Storia scritta per la quarta edizione del Ficexchange
So che è un po' lunga, quindi potete leggerla a rate. XD (Sempre se vi va di leggerla, ovvio.)
Le citazioni in grassetto all'inizio e alla fine della fanfiction sono tratte da una canzone dei Queen, Innuendo.
NEBULA
Finché il sole sarà in cielo e il deserto sarà di
sabbia
Finché le onde si agiteranno nei mari e incontreranno
la terra
Finché ci sarà vento e stelle e l'arcobaleno
Fino a quando le montagne si sgretoleranno
trasformandosi in pianure
Oh sì, continueremo a provare
a camminare su quel filo sottile
Oh, continueremo a provarci, sì
Mentre passa il nostro tempo.
È
bello essere bambini, vivere in un mondo ovattato, dove tutti o quasi i
desideri vengono esauditi, dove la fantasia e l’immaginazione sono più vivi e
all’apice della loro forza. Ed è proprio da piccoli che si sognano le cose più
disparate e incredibili grazie anche alle favole della buonanotte. E una
ragazzina, prima di addormentarsi, pensa, rievoca nella mente frasi o scene viste
nei libri: la principessa, il bel principe, il mago cattivo, il drago che viene
sconfitto, abiti bellissimi, castelli con venti torri e il mondo popolato dalla
giustizia e dalle buone azioni.
Non
tutto è oro quello che luccica, però; la maggior parte delle volte è solo
apparenza, pura apparenza e niente altro. E questo, Andromeda, la secondogenita
di casa Black, lo sa bene, purtroppo lo ha imparato a sue spese.
Da
piccolina l’unica cosa che ha potuto sognare è stato l’arrivo di un bel
principe azzurro e niente altro, perché lei, nel mondo popolato da draghi,
poteri magici e case sfarzose, viveva già. Era, infatti, discendente di una
nobile e ricca famiglia di Maghi.
Ma
più cresceva, più il suo castello crollava, si impoveriva: un giorno erano
venute meno le allegre corse nel grande parco della casa perché cosa non
decorosa per una ragazza; poi anche le feste lentamente avevano perso il loro
fascino, erano più fiere dell’ipocrisia; infine, per ultima, era crollata la
famiglia: obblighi sempre più severi, matrimoni, se non combinati, fortemente
voluti e la pressante presenza nella nobiltà di seguaci di Voldemort, il più
potente mago Oscuro di tutti i tempi.
E lo sfarzoso castello dei bambini, si è così trasformato in un cumulo di
macerie nostalgiche che lasciano trasparire lo splendore passato e le scelte
diventano due: vivere nel cumulo di macerie o ricostruirle.
E Andromeda aveva scelto la seconda strada, se ne era andata e pietra su pietra
era riuscita a rimettere in piedi il suo castello… e non era mai stato così
bello.
Mentre Andromeda passeggiava
tranquillamente per il paesino di Denis Rose, le ritornavano alla mente ricordi
più o meno spiacevoli della sua vita.
Quello era stato il luogo dove lei e
il suo principe azzurro si erano rifugiati una volta che Andromeda era scappata
da quelle rovine e aveva deciso di costruirsi il futuro da sola e di non
seguire quello già pianificatole dalla sua famiglia.
Lì, a Denis Rose, un paesino Babbano nei pressi di Hogsmeade,
era iniziata la sua nuova vita e, benché si fosse poi trasferita a Londra solo
sei mesi dopo il suo arrivo, non aveva mai dimenticato del tutto quel luogo e
ogni anno per qualche giorno vi tornava.
Camminava distrattamente per una delle
vie secondarie del paese, persa in chissà quali pensieri, godendosi la
primavera che lentamente stava tramutando in estate, triste perché Ted, causa
impegni di lavoro, all’ultimo momento non era potuto partire con lei. E fu
allora che fece uno strano e inaspettato incontro: nell’angolo di una strada,
al buio e nascosto dietro a degli scatoloni vuoti di un negozio, vide un grosso
cane nero, sporco e mal ridotto. Osservandolo per alcuni secondi si accorse di
conoscerlo: fece per urlare il suo nome, ma poi si fermò, preferendo
avvicinarsi. L’animale, che stava dormendo, si svegliò improvvisamente
ringhiando e rivoltandosi contro di lei, in una mossa istintiva, ma poi la
riconobbe e si placò di colpo.
Alcuni passanti si erano fermati,
incuriositi e allo stesso tempo attirati dalla reazione violenta del cane.
“Tutto a posto!” Si affrettò a dire
Andromeda, “È un cane buono, è di alcuni amici che lo hanno perso, sono mesi
ormai che è in giro da solo. Che fortuna ritrovarlo!”
Capito quanto stava succedendo, il
cane le si avvicinò ed iniziò a farle le feste.
“Ma come sei conciato!” Lo rimproverò
Andromeda. “Vieni Gina, vieni che andiamo a ripulirci e poi avvisiamo subito i
tuoi padroni che stai bene, chissà come hai fatto ad arrivare fin qua.” Disse
l’ultima frase ad alta voce affinché l’udissero più persone possibili, poi si
diresse verso la pensioncina dove alloggiava e portò il cane nella sua stanza
dopo averlo disilluso: era stata molto fortunata, a quell’ora non c’era quasi
nessuno in giro e riuscì a far salire l’animale senza che nessuno nell’albergo
lo notasse.
Una volta nella stanza il cane prese
sembianze umane e subito si accasciò esausto su una sedia. L’uomo che ora stava
di fronte ad Andromeda era alto, molto magro, tanto che gli si vedevano le
costole, con capelli e barba incolti e sporchi, come i suoi abiti e il resto del
suo corpo. Da quel poco che si poteva intravedere dalla pelle lasciata scoperta
dai vestiti sudici e strappati, era anche ricoperto di graffi e lividi e le
dita delle mani stavano sanguinando, segno che aveva corso molto nell’ultimo
periodo.
I due si scrutarono a fondo, poi Andromeda fece comparire un bicchiere d’acqua
e lo porse all’uomo.
“Sirius”, disse in tono quasi materno,
“Cosa ti è successo?” Trovò il coraggio di sedersi al fianco del cugino e
prendergli una mano tra le sue.
Sirius bevve dal bicchiere e poi tossì, l’acqua era troppo fresca e la sua gola
non vi era più abituata. Si mosse sulla sedia e sul suo viso passò una smorfia
di dolore.
“Di là” e indicò una porta alle spalle
dell’uomo, “C’è il bagno, se ne hai le forze vatti a dare una lavata,
altrimenti buttati sul letto anche così. Io vado a cercare qualcosa da
metterti.” Andromeda si alzò, e sul volto di Sirius era comparso un debole
sorriso in segno di gratitudine.
Mezz’ora dopo o poco più, quando
Andromeda tornò, vide Sirius sdraiato di schiena sul letto con indosso un
accappatoio trovato in bagno, con ricamata in rosa la scritta dell’alberghetto
in cui si trovavano, e gli occhi chiusi. Andromeda sistemò le borse che aveva
in mano su una sedia dando le spalle al letto; si girò di scatto quando sentì
una voce provenire da dietro di lei.
“Dromeda…”
La donna andò vicino al letto e Sirius
si mise a sedere con la schiena contro la spalliera. Dopo essersi lavato, i
lividi e i graffi si stagliavano nitidi contro la pelle chiara del torace
lasciata scoperta dall’accappatoio e qualcuno anche in viso; i capelli bagnati
gli scendevano sulle spalle e la barba lunga, ora un po’ più pulita, gli
incorniciava il volto. I suoi occhi, benché di un grigio vivo, denotavano tutta
la sua stanchezza.
“Ti ho portato dei vestiti. Ora
riposati, mi dirai dopo cos’è successo.”
“Grazie di tutto.” Sirius si sporse
verso Andromeda e l’abbracciò.
“Continuo i miei giri, tu non metterti
nei guai.” Sussurrò lei ricambiando l’abbraccio.
Durante
le vacanze del suo settimo anno, Andromeda, come tutte le altre volte, era
tornata a casa per Natale.
Era felice, felice come mai lo era stata prima. E riuscì a mascherarlo molto
bene, dato che nessuno della famiglia si accorse del suo cambiamento.
Quell’anno si sarebbe tenuta una grande festa a Malfoy Manor per l’ultimo
dell’anno, alla quale lei, con tutta la sua famiglia, era invitata.
Per l’occasione sua madre le aveva fatto arrivare un abito stupendo, lungo e
nero con una bella scollatura e, naturalmente, con tutti gli accessori
intonati. Andromeda aveva già visto altre volte sua madre comportarsi così ed
era sempre per interesse.
Giusto poco prima di entrare nella grande casa di Malfoy Sr., Druella aveva
guardato la sua secondogenita:
“Come
sei bella Andromeda. Sai, stasera ci saranno delle persone molto importanti a
questa festa, tra le quali i Dolohov, spero vorrai
concedere un ballo al loro bellissimo figlio, Antonin…”
Andromeda sorrise e questo a sua madre bastò; sapeva bene che la frase
pronunciata da Druella nascondeva ordini ben precisi: tradotta stava a
significare che i Dolohov sarebbero stati un ottimo acquisto per il prestigio
della famiglia e che il loro figlio, non bello ma ricco, le aveva messo gli
occhi addosso e probabilmente sarebbe divenuto il suo futuro marito una volta
uscita da Hogwarts.
Andromeda lo sapeva perché era successo così anche con Bellatrix, solo che il
partito per Bella, la primogenita, non era ancora maggiorenne. Narcissa per il
momento era l’unica a salvarsi.
A tavola le era stato assegnato il posto al fianco di Antonin: i due si
conoscevano da parecchi anni, avevano la stessa età ed entrambi erano stati
smistati a Serpeverde ad Hogwarts. Molto cavallerescamente Dolohov le aveva
scostato la sedia per farla sedere: Andromeda sapeva bene di essere osservata e
quindi decise che per tutta la sera si sarebbe comportata come sua madre si
aspettava da lei.
Con Antonin, che le riservava particolare
attenzione, parlò per tutto il tempo e civettò anche, passandosi le mani nei
lunghi capelli neri e giocandovi; sapeva di poterlo fare: era una bella ragazza
e ne era consapevole. Gli concesse qualche ballo fino a quando, dopo la
mezzanotte, lui la invitò a fare un giro nel giardino di Malfoy Manor.
“Il
signor Malfoy ha proprio un bel parco” constatò Antonin.
“Già… vorrei anch’io dei pavoni bianchi, sono bellissimi!”
Ad un tratto sentirono delle voci soffuse e in silenzio ne seguirono il rumore.
“Alleluia!” Bisbigliò Andromeda nascosta dietro un albero non riuscendo a
trattenere una risatina.
“Alla fine Malfoy Jr. si è scantato”, ghignò Antonin.
“Finalmente
Cissy la smetterà di parlarmi di Lucius ad ogni ora!”
Ora
che erano soli, Dolohov si comportava diversamente… normalmente, come faceva a
scuola o nelle altre occasioni: probabilmente anche lui aveva ricevuto un
suggerimento com’era successo a lei.
“Che
ne dici”, disse Andromeda, “Se tornassimo dentro?” Antonin annuì e si
incamminarono insieme. Una volta dentro furono fermati da un bambino dai folti
capelli neri.
“Ciao
Sirius.”
Quando ormai il sole, per quel giorno,
stava portando a termine il suo percorso, Sirius fu svegliato da un delizioso
profumo che aveva iniziato a solleticargli le narici. L’accappatoio giaceva per
terra e un asciugamano poco lontano: prima di coricarsi si era infilato i
vestiti che gli aveva portato Andromeda. Si mise a sedere tutto indolenzito.
Quando alzò lo sguardo incrociò quello della cugina che lo fissava con aria
preoccupata. Le sorrise e le si andò a sedere vicino, nell’unica sedia libera
intorno al tavolo, sul quale stavano del roast beef, delle patate e due bottiglie, una d’acqua e una di
vino. Dopo che l’uomo ebbe messo in bocca qualche patata e bevuto un bicchiere
di vino rosso, Andromeda parlò.
“Sputa il rospo, Sirius!” Il suo tono non aveva niente di amichevole né di
comprensivo.
“Sono un fuggiasco Andromeda, che
altro c’è da sapere?”
“Silente mi ha detto che stavi bene e
che non eri in pericolo, non mi sembra…” Gli occhi della donna si soffermarono
su alcuni lividi che spuntavano dalla camicia aperta sul torace di Sirius.
“Ho incontrato un ragazzotto
baldanzoso che voleva fare l’eroe… e io sono senza bacchetta.”
I due si scrutarono per qualche
istante, gli occhi fissi in quelli dell’altro.
“Dentro di me ho sempre saputo che non
avevi mai tradito i tuoi amici… e quando ne ho avuto la conferma…” Le parole le
vennero meno e gli occhi di Andromeda si riempirono di lacrime; Sirius
l’abbracciò commuovendosi a sua volta e calde lacrime solcarono le sue guance
per perdersi poi nella barba. Infine non riuscì a trattenersi e scoppiò in un
pianto liberatorio. Da dodici anni a questa parte era stato rinchiuso in un
carcere, i suoi amici erano morti, tutti tranne uno, e lui ora era costretto a
scappare e a nutrirsi di topi per sopravvivere, nella speranza, un giorno, di poter
tornare alla sua vita e di adempiere alla promessa fatta a James e a Lily
quando era diventato il padrino di Harry: era per lui che sopportava tutto
questo.
“È tutto passato, ora,” cercò di
tranquillizzarlo Andromeda. “Dai, raccontami di come hai traumatizzato quel
povero ragazzo.” Cercò di usare il tono più allegro e incoraggiante che in quel
momento gli veniva e Sirius intuì che stava cercando di distrarlo dalle
emozioni e dai pensieri che rischiavano di prendere il sopravvento su di lui.
“Gli sono balzato addosso, in forma
umana, naturalmente.” Ghignò, sciogliendosi dall’abbraccio, gli occhi
visibilmente arrossati. “Anche perché è stato proprio a causa del mio volermi
sgranchire e ritornare me stesso per qualche istante che quel novellino mi ha
riconosciuto.”
“Ti ha sfidato a duello?” Sorrise
Andromeda, contenta nel vedere che almeno un po’ del vecchio spirito di Sirius
era rimasto inalterato. Certo, non poteva dire che fosse uguale all’ultima
volta che lo aveva visto, da giovane suo cugino era molto bello, ora dimostrava
molti più anni di quanti non ne avesse in realtà e dallo sguardo sembrava un
uomo che aveva vissuto esperienze tremende… beh, in fondo era proprio così, ma
tutto sommato aveva ancora un certo fascino.
“Tu, piuttosto, come hai fatto a riconoscermi?”
Chiese Sirius, perplesso.
“Silente… mi ha fatto vedere i suoi
ricordi di quando Piton ti ha catturato ad Hogwarts.”
“Mocciosus… è sempre stato capace di
arrivare alla conclusione sbagliata anche con la soluzione in mano.”
“Sirius, va tutto bene?” Chiese Andromeda con voce dolce, un
tono che di solito non le apparteneva.
Il
bambino aveva l’aria imbronciata; sbuffò.
“Ti raggiungo dopo, Antonin, intanto mi prenderesti qualcosa da bere?” Dolohov
annuì e si incamminò verso il tavolo degli aperitivi.
“Cosa
succede?” Andromeda si rivolse a Sirius mentre lentamente lo spingeva in un
angolo appartato.
“Mamma
mi ha sgridato. Mi sto annoiando e… uffa, voglio andare a casa!”
Andromeda
non poté fare a meno di sorridere: era strano, ma provava un certo attaccamento
per Sirius e probabilmente era dovuto al fatto che fosse colui che meno di
tutti assomigliava al resto della famiglia. Fin da piccolo si era rivelato un
ragazzino sfacciato e poco incline ad osservare le regole: giusto quella sera
aveva litigato con Walburga, sua madre, perché non voleva tenere il farfallino
intorno al collo poiché gli stringeva. Però era anche un bravo ragazzo, e
soprattutto molto sveglio per avere solo dieci anni, infatti il papillon era
ancora intorno al suo collo.
“Andromeda?”
Sirius la guardò negli occhi. “Quand’è che potrò fare quello che voglio?” Nel
farle la domanda il ragazzino si tolse il ciuffo ben pettinato dalla fronte
buttandoselo indietro.
La sua era stata un’ottima domanda.
“Quando
sarai più grande Sirius.”
“Uffa, me lo dicono tutti!”
“Sai,
quando sarai più grande potrai costruirti il tuo futuro, la tua vita, come
vorrai tu. Ma devi portare pazienza.”
Sirius
la guardò poco convinto, ma poi sorrise e insieme si avviarono verso il tavolo
dove sedevano Walburga, Druella, la signora Malfoy,
la signora Dolohov e Antonin.
“Sai, prima che succedesse tutto
questo eravamo felici. Difficile a dirsi visto che le nostre vite erano in
pericolo, non trovi?”
Andromeda guardò Sirius posare la
forchetta nel piatto vuoto e subito dopo pulirsi la bocca con il tovagliolo.
“James, Lily e il piccolo Harry… tutto è stato cancellato in una sola notte. Se
solo non mi fossi fidato di Peter!” Sirius strinse la mano destra intorno al
tovagliolo, le nocche erano diventate bianche e i muscoli si erano tesi.
“Sirius… non devi fartene una colpa.”
Rispose pacata Andromeda posando una mano su quella dell’uomo, invitandolo a
rilassarsi. “Sai, mi ha stupito molto,” fece una pausa e sorseggiò l’acqua dal
suo bicchiere,”Sapere che sei un Animagus.”
“Lo avevamo fatto per Remus…”
Per alcuni lunghi, interminabili
istanti nessuno parlò. L’atmosfera si era fatta piuttosto pesante. Andromeda
non riusciva a immaginare tutte le sensazioni e i ricordi che in quel momento
affollavano la testa di Sirius: a parte quel breve intervallo un anno prima,
era da molto tempo che l’uomo non aveva una conversazione con qualcuno di
familiare.
Cosa raccontare?
Cosa dire?
“Già,” rispose l’uomo, infine, “Ed è
grazie a questo se sono riuscito a scappare da Azkaban. Non c’è peggior posto
di quello… piuttosto la morte. E all’inizio ho sperato di morire, per non dover
più soffrire così.” Lentamente Sirius si stava aprendo con lei; ora si era
alzato e aveva preso a camminare per la stanza. “Ma no, NO!” Urlò. “Dovevo
farcela, per Harry… e per uccidere quel lurido traditore! Questo mi ha dato la
forza di resistere tutti questi anni e quando ho avuto sufficiente lucidità e
forza mi sono trasformato in cane e sono scappato.” A questo punto si fermò e
guardò Andromeda dritta negli occhi. “Promettimi che se mai riuscirò ad
ammazzare quel bastardo e mi dovessero catturare, mi ucciderai!” Andò verso di
lei e si inginocchiò con violenza. “Promettilo! La morte piuttosto che
Azkaban!” Pazzo, in quel momento si era lasciato trasportare dalle sue
sensazioni facendo venir meno la parte razionale, un segno di quello che il
potere dei Dissennatori può fare alla mente umana.
Andromeda lo schiaffeggiò più forte
che poté, tanto che l’uomo perse l’equilibrio e cadde all’indietro.
Nessuno,
durante le vacanze di Natale, aveva notato un cambiamento in Andromeda, e
nemmeno nei mesi successivi: nessuno tranne una persona.
“Andromeda, posso parlarti?”
“Antonin…
certo, dimmi.” I due si incamminarono per il grande parco di Hogwarts,
illuminato da un tiepido sole primaverile.
“Tu
sai quello che sta succedendo nel mondo magico?” Lei annuì. “Quindi saprai
anche che frequentare un Mezzosangue, al momento e nella tua posizione, non è
una scelta intelligente.”
Ad
Andromeda si gelò il sangue nelle vene: nessuno sapeva che frequentava un
Mezzosangue, nemmeno la sua migliore amica. Antonin intuì i suoi pensieri.
“Vi
ho visti l’altra sera, in corridoio…”
In
meno di un secondo, però, la ragazza aveva già riacquistato la sua sicurezza e
il sangue freddo.
“E
con questo?”
“Non
ti sembra sconveniente?”
“A
te non è sembrato sconveniente sbatterti quella Grifondoro Mezzosangue prima di
Natale.” Ribatté piccata. “Perché io non posso fare altrettanto?”
Fu
Antonin questa volta ad essere spiazzato. “È diverso…” Anche se li aveva osservati
per poco, la sera precedente, aveva notato qualcosa nello sguardo di Andromeda…
non sapeva come descriverlo.
“Certo,
è diverso perché tu sei un uomo, giusto?”
“No…
io…”
“Ascolta,
io e te siamo amici, ma non immischiarti più nella mia vita privata!” Dette
queste parole, prese la strada verso il castello lasciandolo solo; un sorriso
si allargò sul volto della ragazza, soddisfatta di essere passata
involontariamente dalla parte del giusto.
“Ora cosa intendi fare?” Chiese seria
Andromeda dopo che Sirius si fu rialzato. Ma l’uomo continuava a guardarla
inebetito, la reazione di prima lo aveva spiazzato: si portò una mano alla
guancia per massaggiarla e si sedette.
“Oh, andiamo, ti serviva una scossa.” Si giustificò lei.
“È che ti ricordavo più… più delicata.”
Andromeda rise, sciogliendosi poi i
capelli che portava legati in una coda. “Sirius, anche se ho fatto scelte
diverse sono più simile a Bellatrix di quanto tu possa credere.”
Effettivamente, con i capelli sciolti,
la somiglianza era impressionante.
“Non sono le scelte che diversificano
gli uomini?” Chiese Sirius, e sul volto di Andromeda comparve un ghigno.
“Vedi che se ti applichi ci arrivi
anche da solo?”
Sirius non capì e la guardò torvo.
“Che soluzione avresti dalla morte?
Liberazione… Ma che ne sarebbe di Harry? Di Remus? E anche di me… il dolore e
il vuoto che proveremmo perdendoti poco dopo averti ritrovato?”
Ora l’uomo cominciava a capire.
“Devi combattere Sirius, se vuoi
riprenderti la tua vita dovrai lottare, ma penso ne valga la pena, non trovi? E
se dovessi fallire almeno non avrai rimpianti.”
Sirius soppesò le parole di Andromeda
e annuì, abbassando poi lo sguardo; poco prima era partito con la testa, gli
era venuto meno il senno.
“Tu… hai dovuto lottare molto, vero?”
Andromeda parve spiazzata dalla
domanda: anche quando Sirius, più giovane, la andava a trovare, non avevano mai
parlato della sua guerra.
“Non in termini di tempo,” rispose
Andromeda, temporeggiando e cercando le parole migliori per iniziare il
discorso. “Però sì, ho lottato e ho fatto cose spregevoli.”
“Spregevoli?”
“Sì, o almeno dal mio punto di vista
lo sono: la mia famiglia ne sarebbe stata entusiasta se solo non le avessi
fatte contro di loro.” Le ultime parole furono dette con ironia.
Sirius non capiva quello che la donna
stava dicendo e lei, come percependo i suoi pensieri, continuò.
“Sirius, stavo per uccidere un uomo.”
Si
era sentita gelare il sangue nelle vene quando sua madre aveva pronunciato la
frase: “So che frequenti un Mezzosangue.” Ma il suo temperamento le aveva
impedito di crollare e anziché scusarsi o fare la ragazzina dispiaciuta,
sostenne lo sguardo di Druella.
“Sì,
frequento un Mezzosangue. Tu come lo sai?”
“Modera
i toni, signorina!” La rimbeccò la madre. “Mi ha avvertito una persona che
tiene molto a te…”
“Non
dirmi che è stato Dolohov?”
Druella sorrise, lasciando intendere
che Andromeda aveva colto nel segno. “Non c’è problema, Andromeda, tutti
abbiamo avuto le nostre avventure fuori dal matrimonio, ma adesso che hai
finito la scuola è ora che pensi al tuo futuro. Devi incominciare a mettere gli
occhi su qualche Purosangue, sai benissimo che non potrai mai sposare quel
Mezzosangue.” L’ultima parola fu detta in tono dispregiativo.
“E
se io volessi sposarlo?” Chiese Andromeda impertinente.
Druella
rise. “Ah, la mia bambina che difende il suo cavaliere. Togliti questa idea
dalla testa, sei una Black, per Morgana!” Urlò.
Eppure,
al momento, il più grande desiderio di Andromeda era di avere il suo lurido
Mezzosangue vicino, perché per la prima volta si era innamorata.
“Credo
che il figlio dei Dolohov possa essere per te più buon partito.”
“Bene,
credo che le tue intenzioni siano piuttosto chiare.” Rispose piccata Andromeda.
“Con permesso.” E uscì dalla stanza, furente.
Non
voleva avere una vita sterile, fatta di convenzioni, di esteriorità e di
ipocrisia; voleva semplicemente essere una strega normale, ma questo le era
negato dalla sua condizione: poteva avere tutto, ma quel tutto le era negato
dall’apparenza.
Era
da molto che ci pensava e ne aveva anche discusso con Ted, il Mezzosangue,
sapeva che il giorno della resa dei conti prima o poi sarebbe arrivato, ma mai
avrebbe creduto così presto. Questa era senza ombra di dubbio opera di Antonin.
Corse
in camera sua e chiuse la porta con la magia. Prese della polvere, la gettò nel
camino urlando l’indirizzo e inginocchiandosi mise la testa nelle braci.
“Se
sei sicuro della proposta che mi hai fatto l’altro giorno, io sono pronta ad
andare.” Dopo aver atteso la risposta si rialzò e mise dei vestiti in una borsa,
poi corse fuori nel parco.
Era stanca di quella casa, senza contare che proprio qualche giorno prima il
Mezzosangue aveva espresso il desiderio di sposarla; lei non era mai stata così
felice prima di quel momento e avrebbe tanto voluto farlo capire anche la sua
famiglia, ma per farlo le sarebbe servito del tempo. Ma Antonin
aveva rovinato tutto e Andromeda ancora si chiedeva come facesse a sapere certe
cose sul suo conto.
Sua
madre la vide uscire, ma capì le sue intenzioni troppo tardi, quando Andromeda
la salutò con una mano, spavalda.
Si
Materializzò in aperta campagna, su una strada sterrata, vicino ad una
fattoria.
Sei
mesi dopo, nella campagna di Denis Rose.
“Sapevo
che prima o poi ti avrei trovata!” Andromea sentì una
voce alle sue spalle e si voltò di scatto. Da quando se ne era andata non aveva
più visto nessuno e quell’incontro la colse di sorpresa.
“Dolohov.” Salutò lei; nello stesso istante sentì una strana
sensazione allo stomaco, non piacevole, i suoi muscoli si erano tesi.
“Sono
stato incaricato di cercarti…”
“Fatica
sprecata, io in quella casa non ci torno!”
“Cosa
fai con quella borsa?” Chiese lui avvicinandosi, bacchetta alla mano.
“Non
sono affari tuoi!” Ringhiò. Nel mentre Dolohov aveva
posato il suo sguardo sulla mano sinistra della ragazza.
“Non
ti sarai sposata con il Mezzosangue, spero.”
Andromeda
non rispose e si avviò a grandi passi lontano da lui, ma nemmeno due secondi
più tardi un incantesimo le sfiorò la guancia costringendola a sfoderare la
bacchetta e a girarsi.
“Andiamo,
ti riporto a casa. Sono sicura che i tuoi sapranno rimediare a questo errore.”
“Io
a casa non ci torno.” Rispose in tono poco amichevole Andromeda.
“Lo
vedremo…” Rispose Dolohov
scagliando l’ennesimo incantesimo, questa volta diretto contro Andromeda e non
lanciato per sfiorarla.
La
ragazza si abbassò, schivandolo, e rispose al fuoco. Quella sensazione di prima
tornò a farsi più viva che mai e insieme all’adrenalina formava un connubio
piacevole: stava combattendo e si stava divertendo e ad ogni battuta di Antonin
sentiva crescere dentro di sé una rabbia mai provata prima, fino a quando non
riuscì a disarmarlo.
“E
ora cosa vorresti fare?” Chiese lui in tono di sfida, avvicinandosi più vicino
alla bacchetta di lei puntata contro il suo petto.
“Non
sfidarmi, Dolohov.”
“Altrimenti?”
Dolohov provò a saltarle addosso per prenderle la
bacchetta.
“Imperio!”
Urlò Andromeda e Antonin si irrigidì. Non lo aveva mai fatto prima, aveva visto
suo padre esercitarsi su animali e iniziare ad insegnare questa Maledizione a
Bellatrix, ma mai e poi mai avrebbe immaginato che un giorno l’avrebbe usata…
che un giorno avrebbe avuto la forza anche solo per evocarla.
“Adesso
non ridi più vero?” Con la bacchetta, controllata da una forza che non riusciva
a dominare, fece camminare il ragazzo fino al fosso al lato della strada, pieno
d’acqua; lo fece inginocchiare e gli mise la testa nell’acqua per poi tirarlo
fuori dopo qualche secondo. “Ora, come la mettiamo?”
“E quindi, quella volta Dolohov ci ha quasi
rimesso le penne?” Chiese senza nascondere tutto il suo stupore.
“Esattamente Sirius.
Come vedi buon sangue non mente e io ne sono la prova. Ma in quel frangente ho
deciso che non mi sarei mai più lasciata dominare dalla rabbia, io ero diversa
da loro. E così è stato.”
Turbato da quella rivelazione, Sirius
rimase in silenzio.
“Tutti possiamo sbagliare, Sirius, è
insito nella natura umana e ancora di più in un Black: noi stupidi, vanitosi,
orgogliosi e insolenti Black.”
“Ritratto perfetto,” disse Sirius con
un sorriso amaro in volto.
“Forse non puoi rimediare agli errori,
ma puoi imparare e agire di conseguenza.”
Ora entrambi si stavano guardando
negli occhi, il tono della voce era basso e greve.
“Sai,” riprese Sirius dopo qualche
minuto di silenzio, “Ricordo ancora quando a quell’ultimo dell’anno a casa
Malfoy mi hai detto: Sai, quando sarai
più grande potrai costruirti il tuo futuro, la tua vita, come vorrai tu. Ma
devi portare pazienza. Ora credo proprio sia arrivato quel momento,
Andromeda. Alla prima occasione…”
L’aria era più distesa, ma Andromeda
non ebbe tempo di rispondere che un gufo picchettò alla finestra. Una volta che
la donna ebbe aperto la finestra, questi volò direttamente da Sirius.
“Solo Silente ed Harry possono
rintracciarmi.” Spiegò ad Andromeda.
Sirius slegò la lettera dalla zampa
dell’animale e lesse. Quando ebbe finito si passò una mano sul volto e posò la
missiva sul tavolo.
“Va tutto bene?” Chiese Andromeda,
preoccupata. L’uomo le porse la lettera e lei la lesse.
Silente lo informava di quanto
successo nel pomeriggio durante l’ultima prova del torneo Tremaghi e che doveva
presentarsi immediatamente da lui.
“Devo andare,” disse alzandosi di
scatto, “Harry ha bisogno di me.”
Andromeda sorrise e si alzò a sua
volta. I due si abbracciarono.
“Forse quell’occasione è più vicina di
quanto tu non creda.” Gli sussurrò all’orecchio, e in risposta lui la strinse
più forte posando la sua testa sulla spalla della donna.
“Noi…” Disse staccandosi.
“Noi… ci vediamo presto.” Concluse per
lui Andromeda e gli indicò un vasetto con dentro della Metropolvere. Lo vide
sparire tra le fiamme pochi istanti dopo.
Andromeda guardò verso il camino ormai
vuoto, non senza una nota di preoccupazione nel cuore, augurandosi che lui riuscisse a rimettere
insieme i pezzi della sua vita che tanti anni prima si erano infranti.
Andromeda era riuscita a rifarsi una
vita ed era felice. Ora toccava a Sirius, se lo meritava più di chiunque altro.
Ma
si sa, anche i più solidi castelli crollano, prima o poi, per la guerra o a
causa del tempo e di questi rimarranno solo macerie e una nuvola di polvere.
Fino alla fine dei tempi.