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Autore: Alektos    11/01/2009    1 recensioni
È bello essere bambini, vivere in un mondo ovattato, dove tutti o quasi i desideri vengono esauditi, dove la fantasia e l’immaginazione sono più vivi e all’apice della loro forza. Ed è proprio da piccoli che si sognano le cose più disparate e incredibili grazie anche alle favole della buonanotte. E una ragazzina, prima di addormentarsi, pensa, rievoca nella mente frasi o scene viste nei libri: la principessa, il bel principe, il mago cattivo, il drago che viene sconfitto, abiti bellissimi, castelli con venti torri e il mondo popolato dalla giustizia e dalle buone azioni.
Genere: Generale, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la quarta edizione del Ficexchange
So che è un po' lunga, quindi potete leggerla a rate. XD (Sempre se vi va di leggerla, ovvio.)
Le citazioni in grassetto all'inizio e alla fine della fanfiction sono tratte da una canzone dei Queen, Innuendo.



NEBULA

 

Finché il sole sarà in cielo e il deserto sarà di sabbia

Finché le onde si agiteranno nei mari e incontreranno la terra

Finché ci sarà vento e stelle e l'arcobaleno

Fino a quando le montagne si sgretoleranno

trasformandosi in pianure

Oh sì, continueremo a provare

a camminare su quel filo sottile

Oh, continueremo a provarci, sì

Mentre passa il nostro tempo.

 

 

È bello essere bambini, vivere in un mondo ovattato, dove tutti o quasi i desideri vengono esauditi, dove la fantasia e l’immaginazione sono più vivi e all’apice della loro forza. Ed è proprio da piccoli che si sognano le cose più disparate e incredibili grazie anche alle favole della buonanotte. E una ragazzina, prima di addormentarsi, pensa, rievoca nella mente frasi o scene viste nei libri: la principessa, il bel principe, il mago cattivo, il drago che viene sconfitto, abiti bellissimi, castelli con venti torri e il mondo popolato dalla giustizia e dalle buone azioni.

Non tutto è oro quello che luccica, però; la maggior parte delle volte è solo apparenza, pura apparenza e niente altro. E questo, Andromeda, la secondogenita di casa Black, lo sa bene, purtroppo lo ha imparato a sue spese.

Da piccolina l’unica cosa che ha potuto sognare è stato l’arrivo di un bel principe azzurro e niente altro, perché lei, nel mondo popolato da draghi, poteri magici e case sfarzose, viveva già. Era, infatti, discendente di una nobile e ricca famiglia di Maghi.

Ma più cresceva, più il suo castello crollava, si impoveriva: un giorno erano venute meno le allegre corse nel grande parco della casa perché cosa non decorosa per una ragazza; poi anche le feste lentamente avevano perso il loro fascino, erano più fiere dell’ipocrisia; infine, per ultima, era crollata la famiglia: obblighi sempre più severi, matrimoni, se non combinati, fortemente voluti e la pressante presenza nella nobiltà di seguaci di Voldemort, il più potente mago Oscuro di tutti i tempi.
E lo sfarzoso castello dei bambini, si è così trasformato in un cumulo di macerie nostalgiche che lasciano trasparire lo splendore passato e le scelte diventano due: vivere nel cumulo di macerie o ricostruirle.
E Andromeda aveva scelto la seconda strada, se ne era andata e pietra su pietra era riuscita a rimettere in piedi il suo castello… e non era mai stato così bello.

 

Mentre Andromeda passeggiava tranquillamente per il paesino di Denis Rose, le ritornavano alla mente ricordi più o meno spiacevoli della sua vita.

Quello era stato il luogo dove lei e il suo principe azzurro si erano rifugiati una volta che Andromeda era scappata da quelle rovine e aveva deciso di costruirsi il futuro da sola e di non seguire quello già pianificatole dalla sua famiglia.

Lì, a Denis Rose, un paesino Babbano nei pressi di Hogsmeade, era iniziata la sua nuova vita e, benché si fosse poi trasferita a Londra solo sei mesi dopo il suo arrivo, non aveva mai dimenticato del tutto quel luogo e ogni anno per qualche giorno vi tornava.

Camminava distrattamente per una delle vie secondarie del paese, persa in chissà quali pensieri, godendosi la primavera che lentamente stava tramutando in estate, triste perché Ted, causa impegni di lavoro, all’ultimo momento non era potuto partire con lei. E fu allora che fece uno strano e inaspettato incontro: nell’angolo di una strada, al buio e nascosto dietro a degli scatoloni vuoti di un negozio, vide un grosso cane nero, sporco e mal ridotto. Osservandolo per alcuni secondi si accorse di conoscerlo: fece per urlare il suo nome, ma poi si fermò, preferendo avvicinarsi. L’animale, che stava dormendo, si svegliò improvvisamente ringhiando e rivoltandosi contro di lei, in una mossa istintiva, ma poi la riconobbe e si placò di colpo.

Alcuni passanti si erano fermati, incuriositi e allo stesso tempo attirati dalla reazione violenta del cane.

“Tutto a posto!” Si affrettò a dire Andromeda, “È un cane buono, è di alcuni amici che lo hanno perso, sono mesi ormai che è in giro da solo. Che fortuna ritrovarlo!”

Capito quanto stava succedendo, il cane le si avvicinò ed iniziò a farle le feste.

“Ma come sei conciato!” Lo rimproverò Andromeda. “Vieni Gina, vieni che andiamo a ripulirci e poi avvisiamo subito i tuoi padroni che stai bene, chissà come hai fatto ad arrivare fin qua.” Disse l’ultima frase ad alta voce affinché l’udissero più persone possibili, poi si diresse verso la pensioncina dove alloggiava e portò il cane nella sua stanza dopo averlo disilluso: era stata molto fortunata, a quell’ora non c’era quasi nessuno in giro e riuscì a far salire l’animale senza che nessuno nell’albergo lo notasse.

Una volta nella stanza il cane prese sembianze umane e subito si accasciò esausto su una sedia. L’uomo che ora stava di fronte ad Andromeda era alto, molto magro, tanto che gli si vedevano le costole, con capelli e barba incolti e sporchi, come i suoi abiti e il resto del suo corpo. Da quel poco che si poteva intravedere dalla pelle lasciata scoperta dai vestiti sudici e strappati, era anche ricoperto di graffi e lividi e le dita delle mani stavano sanguinando, segno che aveva corso molto nell’ultimo periodo.
I due si scrutarono a fondo, poi Andromeda fece comparire un bicchiere d’acqua e lo porse all’uomo.

“Sirius”, disse in tono quasi materno, “Cosa ti è successo?” Trovò il coraggio di sedersi al fianco del cugino e prendergli una mano tra le sue.
Sirius bevve dal bicchiere e poi tossì, l’acqua era troppo fresca e la sua gola non vi era più abituata. Si mosse sulla sedia e sul suo viso passò una smorfia di dolore.

“Di là” e indicò una porta alle spalle dell’uomo, “C’è il bagno, se ne hai le forze vatti a dare una lavata, altrimenti buttati sul letto anche così. Io vado a cercare qualcosa da metterti.” Andromeda si alzò, e sul volto di Sirius era comparso un debole sorriso in segno di gratitudine.

 

Mezz’ora dopo o poco più, quando Andromeda tornò, vide Sirius sdraiato di schiena sul letto con indosso un accappatoio trovato in bagno, con ricamata in rosa la scritta dell’alberghetto in cui si trovavano, e gli occhi chiusi. Andromeda sistemò le borse che aveva in mano su una sedia dando le spalle al letto; si girò di scatto quando sentì una voce provenire da dietro di lei.

“Dromeda…”

La donna andò vicino al letto e Sirius si mise a sedere con la schiena contro la spalliera. Dopo essersi lavato, i lividi e i graffi si stagliavano nitidi contro la pelle chiara del torace lasciata scoperta dall’accappatoio e qualcuno anche in viso; i capelli bagnati gli scendevano sulle spalle e la barba lunga, ora un po’ più pulita, gli incorniciava il volto. I suoi occhi, benché di un grigio vivo, denotavano tutta la sua stanchezza.

“Ti ho portato dei vestiti. Ora riposati, mi dirai dopo cos’è successo.”

“Grazie di tutto.” Sirius si sporse verso Andromeda e l’abbracciò.

“Continuo i miei giri, tu non metterti nei guai.” Sussurrò lei ricambiando l’abbraccio.

 

Durante le vacanze del suo settimo anno, Andromeda, come tutte le altre volte, era tornata a casa per Natale.
Era felice, felice come mai lo era stata prima. E riuscì a mascherarlo molto bene, dato che nessuno della famiglia si accorse del suo cambiamento.
Quell’anno si sarebbe tenuta una grande festa a Malfoy Manor per l’ultimo dell’anno, alla quale lei, con tutta la sua famiglia, era invitata.
Per l’occasione sua madre le aveva fatto arrivare un abito stupendo, lungo e nero con una bella scollatura e, naturalmente, con tutti gli accessori intonati. Andromeda aveva già visto altre volte sua madre comportarsi così ed era sempre per interesse.
Giusto poco prima di entrare nella grande casa di Malfoy Sr., Druella aveva guardato la sua secondogenita:

“Come sei bella Andromeda. Sai, stasera ci saranno delle persone molto importanti a questa festa, tra le quali i Dolohov, spero vorrai concedere un ballo al loro bellissimo figlio, Antonin…”
Andromeda sorrise e questo a sua madre bastò; sapeva bene che la frase pronunciata da Druella nascondeva ordini ben precisi: tradotta stava a significare che i Dolohov sarebbero stati un ottimo acquisto per il prestigio della famiglia e che il loro figlio, non bello ma ricco, le aveva messo gli occhi addosso e probabilmente sarebbe divenuto il suo futuro marito una volta uscita da Hogwarts.
Andromeda lo sapeva perché era successo così anche con Bellatrix, solo che il partito per Bella, la primogenita, non era ancora maggiorenne. Narcissa per il momento era l’unica a salvarsi.
A tavola le era stato assegnato il posto al fianco di Antonin: i due si conoscevano da parecchi anni, avevano la stessa età ed entrambi erano stati smistati a Serpeverde ad Hogwarts. Molto cavallerescamente Dolohov le aveva scostato la sedia per farla sedere: Andromeda sapeva bene di essere osservata e quindi decise che per tutta la sera si sarebbe comportata come sua madre si aspettava da lei.

Con Antonin, che le riservava particolare attenzione, parlò per tutto il tempo e civettò anche, passandosi le mani nei lunghi capelli neri e giocandovi; sapeva di poterlo fare: era una bella ragazza e ne era consapevole. Gli concesse qualche ballo fino a quando, dopo la mezzanotte, lui la invitò a fare un giro nel giardino di Malfoy Manor.

“Il signor Malfoy ha proprio un bel parco” constatò Antonin.
“Già… vorrei anch’io dei pavoni bianchi, sono bellissimi!”
Ad un tratto sentirono delle voci soffuse e in silenzio ne seguirono il rumore.
“Alleluia!” Bisbigliò Andromeda nascosta dietro un albero non riuscendo a trattenere una risatina.
“Alla fine Malfoy Jr. si è scantato”, ghignò Antonin.

“Finalmente Cissy la smetterà di parlarmi di Lucius ad ogni ora!”

Ora che erano soli, Dolohov si comportava diversamente… normalmente, come faceva a scuola o nelle altre occasioni: probabilmente anche lui aveva ricevuto un suggerimento com’era successo a lei.

“Che ne dici”, disse Andromeda, “Se tornassimo dentro?” Antonin annuì e si incamminarono insieme. Una volta dentro furono fermati da un bambino dai folti capelli neri.

“Ciao Sirius.”

 

Quando ormai il sole, per quel giorno, stava portando a termine il suo percorso, Sirius fu svegliato da un delizioso profumo che aveva iniziato a solleticargli le narici. L’accappatoio giaceva per terra e un asciugamano poco lontano: prima di coricarsi si era infilato i vestiti che gli aveva portato Andromeda. Si mise a sedere tutto indolenzito. Quando alzò lo sguardo incrociò quello della cugina che lo fissava con aria preoccupata. Le sorrise e le si andò a sedere vicino, nell’unica sedia libera intorno al tavolo, sul quale stavano del roast beef, delle patate e due bottiglie, una d’acqua e una di vino. Dopo che l’uomo ebbe messo in bocca qualche patata e bevuto un bicchiere di vino rosso, Andromeda parlò.
“Sputa il rospo, Sirius!” Il suo tono non aveva niente di amichevole né di comprensivo.

“Sono un fuggiasco Andromeda, che altro c’è da sapere?”

“Silente mi ha detto che stavi bene e che non eri in pericolo, non mi sembra…” Gli occhi della donna si soffermarono su alcuni lividi che spuntavano dalla camicia aperta sul torace di Sirius.

“Ho incontrato un ragazzotto baldanzoso che voleva fare l’eroe… e io sono senza bacchetta.”

I due si scrutarono per qualche istante, gli occhi fissi in quelli dell’altro.

“Dentro di me ho sempre saputo che non avevi mai tradito i tuoi amici… e quando ne ho avuto la conferma…” Le parole le vennero meno e gli occhi di Andromeda si riempirono di lacrime; Sirius l’abbracciò commuovendosi a sua volta e calde lacrime solcarono le sue guance per perdersi poi nella barba. Infine non riuscì a trattenersi e scoppiò in un pianto liberatorio. Da dodici anni a questa parte era stato rinchiuso in un carcere, i suoi amici erano morti, tutti tranne uno, e lui ora era costretto a scappare e a nutrirsi di topi per sopravvivere, nella speranza, un giorno, di poter tornare alla sua vita e di adempiere alla promessa fatta a James e a Lily quando era diventato il padrino di Harry: era per lui che sopportava tutto questo.

“È tutto passato, ora,” cercò di tranquillizzarlo Andromeda. “Dai, raccontami di come hai traumatizzato quel povero ragazzo.” Cercò di usare il tono più allegro e incoraggiante che in quel momento gli veniva e Sirius intuì che stava cercando di distrarlo dalle emozioni e dai pensieri che rischiavano di prendere il sopravvento su di lui.

“Gli sono balzato addosso, in forma umana, naturalmente.” Ghignò, sciogliendosi dall’abbraccio, gli occhi visibilmente arrossati. “Anche perché è stato proprio a causa del mio volermi sgranchire e ritornare me stesso per qualche istante che quel novellino mi ha riconosciuto.”

“Ti ha sfidato a duello?” Sorrise Andromeda, contenta nel vedere che almeno un po’ del vecchio spirito di Sirius era rimasto inalterato. Certo, non poteva dire che fosse uguale all’ultima volta che lo aveva visto, da giovane suo cugino era molto bello, ora dimostrava molti più anni di quanti non ne avesse in realtà e dallo sguardo sembrava un uomo che aveva vissuto esperienze tremende… beh, in fondo era proprio così, ma tutto sommato aveva ancora un certo fascino.

“Tu, piuttosto, come hai fatto a riconoscermi?” Chiese Sirius, perplesso.

“Silente… mi ha fatto vedere i suoi ricordi di quando Piton ti ha catturato ad Hogwarts.”

“Mocciosus… è sempre stato capace di arrivare alla conclusione sbagliata anche con la soluzione in mano.”

 

Sirius, va tutto bene?” Chiese Andromeda con voce dolce, un tono che di solito non le apparteneva.

Il bambino aveva l’aria imbronciata; sbuffò.
“Ti raggiungo dopo, Antonin, intanto mi prenderesti qualcosa da bere?” Dolohov annuì e si incamminò verso il tavolo degli aperitivi.

“Cosa succede?” Andromeda si rivolse a Sirius mentre lentamente lo spingeva in un angolo appartato.

“Mamma mi ha sgridato. Mi sto annoiando e… uffa, voglio andare a casa!”

Andromeda non poté fare a meno di sorridere: era strano, ma provava un certo attaccamento per Sirius e probabilmente era dovuto al fatto che fosse colui che meno di tutti assomigliava al resto della famiglia. Fin da piccolo si era rivelato un ragazzino sfacciato e poco incline ad osservare le regole: giusto quella sera aveva litigato con Walburga, sua madre, perché non voleva tenere il farfallino intorno al collo poiché gli stringeva. Però era anche un bravo ragazzo, e soprattutto molto sveglio per avere solo dieci anni, infatti il papillon era ancora intorno al suo collo.

“Andromeda?” Sirius la guardò negli occhi. “Quand’è che potrò fare quello che voglio?” Nel farle la domanda il ragazzino si tolse il ciuffo ben pettinato dalla fronte buttandoselo indietro.
La sua era stata un’ottima domanda.

“Quando sarai più grande Sirius.”
“Uffa, me lo dicono tutti!”

“Sai, quando sarai più grande potrai costruirti il tuo futuro, la tua vita, come vorrai tu. Ma devi portare pazienza.”

Sirius la guardò poco convinto, ma poi sorrise e insieme si avviarono verso il tavolo dove sedevano Walburga, Druella, la signora Malfoy, la signora Dolohov e Antonin.

 

“Sai, prima che succedesse tutto questo eravamo felici. Difficile a dirsi visto che le nostre vite erano in pericolo, non trovi?”

Andromeda guardò Sirius posare la forchetta nel piatto vuoto e subito dopo pulirsi la bocca con il tovagliolo.
“James, Lily e il piccolo Harry… tutto è stato cancellato in una sola notte. Se solo non mi fossi fidato di Peter!” Sirius strinse la mano destra intorno al tovagliolo, le nocche erano diventate bianche e i muscoli si erano tesi.

“Sirius… non devi fartene una colpa.” Rispose pacata Andromeda posando una mano su quella dell’uomo, invitandolo a rilassarsi. “Sai, mi ha stupito molto,” fece una pausa e sorseggiò l’acqua dal suo bicchiere,”Sapere che sei un Animagus.”
“Lo avevamo fatto per Remus…”

Per alcuni lunghi, interminabili istanti nessuno parlò. L’atmosfera si era fatta piuttosto pesante. Andromeda non riusciva a immaginare tutte le sensazioni e i ricordi che in quel momento affollavano la testa di Sirius: a parte quel breve intervallo un anno prima, era da molto tempo che l’uomo non aveva una conversazione con qualcuno di familiare.
Cosa raccontare?

Cosa dire?

“Già,” rispose l’uomo, infine, “Ed è grazie a questo se sono riuscito a scappare da Azkaban. Non c’è peggior posto di quello… piuttosto la morte. E all’inizio ho sperato di morire, per non dover più soffrire così.” Lentamente Sirius si stava aprendo con lei; ora si era alzato e aveva preso a camminare per la stanza. “Ma no, NO!” Urlò. “Dovevo farcela, per Harry… e per uccidere quel lurido traditore! Questo mi ha dato la forza di resistere tutti questi anni e quando ho avuto sufficiente lucidità e forza mi sono trasformato in cane e sono scappato.” A questo punto si fermò e guardò Andromeda dritta negli occhi. “Promettimi che se mai riuscirò ad ammazzare quel bastardo e mi dovessero catturare, mi ucciderai!” Andò verso di lei e si inginocchiò con violenza. “Promettilo! La morte piuttosto che Azkaban!” Pazzo, in quel momento si era lasciato trasportare dalle sue sensazioni facendo venir meno la parte razionale, un segno di quello che il potere dei Dissennatori può fare alla mente umana.

Andromeda lo schiaffeggiò più forte che poté, tanto che l’uomo perse l’equilibrio e cadde all’indietro.

 

Nessuno, durante le vacanze di Natale, aveva notato un cambiamento in Andromeda, e nemmeno nei mesi successivi: nessuno tranne una persona.
“Andromeda, posso parlarti?”

“Antonin… certo, dimmi.” I due si incamminarono per il grande parco di Hogwarts, illuminato da un tiepido sole primaverile.

“Tu sai quello che sta succedendo nel mondo magico?” Lei annuì. “Quindi saprai anche che frequentare un Mezzosangue, al momento e nella tua posizione, non è una scelta intelligente.”

Ad Andromeda si gelò il sangue nelle vene: nessuno sapeva che frequentava un Mezzosangue, nemmeno la sua migliore amica. Antonin intuì i suoi pensieri.

“Vi ho visti l’altra sera, in corridoio…”

In meno di un secondo, però, la ragazza aveva già riacquistato la sua sicurezza e il sangue freddo.

“E con questo?”

“Non ti sembra sconveniente?”

“A te non è sembrato sconveniente sbatterti quella Grifondoro Mezzosangue prima di Natale.” Ribatté piccata. “Perché io non posso fare altrettanto?”

Fu Antonin questa volta ad essere spiazzato. “È diverso…” Anche se li aveva osservati per poco, la sera precedente, aveva notato qualcosa nello sguardo di Andromeda… non sapeva come descriverlo.

“Certo, è diverso perché tu sei un uomo, giusto?”

“No… io…”

“Ascolta, io e te siamo amici, ma non immischiarti più nella mia vita privata!” Dette queste parole, prese la strada verso il castello lasciandolo solo; un sorriso si allargò sul volto della ragazza, soddisfatta di essere passata involontariamente dalla parte del giusto.

 

“Ora cosa intendi fare?” Chiese seria Andromeda dopo che Sirius si fu rialzato. Ma l’uomo continuava a guardarla inebetito, la reazione di prima lo aveva spiazzato: si portò una mano alla guancia per massaggiarla e si sedette.
“Oh, andiamo, ti serviva una scossa.” Si giustificò lei.

“È che ti ricordavo più… più delicata.”

Andromeda rise, sciogliendosi poi i capelli che portava legati in una coda. “Sirius, anche se ho fatto scelte diverse sono più simile a Bellatrix di quanto tu possa credere.”

Effettivamente, con i capelli sciolti, la somiglianza era impressionante.

“Non sono le scelte che diversificano gli uomini?” Chiese Sirius, e sul volto di Andromeda comparve un ghigno.

“Vedi che se ti applichi ci arrivi anche da solo?”

Sirius non capì e la guardò torvo.

“Che soluzione avresti dalla morte? Liberazione… Ma che ne sarebbe di Harry? Di Remus? E anche di me… il dolore e il vuoto che proveremmo perdendoti poco dopo averti ritrovato?”

Ora l’uomo cominciava a capire.

“Devi combattere Sirius, se vuoi riprenderti la tua vita dovrai lottare, ma penso ne valga la pena, non trovi? E se dovessi fallire almeno non avrai rimpianti.”

Sirius soppesò le parole di Andromeda e annuì, abbassando poi lo sguardo; poco prima era partito con la testa, gli era venuto meno il senno.

“Tu… hai dovuto lottare molto, vero?”

Andromeda parve spiazzata dalla domanda: anche quando Sirius, più giovane, la andava a trovare, non avevano mai parlato della sua guerra.

“Non in termini di tempo,” rispose Andromeda, temporeggiando e cercando le parole migliori per iniziare il discorso. “Però sì, ho lottato e ho fatto cose spregevoli.”

“Spregevoli?”

“Sì, o almeno dal mio punto di vista lo sono: la mia famiglia ne sarebbe stata entusiasta se solo non le avessi fatte contro di loro.” Le ultime parole furono dette con ironia.

Sirius non capiva quello che la donna stava dicendo e lei, come percependo i suoi pensieri, continuò.

“Sirius, stavo per uccidere un uomo.”

 

Si era sentita gelare il sangue nelle vene quando sua madre aveva pronunciato la frase: “So che frequenti un Mezzosangue.” Ma il suo temperamento le aveva impedito di crollare e anziché scusarsi o fare la ragazzina dispiaciuta, sostenne lo sguardo di Druella.

“Sì, frequento un Mezzosangue. Tu come lo sai?”

“Modera i toni, signorina!” La rimbeccò la madre. “Mi ha avvertito una persona che tiene molto a te…”

“Non dirmi che è stato Dolohov?”

Druella sorrise, lasciando intendere che Andromeda aveva colto nel segno. “Non c’è problema, Andromeda, tutti abbiamo avuto le nostre avventure fuori dal matrimonio, ma adesso che hai finito la scuola è ora che pensi al tuo futuro. Devi incominciare a mettere gli occhi su qualche Purosangue, sai benissimo che non potrai mai sposare quel Mezzosangue.” L’ultima parola fu detta in tono dispregiativo.

“E se io volessi sposarlo?” Chiese Andromeda impertinente.

Druella rise. “Ah, la mia bambina che difende il suo cavaliere. Togliti questa idea dalla testa, sei una Black, per Morgana!” Urlò.

Eppure, al momento, il più grande desiderio di Andromeda era di avere il suo lurido Mezzosangue vicino, perché per la prima volta si era innamorata.

“Credo che il figlio dei Dolohov possa essere per te più buon partito.”

“Bene, credo che le tue intenzioni siano piuttosto chiare.” Rispose piccata Andromeda. “Con permesso.” E uscì dalla stanza, furente.

Non voleva avere una vita sterile, fatta di convenzioni, di esteriorità e di ipocrisia; voleva semplicemente essere una strega normale, ma questo le era negato dalla sua condizione: poteva avere tutto, ma quel tutto le era negato dall’apparenza.

Era da molto che ci pensava e ne aveva anche discusso con Ted, il Mezzosangue, sapeva che il giorno della resa dei conti prima o poi sarebbe arrivato, ma mai avrebbe creduto così presto. Questa era senza ombra di dubbio opera di Antonin.

Corse in camera sua e chiuse la porta con la magia. Prese della polvere, la gettò nel camino urlando l’indirizzo e inginocchiandosi mise la testa nelle braci.

“Se sei sicuro della proposta che mi hai fatto l’altro giorno, io sono pronta ad andare.” Dopo aver atteso la risposta si rialzò e mise dei vestiti in una borsa, poi corse fuori nel parco.
Era stanca di quella casa, senza contare che proprio qualche giorno prima il Mezzosangue aveva espresso il desiderio di sposarla; lei non era mai stata così felice prima di quel momento e avrebbe tanto voluto farlo capire anche la sua famiglia, ma per farlo le sarebbe servito del tempo. Ma Antonin aveva rovinato tutto e Andromeda ancora si chiedeva come facesse a sapere certe cose sul suo conto.

Sua madre la vide uscire, ma capì le sue intenzioni troppo tardi, quando Andromeda la salutò con una mano, spavalda.

Si Materializzò in aperta campagna, su una strada sterrata, vicino ad una fattoria.

Sei mesi dopo, nella campagna di Denis Rose.

“Sapevo che prima o poi ti avrei trovata!” Andromea sentì una voce alle sue spalle e si voltò di scatto. Da quando se ne era andata non aveva più visto nessuno e quell’incontro la colse di sorpresa.

Dolohov.” Salutò lei; nello stesso istante sentì una strana sensazione allo stomaco, non piacevole, i suoi muscoli si erano tesi.

“Sono stato incaricato di cercarti…”

“Fatica sprecata, io in quella casa non ci torno!”

“Cosa fai con quella borsa?” Chiese lui avvicinandosi, bacchetta alla mano.

“Non sono affari tuoi!” Ringhiò. Nel mentre Dolohov aveva posato il suo sguardo sulla mano sinistra della ragazza.

“Non ti sarai sposata con il Mezzosangue, spero.”

Andromeda non rispose e si avviò a grandi passi lontano da lui, ma nemmeno due secondi più tardi un incantesimo le sfiorò la guancia costringendola a sfoderare la bacchetta e a girarsi.

“Andiamo, ti riporto a casa. Sono sicura che i tuoi sapranno rimediare a questo errore.”

“Io a casa non ci torno.” Rispose in tono poco amichevole Andromeda.

“Lo vedremo…” Rispose Dolohov scagliando l’ennesimo incantesimo, questa volta diretto contro Andromeda e non lanciato per sfiorarla.

La ragazza si abbassò, schivandolo, e rispose al fuoco. Quella sensazione di prima tornò a farsi più viva che mai e insieme all’adrenalina formava un connubio piacevole: stava combattendo e si stava divertendo e ad ogni battuta di Antonin sentiva crescere dentro di sé una rabbia mai provata prima, fino a quando non riuscì a disarmarlo.

“E ora cosa vorresti fare?” Chiese lui in tono di sfida, avvicinandosi più vicino alla bacchetta di lei puntata contro il suo petto.

“Non sfidarmi, Dolohov.”

“Altrimenti?” Dolohov provò a saltarle addosso per prenderle la bacchetta.

“Imperio!” Urlò Andromeda e Antonin si irrigidì. Non lo aveva mai fatto prima, aveva visto suo padre esercitarsi su animali e iniziare ad insegnare questa Maledizione a Bellatrix, ma mai e poi mai avrebbe immaginato che un giorno l’avrebbe usata… che un giorno avrebbe avuto la forza anche solo per evocarla.

“Adesso non ridi più vero?” Con la bacchetta, controllata da una forza che non riusciva a dominare, fece camminare il ragazzo fino al fosso al lato della strada, pieno d’acqua; lo fece inginocchiare e gli mise la testa nell’acqua per poi tirarlo fuori dopo qualche secondo. “Ora, come la mettiamo?”

 

“E quindi, quella volta Dolohov ci ha quasi rimesso le penne?” Chiese senza nascondere tutto il suo stupore.

“Esattamente Sirius. Come vedi buon sangue non mente e io ne sono la prova. Ma in quel frangente ho deciso che non mi sarei mai più lasciata dominare dalla rabbia, io ero diversa da loro. E così è stato.”

Turbato da quella rivelazione, Sirius rimase in silenzio.

“Tutti possiamo sbagliare, Sirius, è insito nella natura umana e ancora di più in un Black: noi stupidi, vanitosi, orgogliosi e insolenti Black.”

“Ritratto perfetto,” disse Sirius con un sorriso amaro in volto.

“Forse non puoi rimediare agli errori, ma puoi imparare e agire di conseguenza.”

Ora entrambi si stavano guardando negli occhi, il tono della voce era basso e greve.

“Sai,” riprese Sirius dopo qualche minuto di silenzio, “Ricordo ancora quando a quell’ultimo dell’anno a casa Malfoy mi hai detto: Sai, quando sarai più grande potrai costruirti il tuo futuro, la tua vita, come vorrai tu. Ma devi portare pazienza. Ora credo proprio sia arrivato quel momento, Andromeda. Alla prima occasione…”

L’aria era più distesa, ma Andromeda non ebbe tempo di rispondere che un gufo picchettò alla finestra. Una volta che la donna ebbe aperto la finestra, questi volò direttamente da Sirius.

“Solo Silente ed Harry possono rintracciarmi.” Spiegò ad Andromeda.

Sirius slegò la lettera dalla zampa dell’animale e lesse. Quando ebbe finito si passò una mano sul volto e posò la missiva sul tavolo.

“Va tutto bene?” Chiese Andromeda, preoccupata. L’uomo le porse la lettera e lei la lesse.

Silente lo informava di quanto successo nel pomeriggio durante l’ultima prova del torneo Tremaghi e che doveva presentarsi immediatamente da lui.

“Devo andare,” disse alzandosi di scatto, “Harry ha bisogno di me.”

Andromeda sorrise e si alzò a sua volta. I due si abbracciarono.

“Forse quell’occasione è più vicina di quanto tu non creda.” Gli sussurrò all’orecchio, e in risposta lui la strinse più forte posando la sua testa sulla spalla della donna.

“Noi…” Disse staccandosi.

“Noi… ci vediamo presto.” Concluse per lui Andromeda e gli indicò un vasetto con dentro della Metropolvere. Lo vide sparire tra le fiamme pochi istanti dopo.

Andromeda guardò verso il camino ormai vuoto, non senza una nota di preoccupazione nel cuore, augurandosi che lui riuscisse a rimettere insieme i pezzi della sua vita che tanti anni prima si erano infranti.

Andromeda era riuscita a rifarsi una vita ed era felice. Ora toccava a Sirius, se lo meritava più di chiunque altro.

 

Ma si sa, anche i più solidi castelli crollano, prima o poi, per la guerra o a causa del tempo e di questi rimarranno solo macerie e una nuvola di polvere.

 

Fino alla fine dei tempi.

  
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