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Autore: Letizia25    11/06/2015    3 recensioni
«Com’è la vita?»
«La vita è bellissima già per il semplice fatto di esistere, per il fatto di poter dire: “Sono parte di qualcosa di meraviglioso”. Perché la vita è bellissima, nonostante tutti i problemi che possano presentarsi durante il cammino. La vita è un continuo cadere e rialzarsi, a volte da soli, a volte grazie agli altri. La vita è colore, è quell’unico arcobaleno che, qualche volta, comprende anche il nero. La vita è scoprire, emozionarsi, piangere, ridere, soffrire. La vita è originalità, è unica. La vita è pazzia pura.»
*
«Ti prego Ashton, insegnami a vivere!»
«Ma non so come si fa.»
«Allora lo capiremo insieme.»
*
Il destino si divertirà a far incontrare due mondi apparentemente diversi, ma accomunati da tante, troppe cose. Due ragazzi si si ritroveranno a lottare insieme contro qualcosa che all’apparenza sembra impossibile da affrontare. Ma poi l'amore si mette in mette in mezzo.
E sarà proprio l’amore ad aiutarli a superare qualsiasi cosa, insieme.
*
Una storia che parla di quanto sia importante vivere al massimo ogni singolo giorno che ci è dato da vivere, perché la vita è una sola e non va sprecata, mai.
*
Trailer: http://youtu.be/1rNyxp_yUAI
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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4.
Cadere



Fu un istante. Come se due meteoriti ad un tratto si fossero scontrati. Come il rumore fragoroso di un fiume in piena. Come un lampo subito prima di un tuono. Come la pioggia estiva. Era stato un attimo, sufficiente ad entrambi per rendersi conto di chi avevano davanti.
Ashton sorrise, ringraziando il fatto che la mora non potesse vederlo a causa del buio in quell’angolo di giardino. Sorrideva, perché quella ragazza aveva la sua felpa addosso. Sorrideva, perché quella felpa non stava affatto male su quel corpo longilineo. Sorrideva, perché aveva visto una scintilla, in quei grandi occhi scuri, una scintilla che lo aveva incuriosito ancora di più.
Kay invece non sapeva che cosa pensare. Ritrovarsi così all’improvviso quel ragazzo misterioso le aveva fatto prendere un colpo. Quegli occhi su di lei le avevano fatto prendere un colpo, aprendo una nuova e minuscola crepa su quel cubo di vetro. Solo che quella volta non aveva fatto male, si trattava più semplicemente di un dolore sordo e duraturo, ma sopportabile.
«Ciao, ragazza della pioggia.» disse il ragazzo, salutandola e riportandola sulla terra.
Lei lo osservò per qualche istante. I vestiti larghi e morbidi, i capelli ricci sbarazzini, le mani nelle tasche del cappotto, il cappello calato sulla testa, gli occhi dorati puntati su di lei. Tremò, sotto quello sguardo intenso, uno sguardo che non riusciva a decifrare. Ma fu questione di un istante, prima di tornare ad avere in mano la sua indifferenza, la sua apatia che la accompagnava ormai a tutta una vita.
«Ciao, ragazzo dell’ombrello.» rispose lei allo stesso modo. «Non chiamarmi più in quel modo.» continuò. Non aveva mai sopportato i soprannomi.
Il sorriso di Ashton si allargò ancora di più. Aveva immaginato che la ragazza avrebbe reagito in quel modo, ed era rimasto stranamente e piacevolmente sorpreso di aver avuto ragione.
«Ti sta molto bene la felpa.» commentò, avvicinandosi lentamente senza staccare i suoi occhi da quelli di lei, lei che stava iniziando a sentire qualcosa di strano nel petto, all’altezza del cuore, qualcosa di simile ad una nuova crepa, eppure allo stesso tempo diverso e non molto doloroso.
Neppure Kay non riusciva a staccare gli occhi da quelli del ragazzo. Era come se fossero dei magneti così potenti a cui nessuno poteva sottrarsi, neppure volendo. Però quella volta, non sentiva dolore nel petto ad osservarli, no. C’era qualcos’altro, qualcosa di nuovo dentro di lei, che non faceva male, che le faceva provare un calore tiepido, appena percettibile, all’altezza del cuore. Un calore che, nonostante la sua poca intensità, riusciva a toccare ogni sua cellula, facendola tremare come mai prima di allora era successo.
Si riprese quando notò che il ragazzo misterioso si era ormai fermato davanti a lei.
«Grazie.» riuscì a dire, con un filo di voce.
Ed entrambi sapevano nei loro cuori che quel grazie non era solo per il complimento del riccio.
La mora si sistemò meglio gli occhiali sul naso e sospirò, nascondendo subito le mani nella tasca della felpa, ‘ché stava iniziando a fare freddo e lei non aveva molti vestiti addosso.
«Sei con qualcuno?» le chiese lui, spezzando nuovamente il silenzio tra di loro.
Lei annuì. «Sono, o meglio… Ero con le mie migliori amiche. Però si sono defilate con gli altri. Quindi attualmente sono sola.» rispose, anche se non riusciva a capire come mai quel ragazzo potesse interessare una cosa simile.
A quella risposta, il riccio si ritrovò a sorridere ancora una volta, perché la ragazza non gli si era rivolta con il suo solito tono sgarbato, ma aveva risposto garbatamente. Non sapeva di preciso il perché aveva voluto sapere se era sola o meno. Solo che il fatto che la ragazza lo fosse, lo fece sentire un po’ più leggero, come se ad un tratto una scossa elettrica gli fosse entrata nelle vene, percorrendolo completamente.
Una folata di vento passò per il giardino, e Kay si ritrovò a rabbrividire visibilmente, perché l’aria fredda le era entrata da sotto il vestito. Quella reazione non passò inosservata ad Ashton che «Vuoi entrare dentro o cosa?» le chiese, con quel tono preoccupato che ancora non riusciva a spiegarsi, sorprendendo nuovamente se stesso e la mora, che tuttavia scosse la testa.
«Vorrei tornare a casa, ma l’unica macchina che abbiamo la divideranno gli altri. E le auto non hanno sette posti.» commentò lei, senza riuscire a staccare gli occhi da quei due grandi pozzi dorati, vivaci e così profondi mentre la guardavano, da farla rimanere quasi senza fiato.
Lui annuì e le offrì la mano, che la ragazza osservò con aria interrogativa, non capendo dove il riccio volesse andare a parare con il suo strano atteggiamento.
«E questo cosa significa?» chiese infatti, tornando al suo tono duro e distaccato, puntando nuovamente gli occhi sulla figura del riccio, che deglutì un paio di volte, a causa di quel qualcosa che non riusciva a scacciare dal suo petto e che tornava ogni volta che gli occhi della mora erano su di lui.
«Se vuoi ti accompagno a casa. Tanto stavo comunque per andarmene.» le rispose serio, con quello stesso tono che aveva usato prima di darle la felpa. Un tono che sembrava non voler ammettere repliche ma che non voleva imporre niente a nessuno.
Kay sospirò. Voleva tornare a casa. Era sfinita, i piedi le facevano male, per non parlare della testa che aveva iniziato a girare un po’ a causa di tutta quella confusione. Ma non voleva andare da sola. In fondo, aveva paura a girare per le strade di notte senza qualcuno vicino. Prese il telefono e inviò un messaggio veloce.
Poi, senza rendersene conto davvero, fece incastrare la sua mano a quella del riccio, che le riservò un’occhiata più che sorpresa. Perché si sarebbe aspettato che lei rifiutasse la sua offerta, che gli rispondesse nuovamente con il suo solito tono duro. Ma non aveva preso in considerazione il fatto che avrebbe potuto accettare la sua offerta. E forse fu quello che, finalmente, riuscì a macchiare con una minuscola goccia di colore il bianco della sua vita.
Senza aggiungere niente, si incamminarono, mano nella mano, e presto riuscirono ad uscire dalla proprietà, ritrovandosi a percorrere quelle strade silenziose e male illuminate. Nessuno dei due parlava. Si accontentavano del silenzio attorno a loro, quasi fosse quello il sottofondo giusto per tutto quel che stava succedendo, ma di cui non riuscivano a capire i meccanismi. Le loro mani intrecciate non davano segno di volersi lasciare. Erano strette l’una all’altra, così forte da far sbiancare le loro nocche, eppure senza farsi male. Si accarezzavano con i pollici. Sentivano la pelle dell’altro, liscia, calda, piacevole. E non sapevano minimamente spiegarsi quella strana sensazione che provavano all’altezza del cuore, che pompava veloce nei loro petti.
Ashton non riusciva a staccare gli occhi dalla mora. Ancora non capiva il perché si sentisse così incuriosito da una persona che aveva quel carattere così contraddittorio. Eppure, ne era sicuro: per quell’unico istante era riuscito a scorgere qualcosa, dentro quegli occhi scuri e profondi, era riuscito a vederci un barlume di luce che avrebbe tanto voluto rivedere ancora una volta, perché era stato bellissimo.
Kay invece si stava chiedendo come mai avesse deciso di punto in bianco di seguire il riccio. Non lo conosceva, eppure lo sentiva quasi vicino, in una maniera che proprio non riusciva a spiegarsi, come se quelle dita tra le sue potessero alleviare un po’ quel dolore che si era inflitta da sola quando aveva deciso di chiudere il suo cuore in quel blocco di vetro, che anno dopo anno era sfuggito al suo controllo.
Sospirò. Non voleva pensare cose simili, eppure era così: per proteggersi, si era fatta male da sola. E non sapeva come potersi curare. Non sapeva come vivere, non sapeva come poter provare quelle emozioni mozzafiato sia nel bene che nel male, di cui tanto aveva letto nei libri e che aveva notato in ogni singolo quadro che aveva visto alle mostre a cui era andata.
Il pollice del ragazzo che le accarezzava il dorso della mano la fece tornare con i pensieri per terra.
«Perché fai così?» le chiese lui, non riuscendo a trattenersi. Ashton voleva saperlo, il motivo per cui quella ragazza era quel che era. Lo sentiva dentro che c’era molto di più di quello che la mora volesse far vedere e voleva scoprirlo, anche se il perché gli fosse ancora ignoto.
A quel punto, la ragazza puntò di nuovo gli occhi in quelli dorati del riccio e lo osservò a lungo, senza sentire nessuna nuova crepa formarsi su quel cubo di vetro. Forse tutto era stato solo frutto della sua immaginazione e quelle sensazioni che aveva provato quando il ragazzo le era stato vicino non erano mai esistite. Lo sperò, Kay. Sperò sul serio che tutto quello che aveva provato fosse stato irreale. Forse per paura, forse per insicurezza, forse perché in realtà non le importava. O almeno, era quello che continuava a ripetersi da quando l’aveva conosciuto, per convincersi che tutto fosse solo un caso e che non avesse alcuna importanza. Perché in realtà, nonostante tutto, alle attenzioni di quel ragazzo non era rimasta indifferente, neppure una volta.
«Sono fatta così.» rispose, con voce atona, lasciando poi la mano del ragazzo e continuando a camminare, con le mani infilate nelle grandi tasche di quella felpa che continuava a scaldarla e di cui continuava a sentire il profumo, facendola rabbrividire.
Ashton si passò una mano sulla nuca. Proprio non riusciva a capirla. Un momento era dura, fredda, distante, quello dopo lo mandava completamente in confusione con i suoi gesti. Cosa doveva fare? Ma soprattutto, perché non riusciva a lasciarla andare? Perché voleva capirla?
Sospirò e la raggiunse velocemente, nascondendo le mani in quelle del cappotto e cercando di stare al passo della ragazza, che non aveva alcuna intenzione di alzare nuovamente lo sguardo da terra.
«E tu invece perché lo fai?» chiese Kay ad un certo punto, spezzando il silenzio ancora una volta.
«Sinceramente? Non lo so neppure io. Mi chiedo la stessa cosa da quando ti ho prestato la felpa.» ammise subito il riccio, senza pensarci. Perché alla fine era vero: non lo sapeva il perché del suo comportamento.
A quella risposta, Kay annuì silenziosamente e alzò nuovamente lo sguardo, appena poco prima che i suoi occhi venissero catturati da tutti i particolari della via che stavano attraversando: la panetteria all’angolo dell’incrocio, l’edicola sull’altro lato della strada, il lampione davanti alla libreria che funzionava a intermittenza, lasciando quasi sempre quel pezzo di strada completamente al buio.
Il cuore iniziò a batterle forte nel petto. Non era possibile. Perché ? Perché proprio adesso?
Preferì non pensarci e continuò a camminare, con accanto quel ragazzo di cui non sapeva niente.
Ashton, in tutta risposta, aveva notato il cambiamento, seppur lieve, nello sguardo della mora. Aveva notato quell’ombra più scura e spaventosa che le era passata sugli occhi e l’aveva impaurita. Aveva notato il volto contratto, pensieroso, le mani chiuse a pugno nelle tasche della felpa. Ma non chiese niente. Si limitò ad osservare, a tenersi pronto se per caso lei avesse avuto bisogno di aiuto.
Solo, lasciò che le sue dita andassero a sfiorare la mano della mora, che a quel contatto delicato si rilassò un poco, permettendo al ragazzo di stringerla nuovamente con la sua. E stavolta, a quella stretta più dolce e un po’ timida, Kay rispose allo stesso modo, facendo spuntare un piccolo sorriso sul volto del riccio.
Ma la mente della mora era all’erta. Non voleva passare di lì. C’erano così tante strade che attraversavano quella città. Perché erano capitati proprio in quella? Molti dei suoi ricordi erano legati a quel posto, e la ragazza non aveva alcuna intenzione di fare un tuffo nel passato. Perché avrebbe significato aprire quel cubo di vetro in due, spaccarlo, cosicché le schegge di vetro avrebbero potuto ferire fin nel profondo quel cuore completamente martoriato, distrutto.
Ma tutte le sue preghiere furono vane. Appena svoltarono a destra, la facciata di quella villetta a due piani, con la porta nera, circondata da un grande giardino le si presentò alla vista, facendola fermare completamente, facendola cadere, precipitare in quel vuoto da cui a fatica era riuscita ad uscire durante quegli anni. Il respiro le si mozzò in gola e quel blocco di vetro si spaccò, trafiggendole il cuore con quelle schegge che non avrebbe mai potuto evitare. Si sentì bruciare, tagliare, trafiggere, dalle lame del dolore, che non smettevano di attanagliarle il cuore, che non smettevano di farle male.
A stento riuscì a tenere i ricordi lontani da lei. Se fossero arrivati anche quelli, sarebbe crollata sul serio. E chi avrebbe potuto sorreggerla a quel punto? Chi sarebbe stato in grado di toglierle quel peso dal cuore? Nessuno l’avrebbe salvata, nessuno l’avrebbe aiutata a tornare a vivere. E questo solo perché lei – lo sapeva – non si sarebbe mai lasciata aiutare. Non avrebbe permesso a nessuno di entrare. Aveva sofferto abbastanza e non avrebbe retto ancora una volta a sentire quel cubo di vetro che si ingrossava sempre più, ingozzandosi del suo dolore. Perché quel cubo di vetro non se n’era andato del tutto. Era ancora lì, con numerose crepe, ma era lì, pronto a rimarginarsi e a mettere nuovamente in trappola quel cuore che non ce la faceva più.
Kay rimase lì, ferma, immobile, con gli occhi che le divennero presto lucidi, con il cuore che batteva forte, con i brividi che avevano iniziato a scorrerle su tutto il corpo, con il respiro che sembrava molto più simile ad un lieve soffio di vento, con la testa che non smetteva di pulsare. Non riusciva a muoversi. Era come se il dolore si fosse impossessato completamente di lei, svuotandola di ogni forza che aveva dentro, rendendola completamente vulnerabile. A tutto.
«Portami via.» riuscì a dire a malapena, perché la voce proprio non voleva uscire.
Ashton si rese conto solo in quell’istante che la ragazza non stava bene, per niente. Il tono della voce, rotta e stanca, gli occhi tremendamente lucidi e prossimi al pianto, le labbra tremule e i brividi sul collo. Niente gli passò inosservato, neppure la richiesta che la mora gli aveva fatto.
Annuì e la portò lontano da lì, senza mai lasciarle la mano. E Kay si lasciò guidare ancora una volta, troppo sconvolta per poter pensare lucidamente, troppo stanca per ribattere alle attenzioni del ragazzo.
«Dove andiamo?» le chiese lui ad un tratto, quando arrivarono ad un altro incrocio. Il suo tono preoccupato era ancora lì, dimostrando che il riccio a quella strana ragazza mora stava iniziando a tenere, e neppure poco.
«A destra, poi tutto a diritto fino alla casa bianca. La riconosci subito, è l'unica del quartiere.» rispose meccanicamente la mora, con un tono così lieve e così assente, che fece preoccupare il ragazzo ancora di più.
Le strinse la mano ancora di più, ma lei non se ne accorse minimamente. Continuava ad avere davanti agli occhi l’immagine di quella casa che aveva cercato di evitare per tutti quegli anni, piena di ricordi che erano stati la causa della nascita di quel blocco di vetro attorno al suo cuore. Ricordi che avrebbe preferito dimenticare, una volta per tutte.
Continuarono a camminare, e Ashton non le lasciò mai la mano, neppure per un secondo. Era come se quel semplice gesto riuscisse a tranquillizzarlo almeno un po’, come se tenere quelle dita magre tra le sue potesse dargli la conferma che la ragazza era ancora lì con lui.
Perché aveva paura, Ashton. Aveva paura di quello che sarebbe potuto accaderle se l’avesse lasciata sola, a combattere quel qualcosa che lui non conosceva, ma di cui sapeva di star già vedendo gli effetti. L’aveva vista cadere, pochi minuti prima, quando si era fermata. Aveva visto quegli occhi grandi diventare sempre più spenti. Aveva visto l’ultimo barlume di quella piccola scintilla dentro a quello sguardo profondo andarsene lontano, sconfitta da un qualcosa che lui non conosceva, ma che avrebbe tanto voluto mandar via.
Scosse la testa, ‘ché proprio non voleva pensare in quel modo, e la guardò, sorprendendosi nel vedere che quello sguardo così spento, privo di ogni forza, anche di quella più piccola, era ancora lì, su quegli occhi che secondo lui erano veramente troppo belli per essere così tristi.
«Siamo arrivati.» disse Kay ad un tratto, riportandolo con la mente sulla terra.
Ashton si fermò, senza lasciarla, e vide davanti a sé l’unica casa bianca del quartiere. Ce n’erano alcune con tinte vivaci, altre fatte in pietra, altre ancora in mattoni. Quella piccola villetta spiccava per la sua semplicità, con quel grande giardino ben curato tutt’intorno, con le imposte azzurre come il cielo estivo e l’ampio terrazzo che copriva metà del piano superiore.
Il lampione sotto cui si erano fermati continuava a funzionare ad intermittenza, illuminando male quel pezzo di strada. L’aria era diventata più fredda, e piccole nuvolette uscivano dai loro nasi, ormai completamente congelati a causa della bassa temperatura.
Kay non disse niente. Stava ancora cercando di rimettere in sesto quel che restava di quel suo blocco e del suo cuore, cercando invano di non farsi male. Non sapeva come sentirsi. Era semplicemente svuotata di tutto, fino alla goccia più piccola.
Sospirò e si avviò verso il retro della casa, senza mai lasciare la mano del riccio. Era come se solo quella stretta riuscisse a tenerla ancora ancora a terra, in piedi, a fatica, come un qualcosa di sicuro a cui potersi aggrappare in casi come quello. Quei casi in cui lei cadeva, e non aveva nessuno che la aiutasse. Era vero, però, che la mora non aveva mai accettato l’aiuto di nessuno, perché non voleva né ferire né essere ferita. Tuttavia non riusciva a spiegarsi perché non riusciva a mandar via quel ragazzo di cui non sapeva proprio niente.
Ashton la seguì, senza fare domande, stringendo timidamente quelle dita ormai completamente congelate, mentre il cuore iniziava a battergli forte nel petto, quasi avesse deciso di uscirne completamente.
Arrivarono ad una scaletta che portava direttamente al terrazzo, e il riccio non ci pensò due volte a salire per primo, così da poter aiutare la ragazza a salire a sua volta.
Una volta che entrambi furono sullo stesso piano, la mora andò ad aprire la porta finestra dagli infissi azzurro cielo e, prima di entrare, si voltò verso il riccio, facendo incontrare i loro occhi. «Non lasciarmi cadere.»






Letizia
Bella gente buona sera! Scusatemi l'ora, ma ho avuto qualche problemino prima di aggiornare "Inatteso".
Anyway, adesso sono qui e vediamo di chiacchierare un po' di questo nuovo capitolo, parecchio lunghino ;).
Allora, i nostri due piccini se ne vanno dalla festa e chiacchierano un po'. E poi, passano da un determinato posto, vicino ad una casa. 
Secondo voi come mai la nostra Kay non si sente bene? 
Via via, sbizzarritevi che non vedo l'ora di sapere che vi passa per la vostra testolina ;).
E poi... La frase di Kay e come si comporta Ash con lei? Insomma, io fadbfadkbfkadfkafnlasbflasfn, sclero di brutto a causa di questo due piccini *^*. Povero cuoricino mio *^*.
E beh, a parte che questo capitolo per me è stato un parto assurdo, spero sul serio che vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farmi sapere che cosa ne pensate, anche con 20 parole soltanto.
Giuro che non mordo nessuno! <3
In più, volevo ringraziare chiunque avesse recensito la storia fino ad ora e chi l'ha messa tra preferite | ricordate | seguite.
Grazie davvero per ogni cosa, siete meravigliosi ed io vi voglio troppo bene! <3
Vi ricordo, come al solito, gli aggiornamenti per tutto GIUGNO (scusate sul serio, non è per rompervi le scatole <3):
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- ogni mercoledì aggiornerò Links
- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggiornerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u

Grazie mille per ogni cosa sul serio, vi amo troppo! ci sentiamo lunedì ;) <3.
Un bacione, Letizia <3
   
 
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