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Autore: Shainareth    12/06/2015    4 recensioni
Invece di rispondere alla mia domanda, Castiel affermò: «Ecco perché tu sei diversa dalle altre.» Inarcai ulteriormente le sopracciglia, cercando di capire se si trattasse di un complimento o meno. «Non te ne rendi conto, ma quelle come te balzano all’occhio proprio per questo», continuò lui, del tutto indifferente allo stupore dipinto sul mio volto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Lysandro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ORGOGLIO




A volte succedeva anche a noi di litigare. O meglio, di discutere. E allora rimanevamo di malumore, soprattutto perché non ci piaceva essere arrabbiati l’uno con l’altra, a prescindere dalla causa scatenante del diverbio.
   Quasi sempre non era mai davvero colpa nostra. Semplicemente, qualcuno o qualcosa veniva a turbare il nostro precario equilibrio di migliori-amici-innamorati-ma-timorosi-di-fare-il-salto-di-qualità. Quella era stata la volta di Nathaniel, che col suo nuovo piglio sicuro e brillante, si era permesso di farmi un complimento. Gratuito, certo, ma non al punto da poterlo accusare di avermi mancato di rispetto; tutt’altro. A Kentin, però, non era andato comunque giù. E dopo una prima reazione nei confronti di Nathaniel, che si era limitato a sorridergli e a voltargli le spalle non appena Melody lo aveva richiamato ai suoi doveri di rappresentante di classe, ormai preda della gelosia, Kentin aveva iniziato a sproloquiare, insinuando che fossi troppo accondiscendente nei riguardi di quel bell’imbusto, come lo aveva chiamato lui.
   Nervosa, dopo aver ribattuto contro le sue accuse che non avevano ragione d’esistere, avevo imboccato in fretta l’uscita dell’aula senza neanche avere la magra consolazione di poter tornare subito a casa, visto che di lì a poco saremmo stati impegnati nelle attività del club – insieme, oltretutto. Una volta raggiunto il cortile mi fermai e lasciai che l’aria fresca del pomeriggio mi aiutasse a liberarmi dagli opprimenti sentimenti negativi che mi stringevano la bocca dello stomaco. Trassi qualche respiro profondo e, infine, feci vagare la mia attenzione tutt’intorno. Fu allora che lo vidi, stravaccato su una panchina, con i gomiti sullo schienale e le gambe larghe e allungate in avanti.
   Castiel mi stava scrutando con quel suo sguardo enigmatico che di solito mi snervava ma che invece quella volta mi sembrò stranamente rassicurante. Mossi un piede dietro l’altro e lo raggiunsi in pochi passi. «Che fai qui da solo?»
   «Dovrei andare al club di basket.» L’uso del condizionale implicava la possibilità che avrebbe saltato le attività o che queste ultime non si sarebbero svolte? Fece una smorfia. «In realtà non ne ho molta voglia», mi confessò, volgendo lo sguardo oltre le mie spalle.
   Ad essere onesta, per quanto non mi curassi certo di tenerlo d’occhio durante le lezioni, quel giorno Castiel mi era sembrato spento. Non avrei saputo definirlo in altro modo, perché c’era, in lui, qualcosa di diverso dal ragazzo dai capelli rossi a cui ero abituata. Era giù di morale? Probabile. Ero sicura che non si sarebbe confidato con me, dal momento che non avevamo mai avuto un buon rapporto, però sapevamo entrambi che, in caso di bisogno, ci saremmo stati ugualmente l’uno per l’altra. Era già accaduto, in passato.
   Senza chiedergli il permesso, mi sedetti al suo fianco. «Aspetto anch’io che inizino le attività del club di giardinaggio.»
   Castiel produsse un verso strano, a metà tra uno sbuffo ed una risata. «Il club dei perdenti.»
   «Pensala come vuoi, ma è molto rilassante.»
   «Lo dici solo perché c’è quel tipo che viene da un’altra scuola, quel maniaco delle piante…»
   «Jade?»
   «Quello che sembra una femmina», confermò lui, seriamente convinto di ciò che diceva.
   «Almeno lui non porta i capelli lunghi e tinti come Cher.»
   Una risata bassa e roca graffiò la sua gola e Castiel si mosse, tirandosi su quel tanto che gli consentisse di assumere una postura più corretta. «Cher ha i capelli neri.»
   Scrollai le spalle. «Anche tu, in teoria.»
   «Come lo sai?» mi domandò, mettendo mano al taschino interno del giubbino di pelle.
   «Rosalya mi ha fatto vedere una tua vecchia foto», spiegai. «Se devo essere onesta, ti preferisco moro. I capelli neri ti danno l’aria da bravo ragazzo.»
   «È per questo che li ho tinti», scherzò lui, recuperando un pacchetto di sigarette e cacciandosene una in bocca. «Le donne preferiscono i ribelli.» Mi permisi di rispondergli con lo stesso verso strano che lui aveva rivolto a me poco prima e Castiel mi regalò un sorriso divertito a mezza bocca. «Guarda là», mi disse poi, facendo cenno verso gruppi di studenti che attraversavano il cortile per raggiungere uno dei club o per tornarsene a casa. «Guardale», ripeté, azionando l’accendino e parandone la fiamma dal vento per dar fuoco all’estremità della sigaretta. «Sono tutte uguali.»
   Corrucciai lo sguardo, non capendo. «Chi?»
   «Le ragazzine di oggi», cominciò a spiegarmi Castiel, soffiando fumo dai polmoni e riponendo l’accendino e il pacchetto in tasca. «Si vestono tutte allo stesso modo, incuranti del fatto che l’abbigliamento di una possa non adattarsi al fisico di un’altra.» Su questo non gli si poteva dar torto, dal momento che molte di loro non si rendevano forse conto di come, più che con interesse, la gente si girava a guardarle con curiosità antropologica. «E si danno arie che neanche le dive del cinema… Sculettano e si contorcono come se fossero state morse da una tarantola.»
   «Non sei troppo severo, nei loro confronti?»
   «Semmai è il contrario.» La voce di Castiel si era fatta via via più piatta, come se quel discorso lo avvilisse in qualche modo. «Spesso mi chiedo: se si comportano così alla nostra età, quando arriveranno a trent’anni, cosa diventeranno?» Ammetto che il più delle volte me lo ero chiesta anch’io. «Meglio non scandalizzarti con la risposta che mi do solitamente. Ti basti sapere che, visto l’andazzo, l’unica cosa che mi rimane da fare è assecondarle perché mi fa comodo.»
   Aggrottai nuovamente la fronte. «In che senso?»
   Sorridendo sornione, mi lanciò uno sguardo eloquente. «Non lo indovini?»
   «Preferisco di no.»
   Castiel aspirò dalla sigaretta. «È proprio questo il punto, capisci? Sono tutte omologate e per noi ragazzi l’una vale l’altra. Immagino che si possa dire la stessa cosa a parti inverse, certo, ma… non è deprimente?»
   Chinai il capo. «Molto, sì.»
   «È per questo che poi, quando crediamo di aver trovato quella giusta, finiamo col metterci l’anima. Salvo poi pentircene quando scopriamo che in realtà si tratta di una grandissima stronza.»
   Fissandomi le unghie delle mani, mi morsi il labbro inferiore. Castiel si stava rendendo conto di ciò che diceva? Mi stava aprendo il suo cuore, mettendo a nudo le sue insoddisfazioni riguardo le ragazze che gli giravano intorno.
   «Altre volte, però, ci va di culo e puntiamo la ragazza giusta per davvero», ricominciò dopo qualche attimo. «Solo che non sempre noi siamo quelli giusti per lei.»
   «Anche qui, però, vale il contrario», ci tenni a precisare.
   «Sì, con la differenza che per una ragazza è molto più semplice trovare un uomo.»
   «Permettimi di dissentire…» Nonostante qualche ammiratore, ero single da una vita e questo doveva pur significare qualcosa, dopotutto.
   «È perché non hai mai provato a battere le ciglia nel modo giusto o non hai mai provato a sculettare come fanno loro.»
   Sgranai gli occhi, colpita da quell’assurdità. «Perché dovrei farlo?»
   Invece di rispondere alla mia domanda, Castiel affermò: «Ecco perché tu sei diversa dalle altre.» Inarcai ulteriormente le sopracciglia, cercando di capire se si trattasse di un complimento o meno. «Non te ne rendi conto, ma quelle come te balzano all’occhio proprio per questo», continuò lui, del tutto indifferente allo stupore dipinto sul mio volto. «Gli uomini non vedono in te una preda facile e si tirano indietro da gran vigliacchi.» Mi mossi a disagio sulla panchina, cominciando a credere che stesse sragionando. «Non sanno come avvicinarsi, perché tu non sei omologata e loro non hanno dei comportamenti standard da utilizzare per rapportarsi con te. Nel momento in cui ci provano, tu li spiazzi. Se non lo fanno, è solo perché sentono a pelle che sarebbe inutile. Tu non sei una ragazza da letto, sei più il tipo da fidanzata.»
   Oh. Davvero Castiel pensava una cosa tanto carina di me? Davvero mi vedeva speciale, in qualche modo, rispetto alla massa delle nostre coetanee? Mi sovvenne in quel momento che, sotto questo aspetto, Iris mi assomigliava molto e che quindi, con tutta probabilità, era per questa ragione che lei e Castiel erano tanto amici. Lui l’apprezzava perché era se stessa e non si curava dei giudizi altrui.
   Avrei dovuto ringraziarlo, per quelle parole? Soprattutto, perché mi aveva detto così apertamente che mi ammirava? Sempre ammesso che ci fosse davvero ammirazione, in quel suo discorso… Per un attimo fui colta dal dubbio che mi prendesse per i fondelli, ma a ben guardare perché avrebbe dovuto farlo, in quell’occasione? Senza contare che Castiel non sembrava in vena di scherzi, quel giorno.
   Ciò nonostante, soprattutto a causa dell’imbarazzo, non potei fare a meno di chiedergli: «Che c’è in quella sigaretta?»
   «Ti sto parlando seriamente!» abbaiò lui in segno di protesta.
   «Anch’io!» ribattei, vergognandomi sempre più di essere oggetto della sua ammirazione. Era una stupidaggine, lo so, ma tant’è…
   «Perché credi che tu sia braccata proprio dai due bacchettoni della classe?»
   «Quali bacchettoni?!» domandai con fare retorico, poiché sapevo perfettamente a chi si stesse riferendo.
   Castiel mi ignorò, preferendo tornare ad assumere un cipiglio riflessivo. «Nel caso di Nath non è difficile da comprendere… Lo hai aiutato ad uscire da una situazione pessima.»
   «Mi pare che tu abbia fatto lo stesso. Devo dedurne che Nath faccia il filo anche a te?» A volte proprio mi risultava impossibile tenere a freno la lingua.
   «Te l’ho già detto una volta: ti stai prendendo troppe confidenze, ragazzina.»
   «Mi avevi detto che non era un problema.»
   «Sì, ma evidentemente ti è sfuggito il doppio senso della mia risposta.»
   Rimasi in silenzio per una manciata di secondi. Poi non mi trattenni dal chiedere: «C’era un doppio senso?»
   «Ovviamente.»
   «Ah.» Passò qualche altro istante. «Fingerò di non averlo colto», dissi infine.
   «Non hai bisogno di fingere, stupida.» Sbuffai con fare infantile. «E poi c’è il ragazzino che ti fa da guardia del corpo.»
   «Kentin?»
   «Lui.»
   «Che hai da dire contro Kentin?» Io avrei anche potuto dirgliene di tutti i colori, ma nessun altro doveva permettersi di fare altrettanto. Neanche adesso che avevamo discusso.
   «A prima vista si direbbe che abbia paura di me», prese a spiegare Castiel, come se stesse ponderando sulle parole giuste da usare. «L’ho pensato diverse volte, eppure non si tira indietro quando c’è da difenderti.» Aspirò dalla sigaretta. «È una testa calda, in realtà», concluse, cacciando fumo dalla bocca e dalle narici.
   «Un po’», gli concessi. Era la verità, in fin dei conti.
   «Ha fegato.» Mi voltai a guardarlo stupita. «Ti ha rincorsa da un altro liceo, ha affrontato la scuola militare e poi è tornato qui senza pensare neanche per un attimo di cambiare aria, nonostante tutte le difficoltà. Immagino lo abbia fatto ancora una volta per te.»
   Detta così, sembrava davvero l’azione eroica di un inguaribile romantico. Tuttavia, se fosse stata solo questa la ragione che aveva spinto Kentin a tornare al nostro liceo, sarebbe stata una follia. Dolce, ma pur sempre una follia.
   «Penso che lo abbia fatto anzitutto per se stesso.» Lo speravo di tutto cuore. «Ha vinto le proprie paure e si è sentito libero di essere ciò che è sempre stato, finalmente.»
   «Come sta facendo ora Nath, dici?»
   Mi strinsi nelle spalle. «Può darsi.»
   «Già, può darsi.» Aspirò di nuovo dalla sigaretta. «Però, fidati, un uomo è molto più motivato se ha una donna nel cuore. Soprattutto quando sa che lei merita davvero il suo amore.»
   Ancora una volta mi sentii vagamente lusingata dalle sue parole e non potei impedirmi di arrossire, sentendomi sempre più a disagio. Mossi nervosamente i piedi avanti e indietro e presi a giocherellare con le dita che tenevo posate in grembo.
   Castiel sospirò pesantemente, cacciando per l’ultima volta il fumo dai polmoni. «Bah, non ho voglia di aspettare ancora», annunciò, alzandosi in piedi e gettando la cicca in terra. «Me ne torno a casa.»
   Seguii i suoi movimenti con lo sguardo. «E se quelli del club dovessero chiedere di te?»
   Scosse le spalle. «Chi se ne frega», commentò in tono laconico. «A domani», mi salutò infine, avviandosi con fare pigro verso l’uscita della scuola.
   «A domani», balbettai, continuando a seguirlo con lo sguardo mentre si allontanava. Avvertivo come un senso di insoddisfazione dovuto a quel lungo scambio di battute. Non per via di Castiel, quanto perché io non avevo saputo ringraziarlo per tutto ciò che aveva detto e lasciato intuire dal suo discorso. Aveva una grande considerazione di me ed io ero stata soltanto in grado di rispondergli acidamente per colpa dell’imbarazzo. Non possedevo molto orgoglio, eppure a volte si faceva sentire, dannazione.
   «Non credevo foste capaci di parlare tanto a lungo senza azzuffarvi, voi due.» La bella voce di Lysandre, così calma e rilassante, mi riportò con i piedi per terra.
   Mi volsi nella sua direzione e lo vidi avvicinarsi e fermarsi a pochi passi dalla panchina su cui ero ancora seduta. Lo guardai come se non lo avessi mai visto prima di allora. «È stata una sorpresa anche per me, a dire il vero», confessai, dando per scontato che lui ci avesse osservati da lontano. Lysandre sorrise. «Castiel…» esitai, ma poi mi feci coraggio, perché con Lysandre riuscivo a parlare molto più facilmente che con il suo migliore amico. «Oggi era strano. Sembrava quasi malinconico.»
   Lui rimase in silenzio per qualche istante, scrutando in lontananza la figura di Castiel che spariva dietro al muro di cinta del liceo. «Credo lo fosse per davvero», rispose poi. «Anche se non sono sicuro che fosse oggi, il giorno esatto, ricordo che fu questo il periodo dell’anno in cui lui e Debrah si misero insieme. Forse è in preda ai ricordi», ipotizzò.
   Abbassai lo sguardo, sentendomi ancora più mortificata di prima, per un qualcosa di non meglio definito. Non solo non avevo mostrato riconoscenza, ma ero anche stata incapace di comprendere lo stato d’animo di Castiel. Forse non avrei dovuto farmene davvero una colpa, visto che non eravamo amici e che molte sfumature del suo carattere sfuggivano ancora alla mia attenzione, eppure mi dispiaceva non aver potuto fare nulla per risollevargli almeno in parte il morale.
   «Ora che ci penso», riprese Lysandre, distogliendomi di nuovo dai miei pensieri, «c’era qualcosa che dovevo fare, ma proprio non mi viene in mente cosa fosse…»
   Non mi curai di nascondere una risatina sommessa. «Com’è che la cosa non mi sorprende?»
   Lo vidi sorridere di cuore. «Allora aiutami a ritrovare le mie memorie perdute», scherzò.
   Aprii la bocca per rispondere, ma fui interrotta dalla melodia del mio cellulare. Lo recuperai dalla tasca dei jeans e lessi il nome di Rosalya, che era andata via dal liceo già da diverso tempo. Risposi e non appena lei fece il nome di Lysandre, chiedendomi se lo avessi visto in giro, alzai lo sguardo su di lui e lo vidi sgranare gli occhi. A quanto pareva, aveva dimenticato di aver preso un impegno con lei e Leigh, per questo Rosalya lo stava cercando.
   «Dille che sto arrivando!» esclamò Lysandre prima ancora che lei finisse di spiegarmi la situazione. Dopo di che, lo vidi affrettarsi verso l’uscita della scuola, lasciandomi con un sorriso imbarazzato ed un cenno di saluto. La faccenda non mi meravigliò più di tanto, ma per lo meno mi regalò un vago senso di divertimento.
   Quando chiusi la chiamata, ormai rimasta sola, mi soffermai a fissare il display ancora illuminato del telefonino. A restituirmi quello sguardo, c’eravamo io e Kentin, in una foto fatta la settimana prima al parco. I nostri sorrisi erano sinceri. Sembravamo felici, perché ci bastava essere insieme. Era sempre stato così.
   Le mie dita si mossero da sole e in breve composero un sms. Dopo le attività del club, torniamo a casa insieme?












Avrebbe dovuto essere decisamente più sbarazzina, come shot, e invece Castiel proprio non voleva saperne di collaborare... Credo che lo abbia avvilito parlare di certe cose. Proprio per questo temo di averlo mandato vagamente OOC; in caso, datemi voce, così che io possa aggiungerlo tra le note della shot.
Come avrete intuito, non sono morta né scomparsa nel Triangolo delle Bermuda. Semplicemente, non ho più tutto il tempo libero che avevo prima e quando riesco a sedermi al PC, mi mancano le energie per scrivere o anche solo per rispondere alle recensioni. Abbiate pazienza, a quest'ultima cosa cercherò di rimediare stasera.
Ringrazio tutti i lettori, i recensori e coloro che aggiungono le mie storie fra le preferite/ricordate/seguite. ♥
Buona serata,
Shainareth





  
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