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Autore: uchihagirl    20/06/2015    5 recensioni
Una melodia gli affiora tra i pensieri e galleggia lì, inerte, un tappo di sughero sulla superficie della memoria, fino a che non è seguita da un’altra, e poi da un’altra ancora e ancora e ancora, fino a che tutto quello che riesce a sentire è ottobre del 1962.
[Cherik; Erik!PoV; tra XMFC e DOFP.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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A Lou, “la metà romana del mio cervello bacato” [semicit.] per i suoi mille follower su Twitter.


Pg e canzoni © i rispettivi proprietari.




Lemon Tree  - where have all the flowers gone?


Lemon tree very pretty and the lemon flower is sweet
But the fruit of the poor lemon is impossible to eat.




Ci sono volute tre prigioni diverse prima che capissero quanto fosse deleterio rinchiuderlo in una boccia di metallo. Tre.
Erik aveva già le idee chiare sugli esseri umani, ma non pensava che il Paese fosse governato da una completa massa di idioti.
Questa sua nuova cella, al Pentagono, è invece piuttosto intelligente: non riesce a sentire niente nel suo raggio d’azione, mai.
Erik inspira, fissando il soffitto di vetro: l’hanno reso uno di loro.
Il tempo è dilatato al massimo, la mente unica compagna. Ogni giorno cerca tra i suoi ricordi una canzone o una filastrocca diversa: quando uscirà non vuole essere ridotto a una pallida imitazione di se stesso. Deve continuare ad essere Magneto.
Oggi, giorno del Signore non-si-sa-quando, una melodia gli affiora tra i pensieri e galleggia lì, inerte, un tappo di sughero sulla superficie della memoria, fino a che non è seguita da un’altra, e poi da un’altra ancora e ancora e ancora, fino a che tutto quello che riesce a sentire è ottobre del 1962.





 “… Seriamente?”
“Non ti piace il boogie, Charles?”
“Questo non è boogie, Erik. É roba californiana.”
Yes I'm gonna - surfin'- take you surfin'  - surfin' safari with me
Erik non riesce a trattenere un sorriso: chiude la porta, mentre Charles si lascia cadere sul divano.
“Molto meglio, grazie.”
Erik si siede sulla poltrona, incrociando la gamba sul ginocchio.
“In queste settimane sono cresciuti così tanto… Sempre più spesso mi dimentico che sono solo ragazzi.”
Charles è sdraiato, i piedi che penzolano oltre i cuscini e una mano a coprirsi gli occhi. È così stanco, così vulnerabile, così deciso.
“Lo erano. Non più.”
 “Certe cose rimangono. Tipo delle scelte musicali discutibili.” Un attimo di pausa, poi Charles sposta il braccio per guardarlo: “Non si può crescere in un colpo solo. Non del tutto, almeno. Perdere Darwin…” Un’altra pausa – e Erik sente distintamente tutta l’impotenza, la tristezza e il senso di colpa in quelle due parole.
“Stiamo trasformando dei ragazzi in un esercito, Erik. Che diritto abbiamo?”
Erik si irrigidisce. “Non sei stato tu a mettere il mondo contro di noi. Addestrandoli li stai indirizzando verso ciò che sono destinati ad essere.”
Charles si alza a sedere, chinandosi verso di lui. “Non è il mondo ad essere contro di noi, Erik. È Shaw.”
Quegli occhi blu lo fissano, penetranti come sempre: gli leggono dentro anche senza bisogno della telepatia – tanta, pura intimità da essere troppa. Sono Erik e Charles, l’anima nuda e un’intensità che gli rende difficile respirare. Lo rovinerà.
“Come vuoi, Charles.”

Surfin Safari – Beach Boys, Giugno 1962





Erik deglutisce, passandosi una mano tra i capelli: quel mese prima di Cuba gli è rimasto sotto le unghie, e non riesce a liberarsene.
Non sono ricordi felici; non tutti, almeno. Non era perfetto: la spensieratezza si era consumata in un paio di giorni, se mai c’era stata. Erano riusciti a ritagliarsela in brevi, sporadici momenti – una partita a scacchi, un bacio, un sorriso e del caffè – fingendo di essere più giovani, di avere più tempo.
Erik sapeva di essere sul filo del rasoio – fino a quando sarebbe bastato? – ma certi aspetti preferiva ignorarli. Quello che avevano lui e Charles era un’intimità troppo profonda perché potesse sentirsi del tutto a proprio agio, ma anche così completa da essere inebriante: era meglio non domandarsi quali sarebbero stati gli effetti a lungo termine, comunque fosse andata. (Il vuoto nel petto rimane lo stesso, anche a distanza di tempo, anche sotto metri di cemento e vetro.)
Avere trent’anni e sentirsene quaranta – troppo adulto troppo in fretta, Erik e la sua rabbia; avere quarant’anni e sentirsene mille, in un buco sotto il Pentagono, quando ormai troppi sono morti e lui non ha potuto fare nulla per impedirlo – molte cose sono perdute, forse non torneranno mai. Ma non si cancellano. Non riesce a cancellarle.
È bastato poco perché quello che avevano non fosse più sufficiente: così poco che ogni tanto Erik si chiede se fosse vero. Se lui e Charles fossero veri.
Si ricorda bene quella coscienza che, dopo il primo turbolento incontro, aveva sfiorato la sua con tanta delicatezza da essere disarmante: un tocco gentile, che più che una presenza esterna alla fine era quasi un completamento. Charles lo bilanciava: la rabbia di sempre si trasformava in consapevolezza, rendendolo più lucido, più capace. Ed estremamente più vulnerabile.
Erik non aveva mai avuto bisogno di nessuno, dal giorno in cui Shaw aveva ammazzato sua madre, e non avrebbe permesso che succedesse di nuovo: Charles non sarebbe mai più entrato nella sua testa.
Il suo pranzo arriva dal buco di areazione, ma Erik ignora il vassoio: neanche fosse un cane, lo fanno mangiare in una ciotola. Se solo potesse…
Incrocia le gambe sul letto – Charles non è più entrato nella sua testa, ma non se ne è mai neppure andato del tutto. Erik inspira, poggiando i polsi sulle ginocchia, in posizione di meditazione - sgombra la mente, gli suggerisce una voce – ma, di nuovo, esiste solo ottobre 1962.





Si rigira la moneta tra le dita, un gesto ormai automatico. Charles, di fronte a lui, sorride: “Tocca a te.”

“Non mi mettere fretta.”
L’altro annuisce, toccandosi il labbro con le dita. “Fai pure con calma.”
Erik valuta le sue mosse, la moneta che passa sempre più vicina alla pelle. Il cavallo nero mangia l’alfiere bianco. “Scacco.”
“Complimenti, Erik. Sei appena caduto in trappola.” Regina bianca mangia cavallo nero. Elvis Presley alla radio: Wise man say only fools rush in… “Scacco.”
Erik sbuffa: dannato Charles e il suo quoziente intellettivo da Einstein. Alza lo sguardo dalla scacchiera per scoccargli un’occhiata gelida, ma lui è già lì, a fissarlo.
La moneta ha un attimo di esitazione, tra il medio e l’anulare.
“Arrocco.”
“Oh amico mio, non è da te: questi mezzucci.”
“Charles, fammi questo piacere… Stai zitto.” Ma il tono di voce è indulgente e la moneta esita di nuovo, quando Charles ride.
Like a river flows surely to the sea…
Altre due mosse e un altro sorriso canzonatorio, disarmante, dalla parte opposta del tavolino da tè.
“Scacco matto.”
Erik non riesce a trattenersi: “Hai barato.”
“Oh no. Non oserei mai.”
Le labbra di Erik si stirano in un ghigno, mentre si siede accanto a lui, la moneta che rotea ancora intorno al pollice: “Non dirmi che non lo hai mai fatto, professore.”
Some things are meant to be…
Sono molto vicini e Charles sorride di nuovo – la moneta trema. Erik si inumidisce le labbra.
“Allora?”
Charles è ancora più vicino, sente il suo respiro sul collo: “Adesso chi è che sta barando?”
“Allora lo ammetti.” Con la bocca gli sfiora l’orecchio, e lo può sentire rabbrividire.
“No, non è vero. Tu invece...” Gli dà un bacio sulla mandibola, ignorandolo.
“Erik…?”
“Mmh?” è la risposta distratta.
“Non baro. Non con te.”
La moneta cade, quando Erik si china a baciarlo.
For I can’t help falling in love with you…
                    Can’t help falling in love with you – Elvis Presley, Ottobre 1962





Non lo aveva calcolato, per quanto avesse messo in conto la possibilità di sbagliare. All’epoca, forse, non gli era sembrato uno sbaglio: tutto cadeva nella giusta posizione, nel giusto ordine. Charles poteva essere al suo fianco – loro due volevano la stessa cosa – e insieme avrebbero fatto grandi cose. Avrebbero protetto i loro fratelli e sorelle, avrebbero compiuto il loro destino.
Il sogno di un ingenuo: Erik pensava di essere meglio di così.
Alla fine Charles lo aveva abbandonato per seguire un’altra strada: gli mancava la visione d’insieme e Erik non aveva bisogno di lui per essere forte. Aveva Emma Frost, aveva Mistique, aveva Azazel e tutti gli altri. Non ha bisogno di Charles neppure ora: aspetta il momento giusto, riflette e pianifica. Uscirà da lì, e il mondo vedrà di cosa è capace Magneto.
“Che cosa sai di me?” “Tutto.”
Bugia.
Evidentemente Charles non sapeva tutto, o lo avrebbe seguito – se avesse sondato con attenzione l’angolo più remoto, più scuro della memoria, invece che concentrarsi su quello più luminoso, avrebbe visto perché non poteva lasciarlo. Avrebbe riconosciuto le sue paure più profonde e non lo avrebbe abbandonato.
O forse Charles sapeva davvero tutto, ma non gli interessava – forse era Erik che non sapeva niente di lui.
Ma ancora oggi, i giorni insieme ormai da tempo andati, di tutti momenti vissuti quelli sono i più difficili da scuotersi di dosso.
Erik inspira di nuovo, chiudendo gli occhi. Non lo aveva calcolato, ma, errore o non errore, era successo: quella morsa allo stomaco che non accenna a scemare dal 28 ottobre 1962; i pensieri che tornano sempre ai sorrisi, agli sguardi d’intesa, a quella folle, imprevista, irrazionale luce dentro di sé. La consapevolezza di essere invincibile, insieme a Charles.
Il vassoio di plastica è scagliato contro il muro, i fagioli pateticamente sparsi sul pavimento; il letto rovesciato e la coperta strappata.
Gli viene da vomitare.
“Pensavo di essere da solo.” “Non sei solo. Erik, tu non sei da solo.”
Quella… quella era stata la bugia più grande di tutte.





Where have all the flowers gone, long time passing?












Hello, dear friends!
Long time no see, here on EFP.
Come avrete capito, questa ff si colloca negli anni che Erik passa in prigione al Pentagono, quindi tra First Class e Days of Future Past: essendo io una super nerd per gli anni ’60 (Magneto e l’assassinio di Kennedy! Il mio cuore da history!nerd quasi scoppia al solo pensiero), non ho resistito e ho inserito alcune delle mie canzoni preferite di quei primi tre anni del decennio. In ordine: Lemon Tree di Peter Paul and Mary, Surfin’ Safari dei Beach Boys, Can’t help falling in love di Elvis e Where have all the flowers gone, ancora di Peter Paul and Mary. Tutte queste canzoni sono uscite prima del 28 ottobre 1962, quindi è pseudoplausibile che Erik e Charles potessero sentirle alla radio.
(a proposito di Lemon Tree: la canzone paragona esplicitamente l’amore all’albero di limone – in sintesi: si soffre sempre. Mi sembrava in linea con la ship.)
Ultimissima precisazione: questa ff è dedicata a Ludovica, comfortinglies qui su EFP (andate a leggere la sua Cherik, è bellissima) che, oltretutto, l’ha pure betata. Grazie, Lou, per essere la migliore delle amiche a distanza - Ilysm.
Un grazie in anticipo a chi ha letto e a chi commenterà,
Elena
   
 
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