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Autore: FairySweet    20/06/2015    1 recensioni
Non sei mai stato bravo a raccontare bugie. Non l'hai mai fatto, non a te stesso per lo meno, come puoi pensare di ingannarti così? Dimenticare i suoi occhi, il suo sorriso, dimenticare il battito accelerato che ti sconvolgeva il petto ogni volta che l'avevi vicino.
Eppure ci hai provato, hai cambiato vita per lei, per te stesso, per la tua famiglia ma era bastata una telefonata, era bastato il suo nome per convincerti a scappare via di nuovo ...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elliot Stabler, Olivia Benson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                      Sempre Lei 





Ci aveva messo poche ore a trovarla, l'avrebbe trovata ovunque. Sarebbe arrivato perfino in capo al mondo per lei.
Aveva scelto un'altra vita, un mondo senza senso di colpa, senza la possibilità di rivedere continuamente quella giovane ragazza mentre moriva a causa sua.
Si era lasciato tutto alle spalle e a cosa era servito? Era di nuovo lì, di nuovo in quella città, di nuovo nella sua testa.
Quante notti aveva passato sveglio? Quante notti perse nel silenzio a spiare lo schermo di un cellulare pregando il cielo per sentire di nuovo la sua voce, per vedere il suo sorriso brillare nei sogni più intimi.
Era egoista? Forse, ma non poteva farci niente.
Non era colpa sua, non era colpa di nessuno, ci aveva provato, ci aveva provato davvero.
Cambiare vita, cancellare il passato con un colpo di spugna e chiudervi tutto il dolore vissuto assieme a quel dannato senso di nausea che aveva imparato a controllare per il lavoro, per quei bambini, vittime innocenti che non meritavano tutto lo schifo di questo mondo.
Eppure, per quanti sforzi facesse, l'immagine sfocata del suo viso tornava a riempirgli i pensieri.
Liv era lì, sulla pelle, sulle labbra, nello sguardo di sua moglie che lo costringeva ogni giorno ad andare avanti.
Era bastata una telefonata, la voce preoccupata e stanca del suo vecchio capitano e quel racconto nauseante che aveva risvegliato di colpo tutti gli incubi trattenuti.
Si ritrovava per l'ennesima volta in quella città, in quella vita, in quella palestra dove qualche volta si era fermato dopo il lavoro.
Se ne stava appoggiato lì, trasparente in mezzo ai propri pensieri mentre davanti agli occhi c'era il suo sogno.
La spiava mentre prendeva a pugni il sacco appeso davanti a lei senza prestare la minima attenzione a tutto quello che le accadeva attorno.
Ne era incantato, a tratti perfino stupito, nascosta da una semplice canottiera scura e da un paio di pantaloncini non era la stessa che aveva lasciato anni addietro.
Seguiva ogni suo movimento, ogni botta violenta che scaricava contro l'attrezzo perché ad ogni scatto i muscoli si tendevano violentemente scavando nel suo corpo linee perfette.
Non riusciva a staccare lo sguardo da lei, dal movimento leggero dei suoi capelli costretti in un intreccio severo, lunghi, più lunghi di quello che ricordava ma profumati esattamente allo stesso modo.
Sorrise a quel pensiero tanto sciocco nato chissà dove, forse era colpa dei sogni che faceva, ritagli di un passato assieme, o forse, era semplicemente il bisogno di sapere che era lì, che non era sparita e che tutto quello che conosceva di lei era vero.
Dal suo sorriso, a quell'espressione buffa che le colorava le labbra quando non riusciva a capire il nesso tra i vari sospettati, al profumo dei suoi capelli.
Doveva essere la stessa perché altrimenti per cosa era tornato? Per chi? Non erano di un fantasma gli occhi che accompagnavano i suoi sogni e non era quel fantasma a massacrare il sacco inerme.
La conosceva bene, così bene da capire che in realtà stava prendendo a pugni sé stessa e la debolezza che non le aveva permesso di difendersi.
Si prendeva a pugni per non essere riuscita a capire cosa stesse accadendo e prendeva a pugni quell'uomo infame che l'aveva tenuta prigioniera per giorni.
Ma in fondo all'anima, da qualche parte lontano dalla luce del giorno, stava prendendo a pugni anche lui.
Lui che se ne era andato come un codardo, senza aver avuto il coraggio di dirle la verità, senza un motivo valido ai suoi occhi costringendola, per l'ennesima volta. ad attingere a quella forza impressionante che molte volte l'aveva salvata.
Non aveva bisogno di guardarla negli occhi per capire cosa stesse provando, così come non aveva bisogno di vedere i lividi ancora limpidi sulla sua pelle.
Tremò leggermente riportato alla realtà dal rumore violento che rimbombò per la palestra.
I due giovani sul ring si voltarono di colpo sorridendo “Uao” mormorò uno di loro avvicinandosi lentamente alle corde “Dev'essere davvero concentrata” ma lui scosse leggermente la testa sussurrando “O solo molto arrabbiata”.
Era così arrabbiata con il mondo, con se stessa, come un mare in tempesta che copriva la razionalità, un uragano violento che si prendeva gioco di lei e che la costringeva ad oltrepassare i limiti; arrivavano da lì i pugni, i calci, lo stupore dei ragazzi che aveva attorno ma a lei cosa importava? Nascosta dalla dolce sicurezza della musica che invadeva i suoi pensieri continuava ad essere sé stessa o almeno, una pallida imitazione di sé stessa.
Fece un bel respiro incamminandosi verso di lei.
Contava i passi come un condannato a morte perché sapeva bene che davanti ai suoi occhi le parole si sarebbero bloccate da qualche parte a metà tra cervello e bocca.
Un altro passo, un altro metro di terreno che riduceva sempre di più quella distanza maledetta.
Si fermò alle sue spalle, immobile, paralizzato tra due mondi, tra il passato e il presente.
Avrebbe voluto toccarla, sfiorarle la schiena, ridere mentre il suo viso si apriva in una smorfia a metà tra lo stupore e la dolcezza ma era abbastanza certo che la reazione sarebbe stata un pugno in faccia.
Si mosse leggermente di lato, la vide tremare violentemente spaventata da quella presenza improvvisa accanto a lei “Scusa” si affrettò ad aggiungere alzando leggermente le mani “Non volevo spaventarti” la vide sospirare, chiudere qualche secondo gli occhi tentando di regolarizzare di nuovo il respiro.
Si sentiva strano, preso in giro da anni di silenzio che ora d'improvviso ripiombavano tra loro.
Era terrorizzato dal poter scoprire che Liv non fosse più Liv, che se ne fosse andata divorata da quei lividi e quei tagli che scendevano fino al collo colorando la sua pelle “Che ci fai qui?” “Però” sussurrò “Devi essere davvero molto arrabbiata” “Tu credi?” ribatté ironica piantando gli occhi nei suoi “Complimenti, sei un detective niente male!” tolse le cuffiette nascondendosi dietro al sarcasmo.
Non c'era niente di Liv in quei movimenti, era lontana, distrutta, indurita da quegli anni passati a lottare.
Non aveva paura di affrontarlo, non indietreggiava, non l'aveva mai fatto ma ora in quello sguardo, c'era tutta la rabbia e la paura che non aveva mai visto in lei “Come stai?” mormorò con un filo di voce “Perché sei qui?” “La smetti di rispondere con un'altra domanda?” “E tu la smetti di apparire quando vuoi?” alzò gli occhi al cielo ridendo “Sei così …” “Stronza? Capita quando si passano brutte cose” “Perché credi che sia qui?” “Non per me” sbottò gelida “Sei impazzita?” “Non ho bisogno di te, ho già chi si prende cura di me, puoi stare tranquillo” “Davvero? È per questo che non dormi la notte?”ma lei sorrise sfilando una bottiglietta d'acqua dal mucchio di cose che le riposavano affianco e senza prestargli molta attenzione sciolse i capelli.
Il profumo arrivò fino a lui, lo stesso profumo che ricordava, lo stesso schiaffo violento in pieno viso, in pieno cuore.
“Fammi indovinare, è stato il capitano vero?” “È solo preoccupato per te tutto qui” “Già” sussurrò massaggiandosi il collo “Che ci fai ancora qui? Dovresti essere a casa a riposare” “Non ho bisogno di riposare” “No?” domandò preoccupato avvicinandosi a lei “Sei distrutta” “Sto bene” “Sei una bugiarda” “E a te cosa importa?” esclamò senza abbassare lo sguardo “Tornatene a casa detective, le bambine grandi sono capaci di affrontare la vita” non sapeva nemmeno lui con che coraggio era riuscito a muovere la mano.
Non aveva pensato, non si era fermato nemmeno un secondo a riflettere, aveva semplicemente allungato la mano stringendola attorno al suo polso.
La sentì tremare violentemente tirando indietro il braccio, un movimento secco e nervoso carico di forza “Non toccarmi!” urlò indietreggiando di colpo “Liv è solo … non volevo ...” “Allora vattene!” nei suoi occhi, nel suo sguardo, nel respiro accelerato, la rabbia era nascosta ovunque.
Non era più la sua Liv, non era la stessa meravigliosa persona che gli aveva rubato il cuore anni prima.
Avrebbe voluto stringerla tra le braccia, avrebbe voluto bloccarla lì impedendole di fuggire, l'avrebbe fatto davvero ma tutto quello che il cuore urlava era: Lasciala andare.
  
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