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Autore: Woland Mephisto    11/06/2015    5 recensioni
Dopo aver conquistato Asgard la noia era sopraggiunta. Solo noia, senza rammarico, senza ripensamenti, senza stupidi sensi di colpa che gli sarebbero valsi solo a una condanna a morte da parte di suo fratello. Fratellastro, sì, non fratello: non avevano lo stesso sangue e questa era una caratteristica ben visibile non solo nel fisico, ma anche nello spirito.
ATTENZIONE: questa storia è Angst puro, non adatta ai deboli di cuore.
Si ambienta dopo gli avvenimenti di "Thor: The dark world" e poco dopo "Avengers - Age of Ultron", con Loki seduto sul trono di Asgard e Thor che sta tornando al suo regno appena dopo la sconfitta di Ultron.
Spero che la storia vi piaccia, è la prima su questo fandom.
Ah, quasi dimenticavo: c'è uno spropositato quantitativo di Thorki, come spesso ci si potrà aspettare da me.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il signore degli inganni era seduto sul trono di Odino, il suo trono, nella sala a esso dedicato, da solo e intento a pensare, come di consueto.
Dopo aver conquistato Asgard la noia era sopraggiunta. Solo noia, senza rammarico, senza ripensamenti, senza stupidi sensi di colpa che gli sarebbero valsi solo a una condanna a morte da parte di suo fratello. Fratellastro, sì, non fratello: non avevano lo stesso sangue e questa era una caratteristica ben visibile non solo nel fisico, ma anche nello spirito.
Quel bamboccione di Thor…
Più ci pensava e più non capiva perché il trono avrebbe dovuto spettare al biondo e non a lui stesso. Era intelligente, perspicace, capace di governare, forte; certo, non forte fisicamente, come il suo fratellastro, ma era forte d’animo e di carattere. E di certo aveva personalità! Quel bamboccione di Thor, invece, era…era… solo un bamboccione!
Non gli veniva altra parola in mente.
O meglio, alcune le aveva pensate, ma le relegava sempre nell’angolo più remoto del suo cervello, chiuse in un’immaginaria cassaforte; angolino che aveva presto cominciato a chiamare “l’angolo della vergogna”.
Arrossì, strinse la presa sui braccioli d’oro del suo trono e alzò il mento in segno di sfida: non avrebbe mai ceduto, né all’angolino della vergogna, né a Thor, né a nessun altro. Il potere era l’unica cosa che gli interessava, nient’altro alimentava la sua esistenza; certo, forse un tempo aveva amato, ma che cos’è l’amore se non una fragile foglia che presto rinsecchisce e muore?
Eccolo, il suo sentimento, rinsecchito, morto e sgretolato nel suo petto, lo conservava soltanto per ricordarsi di quanto fosse inutile e di quanto rendesse deboli provare una cosa del genere. E quella che era stata una tenera foglia rigogliosa veniva continuamente calpestata dalle radici dell’odio e del risentimento, che ne avevano risucchiato la linfa vitale fino a farla perire e far diventare lui più forte, appunto.
Aveva amato suo padre e questi lo aveva tradito, gli aveva negato ciò che era suo di diritto ricordandogli che non era realmente figlio suo: perché in realtà, Loki lo sapeva, Odino non lo aveva mai voluto, non lo aveva mai amato. Lo aveva preso con sé solo per pietà, per mettere a tacere la coscienza del suo animo che altrimenti si sarebbe tormentato per l’eternità per aver fatto morire un povero bambino innocente.
Ed era questo che Loki si sentiva costantemente: una toppa sulla coscienza consunta del padre, qualcosa che lo facesse sentire meno nudo ed esposto al proprio giudizio.
Cercò di scacciare via questi pensieri molesti, perché in fondo, alla fine, aveva vinto lui. Aveva Asgard in pugno e l’avrebbe governata sotto le mentite spoglie di Odino, anche se, quando era certo d’esser solo, riprendeva il suo aspetto consueto, perché specchiarsi con quelle sembianze gli faceva rivoltare lo stomaco e gli faceva montare una rabbia folle che pensava sopita da tempo.
Anche in quel preciso momento aveva preso le sue solite sembianze, aveva ripreso a essere se stesso. Non c’erano guardie nella sala, anzi, esse sorvegliavano l’esterno e lo lasciavano solo a meditare, perché lui glielo aveva ordinato.
Accavallò le gambe sul bracciolo destro del trono, poggiando l’interno ginocchio su di esso e facendo pendere i polpacci dal bordo, appoggiò i gomiti sull’altro bracciolo, puntellandosi, gettando la testa all’indietro e rivolgendo lo sguardo annoiato verso il soffitto a volte, e fece scorrere via i pensieri infelici dalla mente. Con il suo immenso potere immaginifico creò delle illusioni in cui potersi perdere: giardini magnifici, farfalle meravigliose che gli aleggiavano attorno, cascate spettacolari, spiagge rilassanti…
 
*  *  *
 
Stava leggendo un libro all’ombra di un salice asgardiano, godendo del tepore della giornata e della frescura delle fronde mentre si immergeva con gli occhi e con l’anima in uno dei libri che Frigga, la sua amata madre, gli aveva regalato.
Lo conosceva meglio di chiunque altro, lì, e lo amava più di chiunque altro. Aveva scoperto questa sua passione pochi anni addietro e continuava a regalargli volumi che il ragazzo letteralmente divorava in preda alla curiosità e alla sete di sapere.
I suoi occhi color dell’oceano vagavano in quelle righe e lasciavano che lui si appassionasse alle storie più belle e alle avventure più eroiche di cui trattavano, mentre lui se ne stava comodo nelle sue stanze oppure, quando se la sentiva di mostrarsi alle genti di Asgard, sotto il suo amato salice.
Quel giorno non era diverso, tranne per il fatto che, poco più distante, suo fratello Thor si stava addestrando con suo padre e Sigurd, maestro d’arme. Ogni tanto, l’adolescente staccava lo sguardo dal suo libro e guardava verso Thor che, constatò, diventava ogni giorno più sorprendentemente forte e audace. Arrossì mentre lo guardava, anche se nessuno se ne accorse, e tornò a seppellire il suo viso tra le grandi pagine del suo volume.
Ascoltava i suoni metallici delle spade che si scontravano e sentiva i gemiti del suo amato fratello mentre veniva colpito e capitombolava a terra, ancora e ancora, ma stranamente, quel sottofondo non lo disturbava mai. Anzi, lo portava ad alzare di nuovo lo sguardo per accertarsi che il più piccolo non si fosse fatto del male. In fondo, aveva pochi anni meno di lui, avrebbe potuto rimanere davvero ferito, cosa che lo avrebbe contrariato molto.
Certo, lui sapeva che non era davvero suo fratello, ma non poteva che amarlo e sperava intimamente che anche Thor l’amasse, che ricambiasse il suo sentimento allo stesso modo, anche se era più facile e quasi naturale per lui, perché non conosceva la verità: non sapeva che non erano davvero fratelli, che non erano figli della stessa madre e dello stesso padre.
Loki era stato portato ad Asgard quando Thor era solo un neonato e da allora ne avevano passate tante: il maggiore lo aveva aiutato a superare il suo trauma quando il piccolo dio biondo, a cinque anni, aveva incontrato faccia a faccia un assassino spietatissimo e non aveva dormito per settimane, insieme avevano sconfitto un troll che minacciava Asgard quando erano soltanto dei bambini di, rispettivamente, otto e dodici anni. E ora, il sedicenne Loki guardava il dodicenne Thor allenarsi con il loro padre e sorrideva scorgendo la sua bravura.
Era sempre stato grato a Odino di averlo portato ad Asgard con sé e di avergli permesso di avere la possibilità di una vita migliore, di essere un principe, di essere amato e ben voluto da tutti. Certo, il ragazzo aveva sempre avuto un carattere chiuso, eccezion fatta per Thor, che riusciva sempre, in qualche modo, a scoprire tutti i suoi segreti. Tutti tranne uno: il loro inesistente legame di sangue. Non glielo avrebbe mai detto, perché avrebbe significato, con ogni probabilità, perdere una delle pochissime persone che si erano guadagnate il suo affetto. E pensare che, la prima volta che l’aveva visto, era un neonato ancora in fasce che suscitava in lui soltanto una grande curiosità.
Avevano diviso le stesse stanze, ma poi, una volta che Loki ebbe compiuto dieci anni, Odino li separò dando loro due aree riservate. Al ragazzo dispiacque un po’, ma poteva vedere Thor ogni volta che desiderava.
Non si era accorto di aver smesso di leggere per pensare a loro due insieme, sorridendo e arrossendo, fin quando non si trovò il faccino sorridente di suo fratello a pochi centimetri dal volto, mentre questi gli chiedeva: «Perché arrossisci tanto? Cosa c’è scritto in quel libro che ti fa imbarazzare in questo modo?», e sentire quelle parole lo fece sobbalzare e arrossire ancora di più.
«Non è niente di che, Thor, in realtà avevo smesso di leggere e pensavo», rispose il maggiore cercando di non sembrare troppo impacciato.
«Oooohh, c’è qualcuno che ti piace? Di cui sei innamorato?», chiese il grosso ragazzino con un sorriso tutto denti e gli occhi brillanti di innocente curiosità.
Aveva colto nel segno, probabilmente, e questo un po’ infastidiva Loki: ecco, aveva trovato un altro segreto che non voleva condividere con Thor.
«Certo che no, io non ho certe…mire…credo», replicò il moro con le guance in fiamme mentre si perdeva negli occhi limpidi come il cielo estivo del biondo. Era come trovarsi sulle porte del Valhalla, sul ciglio del cielo, a contemplare qualcosa di prezioso.
Restò a fissarlo negli occhi non seppe mai per quanto, finché Thor non gli mise un dito sulla fronte, ostruendogli la visuale con la sua mano, e gli disse: «Beh, che ti prende adesso, fratello?», facendo sorridere il maggiore, che si alzò, lo prese per mano e lo portò a fare una passeggiata nei cortili della loro maestosa residenza, senza mai rispondere alla domanda.
 
*  *  *
 
Entrò nella sala del trono aprendo le porte con forza e vigore, ansioso di rivedere suo padre e raccontargli delle sue imprese a Midgard contro Ultron, desideroso di rendere Odino fiero di lui.
Invece, una volta aperte le porte, Thor si ritrovò alquanto sorpreso di non trovare Odino sul suo trono, bensì suo fratello Loki, profondamente addormentato con la testa poggiata su un braccio che a sua volta si posava sul bracciolo d’oro, le dita della mano tra i lunghi capelli scuri, le labbra semi dischiuse, una guancia poggiata sul palmo aperto, mentre le gambe penzolavano, accavallate, sull’altro bracciolo.
Il dio del tuono era incredulo davanti a tale visione, non si capacitava del fatto che, forse, la strega1 aveva ancora il controllo della sua mente, che gli facesse vedere, sottoforma di illusioni, le persone a lui più care e che più desiderava rivedere. La persona più cara che più desiderava rivedere.
Si avvicinò lentamente, esitando: non voleva scoprire che la sua mente era preda di una folle illusione, desiderava ardentemente che fosse reale.
Gli sfiorò una guancia con un dito e avvertì il calore del suo corpo e allora seppe che era reale. Una lacrima gli scivolò sul viso mentre si ricongiungeva all’amato fratello; lacrima che cadde sul viso del dio dormiente proprio mentre il biondo sussurrava: «Loki…», con il petto che si alzava e abbassava in un respirare sregolato a causa dell’emozione di riaverlo con sé.
Quell’unica lacrima ebbe l’effetto di svegliare Loki, che si ritrovò di nuovo il viso del fratellino sulla traiettoria del suo sguardo, sorridente come quel giorno lontano, con gli stessi occhi color del cielo che lo facevano perdere in sogni insensati ogni volta che si abbandonava a rimirarli. Deglutì, quando lo vide dal basso verso l’alto, mentre lo sovrastava in tutta la sua possanza, e arrossì ritrovandosi a cedere a quei pensieri che aveva relegato nella remota cassaforte della sua mente. Eppure non era quello il momento di riscoprire vecchi affetti morti sotto le radici della vendetta.
Thor lo abbracciò, facendolo alzare dallo scranno, e Loki si trovò a pensare che sarebbe stato magnifico riaverlo se non fosse stato per i suoi imbrogli per avere il trono.
Un momento, che cosa stava pensando?
Si allontanò velocemente da Thor, che lo guardò basito, e, arrossendo un po’, gli chiese: «Che cosa ci fai qui? Non dovevi essere a Midgard?».
Thor, sorridendo, gli rispose: «A Midgard non c’è più pericolo, sono tornato per raccontare tutto a nostro padre. E sono felice che ci sia anche tu, che non sia morto davvero! Ma dimmi, come hai fatto? Ero convinto di averti perduto per sempre!».
Loki arrossì a quelle parole, ma non cedette alla parte irrazionale di se stesso, a quella foglia rinsecchita che sembrava riprendere vigore a poco a poco spezzando le radici della ripicca.
«Sono semplicemente sopravvissuto», disse soltanto, cercando di non guardarlo negli occhi, il suo più grande punto debole. Non gliel’avrebbe mai concesso, non gli avrebbe mai rivelato il suo segreto più grande, quello che custodiva dall’età di sedici anni e contro cui aveva lottato fino ad allora per ottenere il potere. In fondo, Thor era innamorato di quella sciocca midgardiana, quella Jane; al solo ricordare il suo nome, il dio ebbe un moto di stizza particolarmente acre.
«Nostro padre lo sa? Dov’è ora? Voglio parlargli e voglio parlare anche con te!», diceva Thor mentre avanzava verso di lui, senza capacitarsi del fatto che Loki volesse ancora stargli lontano.
«Tuo padre…», cominciò Loki, cercando una scusa il più velocemente possibile, dandogli le spalle, in modo da potergli mentire spudoratamente, così com’era abituato a fare.
«Nostro padre», lo corresse il dio biondo, prendendolo per un braccio e facendolo voltare in modo da guardarlo negli occhi, e di certo Loki non poteva sottrarsi alla sua salda presa.
«…è morto», si ritrovò a dire suo malgrado quest’ultimo, non riuscendo a mentire dinanzi alle porte del Valhalla, ricordando che così aveva chiamato un tempo quelle due gemme color zaffiro che si ritrovava a contemplare ancora una volta, pur non volendo.
Thor lo guardava senza riuscire a capire.
«Com’è successo?», disse semplicemente, questa volta stringendo le mani attorno alle braccia di lui, ma non in modo violento: cercava conforto, Loki lo poteva percepire da quella stretta tremante, ma ben salda.
Il dio dalle tante facce non poté fare altro che deglutire: stava cedendo ai suoi stupidi sentimenti adolescenziali proprio quando aveva vinto, proprio quando regnava su Asgard avendo fatto in modo che il suo amato fratello lo perdonasse e avesse un bel ricordo di loro due, seppur doloroso per la propria morte. Finta morte, ecco.
«Loki!», lo chiamò Thor, scuotendolo appena, con gli occhi tempestosi e fieri puntati nei suoi che vacillavano e si abbandonavano a quella portentosa vista.
«Sono stato io. L’ho ucciso io, e da allora regno su Asgard sotto le sue sembianze», gli disse, la voce poco più che un sussurro, non riuscendo a capire come mai, dopo tanti anni di duro allenamento, non riusciva più a mentire davanti a lui.
Una risata cristallina giunse alle sue orecchie, mentre guardava Thor ridere di gusto correndo davanti a lui: era sempre stato il più veloce dei due. Si girò a guardarlo con i suoi occhi azzurri, ma caldi, con un sorriso meraviglioso che gli ornava le labbra. Poi incespicò e cadde, portandosi dietro anche lui che gli inciampò addosso: erano anche troppo vicini, con i nasi che quasi si sfioravano. Thor rideva, abbracciandolo, e tra le risa disse: «Come si sta bene con te, fratello! Non lasciarmi mai!».
Quel ricordo gli fluì, vivido, alla mente, facendogli capire: i sentimenti che provava per Thor erano ancora vivi, si facevano spazio dentro di lui da quando aveva preso il potere. Non avendo nessuno da contrastare, non avendo più nessuno da odiare, il suo animo si era arreso e aveva messo da parte l’astio, rendendolo vulnerabile alle antiche emozioni.
Si odiò, si odiò da morire per questo: non avrebbe mai condiviso i suoi sentimenti con l’altro, non avrebbe mai potuto essere amato quanto lui lo amava, niente di ciò che aveva intimamente sperato nella sua giovinezza si sarebbe avverato.
«Loki, tu…», la rabbia si impossessò delle iridi di Thor, d’un tratto temporalesche e impietose. Lo lasciò, lo spinse via e richiamò il suo Mjöllnir, tenendo la presa salda su di esso e puntandolo verso il moro.
«Come hai osato? Sei malvagio, Loki, tu sei malvagio!», gli gridò contro, in preda all’ira più selvaggia, ma non riuscendo a colpirlo, anche se l’altro era fermo e lo guardava sgranando gli occhi.
Loki capì che non riusciva a fargli del male, nonostante tutto.
Abbassò il Mjöllnir e gli disse, con voce bassa e rabbiosa: «Vattene».
Quell’unica parola colpì Loki più di quanto avesse potuto lo stesso martello e frantumò ogni minima speranza che aveva potuto covare, nella parte più profonda e inconscia di se stesso, fino ad allora: e la disperazione vinse.
«Thor, io non…», ma non riuscì mai a finire la frase, perché l’altro lo interruppe immediatamente.
«Vattene, non voglio rivederti mai più», gli disse, semplicemente, fissandolo con gli occhi non più arrabbiati, ma addolorati.
«No, non è vero, tu non desideri questo!», gli gridò di rimando il moro con gli occhi che erano un pizzicore, cercando di ricacciare indietro le lacrime dovute alle emozioni che quasi lo stavano soffocando.
«Tu mi hai mentito! Hai ucciso nostro padre e hai mentito a me! Non mi hai mai mentito guardandomi negli occhi, invece ora hai inscenato la tua morte, mi hai spezzato il cuore facendomi credere di aver perso un fratello solo per avere quel trono!», il suo tono era categorico, seppur pieno di dolore.
Loki si rese conto che, più che il dolore per la morte di Odino, Thor era abbattuto per le sue menzogne.
«Sai soltanto mentire e ingannare. Non hai fatto altro che ingannarmi da quando eravamo bambini. Non hai mai provato affetto per me, hai sempre e solo voluto questo maledetto trono!», gridò il biondo, scavando una voragine nel petto di Loki, svuotandolo di ogni certezza su cui aveva fondato ogni passo della sua vita. Si sentiva vacillare per la prima volta, quasi vittima di uno svenimento.
«No, non è vero! Io non ti ho mai ingannato su me e te, mai!», rispose il moro con la forza della disperazione, guardando Thor prendere sempre più velocemente la via sbagliata, pensando a chissà quali congiure in realtà mai architettate contro di lui.
«Sei disgustoso», furono queste le parole che fecero capitombolare Loki, gettandolo nella disperazione più nera, nonché nell’autodistruzione.
Non avrebbe mai voluto essere disgustoso per lui. Non avrebbe mai voluto sentire quelle parole.
Si recò sul retro del trono e prese una daga d’oro che vi aveva nascosto lui stesso, poco tempo prima, così che in caso di necessità avrebbe potuto difendersi. Ma non l’avrebbe mai usata contro il suo amato fratello, non avrebbe potuto: se la conficcò al centro del petto sotto lo sguardo attonito dell’altro.
Thor lasciò cadere il martello, mentre nello stesso tempo il corpo di Loki toccava terra in preda agli spasmi e ai gemiti incontrollati, con qualche lacrima che cadeva dai suoi occhi.
«No! Che cos’hai fatto? Loki, che cosa hai fatto?», Thor si avvicinò al fratello sanguinante e agonizzante, lo prese fra le braccia, tenendogli la testa, mentre quello lo guardava con sguardo disperato e perso.
«Stupido, ti avevo detto di andartene!», gridò impotente, non sapendo che cosa fare per potergli salvare la vita, che ormai lo abbandonava inesorabilmente.
«Ormai era la mia ora, Thor. La morte incrocia sempre le sue ossute mani sopra i calici dai quali beviamo. E stamattina l’acqua che ho assaggiato mi era sembrata più amara, sì», riuscì a dire, prima di inarcare la schiena e respirare più a fatica, il viso contratto dal dolore.
«Ma perché? Perché fare questo? Non avresti mai…!», ma Thor s’interruppe mentre parlava perché Loki aveva aperto la bocca per pronunciare, molto probabilmente, le sue ultime parole.
«Non piangere per me, non lo merito», gli disse, guardando le lacrime del suo amore che stillavano dai suoi occhi addolorati, le due splendide porte sul lago del cielo. «Non piangere, io…sono sul ciglio del Valhalla», sussurrò prima di esalare l’ultimo respiro, guardandolo negli occhi intensamente, in modo che l’ultima cosa che potesse vedere fosse l’azzurro intenso di quelle iridi che tanto aveva amato.
 
1. Si riferisce a Scarlet Witch.








Angolo dell'autrice:
Salve a tutti voi, è la prima volta che pubblico su questo fandom e spero che la storia vi sia piaciuta. So che è molto angst e che Loki è un po' (un po' tanto) OOC, ma in realtà ce l'avevo in mente da così tanto tempo che non ho potuto fare a meno di scriverla e postarla.
Spero che sia all'altezza di quello che vi eravate aspettati aprendo questo link e che non vi faccia schifo il modo in cui ho espresso i sentimenti del "dio dalle tante maschere". Sì, lui muore proprio perché ama Thor ma non vorrebbe amarlo, e non perché sono fratelli, ma perché è convinto che l'amore lo renda debole. Ecco, una parvenza del Loki originale gliel'ho lasciata.
Mi scuso con chi odia questa ship, ma dovevo per forza mettercela perché io questi due li adoro insieme.
Volevo poi specificare solo un altro paio di cosine, prima di non rompervi più l'anima:
1. ho fatto in modo che Loki e Thor avessero solo quattro anni di differenza per comodità mia, poiché in realtà non si sa quanti anni Loki abbia più di Thor: si sa solo che è arrivato ad Asgard quando Thor era ancora un neonato e, quindi, Thor non ha mai saputo, crescendo, che non erano davvero fratelli [ho preso tutto dal fumetto];
2. le avventure che ho narrato nel flashback/sogno, cioè quelle dell'assassino che Thor incontra a 5 anni e del troll che entrambi uccidono quando Thor ne ha 8, sono entrambe realmente accadute nei fumetti;
3. Loki e Thor hanno avuto educazioni differenti ad Asgard, per questo Loki non si addestrava con Thor con lo stesso maestro d'arme, ma anzi, egli imparava la magia da un'altra maestra; però entrambi erano supervisionati sempre da Odino durante l'addestramento;
4. Loki è contrariato perché il trono dovrebbe spettare a lui, in quanto figlio maggiore, ma Odino alla fine decide che sarebbe spettato a chi sarebbe riuscito a impugnare il 
 Mjöllnir, cosa in cui riuscirà solo Thor, mentre Loki penserà che Odino non vuol dargli il trono perché non è biologicamente suo figlio;
5. Tutta la Thorki presente nel testo e l'amore di Loki per Thor che ho descritto sono completamente frutto della mia immaginazione, anche se è innegabile che Loki tenesse in qualche modo a Thor e anche molto fortemente, dato che nell'enciclopedia Marvel - sotto la sezione "parenti di Thor" - i due sono definiti non solo "fratelli", ma anche "compagni" (cosa che io intendo anche in un senso più ampio, ecco).
Detto questo, devo assolutamente ringraziare Drosophila Melanogaster per il meraviglioso banner che ha creato per questa storia, che spero sia all'altezza del suo lavoro superbo.
Dedico, quindi, la OS a lei e a Ireth Anarion, che purtroppo non leggerà mai questa piccola creazione perché non riesce a tollerare l'Angst. Ma io gliela dedico comunque perché...non so perché, lo faccio e basta!
Grazie a tutti coloro che hanno letto, che leggeranno, che decideranno di mettere la storia tra le ricordate/seguite/preferite e/o che avranno la voglia e la gentilezza di recensire. Grazie davvero di cuore!
E ora me ne vado davvero, torno con la testa sui libri.
Spero di ripubblicare presto sul fandom.
Vostra

Sid ♥

 
   
 
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