Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Emerlith    11/06/2015    2 recensioni
Forse fu la neve a rubare quel pianto antico, per restituirlo alla terra.
Andromeda non avrebbe osato chiederlo, mai. Con le dita tremanti, impregnate di sangue, sfiorò quelle palpebre sottili, e in quel blu cobalto non intravide nessuna pietà.
-Una volta, solo una volta!-
Faremo come se non fosse mai accaduto.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange, Ted Tonks | Coppie: Rodolphus/Bellatrix, Ted/Andromeda
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A piedi nudi sulla neve.
 

“…Tu vuoi una bambina che abbia gli occhi di Bella, e non riuscirai mai a vederla, né a sentire la sua piccola mano che stringe la tua.
Ti ho mostrato il tuo destino posandolo davanti ai tuoi piedi.
Perciò non chiedermi di assistere a tutto questo. 
Lasciami andare così, silenziosamente.
Lasciami andare con un sorriso, fa’ finta che io stia sempre lì, dietro ad un angolo in attesa di un tuo sguardo tanto agognato.

Tienimi con te, sempre…”
-Rododendro, Capitolo ultimo.
Ai sogni infranti.
 
Rodolphus Lestrange cadde dal divano.
Spalancò gli occhi e rimase sdraiato, in ascolto, le orecchie tese a carpire il minimo fruscio.
Immobile, frastornato, cercò di ricordare cosa stesse sognando e lasciò vagare il suo sguardo inquieto lungo le pareti del suo studio; indugiò sulle braci ancora ardenti nel camino di marmo, lasciò che i minuti scorressero, senza muovere un muscolo.
Ma la casa era silenziosa, immersa nelle ombre. Sembrava morta.
Che ora poteva essere? Guardò il grande orologio a pendolo, proprio di fronte a lui. Segnava la mezzanotte, eppure lui non ne udì i rintocchi.
Quando si era rotto, quell’orologio? Non lo ricordava.
Pensò che avrebbe dovuto udire almeno i cani abbaiare, con la tempesta di neve che imperversava al di fuori. Pensò che Bellatrix avrebbe dovuto essere rientrata da un po’, come mai non era venuta a svegliarlo, se non altro per farsi beffe di lui?
Sei debole, Rod. Riesci a dormire come un bambino mentre dobbiamo combattere per il Nostro Signore.
 
Di scatto, si mise a sedere e poi balzò in piedi, afferrando la propria bacchetta.
I bei ritratti di sua moglie lo fissavano e come ogni volta, lo sguardo assorto di Bella, muto, pareva suggerirgli qualcosa.
Nessun incantesimo, Rodolphus. Ho sempre detestato che i ritratti si muovano. Non avrai me a sorriderti lungo tutte le pareti di questa maledettissima casa.
 
Come un ragazzino alla prime armi, incauto ed impacciato, Rodolphus accese la bacchetta e si fece strada. La porta dello studio cigolò in maniera sinistra. Il pavimento di marmo, levigato e freddo sotto la pianta dei suoi piedi nudi, gli diede un brivido che lo percorse interamente, fin nel midollo. Puntò il sottile fascio di luce lungo le pareti, avanzò cautamente verso l’atrio e la grande scalinata che portava ai piani superiori della villa.
 
Salì le scale tenendosi –senza rendersene conto, alla balaustra. Gli pareva, ad ogni gradino, di respirare sempre più a fatica, come se qualcuno – o la casa stessa, gli stesse risucchiando via l’ossigeno dai polmoni. Ancora nessun rumore, neppure quello dei tuoni.
Dietro l’immensa vetrata, la neve cadeva senza sosta in un turbinio convulso accrescendo il manto compatto e immacolato, soffocando ogni cosa. Forse stava soffocando anche lui.
Così affrettò il passo, e perlustrò ogni angolo, ogni anfratto nascosto di quei corridoi bui e lunghi, troppo lunghi –ne aveva sempre avuto il terrore, da piccolo, quando giocava a nascondino con suo fratello. Ma cosa –chi doveva cercare, adesso?
 
Il riverbero quasi accecante della neve inondava il secondo piano, le finestre erano tutte spalancate e falde candide turbinavano attorno a lui, come piume di angeli dalle ali tutte spezzate. Soltanto la porta bianca era chiusa, doveva sempre restare chiusa, e doveva essere bianca, proprio come la neve. Aveva tanto insistito, la sua meravigliosa moglie. Non ne aveva mai compreso il motivo.
 
-Bella?- Provò a chiamare, ma dal fondo della sua gola uscì fuori solo un rantolo soffocato.
-Bella? Sei qui?- Riprovò, la mano attorno al pomello. Scivoloso. Bagnato.
Serrò le palpebre, abbassò la testa, non vi erano più coraggio, né alcuna fede dentro di lui.
Era diventato un burattino, un inutile involucro umano.
Non bussò, non attese nessun invito ad entrare, immediatamente comprese che non ve ne sarebbero stati mai più.
Lasciò che la porta si aprisse lentamente, immaginò il fascio di luce urtare gli occhi vitrei di tutte quelle bambole ben vestite e disposte ordinatamente lungo le mensole.
In un rantolo soffocato, gli parve di ingoiare l’odore del sangue.
-Le mie bambole sono morte.- Gli sussurrò la voce di sua figlia, dal centro della cameretta.

 
***
 
 [Dicembre 1981]
 
La prima neve d’inverno, aveva mormorato quel pomeriggio Ted Tonks, con un velo di nota poetica.
-Certo però, è strano. -Aveva soggiunto un attimo dopo, scostando le tende dalla finestra.
Andromeda Black si era alzata da tavola, le porcellane da tè avevano tintinnato e Ted aveva scosso le spalle al rimbombo di un tuono, come a voler dissimulare noncuranza.
-Sai, con i lampi e i tuoni, sembra un cattivo presagio. Eppure Voldemort è stato sconfitto, pare non ci siano dubbi a riguardo… Tu che ne pensi, Dromeda?-
Lei non aveva risposto, suo marito conosceva fin troppo bene quella risposta. Cercava soltanto, ancora una volta, di mettere la logica al di sopra di tutto, la Scienza babbana prima della magia.
Andromeda si era dunque limitata a sospirare, rammentando quei vecchi racconti del terrore che la sua balia amava tanto raccontare loro proprio durante i gelidi inverni nella brughiera.
Ma lei non doveva ricordare. Non poteva ricordare.
Scacciò via i vividi echi delle voci delle sue sorelle, e quella risata, la risata di Bella.
Avrebbe voluto sprofondare insieme a tutta quella neve, dormire avvolta da freddo silenzio, dimenticare il passato, cancellarlo.
Faremo così, come se non fosse mai accaduto. Non era questo che Rodolphus le aveva bisbigliato all'orecchio?
 
Faremo come se non fosse mai accaduto.
***
 
Era questo che continuava a ripetersi Andromeda, mentre arrancava a fatica nella neve, sfidando il vento gelido, con il viso colmo di lacrime e le labbra serrate dal troppo dolore, dall’incredulità, da quella firma inconfondibile su quella lettera sgualcita e sporca, come loro, tutti loro, impregnati dell’onta di tutte quelle innumerevoli e inconfessabili nefandezze.
Arrancava nella neve ed era come se non riuscisse a percepire più nulla, né il freddo, né l’odio verso sua sorella Bellatrix, e nemmeno più l’amore. Era la fine, lo sapeva. Le giunture della frattura dolevano, si erano separate ancora una volta  –non vi sarebbe stato modo di ricongiungerle; un dolore fantasma è un dolore che non ha nome e per questo non può guarire.
Non udiva il fruscio degli alberi, le sirene in lontananza, e poi le urla, tutte quelle urla.
Riusciva solo a scorgere suo marito Ted correre davanti a lei, la neve fitta le copriva gli occhi, ovattava i suoni, si mescolava alla cenere dell’incendio alle loro spalle, mischiando la realtà alla fantasia.
Era davvero sua sorella, la donna distesa in quella pozza di sangue, sul manto tradito –e violato, della neve candida?
Era sua sorella, la donna che strillava con il viso scarno rivolto ad un cielo inclemente, che si svuotava di cenere e neve?
Sua sorella stava forse implorando a quel cielo, per la prima volta, pietà?
Ma non poteva essere reale, no. Quell’uomo acquattato e tremante non poteva essere Rodolphus Lestrange.
No, tutto ciò non era possibile. Non stava accadendo realmente.
 
Faremo come se non fosse mai accaduto.
Schegge di vetro, fiori che stillano sangue.
Stai sanguinando, mamma.
 
-Vi prego, in nome di Dio, dovete aiutarmi!-
-Non scomodare un Dio in cui non hai mai creduto, Lestrange. La polizia sta arrivando, vi prenderanno, questa volta è finita. Il Ministero della Magia…-
Sì, era proprio Rodolphus, che si era alzato e aggrappato alle spalle di Ted, con l’odio, il dolore, la morte nel fondo delle sue iridi nere –per pietà, non potete lasciare che lo portino via, non potete, è mio figlio!-
-E cosa avete appena fatto voi, a quella donna? Che ne è stato di loro, che ne è stato di quel bambino?-
-Non ho toccato il bambino dei Paciock! Non ho fatto niente al bambino, lo giuro! Andromeda! Meda, tu lo sai, lo sai che lo voglio! Diglielo, Andromeda!-
Ma Andromeda era caduta. Strisciando, tra fango e neve, si era intrufolata fra le macerie di quella casa crollata, ed aveva capito. Non avrebbe mai trovato pace, mai avuto un ristoro. Quelle urla e quella lettera sarebbero state la sua condanna.
-Che cosa hai fatto, Bellatrix?
 
-Sta nascendo, non c’è più tempo, Ted. Non possiamo spostarla.-
Una voce fredda, glaciale, una voce che non le apparteneva. La voce della frattura.
-Portami un mantello, dell’acqua calda, una coperta, qualcosa che sia pulito dannazione, qualunque cosa, Rodolphus!-
-Voi non potete, voi non … non osare toccarmi, sporco, lurido Babbano…Andromeda, Andromeda…-
Bellatrix le aveva afferrato la mano. Aveva piantato con forza le unghie scarlatte sul suo dorso, l’aveva guardata –antico splendore, non era ancora svanito dopo tutto quel tempo, e Andromeda aveva annuito, ancora una volta –come sempre, durante tutto il corso della sua vita.
-Ci sono io, Bella.- Aveva balbettato, ma Bellatrix aveva solo scalciato, dimenandosi come un serpente schiacciato sotto un enorme macigno –Non potrete averlo, mai!-
-Prendilo, Dromeda, giragli la testa, così.-
-Lasciatelo! Non lo toccate! È mio, maledetti, vi ucciderò tutti…-
-Ha il cordone attorno al collo. Devi girarlo Andromeda, devi darmi una mano…-
Le mani, le sue mani nel corpo di Bellatrix. Quante volte, da bambina, aveva desiderato ardentemente farle del male, strapparle le viscere, proprio come la vedeva fare con quei cani e quei leprotti innocenti. Quante volte avrebbe voluto rovesciarle addosso il suo dolore e terrore, tutto quello che lei le procurava, tutta la rabbia, i pianti cui nessuno aveva mai dato ascolto.
 
Forse fu la neve a rubare quel pianto antico, per restituirlo alla terra.
Andromeda non avrebbe osato chiederlo, mai. Con le dita tremanti, impregnate di sangue, sfiorò quelle palpebre sottili, e in quel blu cobalto non intravide nessuna pietà.
-Una volta, solo una volta!-
Faremo come se non fosse mai accaduto.
Rodolphus, un gomitolo rattrappito sul ciglio della strada ora accerchiata da gente e sirene assordanti.
Con una bacchetta puntata alla tempia Andromeda aveva infagottato quella nuova, impotente creatura –ma innocente? Lo sarebbe mai stata?
E l’aveva posata sul petto di sua sorella –occhi negli occhi, onice e ambra, un addio tanto agognato, allora perché si sentiva così? Perché la sua anima smarrita reclamava qualcosa, perché non riusciva a staccarsi da quell’intreccio di dita, da quegli occhi assassini che tutto le avevano tolto?
-Rodolphus e Bellatrix Lestrange, in nome del Ministero della Magia, vi dichiaro in arresto…-
-Dimmi, dimmi almeno se…-
-È morta, Bella. Non respira, non piange.-
Ma Bellatrix si era sollevata, aveva scostato il mantello da quel visino sporco di sangue.
-Ambrosia.- Un sussurro, appena un sussurro.
-Che dici, Bella?-
-Non lasciare che nessuno ti dica mai Chi sei, Ambrosia. Sei una stella. Sei il nettare dell’immortalità. Tu lo sai Chi sei.-
-Andromeda, ce ne dobbiamo andare, spiegare all’ordine… Andromeda, vuoi finire in cella anche tu!?-
-Dalla a me, Bella…-
-Ma gli occhi… li aveva aperti, io li ho visti, Andromeda, li ho visti, sono blu, quanto volevo che fossero blu…-
E poi lo strappo. Urla laceranti. Le sue braccia inermi, senza più forza, Ted a sorreggerla e a sorreggere quel fagotto.
-Cosa ne dovremmo fare del figlio di due efferati assassini, mi dica lei, Dottor Tonks…-
-Malocchio, stiamo dalla stessa parte e Lei lo sa bene, ma non può permettere che un essere innocente paghi colpe che non ha commesso!-
 
Barlumi di incantesimi, e freddo. Freddo, non lo avrebbe dimenticato mai, avvolta su se stessa in quella pozza di sangue, il suo stesso sangue, quel sangue che aveva tradito e che ora stava tornando a lei e le impregnava i capelli, i vestiti, quel fagotto ora stretto fra le sue braccia; lo sguardo di Rod, Rod la stava ringraziando, Rod che non era e non sarebbe mai stato suo… Rod che piangeva, mentre le guardie si Smaterializzavano con Bellatrix e poi afferravano lui. Rod. Solo una volta lo aveva visto piangere e quella volta aveva giurato. E avrebbe mantenuto la sua promessa.
Si inginocchiò, sfinita, piegata, rotta.
Afferrò un piedino che spuntava fuori dalla coperta, lo strinse nella sua mano per riscaldarlo.
 
 
 
***
 
[Azkaban, tra la prima e la seconda guerra]
 
Nella cella il mare scandisce il suo tempo. Quel fragore, mai uguale, è l’unica musica che fa da sottofondo a tutti i suoi giorni e in tutti i suoi incubi. Il mare. Poco prima del suo arresto, suo fratello Rabastan gli aveva detto che il mare era paziente. E che lui, Rodolphus, non avrebbe dovuto scordarselo, mai. Allora era la pazienza, a tenerli tutti e tre in vita, ancorati al nulla? O forse la follia, pura e terribile? Erano i sussurri, i rantoli, quella puzza di marcio, disgustosa, che gli impediva alle volte anche solo di pensare, che lo soffocava, come nei suoi incubi?
-La mia bambina…- aveva la forza di sussurrare, quando sapeva che la marea era bassa e il fracasso delle onde non avrebbe potuto celare il suo più grade dolore e anche la sua unica e ultima speranza. Sperava che Bella lo udisse, dalla cella di fianco. Ma Bellatrix non aveva mai dato alcun segno d’averlo sentito. I suoi deliri, le uniche volte in cui Rodolphus ne sentiva la voce erano quelle in cui bramava L’Oscuro Signore, forse l’unico essere cui Bellatrix aveva dato qualcosa di sé, le cui parole per lei avevano avuto un senso, o peggio –un significato.
-Un altro incubo, fratello?- Rabastan batte un colpo sulle sbarre. Rodolphus fa un cenno d’assenso nel buio, un grugnito poco elegante per dire che sta prestando attenzione.
-Ancora questi deliri sui bambini, Rod? Non sei stanco?-
-Non provocarmi, Rabastan.- Sputa fra i denti.
-Io non voglio provocarti fratello, al contrario, cerco di non farti impazzire, di farti sopravvivere a questo posto. Vedi Rodolphus, tu non hai figli. Non avete mai voluto figli, non li avete mai avuti!-
Rodolphus balza in piedi, afferra le sbarre, grida come un animale ferito.
-Bugiardo! Sei un bugiardo! Tu c’eri, quella notte, tu li hai visti, arrestarci e portarla via! Io lo so, e lo sai anche tu!-
-Io non ricordo nulla di quella dannatissima notte, e se tu la smettessi di inventare ricordi solo per sfuggire a questo posto, magari chissà, un giorno potresti uscire per davvero…-
Rodolphus si lascia scivolare lungo le sbarre fredde. Non sente il respiro di sua moglie nella cella accanto, riesce a sentire solo il freddo, e l’odore di sangue e morte, da quando è lì. Si rannicchia con la testa fra le ginocchia, come il guscio vuoto di una conchiglia, scavato da un dolore che lo attanaglia giorno dopo giorno, ora dopo ora. Non avrà mai scampo da tutto questo, non conoscerà mai più il calore, la sensazione di un raggio di sole sulla sua pelle, i capelli di seta di Bella fra le sue dita. Solo mentre dorme, un barlume di consapevolezza lo investe: un piedino. Piccolo e sporco, sulla neve. Allora apre gli occhi e ha una certezza, ha la certezza di non aver dimenticato, di aver resistito ai loro incantesimi di memoria, di avere una ragione sufficiente per uscire da quel lurido posto.
-Era una bambina.- Sussurra nel buio, due lacrime rigano le guance nere di terra e rimorsi.
E poi gli torna in mente Andromeda, gli occhi caldi di Andromeda.
Non sa perché Andromeda dovrebbe aver preso fra le sue mani quel piedino sporco di sangue. E non sa poi perché debba esserci tutta quella neve.
Ma è un’immagine che i Dissennatori non riescono a portargli via.
Andromeda sapeva. Di lei, Rodolphus non aveva mai dubitato. Mai, neppure una volta.
 
 
***
 
[Casa Tonks, Dicembre 1985]
 
-Ancora quell’incubo, cara? Stavi urlando.-
Andromeda mugugnò, mettendosi faticosamente a sedere sul letto.
Sentì Ted sporgersi verso il comodino per cercare il bicchiere con l’acqua. Poi prese la sua bacchetta e mormorò “Expecto Patronum”. Ted quasi urlò, lasciò cadere il bicchiere e si fece scudo con il cuscino, mormorando qualcosa a proposito dei possibili danni causati da luci troppo intense e improvvise.
Adromeda sorrise, per un attimo le dispiacque sinceramente per suo marito, ma lasciò che il cagnolino argenteo volteggiasse per la stanza.
Sentì Ted sospirare.
-Vorrei capire questo tuo bisogno di evocare un Patronus ogni notte, da due mesi a questa parte.-
-Sono gli incubi, Ted. Tu non sogni sangue, donne con le teste decapitate. Tu non sogni di essere un assassino.-
Ted si alzò, infastidito scacciò il cane e accese la luce. L’animale spari e Andromeda rimase a fissarlo, inespressiva.
-Ne abbiamo già parlato, Dromeda.-
-Sono tornati.- Tagliò corto lei, scostando via le coperte e ravviandosi i lunghi capelli.
Ted scosse la testa, incrociò le braccia al petto.
-Credi che non me ne sia accorto? Non ti vedevo star così male da quando… sì insomma, da quando non dormivi per allattare, e tutto il resto.-
Andromeda scoppiò in una fragorosa risata, che però era priva di alcuna gioia. D’improvviso avvertì l’immediato bisogno di piangere, il fastidio delle lacrime agli angoli dei suoi occhi castani minacciavano tutta la sua credibilità e i suoi sforzi continui.
-Tutto il resto, Ted? Tu lo chiami tutto il resto?-
Ted iniziò a camminare per la stanza, come faceva sempre quando era nervoso.
-Te l’ho già detto Andromeda, ma se tu non collabori, se non prendi le tue medicine…-
Andromeda afferrò il flacone sul comodino e lo scaraventò contro il muro opposto. Ted sobbalzò.
-Ne ho abbastanza delle tue teorie psichiatriche e delle tue medicine, Ted!  Disordine da stress post-traumatico, Ted?!-
Ted avanzò verso di lei, per abbracciarla, rassicurarla.
 
-Mamma?- Mormorò una vocina sottile, dal corridoio.
-Ecco.- Ted si portò le mani alla testa, una cupa rassegnazione.
-L’hai svegliata, sei contenta adesso?-
Andromeda gli afferrò il polso.
-Svegliata, Ted? Non dorme, quella bambina. E tu lo sai, lo sai benissimo… fingi, Ted, fingi che tutto sia normale, che lei non sia…-
-Papà?-
I due si ricomposero, Andromeda prese dei fazzoletti.
-Cosa fai sveglia, tesoro? È notte fonda, lo sai.-
-Volevo solo far vedere alla mamma cosa le ho portato. È un regalo per Natale.-
-Mancano ancora un po’ di giorni a Natale, tesoro… oh Dio! Leva quell’affare! Dove diavolo l’hai trovata? Per l’amor del cielo, Ted!-
La bambina rise, spalancando le mani e rivelando al padre un’enorme falena, perfettamente immobile.
-Dromeda, per favore, è solo una farfalla…-
-Non ci provare, Ted! Ambrosia, cosa vuoi fare? Ambrosia, lo sai che non le sopporto, tu…-
-Ma è morta.- Sussurrò la bambina, con il viso a due centimetri dal lepidottero.
–È triste che sia morta, tu non trovi? Non ti dispiace? Lei vuole tornare a volare. Me lo ha detto.- Sussurrò, perforando Andromeda con lo sguardo.
-Ambrosia, non farlo, giuro che se lo fai io…-
Ma la falena iniziò a sbattere piano le ali, e la bambina, ridendo, la lanciò in aria.
Ted afferrò Andromeda, ma non prima che lei riuscisse a centrare il viso della bambina con uno schiaffo. Calò un silenzio spettrale, scandito solo dal ronzio e dal volo disarticolato della falena. Poi Andromeda corse via dalla stanza, in lacrime.
Ted s’inginocchiò all’altezza della bambina.
-Era proprio necessario, Ambra? Lo sai che alla mamma non piacciono le falene.-
Ambrosia guardò il pavimento, mentre la falena si posava sul paralume, come ad eseguire i suoi stessi comandi.
-Io volevo solo farle una sorpresa.-
Ted sospirò, sollevandola da terra aprì la finestra e l’insetto volò via.
-Non mi ero accorto che stesse nevicando. Come avrà fatto la tua falena a sopravvivere a questo freddo?-
La bambina sorrise, enigmatica. Gli occhi azzurri s’illuminarono.
-Perché è come me- Sussurrò. Ted le diede una carezza sulla pelle ancora arrossata dallo schiaffo, interdetto intrecciò le dita ai riccioli ebano, e poi, rimettendola a letto, pensò a quanto quegli occhi così blu, fossero in grado di farlo rabbrividire.
 
-A chi stai scrivendo? E Buon Dio, da quando hai ripreso a fumare?-
-Non dirmi cosa fare, Ted. Non sei mio padre.-
Ted avanzò nello studio, richiudendo la porta alle sue spalle.
-Già, non sono tuo padre. A lui bastava picchiarti sufficientemente per insegnarti le buone maniere.-
Andromeda sobbalzò sulla sedia, si girò a guardarlo con odio, le mani tremanti e il viso rigato di lacrime.
-Come osi, come…-
-Come oso? È quello che hai fatto tu poco fa a nostra figlia, non è forse vero?-
Andromeda rise istericamente, ravviandosi i capelli, cercando di mantenere il controllo.
-A malapena le ho arrossato una guancia. Nostro padre ci lasciava dei segni per settimane. Usava il bastone, la bacchetta… tu non… tu non sai nemmeno cosa voglia dire, essere picchiati dal proprio padre!- Urlò, tremando di rabbia.
Ma le sue parole non parvero scalfire suo marito, che restò impassibile, sulla porta.
-È vero, non lo so. È per questo che stai scrivendo a tua sorella, Dromeda?-
Andromeda sgranò gli occhi, poi gli puntò la lettera contro.
-Tu! Tu e tuoi trucchi da psichiatra da quattro soldi! Cosa fai, vuoi spiarmi, Ted?-
-E tu cosa fai, Dromeda, vuoi tornare da loro, dalla tua stupenda e nobile famiglia? Scrivi a tua sorella? E a quale delle due, la pazza assassina rinchiusa in cella, o la gallina che ha sposato quel rampollo che con i suoi soldi si è comprato anche quel briciolo di cervello che le restava?!-
Andromeda indietreggiò fino al camino, si lasciò scivolare sulla poltrona.
 Ted si versò un Wiskey e lo mandò giù tutto d’un fiato.
-Perdonami, ho alzato troppo la voce.- Disse poi.
-Se si sveglia di nuovo, io non voglio saperne nulla.- Recriminò lei, la voce spezzata.
Ted posò il bicchiere, si inginocchiò di fronte alla moglie, le prese la mano.
-Tu non capisci, Ted.- Mormorò lei, prima che lui potesse iniziare a giustificare i comportamenti della bambina.
-Io so che sei un buon Medico, un buon Mago, anche un buon genitore, probabilmente migliore di me. Ma tu non sei cresciuto con Bellatrix, Ted. Tu non hai visto quello che ho visto io. Quello che ho vissuto io.-
-Dromeda, stai singhiozzando. Calmati, per favore, così mi spaventi.-
Andromeda asciugò le guance con la manica della vestaglia, poi prese a singhiozzare sempre più copiosamente, mentre Ted l’abbracciava a sé.
-Mi dispiace, è colpa mia. Dovrei essere più presente, trascorrere più tempo in casa…-
-Tu non capisci, Ted, non capisci…-
Ted la scosse per le spalle, le sollevò il viso in modo da incrociarne lo sguardo.
-Ha soltanto quattro anni. È normale che sia curiosa, che faccia magie, che voglia sperimentare i suoi poteri, fare…-
-Fare cosa, Ted? Lo sai che sa essere terrificante, se vuole. Sa che ho una fobia, dei lepidotteri, e non so neppure come faccia a saperlo! Anzi, forse lo sa perché fu proprio Bellatrix a rinchiudermi nella serra dove nostro padre collezionava quei dannatissimi insetti, che mi volarono tutti addosso! Come fa a saperlo Ted? È talmente identica a Bellatrix che io mi sento… io mi sento ancora quella bambina, rinchiusa nella serra, intrappolata nel buio, lasciata in balia di me stessa senza via di fuga…-
Ted si rialzò, attonito.
-Non capisco di cosa tu stia parlando.-
Andromeda rise, asciugando il viso.
-Intendevo proprio questo. Non hai mai conosciuto mia sorella, Ted. Tu non hai la minima idea di cosa fosse capace. Lei, i miei genitori, tutti quanti.-
Ted si tolse gli occhiali, poi andò alla scrivania e appallottolò furiosamente i fogli.
-E scrivere a tua sorella Narcissa, che ti ignora da più di dieci anni, pensi possa servire a qualcosa? Non è neppure venuta al nostro matrimonio, non ti ha mai cercata, ti ha rinnegata proprio come tutti gli altri, e tu pensi che se scoprisse di Ambrosia ti aiuterebbe? No di certo! Proverebbe ad averla in custodia, invece, svelando a tutto il mondo magico la verità! Pensi che Bellatrix e Rodolphus avrebbero voluto che la loro preziosa principessa di sangue puro crescesse con noi, due reietti della società magica?- Tuonò aspramente, riordinando freneticamente le cornici sulle mensole,  fotografie di una normale famigliola felice.
Andromeda si accoccolò per terra, di fronte al fuoco, fissandone le fiamme ipnotiche.
-Basta, Ted. – Mormorò, dopo minuti che parvero interminabili. –Non ce la faccio più. Io credo…credo di non amarla. Credo di non poterla amare, Ted.-
-Abbiamo preso accordi legali quella notte, Dromeda. Fatto una scelta. Con L’Ordine della Fenice. Con Malocchio Moody, con Silente. Sono stati applicati incantesimi per modificare la memoria dei tuoi parenti, di quanto accadde quella notte… e tutti credono che Ambrosia sia davvero nostra figlia. Nessuno deve e dovrà mai avere sospetti a riguardo.- Poi gettò la lettera nel fuoco, e smise di parlare.
Andromeda si voltò, lo vide asciugarsi la fronte imperlata di sudore, provare a trattenere le lacrime. –So che non è tua figlia, Andromeda. Ma ricorda che tu sei sua madre. E sei l’unica madre che ha.-
Andromeda restò immobile. Tornò a fissare le fiamme. Ted le carezzò i capelli, si chinò a baciarle la fronte e la tenne stretta per qualche minuto. Poi, silenziosamente, ritornò di sopra.
 
Quando l’orologio batté le tre, Andromeda si rialzò dal tappeto. Il fuoco si era spento e la casa era immersa in un innaturale e tanto agognato silenzio. Andò alla finestra, e si accorse della copiosa nevicata che aveva già ostruito il viale d’ingresso e coperto tutte le sue preziose siepi di Rododendro.
Aprì la finestra, spalancò le braccia nude per sentire i fiocchi freddi contro la pelle.
Adorava la neve, quand’era bambina. Rodolphus invece l’aveva sempre detestata. Una risatina convulsa sfuggì alle sue labbra, nuovamente bagnate di lacrime amare. Quanto tempo era trascorso, quanta vita avevano ormai perduto?
Senza richiudere la finestra, si diresse su per le scale. Silenziosamente aprì la porta della cameretta di Ambrosia, e rimase a fissare gli occhi vitrei di tutte quelle bambole che adornavano le mensole. Non le toccava mai, non giocava mai. Piangendo in silenzio, sedette sulla sponda del lettino al centro della camera circolare. Immediatamente la bambina aprì gli occhi e rimase a scrutarla in silenzio.
-Scusami, non volevo svegliarti.-
-Sei qui per picchiarmi di nuovo?- Non c’era la benché minia traccia di paura nel tono della sua voce.
Andromeda cedette, prendendosi la testa fra le mani.
-Ho sbagliato prima, Ambra. Non accadrà più.-
La bambina continuò a fissarla, senza battere ciglio.
-Vorresti fare una cosa con me, Ambrosia?-
Ambrosia si mise a sedere, gli occhi vispi e di nuovo accesi.
-Possiamo ritrovare la mia falena?-
Andromeda sospirò, prendendole il viso fra le mani.
-Non penso. E comunque non voglio che porti insetti in casa. Non mi piacciono molto.-
Il volto della bambina si fece duro.
-Sono belle, del tutto innocue. Sei una fifona.-
Andromeda annuì, poi la tirò via dal letto.
-Probabilmente hai ragione tu. Indossa sciarpa e cappotto, e per una volta non discutere. Ti aspetto di sotto.-
Quando la vide scendere le scale, imbacuccata nel cappottino rosso e con l’aria assonnata, ebbe un moto di tenerezza. Finalmente il suo cuore ebbe un battito, la vide come riusciva a vederla Ted, una bambina innocente di quattro anni, solo un po’ capricciosa.
Le andò incontro e la sollevò fra e braccia, poi aprì la porta sul retro.
-Quanta neve. Il laghetto ha ghiacciato, mamma?-
 
Faremo come se non fosse mai accaduto.
 
Il capanno degli attrezzi era forse l’unico posto della casa in cui Ted non entrava mai. Lo usavano come legnaia.
Le mani di Rodolphus erano sotto ai suoi vestiti, entrambi sapevano di doversi frenare, fermare prima dell’irreparabile, prima del precipizio.
Io ti amo, Rod. Avrebbe voluto urlarlo, o almeno riuscire a sussurrarlo.
Ti amo, Rod, ti ho sempre amato tanto. Più di lei, sicuramente più di lei. Per lei non sei nulla.
Ma era restata in silenzio, ascoltando il ritmo affannoso del suo respiro, gemendo a quei morsi sul collo, incoraggiando ogni suo movimento, rispondendo in perfetta sincronia ad ogni suo singolo tocco.
Poi, d’improvviso, lui si era fermato. L’aveva guardato, e in quello sguardo lei aveva visto la disperazione, un baratro nero.
-Bellatrix aspetta un bambino.- Aveva poi detto d’un fiato.
Andromeda non aveva battuto ciglio, ma qualcos’altro in lei si era infranto, silenziosamente e per sempre.
-Allora perché sei qui, Rodolphus?-
-Tu mi ami, Andromeda.-
-Io ti… io ti amavo, io…-
La baciò. Così ardentemente da toglierle il fiato, da risucchiarle via ogni pensiero sbagliato, ogni dubbio. Per un attimo, ne fu assolutamente certa.
-Io ti ho sempre amato.- Sussurrò poi lei, e le sue labbra avevano il sapore del sangue. Avrebbe potuto essere diverso, Rod. Se solo tu avessi capito.-
Rodolphus le tolse il vestito, con rabbia gettò via le bacchette di entrambi e la mise a sedere sul tavolo traballante. Andromeda scostò i riccioli dalla fronte sudata. Capì che le loro ferite non avrebbero mai avuto ristoro. La cura stessa ne era la causa.
-Bella non vorrà tenere il bambino. E sinceramente… non so neppure se sia mio.- Ammise con rabbia, entrando in lei con una spinta secca.
Andromeda strinse i denti, continuando a guardarlo.
-Ma io lo terrei, Rod. Io lo terrei. E lo vorrei, un bambino da te.-
Lo cinse con le gambe, gli afferrò i capelli, cominciando a piangere.
-Cosa dici, piccola Meda, ci ucciderebbero. Faremo come se non fosse mai accaduto.-
 
 
-Su, Ambrosia, fammi vedere come fai la piroetta, fa’ vedere alla mamma.-
La bambina si fermò al centro del lago ghiacciato. Andromeda sentì distintamente il sottile strato di ghiaccio iniziare a cedere. La vide tendere una gamba, i piedi scalzi e arrossati, il volto sorridente come se non provasse il minimo dolore. Poi iniziò a vorticare, proprio come una ballerina provetta, proprio come sapeva fare sua madre. Ed il ghiaccio iniziò a scricchiolare. Sarebbe stato un incidente. Nessuno avrebbe saputo. Un tragico incidente. Ted le avrebbe creduto? Quanto tempo sarebbe passato, prima che trovasse il cadavere della bambina nel laghetto?
Faremo come se non fosse mai accaduto.
Ma il rosso scarlatto, le sue mani macchiate di sangue ancora una volta, avrebbero tenuto saldamente quell’ennesima bugia? Si sarebbero macchiate dell’ennesima, inammissibile colpa?
E Rodolphus? Cosa avrebbe detto a Rodolphus?
Rodolphus sapeva, non poteva aver dimenticato. Ne era certa.
-Non posso farlo.- Mormorò d’un tratto.
Si lanciò contro la bambina e l’afferrò, finirono contro un cumulo di neve fresca nello stesso momento in cui il centro del laghetto cedeva.
Ambrosia si tolse via la neve dalla faccia, mentre Andromeda la tirava su in braccio.
-Perdonami, perdonami. Non mi ero accorta che non avessi indossato le scarpe.-
Si lasciò cadere in ginocchio, stringendo la bambina a sé, prendendo fra le mani i suoi piedi gelidi.
-Dobbiamo entrare dentro, immediatamente. Ti sentirai male.-
Ambrosia si scostò dall’abbraccio, guardò quella che pensava fosse sua madre.
-Stai sanguinando, mamma.-
Andromeda si portò le mani al naso. –Non importa, rientriamo.-
Ma Ambrosia rise. –Hai macchiato la neve di rosso.-
Andromeda le baciò le labbra, a lungo.
-Fa’ l’angelo, Ambrosia.- Mormorò. Nel silenzio ovattato della neve, sembrò la più dolce delle suppliche. La lasciò ricadere a peso morto sulla neve.
-Muovi le braccia e le gambe, su e giù. Bravissima.-
-Mi fanno male i piedi, adesso. Fanno male anche a lui, i piedi, quando sale le scale di quella casa e mi cerca.-
Andromeda la riprese in braccio, la strinse continuando a baciarle i capelli ebano sfumati di bianco.
-Chi, chi è che ti cerca, tesoro?-
-Quell’uomo. Quello che sogni, quando nevica. Lo sogno anch’io.-
Andromeda rabbrividì, incapace di muoversi.
-Quello che chiude gli occhi prima di aprire la porta, perché non vuole vedere i miei.-
Andromeda scostò la frangia dalla fronte di Ambrosia.
-Ti prego, spiegati meglio. Provaci, almeno.-
Ambrosia sorrise, delineando le sue due fossette sulle guance arrossate.
-Non gli piace che io abbia gli occhi blu. Non li ha nessuno così, ha detto una volta.-
 
Fine.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Emerlith