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Autore: Tersy    10/01/2009    0 recensioni
One-shot dedicato a tutti quelli - come me - che vivono la splendida quanto stressante esperienza dello studente fuori sede. Facciamoci forza e andiamo avanti. [ Tratto da una storia di poco falsa xD ]
**Incipit**
Le cose più importanti sono spesso le più leggere. Se occupano spazio, se sono ingombranti e pesanti, significa che non sono indispensabili. La mappa e la carta di credito erano i due oggetti più leggeri che avessi con me, mentre le valige gravavano come macigni. In quest'ottica, stavo trascinando con sommo sforzo un cumulo di inutili sciocchezze.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuori sede


Le cose più importanti sono spesso le più leggere. Se occupano spazio, se sono ingombranti e pesanti, significa che non sono indispensabili. La mappa e la carta di credito erano i due oggetti più leggeri che avessi con me, mentre le valige gravavano come macigni. In quest'ottica, stavo trascinando con sommo sforzo un cumulo di inutili sciocchezze.

Il viaggio era stato piuttosto sofferto. Mi sembrava di attraversare quel tragitto da una vita, tanto era lungo. Avrei preferito che fosse così, che fosse davvero trascorsa una vita. Per lo meno, avrei viaggiato con tutti i comfort, da signore, con il ristorante, il bagno personale, il letto. Sì, soprattutto il letto. Chi e come riesce a riposarsi in un sedile il cui spazio vitale è ridotto ai minimi termini? E se ne è davvero in grado, in che razza di tuguri dorme solitamente? Io ero distrutto, avevo due occhiaie che mi coprivano metà viso. Non mi avrebbe riconosciuto nessuno se avessi fatto qualche azione nefanda. Sarebbe stato astuto approfittarne, svaligiare una gioielleria e partire alla volta di Las Vegas, puntare tutto sul trentasei rosso e perdere miseramente. Ecco, non riesco nemmeno a fantasticare una decente alternativa col senno di poi.
Il mio senso della realtà mi riporta di continuo a terra. Quello che in verità feci fu acchiappare i miei babagli alla meglio (borse a tracolla sovrapposte, che mi raschiavano la base del collo, trolley legati artigianalmente e con equilibrio precario) e portarmi in tal guisa verso la fermata dell'autobus.

Il rumore echeggiante e cacofonico delle rotelle sul marciapiede fece voltare ad una ad una le nuche di tranquilli cittadini - che diventarono concittadini - puntandomi contro un'espressione di lieve pietà. "Poveraccio, sei solo un pivellino, ma ti abituerai presto." Non riuscì a cogliere il giusto messaggio in quel frangente, lo compresi col tempo, ponderando e facendo esperienza.
Tutto ciò che pensai istantaneamente fu: "Che figura di merda". Secco, pari pari. Senza traslitterazioni aforistiche. Sistemai la sciarpa per bene sul collo. Faceva un freddo cane ed era solo fine settembre. Sbirciai nella pensilina della fermata per scoprire (indovinare) quale linea avrei dovuto prendere per raggiungere il mio appartamento.
Ovviamente, ma con mia somma delusione, non c'era nessuna mappa che recasse scritto: "Psst! Ehi tu. Sì proprio tu, che mi guardi con volto confuso. E' questa la linea che devi prendere per andare dove devi andare all'ora in cui ci devi andare." Grazie, lei è troppo gentile, signora Mappa! No, non fu così. Spostavo gli occhi sulla cartina stilizzata con il percorso evidenziato, con finta aria intellettuale, come se sapessi esattamente quale autobus stessi cercando, ma per uno sfortunato disguido non riuscissi a scovarlo. Di tanto in tanto fessurizzavo lo sguardo, recitando questo smarrimento momentaneo.
In breve: se non avessi preso la cartina topografica che dormiva nella mia tasca, sarei rimasto lì a contemplare le nuvole. Bastava tirarla fuori, beccare l'indirizzo e il gioco era fatto. Già, ma il problema era di tutt'altra natura. Come potevo far apparire l'oggetto senza sembrare un turista per caso, quando mi ero vantato di conoscere quei luoghi come le mie tasche (il che è un pessimo paragone, visto che il contenuto di queste ultime mi era totalmente ignoto)? Dovevo essere rapido, guardare e non guardare. Il tempo necessario per sapere dove diavolo mi trovassi e quanto fossi distante dalla mia meta e poi via, lesto, nuovamente al suo posto, prima di fare la figura del fesso.
Infilai una mano in tasca con nonchalance, fingendo di star cercando il biglietto o un fazzolettino di carta. Se avessi saputo farlo, avrei fischiettato per rendere il gesto molto più naturale e privo di malizia. Prima ancora di tirarla fuori del tutto ed esporla al vento che soffiava raffiche intense, lanciai di già una buona occhiata. La gente occupava quella manciata di secondi fissando le scarpe o scrutando le nubi grigie. Dovevo assolutamente approfittare di uno di questi momenti di distrazione e combinare il "fattaccio".
Arrivò l'attimo propizio e fui una scheggia: estrazione, spiegamento, confronto incrociato, piegatura malandata, ritorno al nascondiglio. Sorriso. Spavaldo adesso, puntavo la linea con l'indice, picchiettando sul vetro, quasi a sussurrare: "Eccoti, dannata. Perché ti nascondevi?" Annuivo convinto. Era il segno che stava procedendo tutto liscio.

Autobus numero 20. Perfetto, arrivava in cinque minuti. Ehi, un secondo! E il biglietto? Panico e terrore. Calma, non c'era problema. Potevo farlo direttamente sul mezzo. Inutile agitazione. L'autobus si arrestò dinanzi a me, ma chiaramente le porte d'ingresso erano distanti anni luce. Goffo come sempre, tirai le valige e con una tecnica segreta imparata in un soggiorno spirituale in Tibet ( a casaccio ) caricai me e la ciurma di bagagli, magicamente insieme. La macchinetta per i biglietti orari era a pochi centimetri. Mi bastò allungare il braccio per infilarci gli spiccioli che richiedeva. Non dava resto, poco male. Tanto non ne avrei avuto. La vettura era piuttosto affollata e quindi restai in piedi, di fronte all'uscita per essere pronto a scendere alla mia fermata. Non sapevo bene come l'avrei riconosciuta. Speravo fosse "lei" a riconoscere me, sarebbe stato più semplice. Tuttavia, a metà tragitto, cominciai ad essere assillato da dubbi.
Ma, in tutto quel marasma, avevo davvero preso la linea corretta? Queste perplessità mi fecero salire il cuore in gola. Io, sperduto in una città sconosciuta, sbattuto in chissà quale periferia isolata e poco servita da mezzi pubblici. No, dovevo avere certezze. Abbandonai momentaneamente i miei ingombranti effetti personali per rivolgermi al conducente. Non si dovrebbe parlare all'autista, era pure scritto sul cartello. La questione, però, era vitale e la legge si piega alle necessità pratiche.

« Mi scusi. Fa una fermata a via Farini? » io, gentile.

« Sì, quando ho finito il giro. » lui, cordiale. Ci misi alcuni minuti per afferrare quanto mi aveva detto.
Parafrasando: "Sei stato già in gamba a trovare la linea giusta. Pretendere di beccare anche la direzione era troppo per le tue capacità. Ritenta, sarai più fortunato perché più sfigato di così non si può." I santi del Paradiso ebbero una fischiata d'orecchie a testa. Li maledì uno ad uno, senza eccezioni. Afferrai le maniglie del set da viaggio argentato ed ero nuovamente a piedi.

Grazie al cielo,il vero autobus 20 giunse a seguire del precendente. Mi assicurai prima di salire a bordo di non fare la seconda idiozia della mia vita studentesca. Ma l'autista mi diede certezze. E io accettai di buon grado. In dieci minuti ero nella via desiderata. Inghiottì un po' di saliva e mi misi in marcia verso il portone della mia nuova casa. Il numero civico era esatto. Adesso dovevo solo suonare il citofono e avrei potuto esclamare: "Missione compiuta." Un misero gemito avvisò gli inquilini di un nuovo arrivo. Breve attesa e la porta si schiuse.

« Ehm ciao. Sono il nuovo coinquilino. »

« Ah! Certo. Entra. Fatto buon viaggio? » chiese lui, un ragazzo punk dai capelli a cresta, tinti di rosso ma sbiaditi. Vi lascio immaginare l'effetto che mi fece quell'arancio...

« Sì, insomma... Vivo un tantino lontano da qui. » risposi, frettolosamente, giungendo nell'ingresso.

« Di dove sei? » Esitai, ma fui convicente.

« Ah, non lo conosci. E' un paese piccolo... Molto piccolo... Infinitesimo. Non c'è nemmeno sulla cartina. » ghignai, sperando che non domandesse oltre.

« Sud, scommetto.»

« Sì, esatto. Sud. » sorriso e paresi facciale. Confermai ma non sapevo di che meridione stesse parlando. Doveva essere una loro colonia.

« Sud, dove?» mi spiazzò.

« Sud, molto sud. Tantissimo sud. » Sembravo un ebete. Un completo deficiente.

« Okay, non ami molto parlare del tuo paese. Ti capisco, è normale all'inizio. Beh, seguimi ti mostro la casa. »

« Stupendo. » sgranai gli occhi per evidenziare stupore.

« Sei riuscito facilmente ad orientarti?» Replicai, mentre salivo le scale per raggiungere il piano di sopra.

« Sicuro! In fondo è noto che "nemmeno i bambini si perdono a Bologna", no?»

Maledetta questa città, questa regione, questo paese.

L'avevo detto io che non ci dovevo venire sulla Terra!
   
 
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