinaia di torce”, riferisce, “Sta accadendo qualcosa.”
Prima che l’Alto Re possa proferire parola, Elendil raccoglie la cintura di cuoio a cui è appeso il fodero che custodisce la sua spada e la indossa con gesti esperti. Narsil ha mietuto vittime ogni giorno in quei sette anni di assedio, e si dice ormai che sia sufficiente che il re dei Reami in Esilio la sguaini per spargere il terrore tra le orde nemiche.
“Dobbiamo sapere cosa”, dichiara, e si allontana accompagnato da Isildur senza attendere il consiglio di alcuno.
Gil-galad fissa per un istante l’angolo vuoto precedentemente occupato dal re degli uomini. La perdita del secondogenito Anárion è calata come un’ala nera sul suo cuore, inasprendone il carattere e rendendo rare le sue parole, ma egli non è né stolto né avventato e non vi è ragione per impedire che vada.
“Raddoppia la sorveglianza”, ordina a Círdan, “Chiunque sia in grado di combattere si tenga pronto a farlo.”
Questi annuisce ed esce seguito da Glorfindel.
Unico tra di essi a non indossare mai l’armatura durante i loro incontri, Thranduil contempla il lento movimento del vino che ondeggia nel calice stretto tra le sue dita. Si ferma e ne inala il profumo dalle mille fragranze, quindi solleva la mano e beve un piccolo sorso.
Gil-galad lo osserva compiere quel gesto che ha imparato essere per lui consueto e il fantasma di un sorriso aleggia sul suo volto. Non è il vino fermo che egli ama quello che sta gustando il re di Boscoverde, ma il dorwinion, un concerto di aromi che nasce in terre straniere e che ha per lui il sapore delle cose troppo complesse.
Quando gli domandò come mai si liberasse sempre della corazza alla prima occasione, egli rispose che lo faceva perché altrimenti avrebbe dimenticato che esisteva altro oltre alla guerra, e quello fu il giorno in cui si rese conto di quanto Thranduil differisse da Oropher. Per secoli lo aveva incontrato alla propria corte, eppure non aveva mai saputo chi egli fosse prima di allora. Forse non era amicizia quella che era nata tra loro durante quei lunghi anni di guerra, ma di sicuro il rispetto ne faceva parte e con esso la fiducia. Molte volte si erano protetti a vicenda, molte volte Aeglos aveva trafitto qualcuno che si avvicinava troppo alle postazioni dei silvani e altrettanto spesso le frecce degli elfi di Boscoverde avevano spianato la strada ai Noldor. Combattevano in modo diverso sul campo di battaglia, agili e veloci come nessun altro i primi e possenti come un fiume in piena i secondi, eppure ora Gil-galad non avrebbe saputo più dire chi tra di loro primeggiasse e, se possibile, odiava ancora di più Sauron per aver gettato il seme della discordia tra i popoli di Arda.
“Temo che dovrai cambiarti di nuovo d’abito, re Thranduil”, dice.
Thranduil non risponde e non si volge, ma a Gil-galad non sfugge la piega appena accennata che le sue labbra assumono mentre depone il calice ancora mezzo pieno. Non si sarebbe mai aspettato di poter un giorno scherzare con il figlio di Oropher, ma la guerra rivela spesso ciò che la pace non può, nel bene e nel male.
Alle sue spalle, abbandonata contro il trono di legno, Aeglos rifulge tra le ombre come una lingua di fuoco bianco.
 
***

Quando il sole si affaccia ad oriente, rendendo un po’ meno nera la tenebra che avvolge perennemente l’altopiano di Gorgoroth, le forze dell’Oscuro Signore si riversano in massa fuori dalla fortezza sciamando come un morbo che corrompe la terra.
I servi di Sauron non seguono alcuna strategia. Il loro unico scopo è quello di spezzare l’assedio e la forza bruta è tutto ciò di cui ormai dispongono. Non ci sono dardi di fuoco che piovono sull’alleanza, perché essi hanno esaurito molto di ciò di cui disponevano agli inizi e niente ha superato la linea di sbarramento imposta dagli assedianti: niente armi e niente rifornimenti, e anche gli orchi hanno bisogno di legno e metallo per fabbricare frecce e di cibo per sopravvivere.
Gli scudi e le picche dell’esercito di Elendil reggono il primo impatto e, quando le file si aprono, gli attaccanti incontrano le lunghe lance degli elfi e gran parte di loro finisce mietuta prima ancora di imbattersi in una spada avversaria. Contemporaneamente le ali dello schieramento alleato si serrano sui fianchi di quello nemico, schiacciandolo. Nelle retrovie e in posizione sopraelevata, i silvani scoccano frecce senza concedersi tregua e non sbagliano mai. Sull’esempio dei fratelli del Lórinand hanno modificato gli archi, ora più lunghi e dotati di maggiore portata.
Per l’ennesima volta Thranduil ordina ai suoi arcieri di ricaricare e tirare. Ha avuto anche troppo tempo per studiare il terreno e non si aspetta sorprese. E, almeno all’inizio, di sorprese non ve ne sono.
Le forze di Sauron non solo non riescono ad avanzare, ma vengono costrette a retrocedere e il loro numero si assottiglia sempre più.
Tutto sembra volgere al meglio quando, inaspettatamente, la tenebra si infittisce di nuovo. Un boato sordo sovrasta il clangore dello scontro e l’Orodruin inizia ad eruttare fuoco con una violenza insolita, squassando rabbiosamente la terra. Costoni di roccia franano tra nuvole di polvere e profonde voragini serpeggiano attraverso il terreno, inghiottendo chiunque vi si trovi accanto.
Thranduil osserva sgomento dita di fiamma scavare i fianchi del Monte Fato e colonne di fumo innalzarsi oltre il cielo di pece, quasi a voler raggiungere il sole nascosto per estinguerne il fulgore. Non gli occorre molto tempo per rendersi conto della precarietà della loro posizione. Costringendo la voce a vincere le grida che si levano dal campo di battaglia, ordina agli arcieri di allontanarsi dalle pareti e di portarsi al livello inferiore.
Dinanzi a Barad-dûr le forze dell’alleanza continuano a fare strage di orchi e di uomini scuri e forse non si accorgono subito di ciò che esce dalla torre, ma Thranduil si trova in una zona sopraelevata e ciò che appare ha il potere di mutare il suo sangue in ghiaccio.
Non si concede alcun istante di attesa questa volta, il terrore per la sorte dei compagni che domina ogni altra emozione, e grida ai silvani di seguirlo mentre si precipita giù per lo scosceso pendio.
Contro colui che è sceso in campo brandendo metallo nero e avanzando come un lembo strappato alla notte più scura le frecce non servono a nulla, ma forse le spade possono qualcosa. Forse, o forse la fine di tutti loro è davvero giunta.
Mentre procede Thranduil vede le propaggini avanzate guidate da Elrond e Glorfindel tornare sui propri passi e formare un tutt’uno con le armate di Elendil e Gil-galad, ora fuse in un unico esercito. Le forze nemiche, invece, non si riuniscono intorno al loro signore, ma si allontanano da lui come se lo temessero quasi più di quanto temano il nemico. E non occorre molto per comprendere le ragioni di quel singolare comportamento.
Una guarnigione di eldar viene a trovarsi senza volere tra Sauron ed il grosso delle forze alleate e, audacemente, attacca. Il signore di Mordor solleva l’enorme mazza irta di chiodi che stringe nella mano destra e la abbatte su di loro, frantumando corpi e armature come fossero granelli di sabbia in balia del mare.
Thranduil si impone di non riflettere, perché qualunque considerazione in quel momento porterebbe chi è sano di mente a fuggire in cerca di salvezza e non a gettarsi tra le braccia della morte. Avanza soltanto, uccidendo chiunque gli sbarri il cammino e raggiungendo il primo fronte quando ormai l’arma di Sauron è lorda del sangue di uomini ed elfi.
Tra i saggi si dice che il coraggio non consiste nel non provare paura, ma nel trovare in sé stessi la forza per dominarla e per fare ciò che si deve. E in questo momento, sull’altopiano del Gorgoroth, non vi è creatura che non provi paura.
Cercando di mantenere il tono saldo Thranduil comanda ai silvani di appostarsi e di usare gli archi. Forse, da distanza ravvicinata, potrebbero avere qualche possibilità di successo. Piogge di dardi tempestano il signore oscuro, ma questi neppure vi fa caso, e il re di Boscoverde infine desiste ed ordina di mirare ai suoi servi. Almeno così le frecce non andranno sprecate. Lascia gli arcieri a fare il loro lavoro e si allontana accompagnato dai suoi migliori guerrieri, ma non giunge in tempo per incrociare le spade con il nemico. Gil-galad ed Elendil lo hanno preceduto e stanno attaccando insieme l’antico male, figlio indiretto di quella nota stonata con cui Melkor corruppe la musica degli Ainur quando né tempo né spazio ancora esistevano.
Thranduil vede l’Alto Re impegnare Sauron in duello senza mostrare alcuna esitazione, gli occhi freddi ed antichi e l’odio incanalato nella furia lucente di Aeglos, e per la prima volta comprende a cosa Gil-galad debba il suo nome. Ne riconosce il coraggio e il valore e, per la prima volta, lo ammira.
Quando il re elfico fallisce nell’evitare l’ennesimo colpo e scivola nella polvere perdendo lo scudo, Thranduil strappa l’arco dalle mani del più vicino tra i silvani e scocca la freccia con tutta la forza che ha in corpo. Nessuno, né lui né altri, saprà mai se è per merito suo che Sauron indugia quel tanto che basta da permettere ad Elendil di bloccare l’assalto, ma poco importa. L’oscuro signore cambia bersaglio e Gil-galad scatta in piedi, cogliendolo alla sprovvista e penetrando con la lancia laddove le placche della corazza si uniscono al centro del petto. Aeglos geme quando apre il metallo ma non si ferma, mentre Elendil libera Narsil ruggendo la sua rabbia e gli trancia di netto i tendini della gamba destra. Sauron crolla in ginocchio e Thranduil ha l’impressione che un raggio di sole sia riuscito a vincere la sua sfida con il Monte Fato e ad illuminare i contendenti.
Promette a sé stesso che, quando tutto sarà finito, renderà i dovuti onori all’Alto Re dei Noldor e al re degli uomini che lo ha affiancato con dignità.
E così, quando accade, egli quasi non crede che la scena dinanzi a lui sia reale. Sauron solleva la mazza e con disumana violenza colpisce in pieno Elendil, sbriciolando Narsil alzata a difesa e schiacciandolo contro il terreno roccioso. Non si preoccupa di recuperare l’arma e la lascia lì, sul cadavere insanguinato del Re di Arnor e di Gondor, quindi si volta troppo velocemente perché Gil-galad possa allontanarsi in tempo, lo afferra per la gola e stringe.
A Thranduil, ormai vicinissimo, pare quasi di udire le ossa del collo che si spezzano come legno secco e il sospiro della vita che abbandona quel corpo per librarsi al di là del mare. Non paga la mano di Sauron, ora ardente, brucia le carni dell’involucro ormai vuoto che ancora tiene sollevato da terra, eppure Aeglos non si arresta. Arroventata, prosegue la sua corsa come guidata da una volontà invisibile e raggiunge il cuore. Solo ora, finalmente, si quieta. Sauron vacilla e lascia la presa, ma non muore come un figlio di Arda. La nera armatura si disgrega come fosse composta da tenebra e aria e il suo spirito ulula sulla piana allontanandosi e disperdendosi oltre l’orizzonte, mentre un vento improvviso si alza ed atterra i meno forti tra loro. Gli ultimi orchi si danno alla fuga e solo ora Thranduil si accorge della presenza di Elrond.
Quasi irriconoscibile ma apparentemente illeso, si avvicina a colui che fu amico e re e si inginocchia accanto a ciò che ne resta, il capo chino e le lacrime silenziose che tracciano scie chiare attraverso la polvere che ne insudicia il volto.
Thranduil si porta una mano al viso e non si sorprende quando si accorge che è bagnato, e quasi non fa caso ad Isildur che solleva il moncone di Narsil e che taglia il dito di Sauron, reclamando l’Unico Anello per sé.
 
***

Sulla sommità della collina Thranduil spinge lo sguardo oltre la leggera bruma che ricopre gli acquitrini addormentati … le Paludi Morte, le chiamano ora, silenziose custodi di errori e follie e monito per coloro che verranno.
Quei sette, interminabili anni si sono insinuati in lui come le invisibili fratture che nel tempo minano la resistenza dell’acciaio, rendendo la lama fragile nonostante in apparenza nulla sia cambiato.
Si sente fragile in questo momento il re di Boscoverde il Grande, stanco come una lama troppo vecchia, eppure il mare non lo sta chiamando e l’occidente continua a rimanere per lui soltanto il luogo ove naufraga il sole. Le troppe vite perdute hanno dilatato quegli anni rendendoli lunghi come secoli e le lacrime sono finite senza lasciare nulla, neppure il desiderio di partire. Il domani è un’immagine sbiadita su cui il passato getta lunghe ombre, e tra le quali neppure i più saggi riescono a discernere.
Ed egli non si è mai ritenuto saggio.
Eppure, quel giorno, ha compreso qualcosa che sembra essere sfuggito a chiunque altro, persino a coloro che in più occasioni hanno dato prova di esserlo. Uomini ed elfi credono che Sauron non tornerà, ma Thranduil sa che l’oscuro signore di Mordor segue l’Unico con la stessa ossessione con cui uno spettro brama l’oscurità. Le correnti che ne hanno disperso le spoglie ai quattro angoli del mondo hanno mormorato parole sull’altopiano del Gorgoroth, e quelle che sono giunte a lui non sono state parole di addio. Isildur si è dimostrato stolto e, prima o poi, tutti loro dovranno affrontare le conseguenze della sua scelta sconsiderata.
Nel frattempo vi sono errori commessi da altri a cui riparare e ferite profonde dalle quali, forse, guarire.
“Non ho mai immaginato il mio futuro assiso in trono”, confessa, quasi si stesse rivolgendo a sé stesso.
Stringe la corona tra le dita della mano destra, il braccio disteso lungo il fianco e l’apparenza delle responsabilità deposta per un istante.
A pochi passi da lui, Elrond abbassa le palpebre per la durata di un respiro. Il vento corre lungo i crinali dei monti e gioca con i suoi capelli, sollevando strali neri come la notte più cupa.
“E’ sciocco pretendere di ottenere solo ciò che si desidera”, dice.
Il re di Boscoverde non ha bisogno di porre domande per rendersi conto che, in quel momento, il signore di Imladris è tornato ai piedi di Barad-dûr, accanto al corpo di Gil-galad riverso tra la polvere. Lo rivede anche lui, a volte, e a volte rivede ancora suo padre.
“I ricordi per i mortali sbiadiscono con il tempo, e talvolta vorrei che fosse così anche per noi.”
Elrond si volge e sorride, perché il dolore non lo ha reso meno cordiale e i suoi modi possiedono ancora il tocco gentile della primavera.
“Talvolta, re Thranduil, solo talvolta. Ci sono ricordi che vorremmo cancellare, ma altri ci sono cari e forse i mortali, che sperimentano ciò che noi non possiamo, preferirebbero preservare vividi entrambi.”
Thranduil annuisce e sorride anch’egli, ma non finge che quel sorriso nasca dal cuore. Ha la sensazione che siano trascorsi secoli dall’ultima volta in cui è stata la gioia a curvare le sue labbra, e ormai teme di non essere più in grado di accoglierla in sé.
In alto, nel cielo terso, un gabbiano sfreccia verso sud disturbando la calma innaturale di quei luoghi con il suo garrito, così lontano dal mare eppure intenzionato a farvi ritorno. Il re ne rincorre la sagoma scura, quasi fosse il fantasma di un pensiero restio a tradursi in parole, e quando la vede confondersi con l’orizzonte comprende.
“Sei il suo erede”, sussurra, “Ma non ne assumerai il titolo.”
Elrond pare riflettere, ma la scelta è già stata compiuta e forse ciò è avvenuto anni addietro. Il signore di Imladris pondera sempre le proprie azioni e una decisione di tale portata non può essere stata dettata dalle sole emozioni.
“Non è più tempo per gli Alti Re dei Noldor, e neppure io ho mai immaginato il mio futuro assiso in trono”, confida.
Thranduil annuisce, alza la corona e la osserva per un lungo istante in una muta, definitiva accettazione, quindi se la pone sul capo e distoglie lo sguardo dall’orizzonte. I rami d’argento cingono la sua fronte nell’abbraccio degli alberi del bosco ora suo, quel bosco di cui ha visitato solo le estremità meridionali in un passato che appare confuso come i ricordi dei mortali, ma di cui mai sul Gorgoroth ha cessato di udire il richiamo.
“Saresti stato un buon re”, afferma voltandosi verso Elrond, la voce salda e negli occhi ancora l’illusione del sorriso che si è concesso poco prima.
Solleva la mano e se la porta al petto, palmo aperto contro la sontuosa veste che ha sostituito l’armatura indossata per anni, e il capo abbassato in segno di rispetto.
Elrond imita il suo gesto, ma china la fronte un poco di più e sorride un poco di più, perché l’unica corona che non può rifiutare è fatta di virtù e non richiede che vi si renda omaggio.
“Possa tu percorrere sempre verdi sentieri, re Thranduil, e possa il tuo bosco ridarti la pace”, lo saluta, con l’affetto con cui si saluta un amico e con la solennità con cui si saluta un re.
“Possano le stelle guidare sempre i tuoi passi, lord Elrond”, risponde Thranduil, “Ogni volta che lo vorrai, sarai il benvenuto nel Reame Boscoso.”
“Come tu lo sarai sempre ad Imladris. Namárië.”
“Namárië.”
Non ci sono altre parole, solo un lungo silenzio e le sue infinite promesse, quindi Elrond si volge e si allontana.
Rimasto solo, Thranduil guarda per un’ultima volta la vasta pianura e si inchina, in un tacito omaggio ai morti. Dinanzi a lui i volti dei grandi signori di popoli si mescolano a quelli della gente comune i cui nomi non verranno mai celebrati, perché è la vita che li valuta diversamente, non la morte. Per la morte sono tutti uguali.
“Hantanyel Gil-galad, Alto Re dei Noldor”, sussurra.
E quasi lo vede, seduto sulla sabbia bianca che fa brillare le spiagge di Aman, mentre ride con la voce del vento.

_____________________________

Note alla seconda parte:
I saluti finali tra Elrond e Thranduil sono liberi adattamenti di frasi di congedo tradotte dall’elfico. “Namárië” e “Hantanyel” significano, rispettivamente, “addio” e “grazie” in quenya.
 
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Targaryen