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Autore: howrora    14/06/2015    0 recensioni
Queen Elizabeth non si era mai sposata per non far dipendere l’Inghilterra da qualche altro sovrano che avrebbe governato il suo Paese solo per soddisfare i propri comodi.
Allo stesso modo io, Elizabeth del ventunesimo secolo, non volevo seguire David per non dipendere da lui, ma in quei quattro anni mi ero resa conto che forse dipendevo da lui come le maree dipendono dalla Luna.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: David Tennant, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Di teatro, paure e cambiamenti.


Può succedere tanto in un teatro. Ci si emoziona, stupisce e si impara. Si impara come ridere sui drammi, come andare avanti quando tutto sembra andare nel verso sbagliato, si impara a vivere.
In quel teatro di periferia, io avevo passato la mia adolescenza e ne conoscevo ogni angolo come le mie stesse tasche. Ancora adesso ricordo il profumo del legno che adoravo quando ero solita sdraiarmi sul palco per imparare la parte. Fred, il custode, aveva capito già dai primi mesi che, quando mi presentavo nel mezzo della settimana negli orari più strani, doveva sopportare sproloqui e ore di studio di un personaggio ogni volta diverso.
“Un giorno di questi ti verrà una crisi di identità”, diceva. Oh, quanto si sbagliava. Ogni personaggio, aveva un po’ di me dentro. Non ho mai avuto “una crisi di identità” perché è proprio grazie a innumerevoli caratteri e storie diverse, sono diventata quella che sono ora.
“Tranquillo Fred, non succederà.”
Quel pomeriggio di novembre vagavo per la sala, perfezionando il monologo di Ofelia che avrei dovuto recitare per un provino da lì a poche settimane quando sentì delle voci provenire dall’atrio.
Mi avvicinai e vidi Fred parlare con un ragazzo piuttosto magro, alto e impacciato.
“Ah, Elizabeth, il giovanotto qui mi chiedeva giusto di te.”
Lo riconobbi subito. Gli anni erano passati, ma di lui non era cambiato nulla.
Stesso taglio di capelli, stesso fisico asciutto e stessi occhi pieni di luce.
“David.”, dissi impassibile.
“Eliza, da quanto tempo.”
Sembravano davvero passati decenni da quando aveva deciso che questa piccola cittadina gli stava troppo stretta, e voleva di più.
Decenni da quando mi aveva lasciata sola in un mare di squali che minacciavano di chiudere questo teatro impolverato per farne appartamenti moderni e luminosi, e decenni da quando mi resi conto che tutta la forza che avevo per combatterli, veniva da lui.
“Elizabeth, che nome nobile. Porti il nome di due tra le donne più forti e di carattere della storia. Non mi stupisce affatto che quelli del comune abbiano paura ad affrontarti.”.
Non sapeva che era tutto merito suo. Lottavo per qualcosa che ci vedeva uniti e più forti che mai, poi d’un tratto mi trovai sola.
Quei decenni, alla fine, non erano altro che quattro anni.
Quattro anni di lotte, determinazione, sconfitte e rassegnazione.
Avrebbero chiuso il teatro tra poche settimane, avevo smesso di impormi quando gli architetti presentarono a me e al proprietario il progetto per gli appartamenti già bello che finito.
Ormai era tutto deciso, ed io ero stanca di discutere.
“Tra poche settimane si chiude.”
“Ne ho sentito parlare, così sono venuto non appena ho avuto un momento libero. Che è successo?”
Non volevo credere alle mie orecchie. Davvero non si era mai accorto di nulla. Quattro anni senza neanche un messaggio o  una chiamata, sapevo di lui dagli articoli sui giornali e dalle foto su internet.
Come se avesse dimenticato tutto quello che avevamo passato insieme, tutte le risate durante le prove o quando cercava di cucinare un piatto di pasta che fosse almeno commestibile, le corse sotto la pioggia, le litigate e le riappacificazioni, le maratone di film del sabato sera, gli abbracci. I sorrisi. Gli sguardi.
In teatro gli sguardi sono importanti, anche più delle parole.
In uno sguardo si possono racchiudere migliaia di emozioni che non sarebbero valorizzate così bene con una parola.
Per noi era così anche fuori dal teatro. Lontano dalle luci, quando parlavamo fino a tardi raggomitolati sul divano di casa, sgranocchiando biscotti appena sfornati che facevano profumare l’aria di vaniglia.
Sentii lo stesso profumo quando lo rividi quel pomeriggio.
“È successo che mi sono stufata. Forse avevi ragione tu, questa gente non è fatta per il teatro.”, mi girai e mi diressi ancora verso la sala per prendere le mie cose e andare il più lontano possibile da lui e da tutti i ricordi e profumi che aveva portato con sé.
Percepì i suoi passi seguirmi e prima che me ne accorgessi mi aveva preso per un braccio e costretta a guardarlo dritto negli occhi.
“Senti, mi dispiace”, non lo lasciai finire.
“Quattro anni David, quattro anni senza dire una parola.”
“L’ultima volta che abbiamo parlato mi hai trattato come se mi disprezzassi solo perché avevo deciso che Londra mi avrebbe offerto più possibilità, cosa avrei dovuto fare?”
“Per esempio non lasciarmi sola?”
“Dimentichi la mia proposta di venire con me.”. Touchè.
Aveva ragione. Mi aveva chiesto spesso nei mesi prima della sua partenza di seguirlo e lasciare la città, ma io avevo sempre sviato e cambiato discorso pur di non rispondere.
Queen Elizabeth non si era mai sposata per non far dipendere l’Inghilterra da qualche altro sovrano che avrebbe governato il suo Paese solo per soddisfare i propri comodi.
Allo stesso modo io, Elizabeth del ventunesimo secolo, non volevo seguire David per non dipendere da lui, ma in quei quattro anni mi ero resa conto che forse dipendevo da lui come le maree dipendono dalla Luna.
“Parli come se non sapessi quanto sia difficile per me lasciare questo posto.”. Tentai di andarmene ancora, ma lui strinse la presa.
“Dici di non riuscire  a scappare da qui, eppure ogni volta che se ne parla fuggi. Non ti ho mai chiamata perché sapevo che mi avresti riattaccato alla prima parola, o che addirittura non avresti risposto. Tutto perché hai paura. Paura di cambiare, di andare via nonostante tu sappia che è l’unica cosa sensata da fare.”
Lo guardai quasi indignata per la verità che non volevo sentirmi dire, con uno scatto liberai il braccio, presi borsa e copione e corsi fuori, scappando, ancora una volta.
Scappare dall’idea di scappare, ecco a cosa avrei dedicato la mia vita. Altro che recitazione.
Mi sentii miserabile, inutile, orribile. Corsi per circa un paio di isolati con l’aria fredda che mi sbatteva sulla faccia.
Io avevo lasciato David, io avevo dimenticato tutto quello che avevamo passato, solo per paura.
Aveva ragione lui, ma non sarei mai tornata indietro per dirglielo. Forse.
Decisi che quello sarebbe stato il momento perfetto per smetterla di scappare.
Mi fermai di scatto a pochi metri dalla porta di casa e alzai lo sguardo. La via era vuota.
Guardai l’orologio, le cinque e mezza.
Iniziava a fare buio, così mi voltai e ripresi a correre.
Correvo per tornare da lui. Per dirgli che non volevo più stare senza i nostri sorrisi, i nostri sguardi e anche senza i suoi piatti di pasta.
Lo trovai a camminare non molto distante dal teatro avvolto nel suo cappotto marrone, corsi ancora più veloce e lo raggiunsi.
“Va bene, hai vinto tu. Ho paura, sono una fifona. Ho paura di non trovare sicurezza oltre questa città. Ho paura di fare danni e ho paura di deluderti. Che vogliamo fare?”, dissi tutto d’un fiato.
“Metti da parte queste paure folli e vieni con me. Non ti chiedo altro. Vieni con me, Elizabeth.”
Per la seconda volta quel pomeriggio, sentì l’urgenza di lasciare davvero tutto e smettere di avere paura. Tutta la mia forza veniva da lui.
Mi avvicinai silenziosamente e presi il suo viso tra le mani.
“Ho sollecitato, fin dall'inizio della nostra conoscenza, il pregiudizio e l'ignoranza, e ho rifiutato la ragione, nei confronti di tutti e due. Fino a questo momento, non avevo idea di chi fossi.”, sussurrai.
Per la prima volta dopo quattro anni riconobbi il sorriso che dedicava solo a me.
“E così, citi la tua omonima Miss Bennet adesso. Ottima mossa, Lizzy.”.


 
Salve a tutti, sono tornata dopo un bel po' di tempo con una nuova one shot sul caro David.
Essendo la prima volta che scrivo una storia simile, spero che siate clementi, ma vi prego di dirmi cosa se ne pensate.
love,
Rory
 
  
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