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Autore: Yuliya    14/06/2015    2 recensioni
“Non dovevi seguirmi.”
Sapeva che si trattava di Bellamy sebbene non sapesse motivare quella strana sensazione al centro del petto che, alla stregua di una vocina, le aveva suggerito che solo lui si sarebbe preoccupato di rintracciarla. Lo sapeva ancora prima di incontrare un paio di scarponi sporchi di fango e le ombre delle fronde delle piante che gettavano ghirigori raccapriccianti sul suo viso provato.
Le sorrise appena. “Allora non mi conosci.”
[Bellarke long] [Post 2x16]
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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1.



Be with me always, take any form, drive me mad!

 
















Procedevano attraverso le lande desolate, una terra tutt’altro che ricca e generosa, il passo un tempo affrettato ora reso traballante e incerto dallo sforzo continuo. Da ore oramai avevano abbandonato la fitta boscaglia, che aveva ceduto il posto a una brughiera aspra e a tratti grottesca. Ogni tanto salivano a tastoni lungo i radi lastricati che segnavano viottoli di un passato glorioso, e in quei momenti Bellamy si voltava indietro a cercare pietosamente la sorella e quando non trovava traccia del suo sorriso smaliziato, respirava affannosamente. Ma proseguiva senza fiatare, gli occhi serrati per la polvere che si levava ad ogni loro accenno di passo.
Bellamy non era certo il tipo di persona che si lamentava per la troppa fatica compiuta, bastava conoscerlo un poco per giungere alla seguente conclusione, ma sentiva i piedi dolergli a tal punto da pulsare ad un ritmo innaturale all’interno degli scarponi.
Sebbene il fisico si ribellasse implorando pietà o almeno un briciolo di meritato riposo, non emise un solo lamento né domandò alla sua compagna di viaggio perché avanzassero come se fossero inseguiti da un branco di lupi affamati. Si chiese piuttosto cosa la spingesse ad allontanarsi con maggiore vigore dal campo Jaha.
Stai scappando, Clarke.
Forse nemmeno te ne rendi conto.
Un moto interiore lo convinse ad avanzare, per la prima volta da quando si erano incamminati, la fatidica domanda. “Hai scelto una meta?”
Clarke ricambiò duramente il suo sguardo, quasi rimproverandogli con le iridi chiare di averla distolta da un progetto da cui dipendeva la sorte dell’intero pianeta. Peccato non lo condividesse con lui. “No, ma sta arrivando il buio e dobbiamo proseguire finché il sole lo permette.”
Scosse la testa quando gli ridiede le spalle per continuare lungo il percorso tortuoso. “Agli ordini.”
Da quel momento un nuovo silenzio, meno gelido per fortuna del precedente, calò tra i due. Bellamy si osservò intorno, quasi alzandosi in punta di piedi, cercando con ancora un po’ di quella speranza che caratterizzava ogni suo più piccolo gesto, anima viva. Ma erano nel bel mezzo del vuoto più totale, in lontananza non vedeva né cave né caverne in cui trascorrere la notte: avrebbero dormito all’aperto, in balia degli agenti atmosferici e di possibili attacchi di bruti?
Vuoto, vuoto, solo vuoto.
 Forse era quello stesso vuoto a rendere Clarke talmente apatica. E così dall’ambiante circostante la sua attenzione tornò a concentrarsi su di lei, non che potesse in qualche modo impegnare la mente in altri pensieri. Il futuro, Clarke e Octavia erano le uniche immagini che si alternavano sul proprio volto da quando si erano messi in moto.
La biondina dinnanzi a lui che scalava le valli, quasi disarcionando la terra che intralciava il proprio cammino, era diversa dalla ragazza che aveva iniziato a stimare all’inizio dello sbarco sulla terra. Era sempre autoritaria, determinata e dispotica per certi aspetti come l’irritante Clarke delle origini, ma ora vi erano delle sfumature in più che si addensavano come una cappa soffocante attorno alla sua figura. Chiusa in un ostinato mutismo, triste da far cadere le braccia imploranti lungo i fianchi, era quanto di più simile alla disperazione in carne ed ossa.
Noi ti abbiamo ridotto a un fantasma che si aggira senza vita?
Proprio tu, Clarke, che eri la nostra vita?
Dovevi essere la più forte del gruppo, di tutti.
Ma essere forti, non vuol dire scappare e nello stesso tempo mostrare all’apparenza che nulla ci stia turbando. Essere forti significa saper affrontare le difficoltà anche a costo di rimetterci la dignità, se questo impedisce di perdere noi stessi.
Avrebbe desiderato gridarle di piantarla con quel suo comportamento che non aveva altre conseguenze se non farla soffrire e gemere come un cane, strapparle letteralmente il cuore dal petto, stringerlo tra le falangi per sentire il sangue che pulsava, perché c’era, per poi gettarglielo insanguinato ai piedi e dirle: “Lo vedi? Lo vedi che batte anche se fingi che non sia così?”
Invece si limitò a farle presente che stava calando il sole all’orizzonte e che dovevano prepararsi a vegliare. Clarke annuì, si guardò attorno scrutando nella semi oscurità, con una mano che grattava distrattamente il mento. Dopo essersi accertata della lunga distanza che avevano frapposto tra loro e il campo, si lasciò ricadere con un tonfo per terra. Bellamy la seguì, il fucile carico sulla spalla destra pronto ad essere impugnato al minimo movimento.
Iniziarono a mangiucchiare qualche provvista, ma si trattennero entrambi nonostante le pance brontolassero perché non erano certi dell’effettiva durata del viaggio.
Bellamy adorava il silenzio, per lui non vi era nulla di meglio che scrutare assorto la maestosità delle stelle e meditare sulla pace che avevano appena conquistato. Eppure odiava, diamine se odiava, il silenzio con Clarke. Perché non c’era mai stato tra di loro. E se era esito, era un silenzio colmo di intesa e di sguardi che comunicavano più di mille frasi gettate a caso. Il silenzio invece che li circondava era il silenzio degli sconosciuti, di chi non ha uno sputo di legame con chi gli siede accanto. Di chi non ha condiviso morte e sangue come fratelli.
No, non avrebbe tollerato un altro secondo. “Ti dobbiamo molto, più di quanto tu stessa possa concepire. E credo di doverti ringraziare, sì, perché se non fosse stato per te a quest’ora i nostri amici sarebbero sotto un cumulo di terra. Mi dispiace, anzi, di non averlo ammesso prima, ma sentivo come una barriera da parte tua” mormorò, fissandola attraverso le folte ciglia per quanto il buio glielo permettesse. Non riuscì a individuare molto dalla sua espressione se non la mascella che si contraeva in quello che gli parve puro dolore. “Credo però che dovresti gettare questa tua protezione, almeno con me. Ci conosciamo abbastanza da potercelo permettere.”
Clarke non replicò subito, e Bellamy attese con pazienza che raccogliesse il fiume in piena che le annebbiava il cervello. “Tu e gli altri non mi dovete un bel niente. Vallo dire a Jasper, alla ragazza amata che ha perduto, o a Monty che ha rovinato per una mia scelta l’amicizia di tutta una vita. Chiedi a loro di ringraziarmi, o chiedigli se piuttosto non mi punterebbero una pistola alla tempia per le mie azioni sconsiderate.”
La voce era pregna di derisione verso sé stessa.
Bellamy le afferrò le mani in un gesto che non riuscì a frenare, irrazionale e per nulla premeditato. Clarke all’inizio si dibatte per tentare di abbandonare quella stretta anomala, così calda e ruvida, totalmente e assolutamente fuori luogo ma il ragazzo quasi non se ne rese conto. Era troppo concentrato da quello che stava per urlarle una volta per tutte.
“Ascoltami bene, Clarke Griffin, perché non lo ripeterò una seconda volta e lo giuro su questo schifo di terreno su cui siedo che non lo farò. Ci hai salvati, uno per uno, e non ti sto riferendo questo mio pensiero per avere la coscienza a posto, sai benissimo che non sarei in grado di mentire a me stesso.  Devi renderti conto che da una posizione di comandante come la tua, ci si aspettano grandi responsabilità. E ogni generale che si rispetti e che scende in battaglia circondato dal suo popolo, deve capacitarsi che non riuscirà mai a rincasare con ogni singolo uomo. Dovesse spendere tutta l'energia che ha in circolo, ci sarà sempre un singolo uomo pronto a morire per salvare una decina di compagni che gli stanno cari. È una legge naturale e il tuo compito è sopportarlo, avere la forza di accettare le conseguenze delle tue azioni. Perché se vuoi comandare, devi farlo con consapevolezza.”
A quel punto ritirò le mani e si voltò. Nella notte appena discesa riecheggiò il rumore della sicura. “Controllo io che non ci attacchino. Prova, ti prego, a riflettere su quanto ti ho detto e magari riposa un poco.”
Clarke sentì sì e no quell’ultimo consiglio, ma per la prima volta da mesi non si divincolò nel sonno.
 




 
Angolo Autrice:

buonasera! Aggiorno tardi perché sì, non ho una scusa vera e propria. Tengo a questa storia e spero di essere più presente ora che la scuola è terminata.
Non ho molto da dire, ringrazio tutte le persone che hanno aggiunto la storia ai preferiti/seguite/ricordate e quelle povere anime che hanno recensito.
Spero mi lascerete un commentino pure qua.
Un bacione e a presto
   
 
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