IN HIS APARTMENT.
SINGOLO ATTO.
Misaki si
rigirava tra le mani quel pezzetto di foglio, ormai tutto spiegazzato,
dove vi
era scritto, in una calligrafia abbastanza chiara,
l’indirizzo di Usui.
Palazzo grigio. Stanza No.000, ultimo piano. Così
recitava quel piccolo
foglio di carta.
Si sentiva in colpa per avergli causato quelle ferite alle braccia, non
l’aveva
fatto volontariamente questo è certo, ma rimaneva sempre lei
la motivazione del
suo “dolore fisico”.
Sì, era questa la motivazione per cui voleva andarlo a
trovare; non c’entrava
nulla il fatto che in fondo sentiva solamente il bisogno di vederlo, di
stargli
accanto. E…
Forse era talmente agitata che non sentiva neanche il suo
cuore che le
batteva così forte nel petto.
Forse era talmente agitata che non capiva che
quando lui non c’era o se
ne andava lei si sentiva sola.(*)
Facendo un respiro profondo, e inghiottendo un po’ di saliva,
avanzò di un paio
di passi trovandosi davanti al portone dell’edifico.
Stava per citofonare, pigiando un piccolo bottoncino nero vicino alla
scritta:
“Takumi U.”, quando il portone si aprì
mostrando la figura di una signora
minuta seguita da un gattino.
La signora la guardò con curiosità mista a
tenerezza, chiedendole: «Cosa ci fa
qui una bella ragazza come te?», a Misaki le si imporporarono
le guance, «Io…
Beh, sono venuta a trovare un… Amico.», rispose
con una nota di incertezza
all’inizio e alla fine.
Per cercare di terminare quella breve, ma imbarazzante situazione si
scusò, per
poi mormorare un “arrivederci.”, e sorpassarla.
«Oh, sicuramente sta andando a fare visita a quel bel
giovanotto di nome Usui,
che dici Gypsy?», domandò l’anziana
donna rivolgendosi al suo gatto, che mugolò
come a risponderle, la donna si voltò a guardarla, e Misaki
sentì quello
sguardo bruciarle la schiena, «Starebbero bene
insieme.», disse tra sé e sé la
donna, «Ah, l’amour.»,
sospirò subito dopo, uscendo definitivamente dal
palazzo insieme al suo micio.
Quella donna l’aveva resa nervosa, così Misaki
preferì salire le scale che
prendere l’ascensore, in modo da rimandare almeno per un
po’ il momento in cui
avrebbe avuto davanti Usui.
Di sicuro, non si sarebbe mai immaginata l’
“Usui” che si sarebbe ritrovata
davanti una volta finite quelle interminabili, secondo lei, scale,
pentendosi
ancora una volta di averle preferite all’ascensore.
«Gasp.(**)», Misaki si
piegò su se stessa appoggiando i palmi delle mani
sulle ginocchia respirando affannosamente. Dopo essersi ripresa e aver
fatto un
respiro profondo, fece altri due passi ritrovandosi di fronte alla
porta
dell’appartamento di Usui.
Oramai, era ridicolo pentirsi di essere andata fin lì,
d'altronde lei, in
fondo, voleva vederlo.
Così alzò la mano e fece una leggera pressione
sul campanello a lato della
porta.
L’attimo seguente la porta si aprì.
***
Stava
preparando, o meglio, cercava di preparasi -come meglio poteva-
qualcosa da
mettere sotto i denti, aveva un leggero languorino, ma il braccio
sostenuto
dalla benda e le ferite al braccio destro non l’aiutavano di
certo.
Aveva cominciato a innervosirsi, e alcune goccioline dei sudore gli
scorrevano
sul collo.
Così rinunciò all’impresa, lasciando
ciò che aveva uscito dagli stipetti sul
tavolo della cucina, uscendo poi da questa stanza per andare a
sdraiarsi sul
divano.
Una volta sdraiato sul divano si crogiolò nei suoi pensieri,
che riguardavano,
da un po’ di tempo a questa parte lei. Misaki.
L’ultima volta che l’aveva vista era stato il
giorno delle audizioni, quando
subito dopo lei l’aveva accompagnato in ospedale per fargli
medicare quelle
ferite.
Pensò alla sua espressione quando lo pregò di
fermarsi a suonare quel violino.
Nel momento in cui i suoi pensieri stavano sbiadendo dando spazio al
sonno il
campanello suonò.
Chiedendosi chi fosse aprì la porta, ritrovandosela
davanti.
***
L’espressione
di entrambi era un misto tra imbarazzo e sbigottimento, lui per la
sorpresa di
trovarsela davanti, lei per la grandezza dell’appartamento
che intravedeva
dalle spalle di Usui.
«Cos’è questo posto?», chiese
la mora –sempre col pezzetto di carta in mano-
alzando di poco la voce, e cambiando colore in viso, «Casa
mia.», rispose Usui.
«Già, lo sembra proprio.», disse lei con
lo stesso tono di voce, per poi
pensare nella sua testa: “Cos’è
questa grande entrata?!”, e subito dopo
un piccola e brave analisi dell’aspetto di Usui, accorgendosi
solo allora degli
occhiali, “Perché indossi quegli
occhiali?!”.
Dopo una manciata di secondi Usui divenne serio,
«Perché sei qui? Per venirmi a
trovare?».
“Maledetto lui, e le sue domande dirette!”,
lo maledì mentalmente
Misaki, per rispondere poi rossa dall’imbarazzo un
«Esatto.», guardando da
tutt’altra parte.
Sempre con la sua espressione seria Usui, le fece un cenno facendola
entrare in
casa, gli aprì la porta che separava l’entrata dal
salone.
«Dove sono i tuoi genitori?», domandò la
ragazza col capo chino mentre lo
seguiva, «Non stanno qui. Io vivo da solo.», le
rispose tenendole aperta la
porta con la spalle che gli faceva meno male.
Imbarazzata Misaki fece dei piccoli passi superandolo,
«P-permesso.», pronunciò
tremante all’inizio; una volta entrata notò un
micio seduto che la guardava.
Spostando lo sguardo dietro il gatto Misaki notò la grande
vetrata che si
affacciava sulla città, facendo vagare lo sguardo
notò un divano grigio a due
posti, un tavolino poco distante da quest’ultimo, e una
piccola cuccia rossa
per il gattino; la poca presenza di mobili la spinse a chiedere:
«Ti sei appena
trasferito qui… O no?», dandosi della stupida
quando si ricordò che da quando
gli aveva dato l’indirizzo era passato un po’ di
tempo.
«Vivo qui fin da quando ho iniziato le superiori.»,
le rispose lo stesso Usui.
Passarono qualche secondo in totale silenzio, e il gattino li
guardò curioso
piegando la testolina da un lato.
«Perché sei venuta qui da sola?», gli
chiese Usui rompendo il silenzio,
muovendosi velocemente e bloccandola al muro, sbarrandogli un lato con
il
braccio fasciato, guardandola negli occhi, «A te va bene il
fatto che io possa
farti qualsiasi cosa?», continuò.
Per rompere il momento imbarazzante Misaki gli appoggiò una
mano sulla fronte
prendendolo di sorpresa e facendolo indietreggiare di un passo.
«Hai la febbre altissima!», constatò
urlando assumendo un’espressione
arrabbiata, «Allora è vero che sei uscito
dall’ospedale con la forza!», lo
sgridò sempre più incavolata.
«Comunque, va subito a dormire!», gli
ordinò continuando ad urlare.
Usui la guardò serio, da dietro le lenti degli occhiali,
mentre lei continuava
a blaterare con un tono di voce abbastanza alto, cose del tipo:
«Andrò a
prendere del ghiaccio e delle asciugamani!».
«Sto bene. Io-», tentò di dire Usui,
venendo interrotto da Misaki, che gli
ordinò per la seconda volta di andare a dormire.
Usui chinò leggermente il capo, «Ayuzawa,
veramente…», ma anche questa volta lo
interruppe, ma in maniera più dura urlandogli:
«Non fare nulla, va a dormire, idiota!».
Una volta completata la frase Misaki fece un verso imbarazzato per poi
arrossire lievemente quando si rese conto di aver esagerato.
Abbassò il capo e la frangia le coprì di poco gli
occhi, e lui la guardò senza
dire nulla.
Schiarendosi di poco la voce, quasi in maniera impercettibile,
sussurrò: «Per
favore… Cerca di riposarti… E guarire.».
Mentre Usui si distendeva sul divano coprendosi con una coperta, Misaki
andò in
cucina riempiendo una piccola bacinella con dell’acqua fredda
e del ghiaccio,
immergendovi poi delle bende.
Diede una sistemata veloce alla cucina, sistemando secondo una logica
le varie
cose che Usui aveva lasciato sul tavolo.
Tornata nel salotto notò Usui respirare profondamente,
capendo che si fosse
addormentato.
Facendo il più piano possibile si inginocchiò
vicino al divano, e strizzò la
prima benda; quando stava per poggiarla sulla fronte del ragazzo,
questo si
svegliò.
«Hai contattato i tuoi genitori?», gli chiese a
bassa voce, visto che si era
appena svegliato, «Non ce n’è
bisogno.», gli rispose Usui con voce ferma,
guardando il soffitto.
«Perché sei uscito
dall’ospedale?», domandò curiosa,
«Perché mi annoiavo lì.».
Sospirando Misaki si alzò e tornò in cucina
preparandogli il pranzo.
Una volta tornata gli chiese se sembrasse buono il cibo, lui
guardò la
risottiera che gli aveva portato, analizandola.
«Il riso è stracotto, e sembra una zuppa bianca e
melmosa.», disse, «Presidente,
certo che a cucinare…», commentò subito
dopo.
«Mi dispiace di non essere brava a cucinare!»,
urlacchiò quasi disperata, «Non
lo mangiare se non lo vuoi! Lo finirò io!»,
continuò imperterrita.
«Lo voglio.», disse Usui interrompendo il suo
monologo, facendola voltare versò
di lui, «Ma non riesco a tenere in mano il cucchiaio, imboccami
per favore.»,
riprese la parola, facendola imbarazzare e colorare le gote.
«Comunque non posso mangiare cibo caldo.»,
aggiunse, facendole raggiungere un
colore scarlatto in viso.
Misaki si ritrovò, così, nuovamente inginocchiata
a soffiargli il riso e
imboccarlo, perdendo un battito ogni volta che le labbra di Usui si
avvicinavano al cucchiaio.
«Sono impressionato.», disse ad un certo punto
catturando la sua attenzione,
«Pensare che riesci ad uccidere addirittura il sapore dei
cibi…».
La ragazza respirò profondamente per poi esplodere in un
«Sta zitto!Mangia e
stai buono!».
Poi cambiando completamente espressione gli disse: «Se
mangerai starai
meglio.», «Non ne posso far avanzare nemmeno uno,
giusto?», gli chiese
lentamente e con gli occhi chiusi, «E’ il primo
piatto che cucini per
me.»,continuò lui facendole scintillare gli occhi
marroni.
«S-sei tutto sudato, è meglio che ti
cambi.», disse Misaki smorzando l’aria
d’imbarazzo, con il capo voltato verso destra.
«Credo sia difficile sbottonarti con quelle
mani…», rifletté l’attimo
dopo lei
avvicinandosi a lui ancora con le guancie arrossate, Usui si mise
seduto sul
divano, e la mora cominciò a uscire dall’asola il
primo bottone, sentendosi
osservata sollevò lo sguardo trovando a pochi centimetri di
distanza dal viso
di lui.
Si guardarono negli occhi si e no qualche secondo, ma sembrava fossero
infiniti.
Al solito Misaki per evitare di continuare a guardarlo in quei profondi
occhi
verdi, che al momento si nascondevano dietro le lenti degli occhiali da
vista,
urlò: «Che stai guardando?!»,
«Mi guardi come se fossi un delinquente.», gli
rispose lui con il suo solito tono, «Sta zitto! Guarda
fuori!», gli intimò.
“Gli devo un favore.”, cominciò
a riflettere mentre continuava a
sbottonargli la camicia,“Pensavo fosse un ragazzo
che oziasse sempre, sempre
a dire stupidate…Ma viene sempre in mio soccorso quando sono
nei guai. Io,
invece, non riesco a combinare nulla…”.
«Mi spiace.», la voce di Misaki ruppe il silenzio.
«Mi sento come se facessi troppo affidamento su di
te.», prese nuovamente parola,
parlando col capo chinato, «Volevo restituirti i favori che
ti dovevo, ma non
ce la faccio. Alla fine riesco a combinare poco e niente.»,
continuò, alzando
leggermente il capo una volta finita la frase.
«Sono davvero inutile.», sussurrò per
finire.
Usui per tutto il tempo la osservò con le labbra rosee
leggermente dischiuse, a
quell’ultima frase scivolò sempre di
più sul bordo del divano e la tirò a se in
un abbraccio, incastrando il suo volto tra il collo e la scapola di lei.
Era imbarazzato, ma lei non poteva vederlo, così come non
notò il rossore di
lui quando le disse: «Cavolo, questo non è vero,
Ayuzawa.».
A quelle parole Misaki sentì uno strano calore dentro il
petto e come per
difendersi lo respinse facendo pressione sul petto di Usui,
«C-cosa vuoi
dire-?», gli chiese confusa.
«Anche io faccio affidamento su di te.».
«Stai mentendo.», ribatté lei
immediatamente, «Non è vero.», gli disse
il
ragazzo continuando a guardarla.
Ad un certo punto il verde degli occhi di Usui si fece più
scuro, più profondo:
«Tu sei giusta per me, Ayuzawa.».
«Tu chi ti credi di essere? Sei un ritardato!», fu
la risposta di Misaki,
cercava di proteggersi, difendersi ogni volta che lui gli diceva una
frase del
genere.
Lui la guardò senza più dirle nulla, e Misaki si
ritrovò a chiedersi cosa fosse
quello sguardo.
Ma non poté trovare una risposta perché le labbra
di Usui si poggiarono sulle
sue, offuscandole la ragione.
Usui si separò da quel lieve contatto per guardarla in
faccia, e vedere la sua
reazione.
Entrambi si persero uno negli occhi dell’altra, senza
emettere parola per
rompere quella strana, ma eccitante, atmosfera che si era
creata.
Inaspettatamente fu Misaki a riavvicinarsi per prima e baciarlo
nuovamente.
Fu un altro bacio casto, ma il piccolo ansito della ragazza spinse Usui
ad
osare di più, leccandole lievemente il labbro inferiore.
Così il bacio si fece
più profondo e inteso.
«U-usui.», gemette la ragazza,
passando e intrecciando le mani dietro il
collo del ragazzo e tirando ogni tanto piccole ciocche di capelli
biondi.
«Vieni qui.», le sussurrò Usui,
facendole capire di mettersi a cavalcioni sulle
sue gambe.
Non appena Misaki si sedette su di lui, un brivido le percorse tutta la
schiena, non aveva mai provato un sensazione tanto intensa.
Quella posizione dava ad entrambi maggior agio nel muoversi e nel
potersi
toccare.
Usui prese ad accarezzarle la schiena da sopra la maglietta, scendendo
lentamente verso l’orlo di questa e alzarla scoprendole una
porzione di pelle
che cominciò a stuzzicarle in punta di dita.
Misaki si inarcò sospirando, scontrando così il
suo bacino con quello di lui.
«Misaki.», ansimò
Usui, alzandole anche sul davanti la magliettina verde
fino a sfilarla del tutto, mostrando il sobrio reggiseno in pizzo che
portava,
il quale fece perdere la testa ad Usui, che posò un leggero
e quasi inesistente
bacio sul solco tra i seni.
Misaki era imbarazzata non sapeva cosa e come fare, capendolo Usui le
prese una
mano e gliela poggiò sul suo petto.
«Toccami…», la pregò quasi,
muovendole inizialmente la mano, per poi lasciare
che fosse lei a toccarlo dove più desiderasse.
Dopo quell’incoraggiamento la ragazza cominciò a
far scivolare la mano su tutto
il torace di Usui, che era rimasto scoperto per via della camicia
ancora
aperta, della quale poi lo privò.
Spinta da una scarica di adrenalina chinò il capo e gli
deposito un bacio sul
petto, vicino al capezzolo destro.
Usui rabbrividì di eccitazione come non mai.
«Misaki, ti prego.», la
supplicò mentre con mani tremanti si avvicinò al
bottone dei jeans che lei indossava, come a chiedergli il permesso,
senza dire
una parola ella annuì.
Dopo aver sospirato, con un solo colpo esperto gli sbottonò
i jeans, e gli
abbassò la cerniera, stava per fare lo stesso con i suoi ma
la mano della mora
lo fermò, «Vorrei farlo io…»,
gli chiese con voce bassa, quasi impercettibile.
L’eccitazione di Usui crebbe a dismisura, e fu capace solo di
annuirle, così
Misaki con le sue piccole mani meno esperte indugiò sulla
patta dei suoi
pantaloni, provocando in lui un desiderio quasi doloroso.
Senza farle pressioni aspettò, ma una volta che lo
liberò la baciò
passionalmente.
Voleva, cercando di non fare troppa forza sulle braccia sollevarla quel
poco
che bastava per farle scendere i jeans, ma fu preceduto da lei che si
alzò e se
li fece scivolare sensualmente addosso.
Usui la imitò alzandosi e superandolo di una spanna.
Dolcemente la baciò e poi la fece sdraiare sul divano,
posizionandosi subito
dopo tra le sue gambe aperte solo per lui.
Ancora coperti solo dall’intimo si scambiarono altre carezze
e stuzzicamenti.
«Non resisto più Misaki…», le
confessò Usui guardandola dritto negli occhi,
«Neanche io.», gli rispose lei, poi avvicinandosi
al suo orecchio gli sussurrò:
«Voglio essere tua, Usui.».
L’atmosfera intorno a loro si fece sempre più
calda; e senza aspettare altro i
due si spogliarono degli unici indumenti che gli erano rimasti.
L’eccitazione dei due era talmente tanta che Usui
scivolò subito in Misaki,
mozzando il fiato ad entrambi.
Usui si muoveva con costanza dentro il corpo di Misaki, la quale gemeva
e si
inarcava sotto di lui, finché non vennero contemporaneamente
urlando l’uno il
nome dell’altro.
Stremati rimasero abbracciati, ancora uniti sul quel divano, complice
del loro
amore.
«Usui…», sussurrò dopo un
po’ di tempo Misaki, «Mmh?», mugugno il
ragazzo
stringendola a sé, «Sei uno stupido.»,
proseguì lei, ad Usui scappò una breve
risata per poi allungare il collo e depositarle un baciò
sulla fronte.
La sua Misaki non sarebbe mai cambiata.
Loro non sarebbero mai cambiati.
(*) “Perché
il mio cuore batte così forte? Perché mi sento
così sola quando te ne vai?”; ho
messo l’asterisco poiché con quei due “forse”
mi rifaccio alla frase
detta da Misaki nella ventiseiesima
(26°) puntata.
(**)
“Gasp.” suono
onomatopeico
che indica stupore, timore e/o affanno, deriva dal suono del prendere
fiato o restare senza fiato. In questo caso si tratta di affanno,
per
via delle scale.
Note
d'Autrice.
Come scrivo sempre all’inizio di una nota d’autore,
spero che chiunque sia
arrivato a leggere fin qui sia rimasto soddisfatto e non pensi di aver
perso
tempo.
E’ la prima volta che scrivo su Misaki e Usui, anzi
è la prima volta che scrivo
su una coppia d’anime per l’esattezza.
Ne ho visti di diverse, anime, ma questi due mi hanno davvero colpito,
tanto da
ispirarmi questa one shot; che ho scritto un po’ di tempo fa,
ma che pubblico
solo ora.
A proposito, ringrazio anche la persona che mi consigliato di vederlo,
Tayesha!
Evidenzio nuovamente che la storia si ispira agli ultimi minuti del diciannovesimo
(19°) episodio.
Non appena ebbi finito di guardarla, vi giuro, la mia mente ha subito
elaborato
questo finale.
E così l’ho scribacchiato.
Spero di poter leggere qualche vostro commento, per
sapere cosa ne pensate di questa storia e ovviamente del mio modo di
scrivere;
critiche e/o consigli sono ben accetti, essendo alle prime armi con
questo
genere!
Grazie,
e a presto!
Adriana.