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Autore: DavidCursedPoet    13/06/2015    1 recensioni
Questa storia parla di un giovine ragazzo, Derek, che ha maturato(ahilui) la convinzione di essere la vittima assoluta di un mondo, a suo dire, troppo crudele e che decide, a suo modo, di provare a cambiare la propria condizione.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci dirigemmo in macchina all'Étoile Grand Hotel, un albergo a 4 stelle, fra i più rinomati del paese, in centro. Un usciere ci porse i suoi saluti ed aprì la porta d'ingresso. Devo dire che quello che mi si parò davanti fu un gran bello spettacolo: se dovessi definire quel che vedevo con una sola parola direi...Ottocentesco.
 
L'elemento che per primo saltò ai miei occhi era il lampadario enorme al centro del salone, fatto di cristalli multicolore, che illuminava tutto l'ambiente; i muri, color ocra, erano adornati con arazzi e quadri in stile romantico, erano presenti copie di dipinti famosi come "Viaggiatore sopra in un mare di nebbia" e "Morte di Ofelia"; i tavoli, apparecchiati in maniera impeccabile, erano numerosi e disposti a cerchio intorno alla sala, anch'essa circolare, a creare un ampio spazio al centro; alcuni camerieri con piatti d'argento servivano champagne e stuzzichini vari agli altri ospiti; in fondo alla sala, un quartetto strumentale suonava alcuni pezzi di musica classica: il tutto creava un atmosfera a dir poco suggestiva per me, che mai avevo visto qualcosa del genere.
"Perché siamo qui?" domandai a Berardo, non riuscendo a trattenere il mio stupore. "Mi aspettavo che saremmo rimasti a casa sua per discutere di..."
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Rilassati e goditi la serata."
 
Intanto, un cameriere ci venne incontro e dopo aver riconosciuto Bernardo ci indicò un tavolo e annunciò:" Se i signori vogliono, possono accomodarsi lì."
Percorremmo tutta la sala e raggiungemmo il tavolo, notai che alcuni degli ospiti mi stavano squadrando: con ogni probabilità già si conoscevano tutti, ero io l'unico estraneo lì. Contai circa quaranta persone. C'erano altre tre persone al nostro tavolo; una sesta sedia, invece, era vuota.
 
Fu lì che la vidi per la prima volta, la ragazza leggiadra e terribile: non aveva passato i vent'anni, indossava un abito lungo e rosso, che lasciava scoperta metà della schiena, degli orecchini bianchi, una sottile collana d'argento, un braccialetto d'oro. Il viso, perfettamente truccato, era a dir poco incantevole, gli occhi grigi ammalianti, i capelli rossi, lunghi e sciolti, cadevano sulle spalle.
Stava conversando animatamente con un uomo grassoccio alla sua destra. Noncurante di Berardo, che era accanto a me, mi imbambolai a guardarla.
Uno scossone sulla spalla mi fece riprendere: "Ti fa appetito, eh?" scherzò Bernardo, ridendo.
"Ecco, veramente io..." Gli feci l'occhiolino, facendogli intendere di sì.
"Siediti accanto a lei, si chiama Beatrice, sono sicuro che sarà per te molto piacevole fare la sua conoscenza."
"Indubbiamente."
 
 Con calma mi accomodai alla sinistra di Beatrice, Berardo si posizionò vicino a me. Accanto a lui c'era una donna, che, pensai, fosse la moglie dell'uomo che discuteva con Beatrice, ma si affrettò a baciare sulle labbra Berardo, che subito dopo, prese parola, dopo un colpo di tosse, per richiamare a sé l'attenzione.
"Vorrei presentarvi, miei cari, un mio nuovo amico. Ha deciso volontariamente di entrare in affari con me, ecco." Non aspettandomi l'annuncio, sussultai sulla sedia e con voce sommessa, mi presentai a tutti, tenendo la testa bassa: "Mi chiamo Derek, è un piacere fare la vostra conoscenza, signori e signore."
"E signorine!" intervenne Beatrice. "E signorine..." ripetei io, imbarazzato. Tutti scoppiarono a ridere.
"Non sei di origini italiane, Derek?" mi chiese il signore grassoccio, squadrandomi con i suoi occhi piccoli. "Mio padre è americano, mia madre italiana. I nonni di mia madre immigrarono molti anni fa e lei ha deciso di tornare insieme a mio padre."
"Capisco. E cosa ti ha portato a diventare un amico di Berardo?"
 
"Io veramente..." sentivo il cuore palpitarmi. Tutto era stato frainteso: mi trovavo nei guai, cosa diamine avrei dovuto rispondergli? Che non volevo avere niente a che fare con nessuno di loro e che mi trovavo lì per una pura serie di sciagurate coincidenze? E mi sarei trovato una pallottola piantata nel cervello un paio di settimane dopo, magari. Non avrei potuto nemmeno dire che avrei voluto ammazzare tutti quelli come Berardo e lui, né che semplicemente volevo un arma per servirmene in maniera "privata". Ero in trappola.
 
"Derek è molto timido, Sandro. Per favore, non metterlo in imbarazzo con domande così scomode." Berardo mi aveva salvato, avrei voluto ringraziarlo; peccato che poi mi ricordai che era colpa sua, se mi trovavo in questa situazione.
"Hai ragione."  Prese una bottiglia dalla spumantiera al centro del tavolo e versò a tutti un bicchiere.
"A Derek." disse con tono gentile, poi bevve. Tutti gli altri seduti al tavolo, me compreso, lo imitarono.
 
Continuarono a parlare di faccende di poco conto molto a lungo ed io rimasi sempre in silenzio, gettando uno sguardo fulmineo a Beatrice di tanto in tanto, sperando che mi rivolgesse la parola. Penso che bevemmo tutti altri tre bicchieri, prima che la cena vera e propria iniziasse, dopo che tutti gli ospiti si furono accomodati ai tavoli.
Ci furono tante portate, anzi tantissime, a dir poco: molte erano a base di pesce, tutte pietanze che non avevo mai mangiato prima d'allora, tutte immensamente gustose. Più di una volta, Beatrice, sorridendo, aveva riempito i nostri due bicchieri ed aveva detto:" Dai, beviamo!" ed io non avevo rifiutato.
Mi duole ammettere che non ero abituato a bere, anzi, quella era sicuramente la prima volta in cui c'era così tanto alcool nel mio corpo. Non avevo un'idea vera e propria di quali fossero gli effetti; tutto quello che sapevo era per sentito dire. Sentivo che i miei muscoli si appesantivano e rilassavano; le mie labbra tendevano a formare involontariamente un sorriso, o più probabilmente, un'espressione da ebete, il mio battito cardiaco era leggermente accelerato, infine, sentivo caldo.
 
Beatrice mi invitò a bere ancora: preso dalla piacevolezza delle sensazioni che stavo provando, non volendo rifiutare la proposta di una così bella ragazza, accettai. E l'alcool si impadroniva sempre più del mio corpo.  Quando la cena fu finita, tra i complimenti e gli applausi ai cuochi, alla direzione dell'hotel ed al quartetto, il violinista, battendo due volte le mani, annunciò al microfono: "Vorrei ora invitare i gentilissimi ospiti ad alzarsi e danzare a coppie questo Valzer dei Vespri Siciliani."
 
"Valzer dei Vespri Siciliani? Cos'è? Si mangia?" chiesi, rivolgendomi a Beatrice, cercando di sembrare spiritoso. Lei, ignorando completamente la battuta, mi tirò a sé e disse: "Forza, andiamo a ballare!" L'odore del vino permeava le sue parole; non doveva sentirsi molto meglio di me.  Intanto, Berardo e la sua compagna si erano già allontanati.
"Ma io non ho mai..." iniziai a protestare. Pose il suo indice davanti alle mie labbra, mi alzai.
"Ti guido io, non preoccuparti." Mi stava tenendo la mano e conducendo verso il centro della sala. Lei pose la mia mano sul suo fianco e la sua sulla mia spalla. Ci furono alcuni attimi di silenzio, la luce del grande lampadario cristallino si affievolì, diventando soffusa.
 
Il Valzer iniziò. Beatrice, quando non rideva per la mia goffezza, mi sussurrava: "Segui me. Fai gli stessi passi che faccio io, poi dopo sedici serie... Fammi girare." Le pestai i piedi almeno due volte, però, riuscii a farle fare la giravolta. Vedevo intorno a me tutti gli altri ospiti che danzavano leggiadri, con dei sorrisi di cartone stampati nelle facce, così come vedevo il quartetto suonare appassionatamente, i camerieri ai fianchi scrutarci con aria soddisfatta. Ed infine, Beatrice che sprizzava erotismo da tutte le parti e che ballava con me. La testa iniziava a girarmi leggermente. Beatrice sorrideva, io pure: mi stava a dir poco travolgendo. Tutta colpa dell'alcool.
E prima che me ne rendessi conto, il Valzer era finito. Me ne dispiacque molto: non mi sarebbe capitata tanto presto l'opportunità di ballare con Beatrice di nuovo. Mi sentivo abbastanza rintontito, però, imitando tutti gli altri, presi ad applaudire per l'ennesima volta.
 
Successivamente, non ricordo molto bene quel che accadde, se non che io, Beatrice, Berardo e la sua compagna, tornammo a casa di Brardo in macchina e che Beatrice, ancora abbastanza allegra, si era avvinghiata a me. Mi accinsi a salutarli tutti, però, Berardo mi chiese: "Sei sicuro di non voler rimanere qui per la notte? Si sono fatte le tre." Ci pensai su per alcuni istanti, poi, accettai. Prendemmo l'ascensore, entrammo in casa. Non badai molto all'arredamento dell'abitazione. So solo che fui condotto in una stanza da letto in cui c'erano due letti singoli, in cui avremmo dormito Beatrice ed io. Questo era quanto credevo sarebbe accaduto.
 Non appena la porta si fu chiusa alle nostre spalle, si avvicinò a me e mi buttò letteralmente sul letto, così, in un sussurro all'orecchio, me lo chiese: "Lo facciamo?"
 
Mi sembra inutile dire che, fino a quel momento, non avevo mai avuto esperienze di quel genere, tantomeno, mi sarei aspettato che una ragazza appena conosciuta si avventasse su di me con tale violenza, con tale forza. Non starò a dirvi tutti i particolari dell'accaduto, perché, confido che voi, sappiate bene quel che si prova e quel che accade in queste circostanze. Lo farei altre mille volte, è stata un'esperienza unica nel suo genere, una totale novità. In quel momento, avevo perso ogni cognizione di tempo e di spazio, c'eravamo solo io e lei, in un mare di urla soffocate, morsi, baci, gemiti. Le luci erano spente, rendevano tutto più, come dire, eccitante. Non mi sono mai divertito così tanto.
 
 Alla fine, lei indossò una vestaglia da notte, e si coricò, dicendomi: "Domani mio padre sarà contentissimo! Ah, inoltre, prima di andartene, c'è qualcosa di molto importante che deve dirti, un piccolo favore, sai..."
In quel momento non capii nulla del senso di queste parole e mi limitai a rispondere:" Ah...Okay...Buonanotte!"
"Buonanotte, Derek!"
   
 
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