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Autore: Tossy    19/06/2015    1 recensioni
"L’aveva stretta così forte che per un attimo lei pensò di essersi sbagliata. Perchè una persona che ti stringe così non può provare niente per te, non è possibile. Se le sue braccia sembrano quasi entrarti nelle viscere è perchè lui c’è dentro, è penetrato fin lì, non può essere altrimenti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa è l’ultima volta.
Non lo guardava in viso, non poteva. I suoi occhi erano pieni di lacrime pronte a rigarle il viso. Quella volta sarebbe stata diversa, non come tutte le altre volte in cui aveva detto ‘Ora basta’ e poi ci era ricascata. Questa volta era davvero finita.  Forse lo aveva capito anche lui, perchè l’aveva guardata con occhi strani, colpevoli, quelli di chi sapeva di essersi spinto  troppo oltre. Lei credeva di averci visto un pizzico di dolore. Era impossibile, quell’uomo non era capace di provare dolore. O, almeno, lei non sarebbe mai stata in grado di provocargliene.  Tutto quello che vedeva nei suoi occhi, non esisteva, era una sua illusione, la macabra speranza che lui, a modo suo, tenesse a lei. Una macabra ed inutile illusione. Un’illusione che aveva portato avanti per tre lunghi e difficili anni, anni in cui lei aveva aspettato, sperato e lottato cercando di conquistare quell'uomo a livello sentimentale. E lui, forte e sicuro del sentimento di lei, ci aveva giocato. L’aveva illusa, maltrattata, tradita, umiliata, certo che lei lo avrebbe perdonato. Una volta, altre dieci e altre cento. Lei gli perdonava sempre tutto, era in grado di non parlargli per ore, a volte di non cercarlo per giorni, ma bastava una sua  parola, persino la più stupida, a farle tornare il sorriso. A farle spuntare quel sorriso che dedicava solo a lui. Persino in quel momento, mentre cercava di darci un taglio netto, sapeva di aver bisogno di tutte le sue forze per resistergli. Sarebbe bastata una parola, una sola parola, forse, per far crollare tutti i suoi propositi. Come se fossero castelli di sabbia riva del mare.

Come quelli che, quella sera, inizialmente, le avevano impedito di fare l’amore con lui.
Aveva resistito per un po’, ci aveva messo tutte le sue forze, e quando era inesorabilmente crollata sotto il tocco delle sue mani, si era impegnata per dare poca importanza all’amplesso. Si era sforzata di considerarlo solo un atto fisico, privo di sentimenti, cui unico scopo era quello di darsi piacere reciproco.

Nel rivestirsi gli dava le spalle, il suo sguardo era fisso su un punto indefinito del cielo. Non stava realmente guardando qualcosa, non pensava alle stelle o alla luna o all’oscurità, voleva solamente evitare lo sguardo dell’uomo che le stava rovinando la vita. Era immersa a tal punto nei suoi pensieri che quando lui le si era avvicinato per abbracciarla, quasi non lo aveva udito. L’aveva stretta così forte che per un attimo lei pensò di essersi sbagliata. Perchè una persona che ti stringe così non può provare niente per te, non è possibile. Se le sue braccia sembrano quasi entrarti nelle viscere è perchè lui c’è dentro, è penetrato fin lì, non può essere altrimenti. Per un breve momento aveva pregato che non lasciasse andare. ‘Tienimi così tutta la notte, e poi la notte dopo ancora, e poi ancora quella dopo’, diceva nella sua mente.   Ma troppe volte l’aveva stretta così e altrettante volte l’aveva lasciata andare via, dimostrandole che, in fondo, poteva benissimo fare a meno di lei. Non importava quanta impegno ci mettesse, non aveva la forza di rimanere, di trattenerla a sé. E nemmeno questa volta era stato diverso. Si era sciolto dall’abbraccio, l’aveva guardata e si era accorto dei suoi occhi, del suo quasi non riuscire a respirare tanto era il dolore di vederlo andar via, per l’ennesima volta. Ed era così. Non riusciva a guardarlo, puntava gli occhi verso un punto indefinito del panorama, forse verso quella luce che dalla montagna illuminava tutta la città. Eppure sentiva lo sguardo di lui cercarla, come se avesse voluto dire qualcosa, come se stesse cercando di comunicarle qualcosa con il pensiero.
In quel momento le vennero in mente le parole che lui aveva pronunciato qualche mese prima.
"Sai cosa mi piace di te?", le aveva sussurato carezzandole la guancia e sorridendo. Era strano vederlo sorridere, non lo faceva mai.
Cosa?’, aveva risposto lei ansiosa di conoscere la risposta.
Il fatto che non ti arrendi. Anche se mi comporto male, anche se ti faccio soffrire, tu ci sei. Non te ne vai. Non ti arrendi, continui a provarci’.
Era vero. I litigi, le scenate di gelosia, le sue improvvise sparizioni, lei perdonava tutto.
Lo perdonava perchè aveva paura di perderlo. Non che lo avesse mai avuto davvero, ma quel po’ le bastava per vivere serena.

Le venne improvvisamente in mente una delle tante liti che avevano avuto nel corso della loro storia.
Ricordava perfettamente quel giorno; la loro frequentazione era iniziata da circa un mese e lei era già completamente cotta di quell’uomo dai profondi occhi scuri. Lui la trattava come una regina, ma a volte aveva dei comportamenti strani. Esattamente come quel giorno, quando lui, dopo aver finito di lavorare, aveva cercato di telefonarle non ottenendo risposta. Lì fu l’inizio del peggio; smise di parlarle, semplicemente si trincerò dietro ad un muro di silenzio.
Non importava che lei non avesse sentito squillare il cellulare, non importava che avesse provato a richiamarlo immediatamente dopo, non importava che per i 4 giorni seguenti fosse lei a cercarlo invano, con messaggi che non ricevevano risposta e telefonate a cui lui non rispondeva.
E quella non fu l’unica volta. Spesso, anzi sempre, lui spariva. Anche se litigavano per sciocchezze, lui spariva. Per giorni, per settimane, e lei, innamorata, non riusciva nemmeno ad immaginare di perderlo. Lo cercava, sempre invano, si umiliava, inutilmente.

In quel momento non riusciva nemmeno a pensare di dover sopportare ancora quell’inferno.  Fu allora che lei disse:  ‘Andiamocene’.
Lui si era fermato a guardarla, come a volerle chiedere ‘sei sicura?’, e lei, che oramai lo conosceva alla perfezione, non fece altro che annuire. Più volte, cercando di convincere sé stessa che era quello che voleva. Andare via, tornare a casa, salutare per l’ultima volta quello che credeva essere l’amore della sua vita. Si era girata e continuava ad annuire all’aria, all’ossigeno, a sé stessa, al suo cuore. E, come se parlasse a quest’ultimo, ripetè: ‘Sì, andiamocene. E’ il momento giusto’.
Quando lui si avvicinò a baciarla lei non ebbe la forza di respingerlo, lo sentì poggiare le labbra alle sue, un gesto che era diventato ormai così intimo e abituale per loro, un gesto che però, quella volta, non aveva ricambiato. C’era voluta tutta la sua forza di volontà per non muovere le labbra, per non restituirgli quel bacio, per tenerle chiuse.  Sapeva che se solo avesse proteso e premuto le  labbra contro le sue, sarebbe stata persa. Ancora, per l’ennesima volta. Lasciò che la baciasse, non avrebbe mai potuto dirgli addio senza sentire per l’ultima volta il tocco delle sue labbra. Sarebbe tornata indietro a chiedergli un bacio e, a quel punto, uno non gli sarebbe bastato. Ne avrebbe voluti altri dieci, altri cento, altri mille, altri giorni e mesi e anni di baci. Gli posò per l’ultima volta la mano sulla guancia ricoperta di barba sfatta, esattamente come piaceva a lei, pungente, proprio come lei. Lo aveva accarezzato, si era girata a guardarlo e con gli occhi lo aveva pregato di riportarla a casa. Non c’era più niente da dire, avevano pronunciato  ogni singola parola negli ultimi tre anni, tutte quelle che potevano dirsi. Era rimasto solo silenzio.

Il viaggio fino a casa proseguì nel silenzio più assoluto, erano distaccati. Lui non aveva provato a prenderle la mano o poggiargliela sul ginocchio, com’era solito fare mentre guidava; lei non gli toccava i capelli, non giocava con i lobi delle sue orecchie, non gli prendeva la mano. Erano diventati due sconosciuti. Erano bastate poche parole per mettere KO tutto quello che c’era stato in oltre 1000 giorni di loro. Poche parole che, in un attimo, avevano spazzato via il suo mondo, facendola sentire vuota, morta, come se le mancasse la terra sotto i piedi. Nel silenzio più totale sentiva il suo respiro, più agitato del solito, come se fosse spaventato o ansioso, non sapeva esattamente cosa stesse a significare. Non se ne preoccupò molto, faceva già fatica lei a respirare. Più si avvicinavano alla strada di casa, più continuava a ripetersi che era giusto. Che doveva lasciarlo andare, che doveva lasciarsi andare, che era giusto così, sì. Così, quando la macchina si fermò nella piazzetta dei posteggi, lei era pronta. Si era prepara a dirgli ciao, a salutarlo e non rivederlo mai più. Era pronta a dirgli ciao, ma non era pronta a ciò che avrebbe sopportato nei giorni a venire.
Con voce tremante, senza guardarlo, semplicemente gli diede la buona notte.

-Ti accompagno fin dalle scale
La cosa che più amava di lui era quella. Il fatto che si preoccupasse per lei, che volesse andarla a prendere e riaccompagnare fino dalle scale. La faceva sentire protetta e allo stesso tempo confusa. Non c’era giorno in cui lui non la ferisse, eppure bastavano poche ore insieme per trasformarlo in un’altra persona, nell’uomo che non la lasciava percorrere 10 metri al buio in una strada dove viveva solo lei.
- Non serve, vai a casa che è tardi.
- Sei uscita con me e rientri con me.
La sua voce era decisa, sapeva che lui non avrebbe ceduto. Si lasciò accompagnare fin sotto casa, seppur senza dire una parola. Camminavano vicini, si sfioravano involontariamente di tanto in tanto, ma tra loro non c’era alcun contatto.
Avevano raggiunto le scale nel giro di un minuto e in quel minuto, lei, aveva odiato quella strada così breve, che non le aveva dato tempo di pensare, o magari non aveva dato a lui la possibilità di farla rimanere con sé. Erano lì, era arrivato il momento, quello di salutarsi.
- Sai che devi comunque avvertirmi che sei arrivato a casa, vero? Non farmi preoccupare.
Lui non aveva risposto. Il suo viso era teso, sembrava quasi arrabbiato.
Non poteva vederlo così, non potevano rimanere lì dove si erano scambiati il primo bacio, non poteva più stare vicino a lui, rischiando di stringerlo ancora e pregandolo di non andarsene. Non lo aveva mai pregato, non avrebbe certo iniziato quella sera.
Così, dopo avergli sussurrato un ciao che non era certa lui avesse ricambiato, aveva messo piede sul primo scalino, ma non era ancora decisa ad andare via. Sapeva, però, che se avesse salito almeno due scalini, lui si sarebbe voltato e se ne sarebbe andato. Quando lui le volto le spalle, lei scese nuovamente  le scale e lo guardò andare via, non trattenendo le lacrime, sperando che si voltasse e tornasse indietro ad abbracciarla dicendole: ‘Lo so che sono uno stronzo, so che ti ho fatto male, ma rimani con me. Rimani’. Invece rimase a contemplare la sua schiena mentre si allontanava da lei, lentamente, come sempre, per l’ultima volta. Ogni volta che si vedevano, lei saliva le scale con la tristezza nel cuore. Non sapeva mai se lo avrebbe rivisto, se avrebbe atteso settimane o mesi prima di tornare, se nel frattempo lui avrebbe trovato un nuovo amore. Era una tortura continua, una di quelle che ti pugnala gli organi.

Ma quella volta era diverso, quella volta sapeva che non ci sarebbe stato un ‘la prossima volta’, ‘il prossimo appuntamento’, quella volta era certa che sarebbe finita.

Lo amava, più di quanto credeva fosse possibile, ma aveva capito che, ancor prima di lui, doveva amare sé stessa. E aveva iniziato proprio quella sera.
 
   
 
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