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Autore: emotjon    15/06/2015    0 recensioni
Lui, tuono e tempesta.
Lei, emozione e disincanto.
Insieme, un accordo di corde e suoni, pelle e sensi. un melodia che vibra sulle corde del cuore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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7. Diapason.


 
 
Non era riuscita a perdere il sorriso. Non aveva voluto perderlo e aveva fatto in modo di non farselo scivolare via dalle labbra. Quel sorriso le si era stampato sul viso mentre lui la baciava e rideva, e non l’aveva mollata un momento; non quando l’aveva osservato vestirsi coi primi stracci trovati nell’armadio né quando le aveva scompigliato i capelli ed era uscito sorridendo per andare a prendere qualcosa per colazione; non quando si era  guardata intorno curiosando tra le sue cose né sotto la doccia, inebriata dall’odore del suo bagnoschiuma e dalle particelle di vapore che riempivano il piccolo bagno rendendola quasi cieca.
E continuò a sorridere anche guardandosi allo specchio appena uscita dalla doccia, lasciando vagare i pensieri verso quel ragazzo del quale a quel punto sembrava quasi non riuscire a fare a meno. Si leccò le labbra soprappensiero, prima di scuotere piano la testa divertita da se stessa e far partire la riproduzione casuale del telefono – che aveva lasciato di fianco al lavandino. Uptown funk riempì il silenzio facendola scoppiare a ridere, facendola ballare a tempo mentre indossava qualcosa che aveva preso in prestito dall’armadio di Zayn.
Quasi non si rese conto di aver preso in mano la spazzola del violoncellista, quando iniziò a cantare sulla voce di Bruno Mars, un po’ come se ci stesse duettando e un po’ come volesse dimostrare a se stessa di riuscire a superarlo, in un modo o nell’altro. E come sempre, cantando finiva per essere troppo presa dalla musica per potersi accorgere di qualsiasi altra cosa.
La prima cosa che Zayn sentì ancor prima di abbassare la maniglia della porta della propria stanza, fu la musica. E fu quando entrò, che iniziò a dimenticarsi di qualsiasi altra cosa gli stesse passando per la testa. Dopo la musica, ci fu la voce di Esme – la sua voce e null’altro. Quella voce gli fece spuntare un enorme sorriso sul volto; gli fece venire i brividi lungo la schiena; fu in grado di svegliarlo del tutto.
Meglio del caffè, pensò, lasciando poi la colazione e le caramelle per la ragazza sulla scrivania, prima di seguire la sua voce fino al piccolo bagno e trattenere il fiato. Il respiro gli si incastrò in gola, letteralmente, fermato all’improvviso dai capelli bagnati di Esme che – a mano che il tempo scorreva – si stavano arricciando naturalmente, come sempre; fermato dalla sua voce così limpida e forte; fermato dalla sua figura che ballava davanti allo specchio senza accorgersi di niente che non fosse musica.
Fermato dalle sue gambe nude.
Fermato dai propri boxer visti addosso a lei. Fermato dalla propria canottiera dei Guns’n’Roses presa dal suo armadio senza chiedere, perché in fondo non c’era bisogno di farlo. E, Zayn doveva ammetterlo, quei vestiti stavano decisamente meglio a lei. E non riusciva a smettere di guardarla e sorridere, non riusciva a smettere di ammirare quella luce nei suoi occhi verdi o il suo sorriso o il modo in cui prendeva fiato prima di continuare a cantare o il modo in cui la sua mano libera dalla spazzola si muovesse nell’aria quasi senza saperlo, senza volerlo davvero.
Continuò a guardarla senza perdere il sorriso – che anzi sembrava aumentare di intensità via che i secondi scorrevano senza fare rumore. Continuò a guardarla poggiandosi contro lo stipite della porta, passandosi una mano tra i capelli scuri prima di incrociare le braccia al petto, ancora senza che il suo sorriso si decidesse a mostrare segni di cedimento. Continuò a guardarla ballare e a sentirla cantare riempiendosene gli occhi e le orecchie, riempiendosene il cuore tanto da dover lottare per non scoppiare a ridere, per non farsi notare.
Riuscì a coglierla di sorpresa, quando colmò la distanza che li separava con un paio di passi e la prese per i fianchi soffiandole l’accenno di una risata dietro l’orecchio. La colse di sorpresa tanto da strozzarle una nota in gola e farla rimanere senza fiato, quando strinse appena la presa su di lei e le stampò un bacio sul collo umido e che odorava del suo bagnoschiuma. «Odori di me», le fece notare in un soffio mentre la canzone scemava contro le pareti del bagno, mentre una mano gli scivolava sotto la canottiera fino all’ombelico, facendola rabbrividire e ridacchiare allo stesso tempo.
«Ed è un problema?».
«Assolutamente no», mormorò il ragazzo osservandola far sfarfallare le ciglia fino ad abbassare le palpebre, rilassandosi sotto al suo tocco e cullata dal suo respiro come una scialuppa dalle onde del mare. «Mi piace sentire il mio odore su di te», aggiunse Zayn intrecciando le dita di entrambe le mani con quelle di Esme. Ed era la pura verità, sentire il proprio odore su di lei gliela faceva sembrare più… sua, in un certo senso.
«Okay…», disse la ragazza voltandosi per stampargli un bacio sulle labbra – rapido come i movimenti dell’archetto contro le corde del violoncello – prima di allontanarsi spegnendo la musica e prendere un sorso del proprio caffè dal bicchiere di carta lasciato sulla scrivania. «Non ho voglia di andare a lezione… film?». La mora prese il portatile del violoncellista e si sedette a gambe incrociate tra le sue lenzuola ancora sfatte sotto il suo sguardo divertito, col sopracciglio inarcato e il labbro inferiore stretto tra i denti.
«Film, ci sto…».
«Mh…». La ragazza annuì sorridendo, quando scorrendo la lista dei film in streaming lo vide con la coda dell’occhio avvicinarsi e sederlesi accanto senza smettere di sorridere. «Cosa guardiamo?», gli chiese soprappensiero continuando a scorrere la lista ma senza smettere di guardare lui e i suoi capelli sciolti e il brillio del suo piercing al sopracciglio.
Di certo però, seppur osservandolo di continuo e tenendogli sempre gli occhi addosso, non si aspettava la sua risposta. O, meglio, non si aspettava il gesto con cui la accompagnò. «Batman». E le diede un bacio sulla guancia. «Iron Man». Un altro bacio, più vicino alle labbra. «Spiderman», mormorò ancora, facendola ridacchiare quando le sfiorò l’angolo delle labbra. «Captain America…». E questa volta le posò un bacio direttamente sulla bocca, che sapeva di caffè e sigarette.
Esme però scosse la testa ad ogni titolo che scivolava sensuale e provocatorio dalle sue labbra carnose. Giocherellò col piercing al labbro, prima di protrudere lo stesso labbro in fuori e battere le lunghe ciglia nere, avvicinandosi poi al suo orecchio. Sorrise, sentendolo rabbrividire. E «Voglio vedere Frozen», gli disse in un soffio, lasciandogli poi una scia di baci lungo la mascella e finendo sulle sue labbra, respirandogli contro e guardando in quegli occhi scuri che più il tempo passava e più sembravano diventare neri.
Il musicista si accorse di star trattenendo il fiato solo quando rilasciò l’aria contro il sorriso malizioso della cantante e le sue guance leggermente colorate di rosso. Borbottò qualcosa di poco comprensibile, ma che somigliava terribilmente ad un “va bene, vada per Frozen” che, seppur detto in modo da non essere capito, fece ridere Esme, contenta di aver vinto quella piccola battaglia come una bambina che la mattina di Natale scarta i regali e trova proprio quello che voleva.
Sembrava davvero una bambina, Zayn non avrebbe potuto descriverla altrimenti. Guardava lo schermo del portatile come se ne fosse stata incantata, quasi senza battere le palpebre e con gli occhi che le brillavano… proprio come ad una bambina piccola di fronte al proprio cartone animato preferito. Cantava ogni canzone. Imitava addirittura i gesti dei personaggi. E sorrideva, sorrideva tanto – così tanto da far sorridere anche lui mentre la guardava.
Lui in effetti non stava guardando il film.
Lui guardava lei, ed era uno spettacolo mille volte meglio.
Esme, dal canto proprio, fece finta di non accorgersi di quello sguardo sul proprio viso. Fece finta che il sorriso sul viso di Zayn non fosse lo specchio esatto del proprio, e viceversa. Fece finta di non notare la lentezza infinita con cui una delle mani del moro le si stava avvicinando alla coscia nuda; fece finta di nulla, ma la vedeva con la coda dell’occhio e pregava che si desse una mossa, perché una buona parte di lei voleva solo sentire le sue dita a contatto con la propria pelle nuda.
Zayn la osservò in silenzio. Ed Esme guardò il film mimandone le battute e i gesti, ma senza parlare. Fu solo quando le prime parole di Let it go le scivolarono involontariamente di bocca, che la mano del moro si decise finalmente a posarsi finalmente sul suo ginocchio, per poi risalire la coscia un millimetro per volta, facendole il solletico.
Esme però si trattenne dal ridere – a stento, a dire il vero – voltandosi verso di lui senza smettere di cantare e avvicinandosi tanto da sfiorargli la guancia con le labbra, tanto da sorridere e cantargli quelle parole contro la pelle, premendoci le labbra sopra abbastanza da non capire neppure lei quali parole stesse cantando. Rise con lui senza allontanarsi, quando lo sentì ridacchiare, con le dita affusolate che ancora le sfioravano la coscia e che a quel punto non sembravano più essere in grado di smettere, di eliminare quel contatto.
«Immagina la nostra vita come in un cartone animato…», esclamò Zayn ad un certo punto, smettendo di ridere all’improvviso e cessando di muovere le dita sulla sua pelle, senza però allontanarle di un solo millimetro. La ragazza gli sfiorò la nuca con le unghie, incitandolo con un sorriso a continuare. «Io sono Kristoff, naturalmente più bello», aggiunse il moro dopo un paio di secondi, facendo ridere la cantante, prima che potesse mormorare un “viva la modestia” che lui fece puntualmente finta di non sentire. «E tu Anna… immagina la nostra vita come se fossimo loro…».
E quando lo guardò negli occhi, riuscì ad immaginarlo davvero. Vide davvero la neve che cadeva, nel buio di quelle iridi scure; e vide se stessa al posto della principessa Anna; vide Zayn che la teneva in braccio proteggendola dal freddo in sella ad una renna, proprio come Kristoff. Lo sentì accarezzandogli i capelli neri, che quello che lui le stava chiedendo di immaginare era quello che voleva.
Beh, non la parte del cartone animato.
La parte in cui immaginava di tenerlo per mano e continuare a baciarlo. La parte in cui abbassava le palpebre e si vedeva con lui. La parte in cui loro erano insieme, stavano insieme, finivano insieme. Quella era la parte che voleva, lui era quello che voleva. Poteva sembrare stupido, visto da quanto si conoscevano, ma in quel momento era la verità; voleva Zayn, forse fin dall’inizio, ed era irritata da se stessa per non averlo ammesso subito.
«Sarebbe bello, decisamente…», riuscì a mormorare la giovane con l’ennesimo sorriso della mattinata sul viso, prima di stampargli un bacio vicino alle labbra e allontanarsi appena – ma non troppo, giusto quanto bastava a poter posare il capo sulla sua spalla per tornare a guardare il film. «Sarebbe una favola», aggiunse pianissimo, lasciando che il ragazzo intrecciasse le dita con le proprie e stringesse la presa.
E forse fu la leggera malinconia con cui pronunciò quelle parole, ma in quel momento Zayn – baciandole con dolcezza i capelli ancora bagnati – decise che le avrebbe fatto vivere quella favola che tanto le mancava e che tanto desiderava. Decise che sarebbe rimasto, che l’avrebbe baciata sulle labbra per svegliarla, che le avrebbe accarezzato i capelli e che l’avrebbe protetta da chiunque avesse anche solo pensato di farle del male.
«E’ tutto okay principessa, ci penso io a te».
Bastarono quelle pochissime parole a fermare l’uragano di pensieri che le stava montando dentro. Pensieri di dolore, di tradimenti, di persone che se ne andavano. Pensieri di chi non l’aveva trattata come meritava. Pensieri di lacrime, di sorrisi finti, di occhiate colme di compassione per la povera ragazza che era stata lasciata senza nemmeno un biglietto, una scusa, una giustificazione. Pensieri di mancanze e di sms ai quali non aveva più risposto e di chiamate perse senza nemmeno farci troppo caso, perché forse era semplicemente meglio così.
Bastarono poche parole per spazzare via tutto. Quasi come non fosse mai esistito. Il che era sempre stato tutto ciò che aveva sempre chiesto, solo con lo sguardo, credendo che non ci fosse alcun bisogno di parlare. Solo che nessuno aveva mai udito la sua muta richiesta di aiuto, nessuno aveva anche solamente intravisto la malinconia celata nel suo sguardo. Nessuno aveva mai provato a capirla davvero, in tutti quegli anni.
Nessuno tranne Zayn. Sembrava chissà quale miracolo, ma lui la sentiva chiedere aiuto e vedeva la malinconia che si portava dietro da sempre… e la capiva. La capiva davvero, non si sarebbe arreso alla minima difficoltà, ed Esme se n’era appena resa conto, proprio grazie a quelle poche parole sussurrate.
E semplicemente gli si strinse più vicina. Annuì e basta, con un sorriso sulle labbra che diceva più di quanto avrebbero potuto fare mille parole. Quel sorriso e quel modo di stringerlo erano il suo modo – forse un po’ contorto – di dirgli grazie. Grazie di esistere, per quanto potesse suonare come uno stupido cliché. Lo pensava per davvero, non poteva farci nulla.
Ripresero a guardare il film abbracciati. Esme continuò a canticchiare ritrovando senza troppa fatica il pizzico di allegria persa e Zayn continuò a guardarla, stringendola a sé come se non volesse lasciarla andare ma anche come avesse avuto paura di romperla, di distruggerla in mille pezzetti impossibili da ricomporre. Quando però la sentì ridere di nuovo, la paura di aver rovinato tutto svanì all’improvviso così com’era arrivata e senza lasciare traccia alcuna del proprio passaggio.
«Ciao, mi chiamo Zayn», esclamò il ragazzo imitando alla perfezione la voce del pupazzo di neve del cartone animato. La mora lo guardò con un sopracciglio inarcato e mordendosi il labbro, prima di ridacchiare, aspettando che lui finisse la battuta. «Amo i caldi abbracci… e i baci bollenti», aggiunse dopo qualche secondo di pausa. Dicendolo sollevò ed abbassò le sopracciglia, guardandola malizioso negli occhi verdi come primavera.
E la risata che gli riempì le orecchie gli sembrò il suono migliore di sempre.
«Ciao, mi chiamo Esme», lo imitò allora lei dopo aver smesso di ridere, facendo nascere un sorriso sulle sue labbra carnose che gli increspò il velo di barba leggermente incolta. «Amo i caldi abbracci… e un violoncellista sexy di nome Zayn», aggiunse in un soffio che pareva quasi portato dal vento, avvicinandosi poi alle sue labbra per depositarvi il bacio che tanto anelavano.
Gli sfiorò le labbra con le proprie prendendogli il viso tra le mani con un sorriso. Affondò le dita tra i suoi capelli, sentendolo poi ridacchiare dentro la propria bocca, sentendo la vibrazione di quella risata entrarle dentro, riempirla fino a farle perdere il fiato, fin quasi a farla gemere senza che riuscisse a trattenersi. Giocò con le sue labbra, dimenticandosi di tutto il resto e finendo sdraiata di schiena sul materasso con Zayn sopra.
Senza fiato e con una risata spenta in gola.
Col film che nel portatile andava avanti per la propria strada senza che nessuno dei due gli prestasse attenzione, l’una concentrata sulle labbra del moro che le stavano scendendo lungo il collo arrivando con facilità alla gola e alle clavicole, e l’altro attento a sfiorare con le labbra ogni centimetro di pelle lasciata scoperta. Concentrato su di lei, nonostante le sue parole gli frullassero in mente come impazzite.
Gli aveva detto la parola “amo” senza curarsi delle conseguenze? L’aveva detto davvero o stava solo scherzando? Zayn non… capiva. Non sapeva se prendere per vere le sue parole o se avrebbe fatto meglio a prenderle con le pinze, attento a non lasciarsele esplodere addosso, attento a non farsi male. E cosa avrebbe dovuto risponderle? Lui, come lei, non era immune alla paura né al dolore. Lui era stato spezzato, lasciato, distrutto, tradito. Era come lei, avevano le stesse paure e gli stessi pensieri e provavano lo stesso, identico, dolore.
«Es…?».
«Mh…». La ragazza aprì gli occhi col fiato corto, tuffandosi in quelli scuri di lui, vedendoci la malinconia e la paura – le stesse che avevano attanagliato le proprie iridi poco prima. E capì immediatamente quale fosse il problema, sempre che potesse definirsi tale. Si accorse di quel che aveva detto, poi, boccheggiando appena in cerca d’aria. «L’ho detto senza pensarci», mormorò in un soffio, sfiorandogli una guancia con la mano aperta contro di essa, come se lo stesse sostenendo impedendogli di cadere. «Non perché io non ti ami, è solo che non sono innamorata…». Non ancora, avrebbe voluto aggiungere. «Mi capisci?». Ma non ci fu bisogno di aggiungere nulla, perché il ragazzo le stampò un bacio sulle labbra, annuendo di fronte al suo punto di vista, prima di nascondere un sorriso nell’incavo del suo collo.
Sorriso che lei sentì contro la pelle accaldata e sotto di essa. Sorriso che prese a scorrerle nelle vene, che respirando per regolarizzare i battiti del cuore le riempì i polmoni. Sorriso che sembrò riuscire a scaricarla di un peso, quel peso dato da quelle parole sfuggite dal suo controllo, in un momento in cui il cervello era stato scollegato dalla bocca – non c’era altra spiegazione.
«Ti va di uscire, stasera?».
Che, in quanto a pensieri scollegati dalle parole, non era niente male.
«Tipo un appuntamento?», gli chiese ridacchiando e sfiorandogli la nuca con le dita, prima di scendere lungo la spalla, sotto la maglietta. Si leccò la pallina del piercing, prima che il suo sguardo si immergesse nel proprio con un brillio di divertimento e un pizzico di malizia – visibile anche se ben nascosta. «Solo io e te, a lume di candela, su una terrazza dalla quale…». Per quanto stesse ironizzando, Esme non poté fare a meno di parlare a vanvera, almeno finché non venne interrotta dalle labbra morbide e invitanti del violoncellista contro le proprie, di nuovo.
«Puoi portare le ragazze e Michael e chi ti pare… volevo portarti dove suona Sky di solito, anche perché mi serve un incoraggiamento prima di suonare con lei», aggiunse il moro, prima sfiorandole il labbro ornato dal piercing col pollice, e poi scostandole un boccolo ormai asciutto dietro l’orecchio. La ragazza dagli occhi verdi annuì solamente, sorridendo, sporgendosi poi verso di lui per un bacio, e un altro, e un altro ancora.
Nemmeno si erano accorti che si fosse bloccato lo streaming.
«Cosa suonate?».
«Vedrai», mormorò il moro ridacchiando, ancora contro le sue labbra. Lei sbuffò, cercando di divincolarsi dalla sua presa e – cosa più importante – cercando di non farsi trasportare da quella risata, cercando di non ridere con lui. «Vedrai anche cosa intendo per incoraggiamento, piccola…».
E per quanto avrebbe davvero voluto ridere di fronte a quella provocazione, non fece altro se non farla sbuffare ancora, sempre più vicina allo scoppiare a ridere, mentre immaginava come sarebbe stato vederlo suonare con Sky, in mezzo ad altra gente. Con altre ragazze ad osservarlo. E a quel pensiero si ritrovò involontariamente a serrare la mascella. Gelosa, decisamente, non c’era bisogno di girarci troppo intorno, era evidente. Cercò comunque di non darlo troppo a vedere, intenta a scivolare via da sotto il corpo di Zayn, anche se lui non sembrava aver intenzione di spostarsi.
«Se non mi dici che locale è come faccio a decidere cosa mettermi?».
«Allora è questo il problema…». Zayn rise, lasciandola finalmente libera di muoversi. Chiuse il portatile con un ghigno, osservandola sistemarsi la canottiera alla meglio e passarsi una mano tra i capelli, come fosse soprappensiero. Sospirò, accennando un sorriso, prima di avvicinarsi e prenderla per i fianchi. «Non devi vestirti chissà come…», le sussurrò, posando piano le labbra appena sotto l’orecchio.
«Dici?». Esme sorrise, di un sorriso che Zayn non vide, che immaginò e basta.
«Non c’è bisogno che attiri la mia attenzione, tanto guardo solo te, micetta», mormorò ancora, prendendole una mano e sentendola sorridere forte ancora senza bisogno di vederla. L’aria si alleggeriva quando lei sorrideva, era più facile respirare. E se la rigirò tra le braccia ridendo appena, con l’intenzione di baciarla ancora, prima di essere interrotto da un fastidioso bussare alla porta, seguito dalla voce insistente di Sky che blaterava qualcosa sul fatto che sapesse che lui fosse lì e sul fatto che i cellulari li avessero inventati perché lui rispondesse, ogni tanto. «Ci mancava lei…», borbottò il moro, sbuffando contro il viso della ragazza che teneva tra le braccia, facendola ridere prima che si nascondesse nel suo collo, un po’ come avrebbe fatto una bambina dietro le gambe del padre.
«Ti ho sentito, idiota!», urlò la ragazza dai capelli color cielo da dietro la porta, prima che finalmente Esme si divincolasse da Zayn per aprirle – senza pensare nemmeno per un secondo a come fosse vestita, o a come non lo fosse. Lei non ci aveva pensato, e di contro fu la prima cosa alla quale la batterista pensò non appena la vide coi boxer del proprio migliore amico indosso. Si portò una mano alla bocca per impedirsi di scoppiare a ridere, cosa che però fece ugualmente dopo un paio di secondi. «Vi siete rotolati nelle lenzuola tutta la notte?», chiese alla mora senza peli sulla lingua, con una luce maliziosa negli occhi che era troppo per non essere notata.
«Sky…», provò ad interromperla Zayn trattenendo una risata, mentre Esme sgranava gli occhi e apriva un poco la bocca pensando di riuscire a trovare qualcosa da dire. Non disse nulla però, e la batterista continuò a blaterare anche quando rimase da sola con lei, la ragazza del proprio migliore amico – lui aveva fatto in fretta a sparire in bagno col proprio caffè, e quando tornò la trovò che ancora faceva allusioni sessuali, solo per il gusto di far arrossire la ragazza che aveva di fronte. «Smettila, Sky», la ammonì – pur senza smettere di sorridere – baciando poi una spalla nuda di Esme, un po’ perché moriva dalla voglia di sentirla rabbrividire, un po’ perché la reazione dell’amica sarebbe stata sicuramente impagabile.
Zayn la vide perdere le parole per un istante e sentì la propria ragazza rilassarglisi tra le braccia, prima che finalmente la musicista si decidesse a spiegare il motivo per cui li avesse interrotti in quel modo. La vide gesticolare con un pizzico di nervosismo ben visibile, mentre gli spiegava che avrebbero dovuto passare il pomeriggio al locale per sistemare la strumentazione per quella sera, e che era agitata e non vedeva l’ora di suonare e che aveva mal di stomaco e che…
Fu quando la ragazza prese a balbettare dicendo che sarebbe andata uno schifo e che sarebbe sicuramente stato un fiasco assoluto, che il violoncellista lasciò la presa sulla ragazza dai capelli ricci e si mise davanti alla migliore amica, posandole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi, le cui iridi forse erano anche più scure e profonde delle proprie. «Respira», le disse pianissimo, facendo sorridere Esme dietro di sé. Prese un respiro profondo con lei, poi un secondo e un terzo, fino a farla smettere di tremare. «Tu sei la batterista più fenomenale che io conosca, tesoro… hai il ritmo che ti scorre nelle vene col sangue, e andrà bene perché sei semplicemente fantastica quando suoni, okay?», aggiunse scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, regalandole un sorriso che in qualche modo riuscì a far sorridere anche lei.
La ragazza si rifugiò per qualche istante nel suo abbraccio, prima di respirare ancora profondamente e staccarsi da lui con una risatina imbarazzata. Esme la sentì mormorare un “grazie, Zay” a voce bassissima, che la fece sciogliere in un sorriso. Sky evidentemente non era il tipo di persona che si abbassava a chiedere aiuto, ma Zayn d’altro canto era il tipo di ragazzo che aiutava le persone anche senza che gli venisse chiesto – se ne accorgeva e basta quando c’era bisogno di lui, di un suo abbraccio o anche solo di un incoraggiamento. Ed Esme non potè far altro se non innamorarsi completamente di quel lato di lui, in quel momento. Le brillavano gli occhi, forse, perché Sky da sopra la spalla del migliore amico le sorrise come se avesse appena intuito tutto.
«Vieni anche tu stasera?».
Esme annuì appena, sorridendole mentre Zayn le prendeva la mano e la baciava velocemente su una guancia. «Devo chiamare le ragazze e Michael per stasera», aggiunse la mora passandosi una mano tra i ricci. Finse di non notare come l’altra ragazza si fosse passata velocemente la lingua sulle labbra al sentire il nome del giovane dagli occhi blu; finse di non notare quella reazione, e soprattutto cercò di non far capire a Sky che se ne fosse accorta. «E devo trovare qualcosa da mettere stasera», aggiunse sbuffando e mordicchiandosi l’unghia del mignolo con un sopracciglio inarcato come a cercare di valutare la reazione del ragazzo. Lui ridacchiò scuotendo la testa, alludendo tra sé al discorso che le aveva fatto poco prima; però non disse nulla, si limitò ad alzare lo sguardo al cielo e ad immaginare come si sarebbe potuta vestire, come si sarebbe sentito lui a vedere altri uomini guardarla… quanto si sarebbe ingelosito.
«Puoi sempre venire nuda, sono sicura che a Zay non dispiacerebbe». La voce di Sky interruppe il filo dei suoi pensieri, riscuotendolo. Soprattutto quando la sentì borbottare qualcosa che purtroppo sentì fin troppo nitidamente per i propri gusti. «E non dispiacerebbe nemmeno a me», aggiunse infatti, arrotolando pigramente una ciocca di capelli celesti intorno al dito. Lasciandoli andare e poi riprendendoli, in attesa di una reazione da parte dell’amico che non tardò ad arrivare.
Le due ragazze lo osservarono mentre borbottava qualcosa tra i denti prima di allontanarsi scuotendo nervosamente la testa. La mora ridacchiò, prima di seguirlo senza perdere il sorriso e senza dire una parola – perché era una reazione davvero troppo ridicola, dai – mentre l’altra scoppiò direttamente a ridere, riprendendo a giocare coi capelli e lasciando correre i pensieri verso un ragazzo dagli occhi blu, anche se forse lui non l’avrebbe mai notata.
«Zay…».
«Mh…».
«Sei adorabile quando ti ingelosisci, sai?». Gli prese una mano, che lui teneva stretta a pugno – sfiorandone le nocche fino a sentirne i muscoli tesi rilassarsi, fino a riuscire ad intrecciarne le dita con le proprie e vedere l’accenno di un sorriso comparirgli sulle labbra che fino a qualche attimo prima erano tese in un broncio. «Non hai motivo di essere geloso di lei, comunque», aggiunse lasciandogli una serie di baci lungo la mascella, fino a fermarsi a qualche millimetro dalle labbra.
Sentì il suo respiro diventare più veloce, quasi irregolare. La sua mano si strinse in automatico sulla propria, prima che lo sentisse sorridere e potesse intravedere l’angolo delle sue labbra sollevarsi leggermente verso l’alto. «Chi ti dice che io sia geloso?». E Esme scoppiò semplicemente a ridere, allontanandosi, con le mani sollevate come ad arrendersi, a mano a mano che seppur giocosamente si staccava da lui. «Okay, forse lo sono, giusto un po’», borbottò afferrandola per un polso prima che si allontanasse troppo e tirandosela addosso. Di nuovo la sua schiena contro il proprio petto. Di nuovo il naso immerso nei suoi ricci. «Non devo preoccuparmi di Sky, quindi?».
«Decisamente no, non è il mio tipo…», gli disse la ragazza voltandosi nell’abbraccio, ancora tanto vicini da respirare la stessa aria, tanto da sentire l’uno il battito del cuore dell’altra direttamente nelle orecchie. E prima che lui potesse chiederle chi fosse il suo tipo, Esme aveva già la risposta pronta sulla punta della lingua. «Il mio ragazzo ideale suona il violoncello come toccherebbe la propria donna, con la passione che gli scorre viva e bollente appena sotto la pelle… il mio ragazzo ideale bacia con tanta forza da sentire le vibrazioni di quel bacio rischiare di distruggerti…». E ad ogni parola sussurrata gli si stava avvicinando alle labbra, tanto da sussurrare le ultime parole direttamente contro di esse. «Devo andare avanti…?».
«Sei stata piuttosto chiara», mormorò il ragazzo ridacchiando, prima di baciarla proprio come lei l’aveva descritto solo qualche istante prima. Aveva ragione, lui quando baciava lo faceva con forza – quasi volesse far sentire ogni più piccola briciola di quel che provava solo toccando le sue labbra con le proprie. Baciava con trasporto, dimenticando tutto il resto. Baciava come stesse componendo una sinfonia e la teneva tra le braccia come fosse uno strumento di inestimabile valore e la sfiorava davvero come la stesse suonando, quasi senza che se ne rendesse pienamente conto.
Come del resto non si rese conto di averla sollevata da terra per poi lasciarla andare sul davanzale della finestra, guadagnandone l’inizio di un gemito, via dalle labbra di Esme per finire dritto nelle proprie orecchie prima che scemasse fuori dalla finestra aperta.
«Pensi che mi lascerai tornare in camera mia?», mormorò Esme ancora col fiato corto e ancora tanto vicina a lui da non sentire altro. Gli occhi così profondi e immensi di Zayn le impedirono ogni tentativo di prendere un respiro profondo, ogni tentativo di regolarizzare i battiti del cuore, qualsiasi tentativo di sopravvivere a quello sguardo – perché ogni volta era peggio, ogni volta ci si perdeva un po’ di più. Lui le impedì di allontanarsi, attento ad ogni suo minimo movimento, in particolare alla lingua passata sulle labbra mentre con un pizzico di malizia non sembrava essere capace di distogliere lo sguardo.
«Potrei tenerti prigioniera, micetta».
«Potrei lasciartelo fare, gattino».
«Potrei anche vomitare», li interruppe la migliore amica del violoncellista, con un sopracciglio inarcato e un mezzo sorriso trattenuto sulle labbra. Nella loro dolcezza magari potevano diventare stomachevoli, ma il sorriso decisamente felice sulle labbra di Zayn ne valeva la pena. Sky avrebbe sopportato tutta quella dolcezza da diabete, se serviva a vedere quel sorriso sul suo volto, su quell’anima che ne aveva sopportate forse troppe per una vita sola. «Ma mi fa schifo anche solo il pensiero», aggiunse la ragazza facendo ridere la riccia e facendo scuotere la testa al moro. «E tu devi venire al locale con me, gattino…». Fece l’occhiolino ad Esme, che scosse la testa divertita, prima di baciare Zayn su una guancia e scendere dal davanzale con un saltello.
«Non prenderti troppa confidenza», sillabò poi la riccia lasciando un bacio veloce sulla guancia di Sky. La sentì ridere, mentre si infilava i jeans del giorno prima e recuperava le proprie cose. Non voleva andarsene, in realtà. Stare lontana da lui, seppur solo per qualche ora, era diventato insopportabile, sempre peggio per ogni giorno che stava con lui. «Ci vediamo stasera», aggiunse con un sorriso salutandoli solo agitando le dita. Vide il sorriso sulle labbra di Zayn comparire come in uno specchio, e decise che forse poteva farselo bastare, che forse poteva resistere fino a quella sera.
E Zayn, sotto lo sguardo attento di Sky, pensava la stessa cosa.
Iris e Roxanne l’avevano cercata tutta la mattina, invano. La bionda tutto sommato aveva continuato a respirare normalmente, pur con un leggero velo di preoccupazione ad adombrarle le iridi azzurre. Aveva provato a distrarsi scambiando messaggi con Harry e ripensando alle parole che gli aveva detto, ai suoi occhi verdi e al bacio che si erano scambiati su quel vecchio pianoforte. Ma in sostanza c’era stata Roxanne a rendere completamente inutile il suo tentativo di distrarsi. La rossa non aveva fatto altro che non fosse controllare il telefono – ad intervalli decisamente isterici di dieci secondi – parlare con Niall o camminare avanti e indietro per il corridoio, preoccupata e nervosa. Si era legata e sciolta i capelli almeno una decina di volte, aveva giocato con l’orlo della maglietta e si era mangiata tre delle cinque unghie della mano sinistra. Era quasi andata nel panico. Totalmente fuori di testa che Iris aveva dovuto prenderla per le spalle e scuoterla.
E forse le avrebbe urlato contro, se proprio la persona che le aveva quasi fatte uscire di testa non fosse improvvisamente comparsa in fondo al corridoio, intenta a sistemarsi gli occhiali sul naso e a… sorridere. Non riusciva a smettere, e improvvisamente ad Iris venne da sorridere con lei – ignorando Roxanne, che ancora non aveva smesso di dare di matto. «Sei totalmente andata…», si sentì dire la mora, accorgendosi finalmente delle amiche, ferme davanti alla porta della sua stanza.
«Mi è morto il telefono», provò a giustificarsi, ma venne interrotta prima che potesse anche solo prendere un respiro.
«Oh, sono sicura che Zayn avrebbe potuto prestarti il suo», le fece notare la rossa, terribilmente acida. Arrabbiata, forse. Ma più di tutto preoccupata. «Ti perdono solo perché mi serve una cosa dal tuo armadio», borbottò poi, facendo ridere le altre due, prima che Esme la abbracciasse e le chiedesse scusa direttamente nell’orecchio, come fosse un segreto che le stava chiedendo di mantenere per il resto della propria vita. Roxanne sbuffò, perdonandola in un battito di ciglia. E senza che quasi se ne rendessero conto quello era diventato un pomeriggio come tanti, a prepararsi tutte e tre insieme per un venerdì sera qualunque – ma allo stesso tempo diverso da tutti gli altri.
Ore dopo che parevano secondi, Harry bussò alla porta della camera di Esme giocherellando con uno degli anelli che portava. Forse era solo nervosismo, ma somigliava terribilmente alla paura di perdere tutto – di perdere Iris – di nuovo. Aveva paura di rovinare tutto, di fare qualcosa di terribilmente sbagliato per cui lei non avrebbe più potuto perdonarlo. La sentì ridere, prima che aprisse la porta e lo facesse rimanere senza fiato, prima che ogni preoccupazione svanisse sostituita da lei.
Da Iris. Dal suo sorriso. Dalle sue labbra schiuse. Dai suoi occhi, che alla vista del ragazzo presero a brillare come la più luminosa delle stelle nel cielo. Dai suoi capelli mossi. Dal collo scoperto. Da quel vestito di pizzo bianco e da tutta quella carenza di stoffa che le lasciava le labbra quasi completamente nude. Dalle sue cosce e da quelle caviglie sottili che erano esattamente come ricordava.
«Wow…», fu tutto quello che riuscì ad esalare, mordendosi forse il labbro già rosso e passandosi una mano tra i capelli, al vederla fare una giravolta su se stessa. Come se non bastasse, aveva anche la schiena nuda. E lui riuscì a trattenersi dall’imprecare solo prendendola per i fianchi e baciandola di slancio, facendola ridere, prima che rispondesse al bacio legando le braccia dietro al suo collo. «Wow, davvero», mormorò ancora. Ma quella volta alludeva solo ai suoi occhi, che erano come ci fosse appena annegato o come avesse appena spiccato il volo.
Il pianista si accorse a malapena delle amiche della ragazza che teneva tra le braccia. Rispose in automatico quando gli chiesero dove fossero gli altri, ma non staccò lo sguardo da lei nemmeno per un momento, ridacchiando quando dopo averla vista arrossire lei nascose il viso nella sua spalla, respirandone l’odore e cercando di far fluire il sangue dalle guance. Era incredibile come lui riuscisse a mandarla in fiamme solo guardandola – ancora più incredibile che Iris non si fosse ancora abituata a sentirsi così.
A pensarci bene, forse non si sarebbe abituata mai.
Ed Harry un po’ ci sperava, se significava farla arrossire così.
Niall ebbe più o meno la stessa reazione dell’amico, al vedere Roxanne. Il respiro che però gli si fermò in gola gli fece andare di traverso la saliva, costringendolo a tossire e costringendo Zayn a dargli una serie di pacche sulla schiena affinché tornasse a respirare normalmente. La rossa si sistemò la giacchina di pelle sul braccio, mordendosi l’interno della guancia per non sorridere, ma in fondo anche terrorizzata di avere qualcosa che non andasse, a meno fino a quando non vide il biondo mimare un “sei bellissima, cazzo” che fece ridere Esme al suo fianco. Ma la cosa migliore da vedere fu l’espressione del chitarrista quando si accorse della schiena quasi completamente nuda della ragazza.
«No, non se ne parla proprio. Non andiamo da nessuna parte finché non ti cambi», aggiunse il ragazzo non riuscendo a trattenere la gelosia e stringendo forte la mano della ragazza cercando di trascinarla di nuovo nel dormitorio per farla cambiare. Non sapeva nemmeno lui se stesse scherzando o facendo sul serio, ma di certo nessuno si aspettava la reazione di Roxanne – forse nemmeno la stessa Roxanne.
Lei non era il tipo di persona che si ribellava al volere degli altri. Era la classica ragazza che in un occasione del genere si sarebbe cambiata, e probabilmente senza nemmeno battere ciglio. Ma, se era vero che con Niall diventava piccola, era anche vero che con lui diventava la persona più forte che aveva sempre sognato di essere e che aveva sempre fatto fatica a credere di poter diventare. Quasi non ci credette nemmeno lei, quando lo strattonò in modo che si fermasse e lo fece voltare verso di sé con un sopracciglio inarcato e le labbra schiuse. Non ci credette, quando se lo tirò addosso per baciarlo sulla bocca e tutti scoppiarono a ridere al vedere tanta intraprendenza – Niall compreso, contro le sue labbra. «Mi cambio se tu ti cambi quei jeans», mormorò la rossa dopo avergli succhiato il labbro inferiore e avergli strappato l’inizio di un gemito.
«Ma…».
«Vedi? Nemmeno tu hai intenzione di cambiarti».
E il biondo scoppiò semplicemente a ridere, prima di stamparle un altro bacio e allontanarsi da lei scuotendo la testa con l’accenno di un sorriso – che un po’ era malizioso e un po’ semplicemente divertito dalla situazione quasi irreale. Stava lasciando un bacio sulla punta del naso di Roxanne, quando sentirono Esme urlare e Zayn scoppiare a ridere qualche secondo dopo, con una mano nei capelli e l’altra ferma su un fianco della mora, a stringerla mentre lei si tratteneva a stento dal saltellare – per quanto le permessero i tacchi.
A pochi metri da loro infatti c’era una grossa moto completamente nera, quasi invisibile al buio, non fosse stato per il lampione sotto al quale era parcheggiata. Il violoncellista le posò un bacio sulla tempia, sorridendo al vederla tanto eccitata per così poco, sorridendo perché lei dal canto proprio non riusciva a fare altro se non sorridere e sorridere e ancora sorridere. «E’ una favola», mormorò la ragazza mentre lui la aiutava a salire a cavalcioni sulla moto, tanto vicina a sé da sentirne le ossa contro la pelle e il respiro direttamente nell’orecchio.
Quando poi mise in moto e si sentì stringere più forte, a Esme girava solo una domanda per la testa. Una domanda che col ruggito della moto sotto di sé non riuscì a pronunciare. Una domanda che le morì in gola quando Zayn accelerò e sfrecciarono per le strade di Londra come se il traffico non li sfiorasse nemmeno per scherzo. Una domanda che le scomparve dai pensieri quando il ragazzo si voltò ad un semaforo per baciarla sotto le luci dei lampioni e gli sguardi di chi guidava loro accanto. La fece ridere di gusto, e fu come se una tonnellata di peso le venisse tolta dalle spalle… perché forse aveva già la risposta a quella domanda, forse lo sapeva già, forse non c’era davvero così tanto bisogno di sentirselo dire.
Però, quando arrivarono al locale le tornò in mente con tutta la prepotenza di cui una domanda del genere era capace. Le tornò in mente quando vide Niall sfiorare il collo nudo di Roxanne con due dita e sentì lei ridacchiare. Le tornò in mente quando dopo una manciata di secondi Iris li raggiunse sistemandosi le maniche di pizzo del vestito – instabile sui tacchi, sorridente, e con Harry che poco dietro di lei cercava disperatamente di coprire un succhiotto con il colletto della camicia. Le tornò in mente quando si rese conto che le sue migliori amiche e i ragazzi che le accompagnavano erano qualcosa.
Ma lei e Zayn? Loro che cos’erano?
«Tutto bene?», le chiese il moro intrecciando automaticamente le dita con le sue. Si vedeva lontano chilometri quanto fosse soprappensiero, dalla piccola ruga tra le sopracciglia o dal labbro inferiore incastrato tra i denti o ancora dal modo in cui – per quanto cercasse di nasconderlo – le tremavano le mani. Qualche istante e si ritrovò il suo sguardo insicuro addosso, come se volesse chiedergli qualcosa ma non avesse il coraggio di farlo. «Piccola, che c’è?», aggiunse prendendole il viso tra le mani e lasciando che gli altri entrassero nel locale – non senza lanciare loro qualche occhiata leggermente preoccupata.
Esme li ignorò. E, come succedeva spesso, iniziò a parlare a vanvera.
«Io… stavo solo pensando, okay? Insomma, ci sono Iris e Harry che sono tornati insieme e probabilmente venendo qui si sono fermati da qualche parte… il tuo migliore amico aveva l’aria di uno che volesse scoprire se sotto quel vestito la sua ragazza portasse le mutandine o meno, mi segui? E ci sono Roxanne e Niall, che non si tolgono lo sguardo di dosso da settimane e sembrano il principe e la principessa delle fiabe e sono tanto carini che mi viene da sorridere come una disagiata ogni volta che li vedo insieme e non è normale, giusto? E poi ci sono io che vado nel panico perché non ho idea di cosa siamo noi e ho una fottuta paura di chiedertelo e…».
Zayn riuscì a fermare quel blaterare apparentemente senza senso solo ridacchiando appena e chinandosi su di lei per posarle un bacio sulla fronte – che finalmente le fece riprendere fiato, dato che aveva detto tutto nel tempo di un solo respiro. «Noi siamo musica», le disse semplicemente, soffiandoglielo sulla punta del naso, riuscendo a farla sorridere e far ritirare le lacrime che rischiavano di scivolarle via dagli occhi e farle illuminare quelle iridi tanto belle di quella che sembrava decisamente felicità pura. «Siamo melodia e voce della stessa canzone, e l’una senza l’altra non sono nulla, no?».
Era come se le stesse dicendo che lui senza di lei non era niente. Ed Esme si ritrovò a trattenere un sorriso sulle labbra, prima di sfiorare quelle di Zayn con le proprie e mormorare un “grazie” che lui liquidò alzando gli occhi al cielo. La fece ridere, prima di inarcare un sopracciglio al constatare quanto effettivamente fosse vestita rispetto alle sue amiche. Fece per abbassarle la cerniera della giacca di pelle, ma lei gli allontanò le mani ridacchiando.
«Esme…».
«Tu non dovresti andare a suonare?».
«E tu non dovresti darmi quell’incoraggiamento di cui parlavamo oggi?».
La ragazza scoppiò nuovamente a ridere, prima di scuotere la testa e baciarlo ripetutamente sulle labbra. Gli ripulì le labbra dal proprio rossetto, poi, passandoci il pollice sopra senza smettere di guardarlo negli occhi. Come se gli stesse dicendo che anche lei senza di lui si sentiva come la voce senza la melodia, come se non fosse nulla o al massimo il fantasma pallido e lontano di quel che era insieme a lui. «Vai a spaccare il palco, gattino», gli disse poi in un orecchio, quando finalmente stavano entrando nel locale… appena prima che un ragazzo decisamente familiare dai capelli e gli occhi castani fermasse la cantante prendendola delicatamente per un polso.
Non poté credere ai propri occhi, quando riconobbe Liam davanti a sé, con una mano tra i capelli corti e un sorriso un po’ impacciato sulle labbra. Il suo migliore amico di sempre. Davanti a lei dopo anni di silenzio assoluto, anni in cui non si erano visti né sentiti e ora compariva praticamente dal nulla. Non fece nemmeno caso allo sguardo leggermente colpevole di Zayn, che si era completamente scordato di avvertirla. Non fece caso a nulla. Riuscì solo a mormorare il nome di quel ragazzo che tanto le era mancato e a tuffarglisi tra le braccia, stringendolo come avrebbe voluto fare ogni giorno da quando Louis l’aveva lasciata.
Lo sentì sorridere con più convinzione, mentre il violoncellista le diceva che lui intanto sarebbe entrato – senza fare domande su Liam, cosa che però non la insospettì per nulla, troppo concentrata a tenere tra le braccia qualcuno che credeva avesse perso per sempre. «Ehi… non ti azzardare a piangere, okay?», le disse il castano allontanandosi per accarezzarle una guancia con la punta delle dita, cosa che la fece tirare su col naso al ricordo di tutte le volte che l’aveva fatto solo per tirarla su. «Ti ho cercata stamattina in accademia e il tuo ragazzo mi ha detto che ti avrei trovata qui e…».
«Hai conosciuto Zayn?», riuscì a mormorare lei, disorientata.
«Niente conclusioni affrettate, Es, magari si è solo dimenticato di dirtelo… sembra così tanto preso da te che non mi sorprenderebbe se vedendoti si fosse dimenticato come si respira». Sollevò e abbassò le sopracciglia, dicendole le ultime parole, al che lei non riuscì a far altro se non arrossire di un rossore tanto diffuso da essere visibile anche alla debole luce dell’insegna del locale. Il ragazzo ridacchiò, prima di baciarle una tempia e «Mi sei mancata così tanto», mormorò mentre entravano finalmente nel locale in cui avrebbero sentito il violoncellista e la sua migliore amica suonare.
Invasi dalla musica alta, purtroppo Liam non la sentì quando mormorò di rimando un “anche tu, da morire” che l’avrebbe sicuramente fatto sorridere come nient’altro al mondo.
Sky era la ragazza più strana su cui Michael avesse mai posato lo sguardo. Decisamente.
L’aveva osservata da quando Iris dopo averlo salutato era andata a prendere da bere con Harry. Lui era rimasto lì, con la schiena contro la parete di fondo del locale. E lei era salita sul palco ridacchiando con Zayn, poteva immaginarne il suono nelle orecchie anche senza sentirlo. E da quel momento, da quando l’aveva vista illuminata dai faretti appesi al soffitto, non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso.
Era una ragazza strana. Forse non era il suo tipo. Ma la cosa più strana era una: se non era il suo tipo, come si ripeteva da quando l’aveva incrociata per i corridoi dell’accademia settimane prima, perché continuava a guardarla reprimendo a stento il desiderio di mordersi il labbro? Perché ogni volta che pensava a quella chioma di capelli celesti gli scappava un sorriso? Perché allora era lì quella sera, a immaginare di cantarle qualcosa contro la porzione di pelle dietro l’orecchio? Perché immaginava di continuo di sfiorarle le gambe nude solo per vedere la pelle d’oca formarlesi addosso? Perché…
L’ennesimo perché gli scivolò via dai pensieri, quando si accorse che lei lo stava guardando. I suoi strani capelli azzurri erano sciolti e scostati tutti su una spalla, lasciando che la luce le illuminasse il collo scoperto e i brillantini che dalla coda dell’occhio le arrivavano come in una scia di stelle fino alla tempia. I suoi strani occhi castani sembravano anche più scuri e profondi quella sera, e lo fissavano quasi brillando, anche i suoi come se non riuscissero a distogliere lo sguardo da lui. Era… assurdo. Michael stava per pensare ancora alla parola “strano”, che tanto sembrava adattarsi alla ragazza dai capelli celesti. Infatti, indossava una strana canottiera che lasciava davvero poco all’immaginazione, col logo di una band che purtroppo da quella distanza non riusciva a riconoscere; e persino le sue bacchette per la batteria erano strane – come se ci fosse qualcosa disegnato sopra, ma era impossibile poter dire cosa con esattezza.
Michael era troppo lontano. E non si sarebbe avvicinato. Avrebbe continuato a guardarla da lontano, avrebbe giocato con lei quel gioco di sguardi maliziosi e mezzi sorrisi. Non sarebbe scoppiato a ridere, avrebbe sostenuto il suo sguardo tutta la sera, avrebbe cercato di leggerla da lontano, senza una parola… solo con uno dei suoi sguardi del colore del mare in tempesta.
Non sapeva che avrebbe dovuto guardare così tanto, però.
C’erano le sue mani. E le bacchette. E il movimento che facevano le sue braccia per suonare la batteria. E i piatti che vibravano. E lei che muoveva il capo a ritmo, coi capelli che le svolazzavano ovunque tutt’intorno. C’erano le sue scarpe blu notte col tacco che tenevano il tempo. E il suo vizio di mordersi il labbro di tanto in tanto mentre suonava. E il sudore che le luccicava sulla pelle sotto le luci. E le sue labbra tinte di rosso che mimavano le parole della canzone che lei e il suo migliore amico stavano suonando. E il ritmo che anche da lontano si poteva vedere scorrerle sotto pelle, nelle vene, col sangue.
E lei continuava a guardarlo. Di tanto in tanto spostava lo sguardo fino ad arrivare a lui, come ne fosse calamitata, come non riuscisse a farne a meno. Si morse il labbro, guardandolo. Continuò a suonare, guardandolo. Sentì una goccia di sudore scivolarle placidamente lungo la schiena, guardandolo. E, sempre guardandolo in quegli incredibili occhi color mare, si sfilò la canottiera velocemente e la gettò a terra accanto allo sgabello su cui era seduta, per poi riprendere a suonare come se niente fosse appena accaduto. Fingendo di non aver sentito le risate del pubblico e un applauso scrosciante subito dopo.
In realtà, le sembrò di aver sentito Michael trattenere il fiato.
Distintamente, come se ce l’avesse avuto di fianco.
Esme al contrario quasi non aveva notato lo spettacolo messo su qualche istante prima da Sky. Si era sbottonata a poco a poco la giacca di pelle fino a toglierla, rivelando al di sotto un top senza spalline, a fascia e con scollatura a cuore. Nero e ricoperto di strass dello stesso colore, che brillavano sotto le luci – anche se soffuse – del locale. E una cerniera dorata le passava tra i due seni. Era una di quelle cose che non metteva mai… in un certo senso, credeva che non fosse adatto a nessuna occasione.
Ma mentre si sfilava la giacca e la posava su uno sgabello di fianco a sé, con lo sguardo posato sul violoncellista dai capelli scuri, lo vide deglutire – nitidamente – e quasi perdere una nota. Si morse un labbro trattenendo un sorriso, mentre lui scuoteva leggermente la testa e sembrava sul punto di alzare lo sguardo al cielo. Aveva in mente solo lei. Lei e tutti gli uomini poco distanti che la guardavano come volessero mangiarsela. Ma non era il momento di essere gelosi… così Zayn prese un respiro più fondo e continuò a suonare, senza però distogliere lo sguardo dagli occhi verdissimi di Esme e dalle sue spalle nude e – soprattutto – dal ciondolo che le finiva esattamente tra i seni.
Mosse l’archetto sulle corde come se stesse posando i polpastrelli poco al di sotto del mento della propria ragazza. Come se le dita scendessero lungo la gola, tra le clavicole e stessero percorrendo lo sterno. Come se si fosse staccato per un istante dalla sua pelle e subito l’avesse sfiorata di nuovo, continuando a scendere fino ad arrivare nel punto in cui il suo ciondolo toccava la pelle. Esattamente tra i seni. Precisamente sul cuore.
Lo immaginò senza distogliere lo sguardo, sicuro che solo guardandola anche lei sarebbe riuscita ad immaginare la stessa cosa. Sulla pelle. Come se stesse succedendo davvero e non fossero distanti e tra tutta quella gente; come se fossero solo loro, a suonare una canzone che non conosceva nessun altro, fatta di respiri spezzati in gola e gocce di sudore a scorrere lungo la pelle bollente di chi si ama.
Esme trattenne il fiato di fronte a quello sguardo. Le sembrò quasi di poter sentire il suo tocco addosso. O le sue labbra. Sfiorarla come se la suonasse. Suonarla fino a sfinirla. E la ragazza dovette lottare contro se stessa per rimanere seduta su quello sgabello, con le dita a sfiorarsi inconsciamente la gola e lo sguardo ancora perso negli occhi lussuriosi del musicista.
Al suo fianco, Roxanne stava “discutendo” con Niall. Diceva di voler bere, e il biondo le diceva di no ridacchiando, e lei tornava a dire di sì con gli occhi che brillavano e lui… la ragazza dai capelli ricci interruppe il contatto visivo con Zayn solo per strappare un bicchiere colmo di liquido apparentemente celeste dalle mani della migliore amica dai capelli rossi, dando ragione al suo ragazzo e portandoselo alle labbra prendendone poi un sorso. Scosse la testa con una mezza smorfia che fece ridere l’irlandese di gusto, prima che potesse ordinare “qualcosa di meno forte, per lei” e Roxanne potesse indossare il suo broncio più carino.
Quando la mora tornò a guardare il violoncellista era cambiata la musica. Sky si era legata i capelli in una treccia improvvisata, e una ciocca di capelli neri umida di sudore ricadeva sulla fronte di Zayn – che ancora la guardava, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, l’archetto ancora tra le dita e il piede che teneva il ritmo della batteria che stava accompagnando. E continuarono in quel modo finché i due ragazzi non smisero di suonare.
La migliore amica del moro si prese uno scroscio di meritati applausi, prima che Esme la vedesse rivolgere un sorriso verso il fondo del locale, mordendosi il labbro subito dopo. Ma la risata che le si formò al vedere il proprio migliore amico dagli occhi blu ricambiare quel sorriso, viene spenta dalle labbra di Zayn posatelesi alla base del collo. Aveva le mani sui suoi fianchi, coi mignoli infilati nei passanti dei jeans e i pollici a sfiorarle la pelle nuda. «Piaciuto lo spettacolo?», le chiese in un soffio nell’orecchio, perfettamente udibile nonostante la musica che riempiva l’aria.
«Da morire… e a te?».
Il ragazzo scoppiò a ridere sulla sua pelle, lasciandole un bacio all’attaccatura dei capelli e mormorando un “da morire” che per un istante le rese le ginocchia deboli. E no, non era colpa dell’alcool. Era stato il modo in cui l’aveva detto, con la voce roca che trasudava lussuria e le mani che continuavano a toccare ogni millimetro di pelle nuda. Avrebbe voluto prenderlo per mano e andare via da lì, davvero.
Ma non aveva ancora fatto i conti sul perché davvero Liam fosse ricomparso dal nulla dopo tutto quel tempo. Fu come se ogni dolore tornasse a galla ad ogni volta che parlando il castano pronunciava il nome del fratellastro… Louis questo, Louis quello. Presero a tremarle le mani mentre Liam le spiegava – parlando decisamente troppo in fretta perché potesse capire tutto – che fosse andato a cercarla per avvertirla che anche Louis era in città e sicuramente l’avrebbe cercata e… «Basta», si sforzò di dire la ragazza a voce abbastanza alta da poter essere udita, sentendo le lacrime salirle agli occhi e voltandosi per cercare lo sguardo di Zayn. Quella doveva la loro serata, si sarebbero dovuti divertire tutti insieme; Liam aveva decisamente scelto il momento sbagliato per… che stava facendo, esattamente? «Non voglio sentire un’altra parola, davvero. Non mi interessa se Louis sia tornato in città, né perché. Non me ne frega proprio un cazzo di lui, mi ha già rovinato abbastanza la vita e…».
«Piccola, ehi…». La voce di Zayn le arrivò alle orecchie come un balsamo. Allora si accorse di star piangendo, delle lacrime che le scorrevano sulle guance senza aver chiesto né aver ottenuto il suo permesso. «Vuoi prendere un po’ d’aria?», le chiese asciugandole le guance delicatamente, con entrambi i pollici, sfiorandola come fosse stata la cosa più fragile dell’intero universo. La osservò guardarsi intorno spaesata, ma Liam si era già allontanato da loro scuotendo la testa affranto. «Se vuoi ce ne andiamo, okay?».
«Voglio bere, Zay… lo so che rovinerò l’appuntamento rendendomi ridicola e ballando su qualche tavolo mezza nuda, ma…». Lo stava facendo ancora. Stava di nuovo parlando a vanvera, con la voce rotta da quello che sembrava nervosismo ma che in realtà conoscendola, lui riconobbe come dolore. Di quel dolore sordo che distrugge i cuori in pezzi tanto piccoli da non riuscire più a rimetterli insieme, nemmeno con tutta la buona volontà del pianeta. Ed Esme non si aspettava che lui annuisse lasciandole un bacio sulla fronte, né tantomeno che le ordinasse una birra. La fece ridere, in qualche modo.
E una birra dopo l’altra il resto sembrò scomparire dalla lista delle sue preoccupazioni. Forse era solo l’alcool, o forse era solo Zayn che rideva con lei e beveva con lei e la ascoltava blaterare cose poco comprensibili senza battere ciglio. Ma Esme dimenticò tutto. Nella sua mente era tornato ad esserci solo Zayn –  lui, e la sua adorabile espressione da ubriaco. Aveva ripreso a gravitare tutto intorno a lui come un pianeta avrebbe fatto col sole. E lei non era più riuscita a staccarsi da lui, quella notte.
Alla terza birra aveva iniziato a ridere.
Alla quinta le era sembrato di vedere Iris ed Harry scappare – letteralmente – dal locale. Mano nella mano. Lui ridendo, lei con un sorriso che Esme non le aveva mai visto sul viso. Non così pieno e luminoso e felice come in quel momento, almeno. Si erano dileguati, comunque. Beh, non riusciva nemmeno a biasimarli; l’avrebbe fatto anche lei, se avesse dovuto recuperare il tempo perduto.
Non riuscì ad evitare di chiedersi se lei avrebbe dato una seconda occasione a Louis.
La risposta però non fece nemmeno in tempo a pensarla che una delle sue canzoni preferite si era fatta prepotentemente strada dalle casse disseminate un po’ ovunque alle sue orecchie. Zayn stava per portarla via, ma vedendola scendere dallo sgabello ridendo e farsi strada tra le persone per ballare – anche se barcollava e quasi faticava a restare salda sulle proprie gambe – decise di lasciarla fare, decise di farla ballare, di farla divertire perché in fondo erano lì per quello.
Esme però ballava una musica tutta propria. Arrivata al centro del locale, posizionata esattamente sotto ad un faretto che emetteva ad intermittenza diverse luci colorate, chiuse semplicemente gli occhi e si lasciò trasportare dalla vibrazione della musica sulla pelle, più che dal suono effettivo che poteva sentire nelle orecchie. Chiuse gli occhi, alzò le braccia al cielo, entrò nel proprio mondo.
E Zayn non riusciva a non guardarla. Tra tutta quella gente, il suo sguardo era calamitato da quelle braccia al cielo, dal quel modo di muovere i fianchi ad un ritmo tutto proprio, da quelle luci che le rendevano la pelle un attimo blu e l’attimo dopo rosa e quello subito dopo verde. Tra tutta quella gente, riusciva a vedere solo le gambe di Esme fasciate dai jeans stretti strappati sulle ginocchia. Tra tutta quella gente, solo lei… era come se lo portasse su un altro pianeta solo muovendosi appena, solo passandosi lentamente la lingua sulle labbra, senza nemmeno guardarlo. E nessuna – nemmeno Miriam – l’aveva mai fatto sentire in quel modo.
La ragazza sentiva la musica arrivarle addosso ad onde. I suoni le si fermavano sulla pelle, le vibravano addosso come se fosse un diapason. Non sentiva altro che non fosse musica e lo sguardo di Zayn penetrarle la carne quasi fino a farla sanguinare. Quando le mani del ragazzo le si posarono sui fianchi, poi, non sentì altro se non la loro pelle a contatto, altro che non fossero scintille sulla pelle o fiamme che sembravano nascere direttamente da essa, scottandola di un calore che pero nulla era se non piacere puro.
«Andiamo via…».
«Mi porti su una stella?».
«Ti porto dove vuoi».
Erano le due passate quando Zayn si mise in spalla il violoncello – chiuso nella sua custodia – e aiutò Esme a infilare la giacca di pelle. Lei ridacchiava come se ci fosse davvero qualcosa di divertente per cui ridere, stropicciandosi gli occhi mezzi chiusi per la stanchezza e per l’alcool e blaterando di quanto fossero belle le stelle e di quanto fosse bella la luna e di quanto fosse bello Zayn con un ciuffo di capelli sfuggito al codino e ricaduto sulla fronte. Erano le due passate quando la ragazza lo fece scoppiare a ridere fermandosi al centro del marciapiede e indicando qualcosa che probabilmente vedeva solo lei.
Erano le due passate quando Zayn la baciò spingendola contro la parete del corridoio del dormitorio dell’accademia. Le sfuggì un gemito, mentre la sollevava per le cosce e le sfilava la giacca di jeans tenendola sollevata da terra contro il muro. Le sfuggì un gemito, al sentire la barba del ragazzo solleticarle il collo, e le sue labbra lasciarle un bacio umido sulla clavicola. Ed erano le due passate, quando Esme lo guardò negli occhi e le sembrò di affogare.
«Resta…», mormorò, in quel silenzio rotto solo dai loro respiri e dai battiti dei loro cuori, impazziti contro le casse toraciche, come se volessero distruggerle e annullare le distanze, come se volessero toccarsi come stavano facendo i loro corpi, le loro mani, le loro labbra che ancora sapevano di birra.
«Micetta…». Il resto della frase gli morì in gola quando Esme gli sfiorò la nuca con le unghie e gli morse appena un labbro, sorridendo. Il suono roco che gli strappò e che le arrivò alle orecchie, le fece automaticamente inarcare la schiena e scivolar via un sospiro – dalle proprie labbra direttamente nelle sue. «Siamo ubriachi, e… n-non so se riesco a controllarmi, piccola».
«Suonami», mormorò, in un soffio. Come avesse avuto paura di dirlo a voce più alta. Suonami. Toccami come fossi uno strumento musicale. Tienimi tra le braccia come se fossi il tuo violoncello. Sfiorami con l’archetto come se fossi una corda tesa. Strappami gemiti di dosso come fossero melodie di angeli. «Suonami, Zayn», mormorò ancora, però a voce leggermente più alta, più udibile.
E se avesse voluto dire qualcos’altro, non la sentì nessuno.
Il violoncellista bloccò qualsiasi altra parola solo posando le labbra contro le sue.
   
 
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