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Autore: Vitani    17/06/2015    3 recensioni
[Quinta classificata al contest "I fiori colorano il mondo" indetto da Ayumu Okazaki sul forum di EFP]
Vegeta, in una notte d'estate, fa un sogno che gli rievoca il passato. Al risveglio, il principe dei Saiyan riflette su ciò che ha inesorabilmente perduto, su ciò che possiede e su quanto ha, inaspettatamente, guadagnato.
"Non biasimare te stesso, principe.
Ama la tua realtà.
E vivi, vivi, vivi sempre."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su Efp: Vitani
Nickname sul forum: Vitani
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: /
Introduzione: Vegeta, una notte d’estate, sogna il tempo passato e lo confronta col tempo presente.
Pacchetto/i: Gladiolo
Note dell'autore: Storia partecipante al contest “I fiori colorano il mondo” di Ayumu Okazaki, che mi ha dato il pretesto per scrivere, finalmente, la storia su Vegeta che da tanto avevo in testa. Non ho idea di cosa ne sia uscito, ma vi auguro comunque buona lettura. Almeno spero. Link: http://freeforumzone.leonardo.it/d/11022448/I-fiori-colorano-il-mondo-Multifandom-/discussione.aspx
 
 
 
 
 
 

AMA LA TUA REALTÀ

 



 
Gli arriva al naso l’odore, ferroso, a tratti acre. È un odore che conosce, che ha sentito per l’ultima volta nemmeno troppo tempo fa ma che in quel momento gli appare declinato in maniera del tutto particolare.
Erano… è qualcosa di tanti anni fa.
Si guarda intorno, come rinchiuso nell’oscurità di muri arrotondati.
Sente delle grida, ma non le grida di terrore di qualcuno che cerca di salvarsi dalla morte. Sono le grida di qualcuno che si allena, inframmezzate da risate e da rumori di uomini che cadono a terra. È il momento dei giochi nell’Arena, lo ricorda, quel periodo dell’anno in cui l’aria si fa fumosa per i gas e per la polvere arida che s’alza da un suolo infertile. Non è un pianeta ospitale, Vegeta. È anche per questo che i Saiyan sono i più forti guerrieri dell’universo, perché nascono in un luogo che ai loro occhi neonati è duro come diverranno i loro cuori. Non c’è pietà per i bambini spediti a colonizzare altri mondi, poiché sono il futuro della razza.
L’orecchio del principe Vegeta è ancora distratto da urla di uomini, incitamenti e colpi, e stridore di gladi che sfregano uno contro l’altro giù nelle sabbie dell’Arena.  
Vorrebbe scendere, unirsi a quei plebei anche solo per il piacere di scambiare qualche colpo, di flettere le braccia e sentire i muscoli contrarsi sotto la pelle. Cerca suo padre, il re, s’aspetta da un momento all’altro di vedere apparire dal buio la sua sagoma imponente, il volto squadrato, le labbra piegate da un sorriso arcigno. Portava la barba per nascondere una vecchia cicatrice, ricordo della sua prima e ultima sconfitta. Mai l’avrebbe esibita davanti ai suoi sudditi, re austero e feroce!
Vegeta osserva il buio, là dove dovrebbe essere la porta, ombra fitta tranciata da un unico filo di luce arancio che filtra oltre un vetro semi-oscurato. Non arriva, suo padre. Arrivano il silenzio e quei rumori lontani di battaglia, echi remoti come ricordi.
Non c’è tuo padre, capisce, non sei più il principe, il secondo, l’uomo che ha perso tutto. Sei re.
Si rende conto allora di essere nella torre principale del palazzo, là dove sono le stanze dei regnanti. Ma com’è morto suo padre? Ha un vuoto di memoria che non riesce a spiegarsi.
Quand’è accaduto che è diventato re? E dov’è, dov’è… chi?
Fa un passo verso la porta, deciso ad uscire, e la porta dapprima non s’avvicina. Poi eccola – finalmente! – arcuata e nera come una bocca aliena, inghiottire il suo corpo muscoloso. Indossa l’armatura ma è come se fosse nudo. Non riesce a dar voce al suo timore, percorre un breve corridoio e poi delle scale a chiocciola che s’innervano all’interno della torre. Vuole scendere.
Scende, scende, i suoi stivali ticchettano contro i gradini.
Scende.
Il buio è più profondo, ed è un buio in cui lui dovrebbe poter vedere.
Non ne ha la facoltà.
“Non ti mescolerai al popolo.”
La voce di suo padre echeggia nel vuoto della sua mente, attraverso la tromba della scala a chiocciola, vola nell’oscurità fino a un soffitto inesistente. Manca qualcosa, Vegeta lo sente, qualcosa che è fondamentale.
“Sei il re.”
Ciò che saresti dovuto essere da sempre.
Non secondo, mai secondo.
E dunque cos’era quel vuoto che sentiva nel petto, quell’oppressione, quella mancanza? Cos’era che di importante aveva dimenticato?
Scende le scale della torre, scende, continua a scendere e all’infinito lo farà, perché la chiave è in quel ricordo che non ha. Immagini dei calanchi riarsi del suo pianeta natio, la polvere che gli secca la gola. Non può neanche parlare, la lingua è intorpidita e pare attaccata al palato.
“Non ti mescolerai al popolo.”
La voce, di nuovo, arrogante e superba.
Quale popolo, Vegeta si chiede. Quale popolo? I Saiyan non sono più, in nessun luogo dell’universo. Ode i suoni fuori dalla torre, oltre l’oscurità oltre un luogo che non riesce a vedere.
Calanchi rocciosi riarsi dal sole.
Deserti.
Ma i suoni, i suoni! E quella debole luce, là in fondo, oltre una scala priva di fine.
“Prigioniero, sei prigioniero. Per tutta la vita lo sarai, in questa torre d’orgoglio e paura.”
 
Kakaroth.
 
Quel volto gli appare all’improvviso, emerge dall’angolo di luce con quel sorriso bonario da fesso e da vergogna della loro razza. Eterno secondo, eterno secondo, eterno secondo. Rispetto a lui, al Saiyan di infima categoria cresciuto in un mondo accogliente e caldo, cresciuto nell’amore e che ha imparato quell’amore, nel nome del quale è divenuto il più forte dell’universo.
Non gli parla, l’immagine residua di Kakaroth, semplicemente lo guarda con occhi limpidi e determinati e con la fiducia che lui, il principe, non avrà mai. Lanciato neonato con una capsula verso il lontano e innocuo pianeta Terra, Kakaroth – Goku – vi ha trovato la vita.
E ha lasciato al principe dei Saiyan solo l’invidia e l’amaro pensiero di ciò che gli manca.
Un popolo, un regno, una patria.
 
 
 
I suoi occhi si aprono su un soffitto su cui girano lente le pale di un ventilatore. Ha il respiro appena affannato – maledetta estate e maledetti sogni! – e il corpo leggermente sudato. È stato un movimento al suo fianco a svegliarlo, lieve. Volta un poco la testa e vede i capelli di Bulma, ciocche azzurro scuro nella penombra notturna. Dorme scomposta come solo lei sa fare, con un piede giù dal letto e l’altro addosso a lui, e non si sveglia neppure quando Vegeta si alza a sedere.
Eccola, la sua realtà. Non più quel sogno, non più un paesaggio deserto e arido, ma il calore gentile di un sole dorato e quello avvolgente del corpo di una donna. Lei, nonostante il caldo, gli si avvicina nel sonno. Vegeta non ha mai del tutto compreso che cosa Bulma abbia cercato davvero in lui, tanto tempo fa, se protezione o consolazione o se gli si sia avvicinata per mero desiderio. Qualsiasi cosa fosse, di certo lui non gliel’ha rifiutata. E i mesi, fra alti e bassi, sono diventati anni. Anni di vita comoda, anni di affetto, anni di scaramucce spesso divenute aperti litigi, perché Bulma è talmente cocciuta da non sembrare neppure una terrestre. Non lo teme, forse mai l’ha temuto. Lo ama, invece, e profondamente. Eppure c’è qualcosa, negli occhi di lei quando lo guarda, che somiglia alla pietà.
Eccola, la realtà del principe dei Saiyan.
Un mondo ozioso, accogliente, senza battaglie. Be’, quasi.
Un mondo fatto di relazioni, di amicizie con cui non si mischia – perché è pur sempre un principe. Un mondo che per orgoglio è quasi arrivato a distruggere e che è morto per difendere, quel giorno in cui ha capito che l’orgoglio non conta poi molto, che l’orgoglio forse non è davvero niente in questa vita. L’ha buttato via, giù in quel pozzo di cose perdute.
Perché altro, sì, altro che conta. C’è un figlio per cui è un modello. C’è Kakaroth, quel nemico di ieri, quel modello sempre inarrivabile, un passo in avanti e via col sorriso, quell’uomo infantile, inarrestabile e stupidamente buono che ormai gli è fratello. Condividono, lui e Kakaroth, più di quanto colpisca lo sguardo. Condividono il sangue, la stirpe, l’orgoglio. Condividono anche la sventura di aver sposato due terrestri, perché no!
Sì, perché infine… infine c’è lei, che gli sta accucciata al fianco con la pancia mezza scoperta. Lei che gli ha salvato e gli salva la vita così spesso, con un bacio o un abbraccio.
Lei a cui deve tutto quel che adesso possiede.
Non è poi così brutta, come realtà. Certo non è la vita che aveva sempre pensato di dover condurre, non è il destino che aveva creduto prefissato – principe e poi re e poi sommo fra i guerrieri – ma non rinuncerebbe ad alcuna parte della sua attuale esistenza.
Pensa, di tanto in tanto, a tutto ciò che gli manca: al suo pianeta, al suo titolo, a quella stirpe di guerrieri che mai più solcherà i cieli dello spazio alla ricerca di guerre da combattere. Pensa all’elenco infinito dei suoi morti, quelli che gli sono stati inflitti e quelli che ha provocato di sua mano, e pensa che la loro ombra è lenta a scomparire. Non rinnega niente di ciò che ha fatto, perché niente sarebbe andato diversamente. Senso di superiorità, ferocia, indomabile voglia di vendetta, desiderio di sopravvivere. Nulla di ciò che ha perso tornerà, e capisce cos’è quel sentimento negli occhi di Bulma che tanto s’avvicina alla pietà. Bulma sa, semplicemente, che una parte del suo animo – quella solitaria e randagia e bastarda – non troverà mai la pace. Ne respira l’inquietudine, la tristezza, il senso di inadeguatezza che a tratti hanno rischiato di ottenebrargli l’animo per sempre. E allora lo consola come può, col suo amore e la sensibilità e il suo tenero corpo di donna.
Anche quella volta, quella prima volta di tanti anni fa, andò così.
Lo sa, Vegeta, che non era Bulma ad aver bisogno di essere consolata.
“Non hai perso niente, vivendo sulla Terra! Al contrario, hai guadagnato tutto.”
Parole di Kakaroth, che gli tornano in mente ogni volta che il suo pensiero s’attarda in luoghi che dovrebbe aver dimenticato. Ha guadagnato, sì, anche cose che lo status di principe dei Saiyan non gli avrebbe mai procurato. Ha guadagnato una famiglia, la stima di persone che ha imparato a considerare care, persone che gli hanno perdonato ogni massacro, ogni atrocità. Ha scoperto l’affetto e quei meandri di piccole soddisfazioni che può regalare. Ha scoperto che vivere non è sempre lottare ma che qualche volta è concesso il riposo. Ha scoperto la libertà e la bellezza di combattere e morire per ciò che si vuol difendere. Ha scoperto, infine, che esiste un Vegeta in grado di stringere la sua donna con la delicatezza con cui si stringerebbe una farfalla.
Kakaroth, vorrebbe dirgli, non esiste il contrario di un assassino.
Perfino nel buio di quella stanza può immagine la sagoma alta del Saiyan, può vederlo alzare le spalle e scrutare l’orizzonte come chi non ha un problema al mondo.
Hai ragione, Goku gli risponde, non esiste quel contrario. Però esisti tu.
E cammini, lentamente, sopra i ruderi del vecchio te stesso. Sui mattoni appuntiti della torre dei tuoi sogni, quella torre d’orgoglio e paura, violenza e speranze, che hai abbattuto con fatica anno dopo anno. Oltre le mura c’è ciò che hai costruito.
C’è un mondo il cui cielo ha – ironia della sorte! – il colore dei capelli di Bulma.
Un mondo di cui sei davvero il principe, sia pur non nel modo che avresti pensato.
Un mondo che ha le dimensioni di una famiglia, che è più di quanto tu abbia mai sperato di ottenere.
Più di quanto tu abbia creduto di meritare.
Non biasimare te stesso, principe.
Ama la tua realtà.
E vivi, vivi, vivi sempre.




 

FINE

   
 
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