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Autore: imallaboutcalumsbass    19/06/2015    1 recensioni
Isabelle è la figlia del ricco e famoso imprenditore Edward Waldner. Fin dalla sua nascita, è abituata a vivere serenamente nella sua enorme reggia, circondata da maggiordomi, governanti e camerieri, che strisciano ai suoi piedi, ad ogni suo schiocco di dita. Crescendo, si rende conto che la vita che conduce è ricca di piaceri, quanto di oppressioni. Si sente schiacciata ed intrappolata in quel mondo che predilige la perfezione, sente come se stesse sprecando la sua vita, non stesse vivendo tutte le esperienze che una ragazza della sua età dovrebbe e non ne avesse il controllo, a causa delle imposizioni che deve eseguire alla lettera per integrarsi in quella società. Quando incontrerà Calum Hood, un modesto venditore di strumenti musicali, la sua vita di accenderà e si incasinerà.
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Tratto dal primo capitolo:
"Perché hai continuato a mostrarmi le chitarre?" Chiese Isabelle, curiosa. Il ragazzo piegò la testa, elaborando la domanda. "Se sapevi che non mi interessava." Spiegò la giovane. Lui alzò le spalle.
"Perché mi piaceva il modo in cui mi guardavi, mentre lo facevo." Le sorrise, facendo colorare le guance pallide della ragazza in un tenue scarlatto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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That rainy day.

Isabelle odiava la pioggia: le rovinava i capelli perfettamente acconciati, le sciupava i vestiti e la faceva sentire terribilmente angosciata. Da bambina, qualcuno le aveva raccontato che la pioggia erano le lacrime degli angeli, che piangevano la perdita di una persona. Quando era nella sua stanza e le goccioline d'acqua iniziavano a scendere sui vetri, lei tirava giù le immense tende di seta e chiedeva ad Arnold, il maggiordomo, di cantare per lei per coprire il suono dei tuoni. Isabelle ha imparato ad amare la voce di Arnold fin da piccola, quando la faceva addormentare, cantando qualche ninna nanna o leggendo per lei le fiabe più belle. Quel giorno però, la giovane non poteva tirare giù le tende dell'immensa città in pieno temporale e si pentì di essere uscita senza un bodyguard. Si guardò intorno spaesata, stringendo la borsa - che avrebbe dovuto buttare al ritorno - sopra la sua testa. Individuò un negozio ancora aperto: piccolo, un po' decadente, ma che avrebbe potuto ripararla. Corse con grazia fino all'ingresso e fece scorrere la porta, facendola tintinnare. Quando la porta si chiuse alle sue spalle sospirò, rivolgendo lo sguardo al cielo scuro e che incuteva timore.
"Posso aiutarti?" Sobbalzò la ragazza, quando una voce alle sue spalle la distrasse. Davanti a lei, si presentava ora un giovane che le rivolgeva un sorriso cordiale.
"Cosa?" Chiese Isabelle presa alla sprovvista. Lanciò uno sguardo all'interno del negozio, in cui strumenti di tutti i generi erano esposti.
"Cosa ti serve?" Si grattò la testa il ragazzo, forse in imbarazzo.
"Ehm...io...." Balbettò Isabelle. Non voleva deludere il giovane che la guardava, probabilmente speranzoso dell'ingresso del primo cliente in un giorno di fitta pioggia. "Vorrei vedere delle chitarre elettriche?" Buttò lì, notandole poggiate alla parete. Il ragazzo le indicò di seguirlo, mostrandole tutte le chitarre presenti nel negozio, spiegandole le funzionalità, le differenze e i vari gradi di difficoltà nel suonarle. Isabelle lo ascoltò attentamente ed educatamente, senza interromperlo, come le era stato insegnato. C'era qualcosa di ipnotizzante nei suoi modi di fare e nella sua voce, che avrebbe potuto superare di gran lunga quella di Arnold. Aveva lo stesso effetto calmante, mentre si destreggiava tra il negozio, facendo scivolare le chitarre tra le sue braccia e raccontandone le storie.
"Canti?" Sputò Isabelle, senza pensarci. Vide il ragazzo immobilizzarsi e tossicchiare, preso per la gola. "Chiedo perdono, non era mia intenzione interromperti." Si scusò Isabelle, sistemandosi al suo posto, dritta. "Continua pure." Sorrise rassicurante. Il ragazzo rise divertito e un cipiglio si formò rapidamente tra le sopracciglia, perfettamente complementari, della ragazza.
"Si, canto." Sorrise il giovane, togliendo il dubbio di Isabelle. "E non devi 'chiedere perdono' o qualsiasi cosa." La prese quasi in giro, facendo abbassare il suo sguardo, ma si riprese all'istante. Non mantenere lo sguardo di qualcuno, significa mostrargli le tue debolezze. "Non ti interessa una chitarra elettrica, mi sbaglio?" La guardò furbo. Isabelle si sistemò il braccialetto al polso, a disagio.
"Cosa mi ha tradita?" Chiese sospirando. 
"Non sembri una tipa da chitarra elettrica." Rise il ragazzo, squadrando Isabelle vestita nel suo tailleur, troppo da adulta per lei.
"Mi dispiace." Confessò la ragazza, mortificata. "È che non amo la pioggia, nemmeno vederla, solitamente abbasso le tende, avevo solo bisogno di un rifugio." Tentò di giustificarsi, rivelando perfino il suo innocente segreto.
"È tutto apposto, puoi stare qui, finché non smette." La tranquillizzò il giovane.
"Perché hai continuato a mostrarmi le chitarre?" Chiese Isabelle, curiosa. Il ragazzo piegò la testa, elaborando la domanda. "Se sapevi che non mi interessava." Spiegò la giovane. Lui alzò le spalle.
"Perché mi piaceva il modo in cui mi guardavi, mentre lo facevo." Le sorrise, facendo colorare le guance pallide della ragazza in un tenue scarlatto.
"Ti dispiace se faccio una telefonata?" Cambiò velocemente discorso, sembrando ricordarsi le circostanze in cui si trovava. Il ragazzo annuì, tornando al bancone e poggiandoci i gomiti, osservandola senza vergogna, come se fosse perfetta. Nessuno l'aveva mai guardata così, nessuno le aveva mai attributo tutti gli sforzi per provare a raggiungere la perfezione che le avevano sempre imposto, nessuno l'aveva mai fatta sentire come se facesse abbastanza, come se lo fosse. Pescò il telefono dalla borsa e cercò Arnold tra la rubrica, schiacciando l'icona di chiamata.
"Signorina Isabelle?" Chiese conferma l'uomo dall'altro lato della cornetta.
"Ho un problema." Pronunciò velocemente, senza la dizione che aveva duramente imparato. 
"Sei uscita di nuovo da sola, non è così?" Isabelle non poteva vedere Arnold, ma sapeva che aveva alzato gli occhi al cielo. "Inviami la tua posizione, sto arrivando." Affermò l'uomo, non appena non ricevette risposta dalla ragazza. Isabelle staccò all'istante e fece come le era stato detto.
"Stanno venendo a prenderti?" La voce del ragazzo giunse alle sue orecchie. Lei annuì lievemente.
"Arnold sarà qui fra qualche minuto." Confermò, sistemando il suo telefono nella borsetta.
"Arnold sembra il nome di un maggiordomo." Pronunciò divertito il giovane.
"Beh, lo è, in realtà." Scrollò le spalle la ragazza, non capendo cosa ci fosse di così divertente.
"Oh." Lasciò uscire lui, facendo cogliere ad Isabelle una punta di delusione.
"Sembri deluso?" Si assicurò.
"Ti avrei chiesto il numero, ma non penso che lo farò." Affermò diretto, colpendola per la sua schiettezza.
"Cosa c'entra questo con Arnold?" Continuò curiosa Isabelle, mentre si aggirava tra gli strumenti, accarezzandoli leggermente. Il ragazzo aggirò il bancone, appoggiandovici sopra e osservando la sua grazia.
"Maggiordomi, ricconi...non è esattamente alla mia portata." Spiegò, facendo bloccare Isabelle sul posto, grata della sua sincerità.
"Eppure dormiamo sullo stesso materasso e mangiamo gli stessi hamburger." Rifletté la ragazza, avendo lo stesso effetto pensoso sul ragazzo.
"Vuoi davvero così tanto che ti chieda il numero, non è vero?" Ironizzò lui, accompagnato da una risata cristallina.
"Stavo solo dicendo." Puntualizzò la ragazza, sorridendo al divertimento di lui. La porta tintinnò e i due saettarono il loro sguardo all'ingresso. 
"Arnold." Pronunciò con vigore e dolcezza Isabelle. Due fossette, che il ragazzo non aveva potuto notare prima, si aprirono ai lati delle sue rosee labbra.
"Signorina Isabelle, la macchina la sta aspettando." Inchinò la testa il maggiordomo, in segno di rispetto e le diede del lei, in via ufficiosa. Isabelle rivolse la sua attenzione al giovane.
"Arrivederci..." Iniziò educata lei, ma si trovò costretta a bloccarsi sulle sue parole, quando si ricordò di non aver chiesto il nome del ragazzo. 
"Calum." Sorrise lui, capendo la sua mancanza.
"Oh allora, arrivederci Calum." Salutò con educazione, raggiungendo Arnold.
"Arrivederla, signorina Isabelle." Ricambiò il saluto divertito, prendendola quasi in giro. Ma la ragazza sorrise, per una volta si era sentita trattata come tutti gli altri, qualcuno le aveva parlato schiettamente e si era "permesso" di parlarle scherzosamente, le piaceva non essere presa sul serio a volte. Arnold spinse la porta per Isabelle e aprì l'ombrello sopra la sua testa. La ragazza tirò il maggiordomo sotto la coprente stoffa dell'ombrello.
"Non voglio che ti ammali e mi mandino un maggiordomo vecchio e scontroso." Puntualizzò Isabelle e Arnold sapeva, in cuor suo, che la ragazza non era affatto preoccupata per il suo possibile nuovo maggiordomo, solo era troppo affezionata a lui per lasciare che si ammalasse. Si rifugiarono nella lussuosa macchina e Isabelle si sistemò nel suo vestito.
"Ti ha, per caso, recato fastidio il tono con cui quel ragazzo si è rivolto a te?" Chiese Arnold, ricordando l'allusione del giovane.
"Che intendi?" Chiese delucidazioni la ragazza.
"Ha utilizzato dell'evidente sarcasmo nel salutarti." Spiegò il maggiordomo, guardando di sottecchi la ragazza che sospirava. Avrebbe voluto sapere cosa le frullava per la testa.
"No, in realtà è carino che ogni tanto qualcuno la smetta di trattarmi come una reginetta." Si espose Isabelle, senza voler suonare troppo sdegnosa e irriconoscente.
"Tuo padre è un imprenditore molto importante, ancora prima lo è stato tuo nonno e ancora prima di lui il tuo bisnonno. È questa la vita che è stata scelta per te." Spiegò l'antifona, come se la ragazza non la conoscesse. Arnold sentì il cuore stretto in una morsa, quando la ragazza sospirò delusa.
"È questo il problema, Arnold. La mia vita è stata scelta da qualcun altro." Isabelle scivolò sul sedile scomposta, rivolgendo il suo sguardo al finestrino oscurato, dove a malapena si percepivano le gocce che lei non amava vedere. Il maggiordomo non riprese Isabelle per la sua posizione non composta, sapeva che la giovane sapesse mantenere l'ordine, ma con lui si sentiva così a suo agio da non farlo.












Hello everybody!
Wow, quanto sono international.
Non so quanti di voi sono arrivati alla fine di questo capitolo o quanti si soffermeranno a leggere questo piccolo spazietto che mi sto ritagliando, ma volevo solo ringraziarvi per aver speso anche qualche secondo per questa storia. Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate e se vale la pena andare avanti. Alla prossima, si spera!
   
 
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