Capitolo 1 – Hey,
you’ve reached Richard Castle… Lucky
you!
Apre
gli occhi a fatica, sentendosi ancora più spossato
di quando si è coricato solo poche ore prima. Una telefonata
in tarda serata lo
ha fatto fiondare sulla scena di un crimine, nonostante le temperature
rigide e
il fatto che il loft, con il caminetto acceso, fosse un luogo
decisamente più
invitante. Ma del resto, quando Beckett chiama, Castle risponde. Punto.
Questa
volta il cadavere è stato trovato in un vicolo non
distante da Central Park, nel cuore di Manhattan. E naturalmente
l’analisi
della scena del crimine non ha richiesto solo pochi minuti. Poi Beckett
non
aveva né sciarpa né guanti e lui non poteva certo
esimersi dal prestarle la
propria stola di cashmere per evitare che si ammalasse. E
già che c’era le ha
passato pure i guanti, anche se le vanno grandi, assicurandola che a
lui non
servivano. E’ pur sempre la sua musa e si è
beccata una pallottola in pieno
petto solo pochi mesi prima. Come dire, è suo dovere
prendersi cura di lei. Quella
sera i programmi del detective Beckett prevedevano un’uscita
con Lanie, a bere
qualcosa e a parlare di uomini, non certo una passeggiata sulla neve a
cercare
indizi, e si era abbigliata di conseguenza. Ovvero un maglioncino
leggero
scollato, un paio di jeans e il suo cappotto rosso. Peccato che il
destino
avesse piani diversi per quel povero cadavere senza nome.
Gonfiando
il petto, le ha detto che lui è uno che non si
ammala mai, quindi che non aveva bisogno di tutti quegli strati di
lana. Il
solito sbruffone.
Non
si è accorto che, appena ha voltato le spalle, Kate
si è avvolta la sciarpa al collo e l’ha annusata,
affondando il naso nel suo
profumo e mordendosi il labbro inferiore. Poi però la
risoluta detective ha
ripreso il posto della ragazzina e si è messa al lavoro.
Le
conseguenze di quella serata in cui ha fatto lo
splendido, però, non sono mancate. Questa volta Castle teme
di aver beccato una
sonora influenza.
Sarà
il bagno nell’Hudson di qualche tempo fa, per il
quale deve ringraziare Sophia Turner.
Sarà
tutta la faccenda legata a quella donna, il tuffo
nel passato (accidenti, meglio non usare metafore
acquatiche…), quando faceva
ricerche per il personaggio di Clara Strike, quell’accenno al
ruolo che suo
padre avrebbe avuto nell’aprirgli le porte della CIA.
Sarà
che negli ultimi giorni non ha dormito molto, vuoi
per le parole di Sophia, vuoi per il messaggio minatorio di Gina che
aspetta i
capitoli del suo nuovo romanzo e lui, tanto per cambiare, è
indietro con la
consegna, troppo impegnato a giocare al poliziotto.
O
forse sarà per quel patto che ha stipulato in quel
garage, con quella voce al telefono.
Insomma,
per farla breve, quella mattina lo scrittore si
sente uno zombie: il suo corpo è scosso dai brividi, un
bruciore gli incendia le
vie respiratorie e gli occhi sono ancora abbottonati.
L’immagine che gli
rimanda lo specchio del bagno non corrisponde a ruggedly
handsome, nemmeno lontanamente. Ma tutto questo non conta.
Se solo il loft smettesse di girare all’impazzata, Castle
potrebbe apprestarsi
a dare inizio alla sua missione: deve portare il caffè alla
sua musa, solo per
vedere un sorriso aprirsi sul suo volto, come ormai fa da tempo. E non
saranno
un mal di testa martellante, un naso colante, la carta vetrata in gola
o
qualche brivido di freddo a fermarlo. Lo consola il fatto che
né Alexis né
Martha siano a casa: sua figlia è in viaggio con la scuola e
sua madre è in
ritiro spirituale in un resort a cinque stelle per lavorare su un
progetto
teatrale top secret, forse un monologo, di cui Rick ha preferito non
sapere
nulla, terrorizzato fin nel profondo dall’entusiasmo della
Grande Diva. Se non
altro, non attaccherà l’influenza anche a loro.
Quindi, ingoia un’aspirina al
volo, indossa giaccone pesante, sciarpa di lana, guanti e via, verso
nuove e
scintillanti avventure. Che al momento si limitano a trovare la forza
per
raggiungere la caffetteria preferita di Beckett.
Giungendo
al Dodicesimo, gli pare di aver compiuto uno
sforzo sovrumano e il suo aspetto non deve essere migliorato nemmeno un
pochino
da quando si è alzato dal letto, tanto che persino Ryan, che
di solito ci va
giù meno pesante di Espo, lo apostrofa con un “you look like you got hit by the milk truck”.
Però
poi vede lei, appoggiata sulla scrivania di fronte
alla lavagna sulla quale ha già cominciato ad appendere foto
e ad annotare le
informazioni raccolte. La osserva per qualche attimo, mentre
è intenta a
studiare con attenzione gli indizi e le immagini, come dimostra quella
ruga che
le si forma sulla fronte quando è concentrata su qualcosa. E
gli sembra quasi
che l’influenza sia solo un lontano ricordo. Ma
l’ennesimo brivido, seguito da
un capogiro, gli fanno comprendere che le virtù
taumaturgiche del detective
Beckett non arrivano a tanto. Fa finta di niente e si lascia scivolare
con
nonchalance sulla sedia vicino alla scrivania, giusto in tempo per
evitare di
collassare rovinosamente sul pavimento, porgendole il suo
caffè e chiedendole gli
sviluppi del caso.
A
sua volta, Beckett pretende di non aver visto in quale
stato sia il suo scrittore, troppo felice di averlo vicino anche
stamani. E non
certo perché le ha portato la sua dose quotidiana di
caffeina. Da quando ha
cominciato la terapia con il dottor Burke, per essere precisi da quando
l’ha
cominciata di sua spontanea volontà e non solo allo scopo di
rientrare in
servizio a tempo record, ha fatto dei notevoli passi avanti nel
comprendere
cosa prova per Castle.
Stronzate.
Sa
perfettamente cosa prova per Rick, anche senza
l’intervento dello strizzacervelli. E’ pazza di
lui. Lo ama con la stessa
intensità che ha percepito nelle parole di lui quel
maledetto giorno al
cimitero, ma è fottutamente spaventata ed è
ancora prigioniera, almeno in
parte, di quel muro che ha tirato su con tanta determinazione in tutti
questi
anni.
Per
adesso si limita a sorridergli, con uno di quei
sorrisi che a lui scaldano il cuore, e a ringraziarlo, poi lo aggiorna
su ciò
che hanno scoperto: si tratta di Lizzie Donaldson, 17 anni, studentessa
presso
una prestigiosa scuola privata. Dalle prime informazioni raccolte,
dietro la
facciata da brava ragazza pare nascondesse una brutta storia di
tossicodipendenza. Figlia unica, le sue amiche hanno confermato che non
aveva
un bel rapporto con i propri genitori, totalmente anaffettivi, e che
negli
ultimi tempi aveva cominciato a frequentare un gruppo di balordi. Il
padre pare
fosse sempre impegnato a fare soldi, mentre la madre era altrettanto
impegnata
a farsi il giardiniere. E il massaggiatore. E probabilmente anche un
collega
del padre.
Le
tragedie che colpiscono delle ragazzine hanno sempre
un effetto amplificato su Rick: anche in questo caso, Kate lo vede
armeggiare
con il cellulare, pronto a mandare un messaggio alla sua Alexis,
ansioso di
sapere se stia bene. Adora il suo essere un padre affettuoso, una
caratteristica
che l’ha affascinata sin da subito.
Ri-stronzate.
Sin
da subito è stata affascinata da lui in quanto è
il
suo scrittore preferito ed è uno degli uomini più
fighi che abbia mai
incontrato. Punto. Ma questo naturalmente non glielo può
confessare, non sia mai.
Nel
corso della mattinata, mentre Esposito e Ryan sono
fuori in cerca di quella banda di ragazzi per bene che paiono aver
trascinato
Lizzie sulla cattiva strada, Rick si limita a ciondolare sulla sedia,
cercando
disperatamente di non addormentarsi fra uno starnuto e
l’altro.
All’ennesima
manifestazione sonora di quel raffreddore,
il capitano Gates esce dal proprio ufficio. Ha le mani sui fianchi e
gli
occhiali sono in bilico sulla punta del naso, contro ogni legge della
gravità. “SIGNOR
CASTLE, credo che il suo maggior contributo oggi sia di aver diffuso
germi e
microbi nell’intero distretto. Non voglio correre il rischio
di avere metà dei
miei uomini a letto con la febbre domani, per cui mi faccia il piacere
di
andarsene a casa. SUBITO. E non osi rimettere piede nel MIO distretto
prima di
essersi ristabilito del tutto, sono stata chiara?”
Quella
donna decisamente non lo adora.
Rick
non ha nemmeno la forza di ribattere a quell’ordine
perché, in cuor suo, sa perfettamente che Iron Gates ha
ragione da vendere. Gli
dispiace solo allontanarsi da Beckett, perché…
beh, è facile immaginarsi il
perché. Ma questa influenza lo sta davvero mettendo KO e
tutto sommato l’idea
di sdraiarsi per qualche ora non gli pare poi tanto malvagia.
“Ci
vediamo domani, detective” le dice con voce roca.
“Ciao
Castle, riguardati” gli risponde, mentre la
sindrome da crocerossina, da cui nemmeno l’integerrimo
detective Beckett è immune,
le suggerirebbe di prendersi cura lei in prima persona del suo
scrittore. Ma il
dovere la chiama e la tiene incollata alla scrivania.
Da
quel momento, Rick è come se fosse sparito, ingoiato
dalla Grande Mela.
36.
Trentasei.
T-R-E-N-T-A-S-E-I
ore e nessuna notizia da parte sua. Non
risponde ai messaggi né alle chiamate. Beckett non ne
può più di sentire “Hey,
you’ve reached Richard Castle… Lucky
you”. Lucky you un cavolo! Ha telefonato anche a
Martha e Alexis, ma
nemmeno loro sono riuscite a mettersi in contatto con lui e le hanno
chiesto di
verificare di persona.
Avendo
risolto velocemente il caso – la povera Lizzie si
era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era finita in
un
regolamento di conti fra bande per la spartizione dei territori per lo
spaccio
di droga – Beckett si concede il lusso di uscire puntualmente
al termine del
proprio turno, lasciando le scartoffie al turno successivo, che per sua
fortuna
non sarà prima di lunedì. Da 36 ore un tarlo le
sta consumando il cervello e
comprende che non c’è altro modo per avere un
po’ di pace. Deve sapere come sta
Castle, e non certo perché gliel’hanno chiesto le
due rosse.
Una
vocina continua a dirle che probabilmente lo
scrittore se la sta spassando con qualche biondona, magari con una
hostess, che
sia fun and uncomplicated, quindi
la
sua preoccupazione è del tutto fuori luogo. Ma considerando
che nemmeno sua
figlia ha sue notizie, un’altra vocina le dice che
è il caso di intervenire.
Arrivando
al 595 di Broome Street, Kate saluta
cordialmente Miguel Hernandez, il portiere che presidia la hall,
impegnato in
una telefonata con la signora Taylor del terzo piano. La riconosce al
volo,
quella graziosa detective che da tempo frequenta il signor Castle. E
gli piace
assai di più di tutte quelle hundreds
of
super hot girlfriends che negli anni hanno avuto accesso al
loft dello scrittore.
Per carità, non si può certo lamentare di quelle
frequentazioni: in fin dei
conti, gli hanno dato modo di bearsi della vista di un discreto numero
di belle
donne. Ma il detective Beckett ha qualcosa di speciale. Non
è artificiale come
le altre: la sua è una bellezza autentica, pura.
“Buonasera
detective Beckett, cosa posso fare per lei?”
le chiede il signor Hernandez appena mette fine a quella interminabile
chiamata.
“Buonasera
Miguel, mi dispiace disturbarla, ma non riesco
a mettermi in contatto con il signor Castle da due giorni. Sa se
è in casa?”
“Credo
di sì, non mi pare di averlo visto uscire. In
effetti, non aveva una bella cera quando è rientrato ieri
all’ora di pranzo”
risponde, non celando un accenno di preoccupazione nella voce. Il
signor Castle
è sempre stato generoso con lui, non soltanto con le mance
ma chiedendogli
spesso della famiglia rimasta in Messico e preparando una
raccomandazione per
suo figlio, permettendogli così di accedere a una borsa di
studio per il
college. Sono cose che non si dimenticano. “Provo a cercarlo
con l’interfono”
Niente.
Anche quello squilla a vuoto.
“Sarebbe
così gentile da aprirmi il loft? Comincio ad
essere un po’ in ansia. Non è da Rick…
voglio dire, non è dal signor Castle non
rispondere alle chiamate o ai messaggi. Quell’uomo vive
appiccicato al suo
cellulare! E anche Alexis non lo sente da un paio di giorni”
“Tutto
questo è decisamente strano. Venga, detective, la
accompagno all’ultimo piano”
Il
viaggio in ascensore si svolge in silenzio, vuoi per
la riservatezza del portiere, vuoi per l’ansia di Kate.
Giunti
davanti al loft, Miguel utilizza la sua tessera
magnetica e sblocca la porta, lasciando entrare la detective che
accende la
luce. A una prima occhiata non c’è assolutamente
niente di insolito. A parte il
silenzio. La zona giorno è ordinata e tutti gli aggeggi
elettronici di
ultimissima generazione sono al loro posto.
Anche
se ha vissuto in quella casa per qualche giorno,
quando il proprio appartamento era saltato in aria per gentile
concessione di Scott
Dunn, Kate prova un certo disagio ad aggirarsi lì dentro
senza gli effettivi
inquilini. Ma è un pensiero che dura lo spazio di un
respiro, perché ha una
missione da compiere: scovare lo scrittore. Si reca a passo deciso
verso la sua
stanza, mentre il signor Hernandez rimane impalato
sull’uscio, quasi a non
voler infrangere un codice etico.
La
camera è in penombra, ma la luce proveniente dal
corridoio le permette di distinguere che nel letto
c’è qualcuno. Una massa
aggrovigliata di coperte che potrebbe ricordare vagamente uno scrittore
di
gialli di successo.
Si
avvicina a lui e un senso di terrore le attanaglia le
viscere. Del resto, di mestiere fa la detective della squadra omicidi
ed è
abituata ad avere a che fare con scene del crimine il cui contenuto
è spesso
cruento.
“Dio,
fa che stia bene” è il pensiero che si forma nella
sua mente e nel suo cuore.
Lo
chiama ma non ottiene alcuna risposta e quella
sensazione terribile si rafforza, fin quasi a chiuderle la gola.
Si
china sul letto e gli mette una mano sulla fronte.
E’
bollente.
Ma
almeno è vivo.
Rilascia
un respiro che non si era accorta di aver
trattenuto e prova a scuoterlo.
Lo
scrittore le sussurra: “Don’t
get up yet, stay in bed”
Ok,
questo conferma che è vivo. Forse non del tutto lucido,
ma almeno parla.
“Castle”
lo chiama di nuovo, toccandogli un braccio,
finché lui apre gli occhi, li chiude, poi li riapre quasi a
voler mettere a
fuoco ciò che vede. “Kate…
Hi” le
dice e prova anche a sorridere.
“Ehy,
come stai? Dove sei finito in tutto questo tempo?”
gli chiede.
“Detective…
non mi vedi da un paio d’ore… e senti
già la
mia mancanza?” le risponde a fatica.
“Castle,
non rispondi alle chiamate né ai messaggi da
quasi due giorni, non da due ore. Io… ero
preoccupata” gli confessa.
“D-due
giorni? Oh, credo…credo di aver dormito… e ho mal
di testa” annuncia, toccandosi la tempia. Nel frattempo, Kate
si abbassa e posa
le labbra sulla sua fronte, lasciandolo quasi congelato davanti a quel
gesto
così intimo. O forse sta avendo un’allucinazione,
questo non è il comportamento
di Beckett.
“C-cosa
s-stai facendo?” le chiede.
“Ti
provo la febbre. Lo faceva sempre mia mamma quando
ero piccola. Accidenti, Castle, scotti. Hai un antipiretico da qualche
parte?
Dobbiamo assolutamente far scendere la temperatura”
“Armadietto
del bagno” le dice, stremato dall’influenza, dalla
disidratazione e dalla sorpresa di vederla impegnata a prendersi cura
di lui.
No,
un momento. Proviamo a riformulare questo pensiero.
Kate
Beckett è venuta a cercarlo nel suo appartamento
perché non lo sente da un giorno e mezzo e adesso sta
cercando l’aspirina nel
mobiletto del suo bagno. Ah, e gli ha provato la febbre poggiandogli le
labbra
sulla fronte. Wow, quest’influenza non è poi
così male se gli provoca queste
allucinazioni! Non c’è altra spiegazione. Ora gli
basterà sbattere gli occhi e
tutto tornerà normale.
Lo
fa, ma ciò che vede invece è la sua musa che gli
porge
delle pillole e un bicchier d’acqua e gli sorride,
incoraggiandolo anche con lo
sguardo. Inghiottisce la medicina e gli pare che gli abbiano strofinato
la lana
d’acciaio lungo trachea ed esofago.
“Devi
bere, Castle. Tutto il bicchiere, forza” gli
ordina.
“Ma
mi fa male la gola” piagnucola.
“Non
fare il bambino, Rick. Le tue labbra secche sono un
sintomo di disidratazione. Adesso fai il bravo e riposati, intanto io
saluto
Miguel, poi chiamo Alexis e Martha e le avverto che sei un
po’ accoppato ma
stai bene”.
Annuisce
a fatica e sente le palpebre farsi di nuovo
pesanti. Prima però trova la forza di chiederle:
“Kate? Ti troverò qui quando
mi sveglio? E non ci saranno manette? O una tigre?”
Gli
sorride in risposta: “Tranquillo, non vado da nessuna
parte”
Nota
dell’autrice
Dopo
aver fatto qualche viaggio lungo il viale dei ricordi con JAG, torno a
scrivere
sui Caskett… mamma mia, da quanto non li portavo a fare un
giro!
Spero
che mi seguirete in questa breve rivisitazione della quarta stagione,
quando i
nostri tontoloni erano, appunto, ancora dei deliziosi tontoloni.
Grazie
come sempre al mio angelo custode e alla sua preziosa penna verde.
E
a
tutti voi, per avermi regalato il vostro tempo ed essere arrivati fino
qui.
Un
abbraccio,
Deb