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Autore: Verde Pistacchio    16/06/2015    0 recensioni
Proprio in quel momento i miei occhi videro sventolare le bandiere di una nave, una nave che portava con sé un uomo. Un uomo che aveva dato tutto per la propria terra. Tutto, anche la vita. Quell’uomo era partito già da sei mesi proprio da questo porto e adesso stava per toccare terra. Sapevo che se fosse tornato in anticipo non lo avrebbe fatto sulle sue gambe. Sapevo anche che cercare di sedare quella rivolta sarebbe stato inutile. Guardavo la nave attraccare e un peso schiacciò il mio cuore opprimendomi il petto. Avrei voluto accoglierlo in maniera differente ma vi erano altre necessità per il momento.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una promessa da mantenere


Sentivo l’aria fredda e salmastra del mare accarezzarmi il volto, sollevai un lembo della tunica fino al collo per coprirlo, scostando le ciocche di capelli che danzavano con il vento. L’aria fresca del primo mattino pungendo portava via il torpore prodotto dalle lenzuola di un caldo letto. I gabbiani strillavano e volavano in cerchio, scendendo in picchiata a sfiorare le acque del mare, ogni volta che li ascoltavo tornavo indietro nel tempo a quando ero solo una bambina, anni in cui ancora non ero entrata al castello, prima di conoscerlo e prima che la guerra fosse iniziata.
Ottobre era alle porte e già sentivo la mancanza dei mesi estivi, il caldo che opprimeva la pelle e tormentava la mente, appiccicava i vestiti al corpo, il sudore che girovagava tra le membra del corpo. Il freddo mi avrebbe tenuto compagnia, peccato non potesse sostituire il compagno perduto. Le voci alle mie spalle mi convinsero ad abbandonare questi miei pensieri, ma non avevo bisogno di girarmi per capire chi fossero. A quell’ora al porto scorreva energia pura, in contrasto con la situazione politica attuale, ormai le navi mercantili, provenienti dai territori del nord, avevano completato il loro tragitto e i mercanti rimanevano nei dintorni contrattando con alcuni clienti il prezzo della merce da vendere al mercato, gente che si preparava a salpare, altri invece occupavano il loro tempo a sistemare la nave e quant’ altro, molti di loro urlavano per far notare la loro presenza fra le tante persone che svolgevano le proprie attività. Erano questi i momenti in cui sentivo e vedevo la differenza tra i luoghi del castello e quelli dell’intera regione. Lì c’era sporcizia, c’erano persone che ti toccavano, altre che ti guardavano con curiosità, urla e schiamazzi per i quali eri costretto a tapparti le orecchie. Lì c’era vita. Da noi invece, solo silenzio e disciplina ed anche qualche risata strozzata, nata da un comune pettegolezzo. La colpevole di tutto ciò ero io, avevo scelto consapevolmente quella vita.
Proprio in quel momento i miei occhi videro sventolare le bandiere di una nave, una nave che portava con sé un uomo. Un uomo che aveva dato tutto per la propria terra. Tutto, anche la vita. Quell’uomo era partito già da sei mesi proprio da questo porto e adesso stava per toccare terra. Sapevo che se fosse tornato in anticipo non lo avrebbe fatto sulle sue gambe. Sapevo anche che cercare di sedare quella rivolta sarebbe stato inutile. Guardavo la nave attraccare e un peso schiacciò il mio cuore opprimendomi il petto. Avrei voluto accoglierlo in maniera differente ma vi erano altre necessità per il momento.
 
***
 
Sentivo le voci soffocate, nella sala accanto, alzare sempre più i toni. Forse era disperazione o sgomento oppure entrambe le cose. In fondo era ciò che stavo provando anche io, in quel momento, insieme al miscuglio di altre mille emozioni. Il rumore dei passi accompagnava i miei pensieri. Ero stanca e spaventata, sapevo che questa guerra non avrebbe portato a nulla, solo distruzione, ed era sbagliata. Eppure gli uomini continuavano, incessantemente, a far scontrare le loro armi, ad uccidere altri uomini, distruggere case, incendiare foreste. Portai una mano a schermarmi gli occhi, persino il tempo si faceva beffe di me. Dalla finestra entrava il sole che creava giochi di luce, attraverso i vetri colorati, proiettandoli sull’arazzo appeso alla parete e facendo risplendere i fili d’oro che lo impreziosivano. Quella magia che mi aveva sempre affascinata da bambina, era come se tante piccole fate brillavano con la loro evanescenza, adesso mi umiliava, mi prendeva in giro, me e tutto il resto dell’umanità.
Una mano si poggiò sulla mia spalla, riportandomi alla realtà. Quando mi voltai vidi il volto di mia sorella umido e arrossato. Strinse la mano e mi sorrise debolmente, gli angoli della bocca formarono delle piccole pieghe sul viso.
<< La tua veste è pronta per la cerimonia. Arath è riuscita a ripararla >>
<< Così adesso devo riprendere ad indossare le mie vecchie vesti? >> era tutto così assurdo. Tutto così difficile. 
<< Non posso farlo Sara. Non sopporterei i loro sguardi durante la cerimonia >> in quel momento ero divisa in due, tra un ruolo, un credo, che non era più il mio per aver rotto la mia promessa. Avevo concesso ciò che mi era di più caro ad un uomo, ma non un semplice mortale. Se ne avessi avuto la possibilità lo avrei rifatto altre mille volte, senza nessun rimpianto o scrupolo. Da quel giorno la mia veste si era macchiata di sangue, il mio sangue. Da quel giorno infransi il mio voto, ripudiai il mio ruolo di sacerdotessa per accettare quello di donna. Una donna che aveva solo una colpa, quella di aver amato un uomo e adesso, forse, ne stava pagando le conseguenze.
Sara si avvicinò a me, tenendomi stretta fra le sue braccia << Tu puoi farlo. Devi farlo >> in quelle parole ne immaginai molte altre. Allora mi chiesi dove fosse la nostra, o meglio, la loro divinità quando c’era bisogno. Sollevai lo sguardo fino ad incontrare la statua di quella donna divina e onnipotente, avrei dato qualsiasi cosa per sapere con quale sguardo mi stava osservando.
<< Oh mia Dea, ti prego aiutami tu. Solo per un'unica volta. >> sussurrai sfiorando con le labbra la tunica di Sara, stringendo gli occhi e le mani.

 
***
 
 
Tutte le persone, presenti in quella sala, lo avevano già salutato o contemplato e, paradossalmente, io ero l’ultima di quelle. Adesso c’era meno confusione nella stanza. Mi abbassai e lo osservai: era stato ripulito dalle ferite e dalla sporcizia, avevano già tolto parte del vestiario e dell’armatura. Mi abbassai fino all’altezza del suo viso, il corpo disteso portava con sé i segni della battaglia eppure quelle membra erano rilassate, caratterizzate da quella compostezza che da sempre era parte della sua figura. Gli accarezzai la testa, affondando le dita fra i ciuffi ondulati che gli ricadevano al lato della testa, scesi giù fino a raggiungere la barba, seguendo il medesimo percorso fatto quella notte. L’unica differenza era che adesso non c’era passione, non c’era sentimento condiviso. Quella notte diedi qualcosa a quest’uomo e lui in cambio mi diede molto di più, un dare e avere, un accarezzarsi e un fondersi insieme nonostante i corpi rimanevano distinti, a differenza della mente. Sentivo i suoi occhi scrutare i miei, ho avuto paura che in essi egli potesse leggere i miei più intimi segreti, quelli personali, imbarazzanti e magari scappare via da me. Avevo paura che potesse vedere l’intera me stessa, la vera me stessa, in quegli occhi. Non fu così perché vidi qualcosa di molto diverso, qualcosa che spero di non dimenticare mai. Ora mi lacrimavano gli occhi, non aveva senso trattenerle, li sentivo gonfi e lucidi, gli accarezzai il volto, la pelle era ancora morbida. Mi sentivo stanca e senza forze. Se n’era andato uno dei pochi che ancora credeva in questa terra, in questo popolo. Un uomo che si era vestito di ideali veri, un uomo che oltre ad essere uno dei migliori combattenti era stato un compagno. Un compagno leale, mi tenne compagnia fin dai primi scontri e litigi sino a quella che si era trasformata in profonda amicizia. Non sarebbe più tornato.
Cosa faremo senza di lui? Cosa farò io invece?
Domande a cui non volevo dare una risposta, non ora almeno. Eppure nonostante la realtà fosse davanti ai miei occhi non riuscivo a staccarmi dal toccare quel corpo, quel corpo che prima era vivo.
 
*** 
 
Lasciavo che il cavallo si abbeverasse mentre appoggiata alle radici dell’albero mi godevo la vista del lago e del bosco che tutto intorno lo abbracciava come una madre protettiva con il figlio, ancora in fasce, piange e si dimena. A quest’ora Arath stava già completando la funzione funebre, ed io me ne scappai come la più vigliacca dei fuggiaschi. Speravo solo che potesse perdonarmi, ma quel saluto per me era già tanto. Avevo già percorso molta distanza dal castello con un’idea precisa in testa ma che adesso era solo debole nebbiolina nella mia testa. Non sapevo quanto sarebbe durato il mio viaggio ne se avrei raggiunto la meta e sapevo anche il motivo. Io non credevo più in niente ma lui no. Lui credeva ancora in qualcosa, quel qualcosa che lo aveva portato in battaglia. Adesso però toccava a me agire, perché, in fondo, i suoi insegnamenti non furono vani << Porterò a termine ciò per cui tu desti la vita >>. Mi alzai dalla mia postazione, sistemai il cavallo e salì in groppa pronta per ripartire.
<< Quando tornerò ti scriverò un epitaffio >>.











Note
Si tratterebbe in realtà di una spin-off. La storia non è ancora completa e ho postato qui su efp solo il prologo (Iter Vitae), ma ho pensato di pubblicarla lo stesso come one-shot (anche se ero molto indecisa su quale categoria scegliere).
Grazie a chiunque voglia leggere e lasiare un commento (critiche costruttive sempre ben accette!)
 Se volete leggere altro, potete visitare il mio sito Mondo 2.0
   
 
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