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Autore: EmilyPlay    17/06/2015    1 recensioni
Scegli un luogo, fai nascere un personaggio.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  1. Far parte
 
 
Il cappuccino si raffreddava e i capelli gli volano negli occhi con quel vento fastidioso.
La gente camminava spedita, con la testa china per fendere il vento, in ogni direzione. Chi aveva tempo si dirigeva da Costa, per scaldarsi con qualcosa di caldo, per confortarsi con qualcosa di dolce.
Lui era l’unico fermo nella tormenta, seduto su una panchina ad osservare gli altri che facevano cose, mentre lui sembrava rifiutarsi di farle. In realtà se non si muoveva con il corpo, per contrapposizione la sua mente lavorava ad una velocità a cui non riusciva neanche a stare dietro. Come al solito, dopotutto.
Si sentiva vorticare intorno i negozi strapieni di vestiti, oggetti e inutilità varie e la ormai brodaglia fredda che mandava giù di certo non alleviava la leggera sensazione di nausea che si stava facendo strada in lui e che si riversava all’esterno sotto forma di sguardi  fuggenti e biechi rivolti alle persone.
Si sentiva unico in mezzo a quella quantità di gente. Come nessun altro. Non è che si sentisse superiore o migliore di chicchessia. Diverso, ma neanche del tutto: immancabilmente infatti trovava negli altri qualcosa che aveva anche lui e di solito era sempre un qualcosa che lo irritava, che non poteva soffrire. Quando provi sensazioni simili, poi, immancabilmente ti senti solo. Perché in realtà hai sempre bisogno di ritrovare un aspetto di te che ami nell’altro. E così finalmente appartenere. Vuoi appartenere a qualcosa che sta fuori, sentire di avere qualcosa in comune con altri, sapere di essere di casa da qualche parte. Orribile essere sempre esterno, in una mancanza di appigli angosciante. Ma gli era sempre capitato di venire deluso, di accorgersi di non pensarla in quel modo o in quell’altro, di non riuscire mai a convincersi del tutto di un’idea. Soffriva vedendo che non capivano il modo in cui ragionava, che nei rapporti con gli altri ad un certo punto compariva quel maledetto stridore.
Rose, cosa c’entrava esattamente con lui? Perché si era legato a lei? Aveva sperato all’inizio, gli era quasi sembrato che si capissero. E invece no. E lei neanche se ne rendeva conto.
Gettò il bicchiere nel cestino che aveva di fianco, si ficcò le mani nelle tasche della felpa cercando di immergersi in essa. Poi decise che i capelli che gli vorticavano intorno stavano davvero diventando insopportabili e se li legò alla bell’e meglio.
Solo quel cretino gli aveva sempre dato un motivo per avere un minimo ancora di fiducia nel mondo. Solo un motivo? No, di più, di più. E poi all’improvviso l’aveva deluso, in modo così inaspettato, che era rimasto basito. Si sentiva fottutamente tradito, così amareggiato e solo.
Era tremendamente vera quella citazione che si era scritto un po’ ovunque: “Non mi impegnai a giurare per un credo e così mi ritrovo, ovunque il tempo mi porti, un ospite”.  Proveniva dalle Epistole di Orazio.
Lui amava le citazioni, ne scriveva su tutti i quaderni che usava all’università, su ogni blocco, rubrica, post-it che si trovava ad avere per le mani. Era un comportamento che rispondeva al suo costante bisogno di appartenenza. E per assurdo, o per ovvietà, l’unico estratto che sentiva davvero del tutto suo riguardava la costante non appartenenza a nulla.
E se non c’entrava nulla con nessun altro, cos’era? Chi era? Che cosa lo definiva? Una minima appartenenza a qualcosa bisogna averla, sì, a qualcosa di quotidiano, minuscolo. Lo faceva questo esperimento, spesso. Allora: in un ordine casuale, si sentiva giusto, adatto, per
  • quelle Converse nere sfasciate
  • quel cappuccino? No no, cancelliamo, non sentiva il caffè e il latte come elementi davvero suoi; se doveva citare una bevanda allora meglio dire la birra.
  • quella sigaretta che si stava accendendo, sì, e quel modo di portala alle labbra stringendola tra pollice e indice
  • la musica che si ritrovava ad amare
  • il suo basso Fender (e vaffanculo, Paul, che non hai capito quanto cazzo sia importante)
  • Paul (c’era sempre stato in questa lista e non era ancora pronto per toglierlo)
  • i concerti e il relativo cantare, saltare, gettare le braccia in alto
  • perdersi completamente in un libro
Bastava? Boh, per ora era così.
Abbandonò la panchina ad affrontare le sferzate del vento da sola, prese la direzione del mare, ostentando indifferenza verso se stesso nell’alzarsi il cappuccio sulla testa (perché quella era un abitudine di Paul, e lui lo prendeva sempre in giro,  dicendogli che lo facevano i tredicenni).
Mah, era poi giusto definirsi attraverso elementi esterni? Non bisogna cercare se stessi dentro di sè? Beh, dai, per lo meno si definiva in positivo, attraverso le cose che amava. Come in quella canzone dei Franz Ferdinand, no?  Dove c’è lui che parla a lei di tutte le cose che odia e di come non sarà mai niente di tutto ciò, e lei invece sorride e gli menziona qualcosa che le piace e di come la vita deve essere bella vissuta con le cose che ti piacciono. *
Arrivò ad Albert Dock, dove il vento aggrediva le sue prede con violenza decisamente maggiore. I gabbiani se ne stavano stoici allineati su paletti, aste e barche e la loro espressione gli fece scappare inevitabilmente un sorriso. C’erano loro, così buffi, e come sfondo quel classico grigiore, che eppure era perfetto, già. Quella visione gli mosse del piacere dentro. Era una visione che aveva un perché: i contorni delle ciminiere, dei cantieri navali e le gru avevano una storia perchè conservavano l’anima di chi ci aveva lavorato, di chi le aveva viste ogni giorno prima di lui. Aveva un fottuto senso Liverpool. Molto senso. Lo rincuorava, perché era la garanzia che qualcosa di vero esisteva. Come aveva potuto dimenticare di mettere la sua Liverpool nella lista? C’era la vita, c’era la storia in quella città. Lui la vedeva come una città davvero fatta di uomini, uno dei migliori casi in cui gli uomini erano la città. In ogni angolo ti balzava agli occhi il tocco della gente.
E lui pensava di poter essere una di quelle persone che erano state generate  dalla città e che ne erano parte integrante, arricchendola nel suo piccolo, con il suo basso e chissà, qualcosa con la sua imminente laurea in Giornalismo.
Rose non la pensava così, lei se ne era andata a studiare a Londra. Paul invece lo ascoltava, come sempre.
Poggiò i gomiti alla balaustra, lasciò scorrere il vento tra i capelli, fumava calmo.  
Il bello nel mondo c’era, eccome. E questo a volte lo faceva incazzare, perchè non gli permetteva di avere scuse da presentare.
 
 
*Franz Ferdinand, The Dark of the Matinèe

There's someone in my head...
Liverpool <3 l'ho visitata solo per una giornata e mi ha rapito il cuore (non che una Beatlesiana come me si aspettasse di meno).
Per ogni capitolo un diverso personaggio, un diverso luogo e frammento di vita.
Recensite se vi va, mi fa piacere ascoltare opinioni di ogni tipo!
Emily

  
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