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Autore: germangirl    18/06/2015    13 recensioni
Prima o poi, ogni donna cade vittima della sindrome da crocerossina. Anche il detective Beckett non ne è immune…
Ambientata nella quarta stagione, dopo “Lynchpin”
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Lanie Parish, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Capitolo 1 – Hey, you’ve reached Richard Castle… Lucky you!

Apre gli occhi a fatica, sentendosi ancora più spossato di quando si è coricato solo poche ore prima. Una telefonata in tarda serata lo ha fatto fiondare sulla scena di un crimine, nonostante le temperature rigide e il fatto che il loft, con il caminetto acceso, fosse un luogo decisamente più invitante. Ma del resto, quando Beckett chiama, Castle risponde. Punto.

Questa volta il cadavere è stato trovato in un vicolo non distante da Central Park, nel cuore di Manhattan. E naturalmente l’analisi della scena del crimine non ha richiesto solo pochi minuti. Poi Beckett non aveva né sciarpa né guanti e lui non poteva certo esimersi dal prestarle la propria stola di cashmere per evitare che si ammalasse. E già che c’era le ha passato pure i guanti, anche se le vanno grandi, assicurandola che a lui non servivano. E’ pur sempre la sua musa e si è beccata una pallottola in pieno petto solo pochi mesi prima. Come dire, è suo dovere prendersi cura di lei. Quella sera i programmi del detective Beckett prevedevano un’uscita con Lanie, a bere qualcosa e a parlare di uomini, non certo una passeggiata sulla neve a cercare indizi, e si era abbigliata di conseguenza. Ovvero un maglioncino leggero scollato, un paio di jeans e il suo cappotto rosso. Peccato che il destino avesse piani diversi per quel povero cadavere senza nome.

Gonfiando il petto, le ha detto che lui è uno che non si ammala mai, quindi che non aveva bisogno di tutti quegli strati di lana. Il solito sbruffone.

Non si è accorto che, appena ha voltato le spalle, Kate si è avvolta la sciarpa al collo e l’ha annusata, affondando il naso nel suo profumo e mordendosi il labbro inferiore. Poi però la risoluta detective ha ripreso il posto della ragazzina e si è messa al lavoro.

Le conseguenze di quella serata in cui ha fatto lo splendido, però, non sono mancate. Questa volta Castle teme di aver beccato una sonora influenza.

Sarà il bagno nell’Hudson di qualche tempo fa, per il quale deve ringraziare Sophia Turner.

Sarà tutta la faccenda legata a quella donna, il tuffo nel passato (accidenti, meglio non usare metafore acquatiche…), quando faceva ricerche per il personaggio di Clara Strike, quell’accenno al ruolo che suo padre avrebbe avuto nell’aprirgli le porte della CIA.

Sarà che negli ultimi giorni non ha dormito molto, vuoi per le parole di Sophia, vuoi per il messaggio minatorio di Gina che aspetta i capitoli del suo nuovo romanzo e lui, tanto per cambiare, è indietro con la consegna, troppo impegnato a giocare al poliziotto.

O forse sarà per quel patto che ha stipulato in quel garage, con quella voce al telefono.

Insomma, per farla breve, quella mattina lo scrittore si sente uno zombie: il suo corpo è scosso dai brividi, un bruciore gli incendia le vie respiratorie e gli occhi sono ancora abbottonati. L’immagine che gli rimanda lo specchio del bagno non corrisponde a ruggedly handsome, nemmeno lontanamente. Ma tutto questo non conta. Se solo il loft smettesse di girare all’impazzata, Castle potrebbe apprestarsi a dare inizio alla sua missione: deve portare il caffè alla sua musa, solo per vedere un sorriso aprirsi sul suo volto, come ormai fa da tempo. E non saranno un mal di testa martellante, un naso colante, la carta vetrata in gola o qualche brivido di freddo a fermarlo. Lo consola il fatto che né Alexis né Martha siano a casa: sua figlia è in viaggio con la scuola e sua madre è in ritiro spirituale in un resort a cinque stelle per lavorare su un progetto teatrale top secret, forse un monologo, di cui Rick ha preferito non sapere nulla, terrorizzato fin nel profondo dall’entusiasmo della Grande Diva. Se non altro, non attaccherà l’influenza anche a loro. Quindi, ingoia un’aspirina al volo, indossa giaccone pesante, sciarpa di lana, guanti e via, verso nuove e scintillanti avventure. Che al momento si limitano a trovare la forza per raggiungere la caffetteria preferita di Beckett.

Giungendo al Dodicesimo, gli pare di aver compiuto uno sforzo sovrumano e il suo aspetto non deve essere migliorato nemmeno un pochino da quando si è alzato dal letto, tanto che persino Ryan, che di solito ci va giù meno pesante di Espo, lo apostrofa con un “you look like you got hit by the milk truck”.

Però poi vede lei, appoggiata sulla scrivania di fronte alla lavagna sulla quale ha già cominciato ad appendere foto e ad annotare le informazioni raccolte. La osserva per qualche attimo, mentre è intenta a studiare con attenzione gli indizi e le immagini, come dimostra quella ruga che le si forma sulla fronte quando è concentrata su qualcosa. E gli sembra quasi che l’influenza sia solo un lontano ricordo. Ma l’ennesimo brivido, seguito da un capogiro, gli fanno comprendere che le virtù taumaturgiche del detective Beckett non arrivano a tanto. Fa finta di niente e si lascia scivolare con nonchalance sulla sedia vicino alla scrivania, giusto in tempo per evitare di collassare rovinosamente sul pavimento, porgendole il suo caffè e chiedendole gli sviluppi del caso.

A sua volta, Beckett pretende di non aver visto in quale stato sia il suo scrittore, troppo felice di averlo vicino anche stamani. E non certo perché le ha portato la sua dose quotidiana di caffeina. Da quando ha cominciato la terapia con il dottor Burke, per essere precisi da quando l’ha cominciata di sua spontanea volontà e non solo allo scopo di rientrare in servizio a tempo record, ha fatto dei notevoli passi avanti nel comprendere cosa prova per Castle.

Stronzate.

Sa perfettamente cosa prova per Rick, anche senza l’intervento dello strizzacervelli. E’ pazza di lui. Lo ama con la stessa intensità che ha percepito nelle parole di lui quel maledetto giorno al cimitero, ma è fottutamente spaventata ed è ancora prigioniera, almeno in parte, di quel muro che ha tirato su con tanta determinazione in tutti questi anni.

Per adesso si limita a sorridergli, con uno di quei sorrisi che a lui scaldano il cuore, e a ringraziarlo, poi lo aggiorna su ciò che hanno scoperto: si tratta di Lizzie Donaldson, 17 anni, studentessa presso una prestigiosa scuola privata. Dalle prime informazioni raccolte, dietro la facciata da brava ragazza pare nascondesse una brutta storia di tossicodipendenza. Figlia unica, le sue amiche hanno confermato che non aveva un bel rapporto con i propri genitori, totalmente anaffettivi, e che negli ultimi tempi aveva cominciato a frequentare un gruppo di balordi. Il padre pare fosse sempre impegnato a fare soldi, mentre la madre era altrettanto impegnata a farsi il giardiniere. E il massaggiatore. E probabilmente anche un collega del padre.

Le tragedie che colpiscono delle ragazzine hanno sempre un effetto amplificato su Rick: anche in questo caso, Kate lo vede armeggiare con il cellulare, pronto a mandare un messaggio alla sua Alexis, ansioso di sapere se stia bene. Adora il suo essere un padre affettuoso, una caratteristica che l’ha affascinata sin da subito.

Ri-stronzate.

Sin da subito è stata affascinata da lui in quanto è il suo scrittore preferito ed è uno degli uomini più fighi che abbia mai incontrato. Punto. Ma questo naturalmente non glielo può confessare, non sia mai.

Nel corso della mattinata, mentre Esposito e Ryan sono fuori in cerca di quella banda di ragazzi per bene che paiono aver trascinato Lizzie sulla cattiva strada, Rick si limita a ciondolare sulla sedia, cercando disperatamente di non addormentarsi fra uno starnuto e l’altro.

All’ennesima manifestazione sonora di quel raffreddore, il capitano Gates esce dal proprio ufficio. Ha le mani sui fianchi e gli occhiali sono in bilico sulla punta del naso, contro ogni legge della gravità. “SIGNOR CASTLE, credo che il suo maggior contributo oggi sia di aver diffuso germi e microbi nell’intero distretto. Non voglio correre il rischio di avere metà dei miei uomini a letto con la febbre domani, per cui mi faccia il piacere di andarsene a casa. SUBITO. E non osi rimettere piede nel MIO distretto prima di essersi ristabilito del tutto, sono stata chiara?”

Quella donna decisamente non lo adora.

Rick non ha nemmeno la forza di ribattere a quell’ordine perché, in cuor suo, sa perfettamente che Iron Gates ha ragione da vendere. Gli dispiace solo allontanarsi da Beckett, perché… beh, è facile immaginarsi il perché. Ma questa influenza lo sta davvero mettendo KO e tutto sommato l’idea di sdraiarsi per qualche ora non gli pare poi tanto malvagia.

“Ci vediamo domani, detective” le dice con voce roca.

“Ciao Castle, riguardati” gli risponde, mentre la sindrome da crocerossina, da cui nemmeno l’integerrimo detective Beckett è immune, le suggerirebbe di prendersi cura lei in prima persona del suo scrittore. Ma il dovere la chiama e la tiene incollata alla scrivania.

Da quel momento, Rick è come se fosse sparito, ingoiato dalla Grande Mela.

36.

Trentasei.

T-R-E-N-T-A-S-E-I ore e nessuna notizia da parte sua. Non risponde ai messaggi né alle chiamate. Beckett non ne può più di sentire “Hey, you’ve reached Richard Castle… Lucky you”. Lucky you un cavolo! Ha telefonato anche a Martha e Alexis, ma nemmeno loro sono riuscite a mettersi in contatto con lui e le hanno chiesto di verificare di persona.

Avendo risolto velocemente il caso – la povera Lizzie si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era finita in un regolamento di conti fra bande per la spartizione dei territori per lo spaccio di droga – Beckett si concede il lusso di uscire puntualmente al termine del proprio turno, lasciando le scartoffie al turno successivo, che per sua fortuna non sarà prima di lunedì. Da 36 ore un tarlo le sta consumando il cervello e comprende che non c’è altro modo per avere un po’ di pace. Deve sapere come sta Castle, e non certo perché gliel’hanno chiesto le due rosse.

Una vocina continua a dirle che probabilmente lo scrittore se la sta spassando con qualche biondona, magari con una hostess, che sia fun and uncomplicated, quindi la sua preoccupazione è del tutto fuori luogo. Ma considerando che nemmeno sua figlia ha sue notizie, un’altra vocina le dice che è il caso di intervenire.

Arrivando al 595 di Broome Street, Kate saluta cordialmente Miguel Hernandez, il portiere che presidia la hall, impegnato in una telefonata con la signora Taylor del terzo piano. La riconosce al volo, quella graziosa detective che da tempo frequenta il signor Castle. E gli piace assai di più di tutte quelle hundreds of super hot girlfriends che negli anni hanno avuto accesso al loft dello scrittore. Per carità, non si può certo lamentare di quelle frequentazioni: in fin dei conti, gli hanno dato modo di bearsi della vista di un discreto numero di belle donne. Ma il detective Beckett ha qualcosa di speciale. Non è artificiale come le altre: la sua è una bellezza autentica, pura.

“Buonasera detective Beckett, cosa posso fare per lei?” le chiede il signor Hernandez appena mette fine a quella interminabile chiamata.

“Buonasera Miguel, mi dispiace disturbarla, ma non riesco a mettermi in contatto con il signor Castle da due giorni. Sa se è in casa?”

“Credo di sì, non mi pare di averlo visto uscire. In effetti, non aveva una bella cera quando è rientrato ieri all’ora di pranzo” risponde, non celando un accenno di preoccupazione nella voce. Il signor Castle è sempre stato generoso con lui, non soltanto con le mance ma chiedendogli spesso della famiglia rimasta in Messico e preparando una raccomandazione per suo figlio, permettendogli così di accedere a una borsa di studio per il college. Sono cose che non si dimenticano. “Provo a cercarlo con l’interfono”

Niente. Anche quello squilla a vuoto.

“Sarebbe così gentile da aprirmi il loft? Comincio ad essere un po’ in ansia. Non è da Rick… voglio dire, non è dal signor Castle non rispondere alle chiamate o ai messaggi. Quell’uomo vive appiccicato al suo cellulare! E anche Alexis non lo sente da un paio di giorni”

“Tutto questo è decisamente strano. Venga, detective, la accompagno all’ultimo piano”

Il viaggio in ascensore si svolge in silenzio, vuoi per la riservatezza del portiere, vuoi per l’ansia di Kate.

Giunti davanti al loft, Miguel utilizza la sua tessera magnetica e sblocca la porta, lasciando entrare la detective che accende la luce. A una prima occhiata non c’è assolutamente niente di insolito. A parte il silenzio. La zona giorno è ordinata e tutti gli aggeggi elettronici di ultimissima generazione sono al loro posto.

Anche se ha vissuto in quella casa per qualche giorno, quando il proprio appartamento era saltato in aria per gentile concessione di Scott Dunn, Kate prova un certo disagio ad aggirarsi lì dentro senza gli effettivi inquilini. Ma è un pensiero che dura lo spazio di un respiro, perché ha una missione da compiere: scovare lo scrittore. Si reca a passo deciso verso la sua stanza, mentre il signor Hernandez rimane impalato sull’uscio, quasi a non voler infrangere un codice etico.

La camera è in penombra, ma la luce proveniente dal corridoio le permette di distinguere che nel letto c’è qualcuno. Una massa aggrovigliata di coperte che potrebbe ricordare vagamente uno scrittore di gialli di successo.

Si avvicina a lui e un senso di terrore le attanaglia le viscere. Del resto, di mestiere fa la detective della squadra omicidi ed è abituata ad avere a che fare con scene del crimine il cui contenuto è spesso cruento.

“Dio, fa che stia bene” è il pensiero che si forma nella sua mente e nel suo cuore.

Lo chiama ma non ottiene alcuna risposta e quella sensazione terribile si rafforza, fin quasi a chiuderle la gola.

Si china sul letto e gli mette una mano sulla fronte.

E’ bollente.

Ma almeno è vivo.

Rilascia un respiro che non si era accorta di aver trattenuto e prova a scuoterlo.

Lo scrittore le sussurra: “Don’t get up yet, stay in bed

Ok, questo conferma che è vivo. Forse non del tutto lucido, ma almeno parla.

“Castle” lo chiama di nuovo, toccandogli un braccio, finché lui apre gli occhi, li chiude, poi li riapre quasi a voler mettere a fuoco ciò che vede. “Kate… Hi” le dice e prova anche a sorridere.

“Ehy, come stai? Dove sei finito in tutto questo tempo?” gli chiede.

“Detective… non mi vedi da un paio d’ore… e senti già la mia mancanza?” le risponde a fatica.

“Castle, non rispondi alle chiamate né ai messaggi da quasi due giorni, non da due ore. Io… ero preoccupata” gli confessa.

“D-due giorni? Oh, credo…credo di aver dormito… e ho mal di testa” annuncia, toccandosi la tempia. Nel frattempo, Kate si abbassa e posa le labbra sulla sua fronte, lasciandolo quasi congelato davanti a quel gesto così intimo. O forse sta avendo un’allucinazione, questo non è il comportamento di Beckett.

“C-cosa s-stai facendo?” le chiede.

“Ti provo la febbre. Lo faceva sempre mia mamma quando ero piccola. Accidenti, Castle, scotti. Hai un antipiretico da qualche parte? Dobbiamo assolutamente far scendere la temperatura”

“Armadietto del bagno” le dice, stremato dall’influenza, dalla disidratazione e dalla sorpresa di vederla impegnata a prendersi cura di lui.

No, un momento. Proviamo a riformulare questo pensiero.

Kate Beckett è venuta a cercarlo nel suo appartamento perché non lo sente da un giorno e mezzo e adesso sta cercando l’aspirina nel mobiletto del suo bagno. Ah, e gli ha provato la febbre poggiandogli le labbra sulla fronte. Wow, quest’influenza non è poi così male se gli provoca queste allucinazioni! Non c’è altra spiegazione. Ora gli basterà sbattere gli occhi e tutto tornerà normale.

Lo fa, ma ciò che vede invece è la sua musa che gli porge delle pillole e un bicchier d’acqua e gli sorride, incoraggiandolo anche con lo sguardo. Inghiottisce la medicina e gli pare che gli abbiano strofinato la lana d’acciaio lungo trachea ed esofago.

“Devi bere, Castle. Tutto il bicchiere, forza” gli ordina.

“Ma mi fa male la gola” piagnucola.

“Non fare il bambino, Rick. Le tue labbra secche sono un sintomo di disidratazione. Adesso fai il bravo e riposati, intanto io saluto Miguel, poi chiamo Alexis e Martha e le avverto che sei un po’ accoppato ma stai bene”.

Annuisce a fatica e sente le palpebre farsi di nuovo pesanti. Prima però trova la forza di chiederle: “Kate? Ti troverò qui quando mi sveglio? E non ci saranno manette? O una tigre?”

Gli sorride in risposta: “Tranquillo, non vado da nessuna parte”

 

Nota dell’autrice

Dopo aver fatto qualche viaggio lungo il viale dei ricordi con JAG, torno a scrivere sui Caskett… mamma mia, da quanto non li portavo a fare un giro!

Spero che mi seguirete in questa breve rivisitazione della quarta stagione, quando i nostri tontoloni erano, appunto, ancora dei deliziosi tontoloni.

Grazie come sempre al mio angelo custode e alla sua preziosa penna verde.

E a tutti voi, per avermi regalato il vostro tempo ed essere arrivati fino qui.

Un abbraccio,

Deb

  
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