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Autore: Terre_del_Nord    12/01/2009    25 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.002 -  Smistamento

II.002


Severus Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre 1971

Mi ero immaginato diversamente quella giornata da passare in treno: pensavo che avrei ammirato la mia odiata vita scivolare via dai finestrini, mentre la mia nuova vita mi correva incontro; avevo immaginato di parlare tutto il tempo con Lily, di confrontare le nostre emozioni e le aspettative, avevo immaginato di confortarla e di dividere con lei tutte le caramelle che avevo acquistato a Diagon Alley. Per lei. Non avevo tenuto conto che Petunia potesse rovinarci il viaggio, lasciando in lacrime Lily con la sua cattiveria e, soprattutto, non avrei di certo immaginato che Lily se la prendesse con me per il litigio con sua sorella. È vero, avevamo sbagliato, entrare nella stanza di Petunia, scoprire e leggere la lettera di Dumbledore, ma mai avremmo immaginato che lei, proprio lei, che disprezzava tanto la magia, che ci considerava fenomeni da baraccone, avesse implorato il preside di accettarla a Hogwarts. Molto avevamo discusso, sul significato di quel fatto, e secondo me, l’unica possibilità era che Petunia fosse gelosa di noi, e adesso si vendicava definendoci mostri. Alla fine sembrava che Lily si fosse calmata un po’, in fondo eravamo davvero arrivati a Hogwarts, il nostro sogno comune da ormai molto tempo, presto la cattiveria di Petunia sarebbe stato solo un pallido ricordo, in confronto a tutte le meraviglie che avremmo vissuto. Insieme. In un certo senso la ritrovata armonia era merito proprio di quei due sbruffoni, erano stati talmente odiosi che io e Lily avevamo fatto di nuovo fronte comune, dimostrando che, insieme, eravamo davvero più forti. Sarebbe stata dura, lo sapevo, per due come noi, un mezzosangue e una nata babbana: avrei scommesso che quei due erano invece purosangue, così altezzosi, così spacconi, con quell’aria snob con cui criticavano la sacra casa del mago più forte mai visto nel mondo magico, Salazar Slytherin. Chissà quanti altri a Hogwarts erano come quei due. Se non fossimo rimasti insieme, per me e Lily, sarebbe stata davvero dura.
Ormai allo smistamento mancava pochissimo: una volta scesi dal treno eravamo stati accompagnati alle barche e avevamo attraversato, sotto la pioggia, il lago, ammirando da quella posizione così spettacolare il castello che prendeva forma nella notte, con le tante torri e le luci e quell’aria di fiaba che si sprigionava da ogni guglia e da ogni gargoyle. Ci eravamo stretti uno accanto all’altra sulla piccola barchetta, avvolti nei nostri mantelli, sotto la pioggia: tremavamo per il freddo e il timore, ma guardando le luci del castello riflesse nei suoi occhi carichi di meraviglia, mi sentivo più forte. Avevamo poi risalito il sentiero e la scalinata fino alla grande porta, dove una strega, la professoressa McGonagall, ci aveva istruito su come ci si comporta, quindi eravamo entrati. Ora eravamo nel salone, con tutti gli altri ragazzi più grandi già disposti lungo la tavolate delle rispettive case e noi, le matricole, in piedi davanti al tavolo degli insegnanti: era meraviglioso quel luogo, con quel soffitto in cui le stelle facevano capolino tra le nuvole ancora cariche di pioggia, le luci che sembravano galleggiare nella stanza, e quei fantasmi, che avevano impressionato alcuni ragazzini all’arrivo, ma che a me erano sembrati così esaltanti. Il preside si era rivolto a noi calorosamente, dandoci il benvenuto, poi era stato portato uno sgabello con quel cappello strano, il famoso Cappello Parlante: sapevo tutto, perché, da quando avevo comprato i libri di scuola, aveva già letto tre volte “La storia di Hogwarts” e ogni volta rimanevo estasiato per qualche particolare. Ma nulla era tanto bello quanto il racconto che mia madre mi aveva fatto fin da bambino degli anni meravigliosi che lei stessa aveva trascorso in quel castello.
Sentii un brivido di eccitazione, la gola secca e le mani sudate, quando all’improvviso intorno a me calò il silenzio, smisi subito di rincorrere i miei pensieri: era iniziato lo smistamento. Uno dei primi ragazzi a sedersi sullo sgabello fu proprio lo sbruffone che mi aveva chiamato “Snivellus”. Rimasi colpito quando ne sentii il nome: Black, Sirius Black, il rampollo di una delle famiglie slytherins più ricche e famose d’Inghilterra, non solo, ma la sua era la famiglia più amica e più intima degli Sherton. Il mio cuore perse un colpo: se era un Black, sicuramente me lo sarei ritrovato a Serpeverde e la situazione non sarebbe stata molto piacevole. Il cappello parlante, però, tra lo stupore generale della sala, gridò a chiara voce ”Grifondoro” e il mio cuore fece una capriola entusiasta: se tutto fosse andato come speravo, non l’avrei avuto tra i piedi come compagno di casa. Quell’idiota, sotto lo sguardo sconvolto della tavolata dei serpeverde, si alzò dallo sgabello, avviandosi tutto baldanzoso dai grifoni, facendo il cenno “V” di vittoria al suo amico spettinato ancora incolonnato in attesa, e rivolgendo un occhiolino a Meissa Sherton, appena più avanti di me. Avrei dato non so cosa per vedere l’espressione di Meissa in quel momento e capire cosa davvero stesse passando a entrambi per la testa. Poco dopo, di nuovo, rimasi in spasmodica attesa, perché era arrivato il turno di Lily: questa volta fu con un tuffo al cuore che sentii ripetere inaspettatamente dal Cappello Parlante “Grifondoro”. Ci fu delusione nei suoi occhi, come nei miei, quando ci guardammo mentre Lily si dirigeva al suo tavolo, ma le feci un sorriso: chissà, magari tra poco poteva esserci una straordinaria e inattesa sorpresa anche per me. Avevo sempre sperato di essere un serpeverde, ma ora, mi vergognavo ad ammetterlo, era tutto diverso, avrei accettato di tutto, pur di restare accanto a Lily. I nomi intanto si susseguivano, vidi anche altri due dei ragazzi dello scompartimento, Remus Lupin e Peter Pettigrew, finire tra i Grifondoro, finché anche quell’altro borioso, che si chiamava James Potter, andò a far compagnia ai primi tre. Per un attimo mi sentii euforico a un pensiero che si stava facendo largo nella mia mente: Salazar, che in quello scompartimento fossimo tutti destinati a Grifondoro?
C’era poi stato lo smistamento di Meissa Sherton. E quei momenti d’attesa, di sospensione dal tempo, che avevo sentito stringersi su tutti i presenti e su tutte le cose intorno a me, mi avevano dato uno strano senso d’eternità, come se fossi stato chiamato ad assistere a un momento importante per la storia di tutto il mondo magico. Mia madre alla fine mi aveva raccontato tutta la storia, tutte le leggende: gli Sherton non si erano più visti per alcune settimane perché doveva nascere loro un altro bambino e, inaspettatamente, era nata proprio la figlia femmina che sembrava aver cambiato la loro storia. Ed ora, quella sera, tutti eravamo lì per vedere se l’ipotesi avrebbe trovato conferma, se la famosa maledizione fosse stata spezzata per sempre. Come tutti gli altri guardai curioso la ragazzina sedersi sullo sgabello, chiaramente intimorita e notai che il cappello impiegò più tempo per emettere la sua sentenza con lei: non era strano, era accaduto con altri già prima. Anche con Sirius Black. Ma al contrario di altri, a me non faceva nè caldo nè freddo sapere il risultato del suo smistamento. Poco dopo arrivò finalmente il mio turno: quando la professoressa McGonagall pronunciò il mio nome, mi sentii tutti gli occhi addosso, cercai di nascondere l’emozione mostrando un passo falsamente pomposo e deciso, mi sedetti sullo sgabello, mi sentii appoggiare appena il cappello sulla testa e subito una voce gridò, senza alcuna esitazione, ”Serpeverde!” Il tavolo delle serpi mi festeggiò, come aveva già festeggiato altre matricole smistate prima di me: con passo indeciso mi voltai verso i miei nuovi compagni, dove mi fece posto, con un sorriso di benvenuto, un ragazzo dagli occhi taglienti e dai capelli tanto biondi da sembrare bianchi, con la spilla da prefetto sul petto. Attraversando la sala avevo però lanciato uno sguardo verso il tavolo dei grifondoro, per incrociare gli occhi di Lily: era delusa e triste quanto me e, con orrore, vidi che le stavano seduti accanto proprio quei due odiosi ragazzi del treno, mentre lei, ostinata, dava loro le spalle. Non avrei mai creduto di poter apprezzare tanto poco la mia prima cena nel famigerato castello di Hogwarts.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre 1971

    “Meissa, vieni, prendiamo questa barca!”

Noi del primo anno fummo divisi dagli altri e condotti alle imbarcazioni con cui avremmo raggiunto il castello, mentre gli studenti più grandi sarebbero saliti dalla stazione con delle carrozze. Eravamo guidati da una figura monumentale e dalla voce tonante, che dalle descrizioni di mio fratello doveva essere il guardiacaccia, Rubeus Hagrid: così grande, grosso e decisamente selvatico, sembrava spaventoso, ma quando intercettai per un attimo i suoi occhi pressoché mascherati da una foresta di barba, capelli e baffi, mi rivolse uno sguardo gentile, a cui risposi con un sorriso, che parve sorprenderlo ma fargli anche piacere. Salii sulla barca con Sirius : una volta persi di vista James e gli altri, aveva smesso quell’atteggiamento iperprotettivo e soffocante che mi aveva rovinato ulteriormente l’ultima parte del viaggio, forse perché, anche se non voleva ammetterlo, anche lui si stava emozionando e spaventando un po’. Con noi salirono anche altri due ragazzini, Alice e Frank, che non avevo visto neppure in stazione e che sembravano straordinariamente simpatici e molto più di compagnia di quanto non fosse Sirius. Ma appena la barca si mosse e, incolonnati sotto la pioggia, attraversammo il lago, rimanemmo tutti muti per l’emozione: strinsi la mano a Sirius che mi guardò un po’ trasognato, e divisi con lui, in silenzio, quel momento di autentica meraviglia. 
Arrivati al moletto del castello, fummo incolonnati e fatti salire lungo una scalinata, in cima alla quale una strega, che si presentò come “professoressa McGonagall”, ci raccomandò di fare silenzio ed entrare con rispetto nella sala del banchetto: poco dopo ci ritrovammo in una sala grandissima, il cui soffitto, che sembrava aprirsi sul cielo di nuovo stellato, rapì subito il mio sguardo e la mia ammirazione. Camminavo estasiata tra i tavoli già pieni dei ragazzi più grandi, incrociai lo sguardo di Rigel che mi fece un sorriso d’incoraggiamento e andai avanti, fino al tavolo dei professori, con un po’ più di autocontrollo. Il preside, il professor Dumbledore, ci accolse con un breve discorso, mentre uno sgabello e il famigerato Cappello Parlante, protagonista dei miei peggiori incubi da vari anni, venivano introdotti nella sala: ebbi un tuffo al cuore, alla fine era arrivato il momento della verità. Rapidamente, vidi nello stupore generale Sirius assegnato alla casa del Grifondoro, contro tutte le più logiche aspettative, ma non mi parve che ne rimanesse particolarmente sconvolto, guardò verso Rigel e fece un’alzata di spalle, e mio fratello gli fece un cenno d’incoraggiamento, sapevo che a lui interessavano più che altro le sorti di Regulus, a causa del futuro della sua squadra di Quidditch. Sirius fece un incredibile gesto "V" di vittoria a qualcuno davanti a me, forse a uno dei ragazzi dello scompartimeto, guardò anche me, rivolgendomi prima l’occhietto poi un sorriso strano: la bocca era atteggiata al solito sorriso spensierato, ma i suoi occhi erano colmi di tristezza, e sentii un brivido strano percorrermi da cima a piedi. A me quello non parve un segno di buon auspicio: già immaginavo come Orion e Walburga avrebbero preso male l’ennesima guaio in cui si era ficcato il loro figlio. Per un attimo temetti anche per la storia del Cammino, ma sapevo che la casa di appartenenza non era condizionante: mio padre non avrebbe negato al suo figlioccio le rune del Nord solo per questo, inoltre la famiglia di Emerson, uno dei suoi migliori amici, pur essendo da secoli Corvonero, aveva il suo stesso potere decisionale al consiglio del Nord. Ed io stessa, pur a corvonero, avrei continuato tranquillamente a prendere le rune.
Tornai al presente, vidi assegnata anche Lily Evans al Grifondoro con sommo disappunto di Severus che, dietro di me, per tutto il tempo in cui restammo incolonnati, aveva decantato come fosse una litania le alte qualità dei serpeverde e pregato non so quale divinità di ritrovarsi con lei in quella casa. Ed ora si trovava a sperare di diventare a sua volte un grifone, borbottando frasi sconnesse a mezza bocca. Anche gli altri ragazzini dello scompartimento Potter, Remus e Peter, finirono a Grifondoro: io iniziai a pensare che, per lo meno, non avrei avuto tra i piedi a Corvonero quell’idiota di Potter e questo mi sembrava già un buon motivo per rallegrarmi… Almeno quello… Quando ormai eravamo rimasti appena in dieci, la McGonagall pronunciò il mio nome. Mi accorsi che non stavo più respirando.

    “Sherton, Meissa Sherton!”

Lo ripetè di nuovo. Qualcuno dietro di me mi diede una spinta per farmi avanzare, di sicuro avevo appena fatto la figura da idiota, come se dovessi andare in cerca di altri motivi per vergognarmi! Guardai verso il tavolo di Serpeverde, dove il Capocasa Malfoy non mi toglieva gli occhi di dosso, con quello che, da lì, mi sembrava un ghigno sinistro. Sentì dei brusii salire sia dalla tavola di serpeverde che da quella dei corvonero, il preside, che fino a quel momento aveva parlato col professore Sloughorn, mi puntò gli occhi celesti addosso, quasi fosse curioso, anche lui, di vedere cosa sarebbe successo di lì apoco, mi rivolsi di nuovo verso i serpeverde e mi accorsi che Rigel si stava torturando un labbro per l’impazienza e ormai non calcolava più Avery, che si dava tanto da fare per farsi notare. Tutti a quella tavola erano molto interessati, ed io, di colpo mi sentii incapace di muovermi, schiacciata dal peso delle aspettative che si erano accumulate per settecento anni, tutte lì, per piovermi sulle spalle. Guardai verso i grifondoro e ricevetti lo sguardo di sostegno di Sirius, ancora più teso di mio fratello. Sentì una fitta di paura e mi sedetti quasi di peso sullo sgabello. La McGonagall mi appoggiò il cappello sulla testa, sentii il cuore battere a vuoto. Il vecchio cappello, che da quanto avevo letto e mi era stato raccontato, era niente di meno che il cappello di Godric Grifondoro, emise un sospiro e iniziò a sussurrare; alzai gli occhi cercando la fonte di quella voce, voelvo tra l’altro capire se quel discorso lo sentissi solo io, o se la mia pubblica umiliazione fosse destinata a tingersi di tinte ancora più ridicole e miserabili.

    "Ecco qua, un’altra scelta difficile questa sera… Vediamo… Sei Serpeverde come tutta la tua famiglia, o sei Corvonero, come la tradizione vorrebbe? Mmm, sei diversa, val la pena di leggerti dentro, ragazzina…"
    “Serpeverde, Serpeverde…”
    “No, nononono... non ci siamo, mi avevi quasi ingannato, come quell'altro... Potresti essere un Grifondoro, lo sai? Coraggio, impazienza, una certa dose di sconsideratezza… Non sei come le tue antenate, no… niente Corvonero!”

Io tirai un sospiro di sollievo, Grifondoro era già meglio di Corvonero, per lo meno c’era Sirius e sarei stata a sette piani di distanza da Lucius; stavo già per concedermi un timido sorriso di felicità non dando più ascolto agli ulteriori borbottii del cappello, che stava elencando altre mie qualità e debolezze, quando la sua voce gridò in modo che tutti sentissero:

    "SERPEVERDE!"

Un "ohhhhhhh" di stupore si levò dai Corvonero, Grifondoro e Tassorosso iniziarono a bisbigliare, mentre dai Serpeverde si levarono fischi e urla di gioia da parte di mio fratello e dei suoi amici, e subito dopo grida festose da buona parte di tutti gli altri, infine un forte applauso si levò da tutta la tavolata, guidata dalla bionda figura di Malfoy che applaudiva in piedi, sorridendo e borbottando qualcosa all'orecchio di mio fratello, come se davvero le nostre fossero due famiglie unite. Mi voltai verso la McGonagall prima, poi verso il preside, smarrita, quasi a chiedere di poter ripetere la cosa, perché non ci credevo, perchè non poteva essere vero: io davvero non ero come le mie antenate, ma potevo essere una grifondoro, così aveva detto il cappello…Che cos’era accaduto poi? La professoressa si chinò su di me parlandomi piano, così che nessuno sentisse:

    "Va tutto bene, signorina Sherton... Puoi andare al tuo tavolo, tuo fratello ti aspetta... "

Dunque era vero, levai lo sguardo verso Dumbledore e poi di nuovo verso Sloughorn, ancora un po’ attonita. Mi avviai al tavolo di Serpeverde, seguita da occhi e mani di sconosciuti che si congratulavano, alcuni cercavano di trattenermi, ma appena fui vicino a Rigel, lui si alzò, mi tirò via da tutti e mi prese sotto la sua ala protettiva.

    "Temevo di dover salire su a prenderti… Che cosa ti succede, piccolina? Ti tremano le gambe?"
    "È vero Rigel?"
    "Sì, è tutto vero, ci sei riuscita, e adesso è davvero finita..."

Mi diede un bacio, con tutto il calore che non mi aveva mostrato mai in tutta la vita. Ero felice, soprattutto di uscire da quell’odioso momento di disagio, da tutta quell’attenzione e di potermi mettere seduta, non più esspota agli occhi di tutti.

    "Grazie… "

Finimmo di seguire lo smistamento: vidi anche Sev smistato nella casa di Salazar, accolto dal sorriso glaciale di Lucius Malfoy, che per tutto il resto della cena non fece altro che fissarmi, senza dire una parola, rimuginando Merlino sapeva cosa. Io gli avrei volentieri riso in faccia, ricordandogli come mi aveva trattata con Bellatrix Black, avevo voglia di sputargli di nuovo in faccia dicendogli "Allora? Hai visto che sono riuscita a sbatterti fuori dal mio destino?” Ma qualcosa in quello sguardo mi diceva che era meglio non festeggiare, non ancora. Gli scherzi del fato potevano ancora essere molteplici. Anzi capii subito che anche la felicità più agognata aveva un retrogusto amaro, che ne disperdeva la più profonda essenza: per un lungo anno, infatti, me lo sarei trovata davanti continuamente, dovendo condividere con lui gli spazi, per me ancora misteriosi, dei sotterranei di Hogwarts. E il pensiero di Sirius lontano mi faceva venir voglia di piangere. Al termine del banchetto i prefetti ebbero l’ordine di accompagnare i ragazzi nelle rispettive sale comuni e m'avviai con gli altri nei sotterranei dove avrei abitato per i successivi sette anni. Ora che il pericolo era passato, provai un senso di tristezza per essere finita lì, sottoterra, io che amavo i luoghi aperti, i boschi, l'aria… Mi immaginai cosa potevo perdermi a non essere finita davvero a Grifondoro... e fu allora che mi resi anche conto di essere sola: Sirius era sette piani più in alto, accanto a me c’era un fratello che dopo l’entusiasmo iniziale mi avrebbe allontanata, perché troppo piccola, un cugino che amava perseguitarmi e, tra tutti gli altri, le uniche persone che conoscevo un po’ di più erano la cugina di Black, bellissima e glaciale, e Severus, che non mi aveva degnato di uno sguardo per tutto il tempo. L’unica cosa positiva era che i miei genitori sarebbero stati felici.
Attraversai la sala comune, che aveva un arredamento molto familiare, con tutti quei fregi a motivi serpenteschi, il verde e l’argento che ovunque vibravano, mi diressi verso l’ala assegnata alle ragazze, entrai nella stanza in cui erano già stati sistemati dagli elfi i miei bagagli: con me c’erano altre quattro ragazze, due purosangue, Maela Dickens e Georgina Parkinson, e due mezzosangue, Penny Edwards e Zelda Tobiatt. Le salutai con un sorriso ma solo una di loro, Zelda, sembrò ricambiare per me, e non per il fatto che ero la figlia di mio padre. Disfeci la valigia, appoggiando sul letto ciò che mi serviva per la notte e gli altri vestiti nell’armadio, poi disposi i libri sul tavolino vicino al mio letto, presi le cioccorane e gli altri dolci rimasti e li offrì alle ragazze, ma nemmeno questo sembrò addolcirle, e iniziai a credere che davvero sarebbe stata una brutta avventura. Nel baule lasciai la maggior parte degli accessori acquistati da Madame 0, l'astuccio con l’occorrente per scrivere, gli ingredienti per pozioni, la scopa di Rigel e le stranezze acquistate da Sinister, infine presi la scatola che conteneva la bacchetta e la deposi sul comodino. Andai in bagno, mi lavai, mi pettinai i capelli e mi rivestii indossando una leggera tunica, e sopra una toga verde da strega. Diedi un’occhiata alla fedina di Salazar, e seguii Zelda nella sala comune. La trovai quasi vuota, c’erano solo dei ragazzi dell’ultimo anno che si scambiavano confidenze sulle ultime vacanze e la squadra di Quidditch che si organizzava in vista dei futuri allenamenti, ovvero il gruppetto degli amici più cari di Rigel: come mi vide apparire, mio fratello si allontanò dagli altri, probabilmente aveva giurato a mio padre di non farmi frequentare Lestrange, e mi venne incontro con un’aria felice.

    "Mey, ti va se scriviamo insieme una lettera a casa? Sarebbe bello che lo sapessero da noi, prima che da altri..."
    "Sì, credo di sì..."
    "Intanto ti presento qualcuno: Anthony Cox, Julian Beckett e Sawyer Mills, ti volevano fare i complimenti e dirti che sono contenti che sei stata smistata qui "
    "Grazie, grazie a tutti!"

Mi sporsi a salutare il gruppo che si era alzato, mentre l’altra metà della squadra faceva fronte compatto attorno all’inconfondibile figura di Basty Lestrange. Avevo evitato il suo sguardo per tutto il tempo, ma sapevo benissimo che, al pari di Malfoy, non mi aveva mai staccato gli occhi da dosso.

    “Anche io volevo farti i complimenti, purtroppo sai, i doveri di prefetto…”

Lucius era uscito dalla sua stanza, aveva appena fatto la doccia e per la felicità delle sue ammiratrici stava dinanzi a noi avvolto in un superbo accappatoio, le ultime goccioline d’acqua a imperlare ancora la sua pelle diafana...

    “Puoi fare con comodo, Malfoy, mia sorella non si lamenterà se riceverà i tuoi complimenti domattina o quando non avrai di meglio da fare, non è necessario uscire di corsa dalla doccia solo per questo. Mey vai in camera tua, la scriviamo domattina la lettera!"

Mi spinse verso l’ala femminile e per la seconda volta in quella giornata, si mise tra me e Lucius. Mi voltai, sull’uscio, a osservare la scena: mio fratello stava fulminando Malfoy, che lo guardava ghignante.

    "Ma che cosa ti prende Sherton?"

Lucius si esercitava in uno dei suoi sorrisi più radiosi e falsi.

    "Succede che questo è il primo avvertimento, Malfoy. Stai lontano da mia sorella!"


***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre 1971

    “Black, Sirius Black…”

La strega, la professoressa Minerva McGonagall se avevo ben capito, pronunciò il mio nome ed io, senza troppi timori, mi staccai dalla fila delle matricole per avanzare verso lo sgabello, sotto gli occhi interessati di molti. Vidi Narcissa al tavolo di Serpeverde alzare la testa e fissarmi, fredda e altera: non aveva lo sguardo amorevole di Meda, ma tra i parenti “rimasti” era quella che, alla fine, nei miei confronti manteneva l’atteggiamento più incoraggiante. Per lo meno non mi abbaiava addosso i peggiori epiteti e maledizioni, come Bella la pazza. Tutti quanti, in realtà, mi osservavano attenti, ma senza particolare emozione, in attesa si compisse ciò che da secoli avveniva senza sorprese. Il sangue dei Black era intimamente connesso alla casa di Serpeverde: mio padre, poche sere prima della mia partenza, me ne aveva parlato, più diffusamente di quanto avesse mai fatto. Alla fine avevo compreso che, esattamente come avevamo da generazioni quello sguardo inconfondibile, così, da sempre, avevamo quel sangue, pressoché unico per purezza e nobiltà. Dovevo soltanto accettare quelle parole e quella realtà, come il colore dei miei occhi: non c’era via di scampo.
Mi sedetti e attesi che il cappello di Godric mi fosse messo in testa. Sapevo da Andromeda quello che sarebbe accaduto: il cappello diceva qualche parola per capire cosa ci fosse nel cuore del ragazzino che gli era proposto. Nel mio caso, il discorso sarebbe stato piuttosto breve, quello che avevamo nel cuore noi Black era qualcosa di unico, come il sangue delle nostre vene e il colore dei nostri occhi. Anche se, una volta, Meda mi aveva confidato che, forse, con lei il cappello aveva commesso un errore. Tutte le speranze (o paure, a secondo dello stato d’animo momentaneo) che avevo nutrito nel corso degli ultimi mesi, o forse, meno chiaramente, nel corso dei miei ultimi anni, mi avevano portato a immaginare spesso, per me stesso, un futuro diverso: ricordavo ancora il turbamento, l’inverno precedente, quando, guardando le barche babbane al largo di Zennor, avevo immaginato di essere uno di loro. Un turbamento analogo a quello provato quando avevo visto cosa era capitato a Meda, per non aver rispettato i valori dei Black: un misto di sacro terrore e folle esaltazione. Da quando, però, ero venuto a conoscenza della bizzarra storia della Maledizione capace di mutare il destino di sangue di una parte degli Sherton, quel pensiero era ritornato ad accarezzare i miei sogni e la mia mente, apparendomi foriero di mille avventure, più che di disperazione e inquietudine. Era stato così, cercando di ottenere informazioni sulla Maledizione, che avevo attirato mio padre in una conversazione davvero inedita per noi, ed era stato lui, alla fine, che mi aveva fatto comprendere l’inevitabilità del futuro che mi attendeva. Io ero come gli altri, al di là delle mie bizzarre ribellioni infantili, prima o poi sarei diventato come uno di loro, perché quello che non erano riusciti a farmi in undici anni mio padre e mia madre, l’avrebbe fatto la scuola, con gli insegnamenti, le amicizie, la visione del mondo che avevano quelli come noi. Una volta che l’avessi capito, sarebbe stato facile anche accettarlo, perché in fondo c’era una nota positiva: anche Alshain e la sua famiglia erano come noi, magari potevo diventare più simile a lui che a mio padre, standogli accanto. Era quello che avevo imparato a desiderare quell’estate: sarei stato comunque uno Slytherin, io avrei avuto ciò che desideravo, ma i miei non avrebbero avuto più motivi per lamentarsi di me. Era un buon compromesso. Un ottimo compromesso. Eppure, nemmeno leggendolo in questo modo, il mio futuro predeterminato mi rendeva felice. L’ultima scintilla di ribellione me l’avevano strappata il confronto con l’emozione e l’orgoglio dimostrato da quello strano ragazzino dai capelli cespugliosi, al pensiero di finire nella casa di suo padre. Io, al contrario, non sentivo nessun orgoglio a essere come gli altri, così, per un semplice istante, avevo creduto sinceramente alle mie parole

    “Forse io andrò contro la tradizione…”.

Poi era arrivata Meissa e avevo ricordato, al di là dei miei sentimenti per la mia famiglia, qual era l’unica realtà che avesse valore per me: quella in cui lei fosse stata al mio fianco. Avevo ricacciato indietro quel turbinio di pensieri sconnessi per tutto il viaggio, cercando di mantenermi il più razionale possibile, perché per il momento c’era qualcosa di assolutamente più importante: quella poteva essere l’ultima volta che stavamo insieme. Se Meissa fosse finita a Corvonero, mia madre ci avrebbe diviso senza troppe esitazioni e riguardi, e anche se fosse finita a Serpeverde, c’erano alte probabilità che non fossi io il Black a lei destinato… Per questo avevo preso la sua mano, incurante degli sguardi ironici dei nostri compagni di viaggio, stringendola come ci si aggrappa alla propria salvezza…

    Se solo esistesse un modo…Se solo trovassi il modo…Se solo…

Dopo un tempo che mi sembrò breve come il battito d’ali di una farfalla, il viaggio si era concluso: Mei era diventata nervosa e mi era sfuggita, era sceso un silenzio carico d’attesa tra noi, mentre sistemavamo i nostri bagagli e ci preparavamo a scendere. Infine avevamo affrontato il Lago Oscuro sotto la pioggia: non avrei più dimenticato, per tutta la mia vita, l’emozione che avevo provato attraversando quelle acque oscure su quella piccola barca, tenendo, sempre tra le mie, la mano di Meissa. Le luci del magico castello si erano stagliate all’improvviso nell’oscurità, la mole imponente del castello, carico di storia e segreti, mi aveva fatto riflettere: là dentro la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Con un brivido mi resi conto che, qualsiasi cosa fosse successa, avevo dinanzi a me non solo l’opportunità di stare lontano dalla mia famiglia, ma sarei diventato un mago, un vero mago. E, soprattutto, stavo entrando bambino e sarei uscito da lì trasformato in un uomo. Quel luogo avrebbe mutato per sempre la mia vita, tutto quello che aveva importanza per me, quello che, in quel momento, mi dava sicurezza o paura sarebbe stato trasformato ai miei occhi da quanto avrei vissuto, imparato e sperimentato negli anni seguenti. Guardai Meissa e compresi che sarebbe cambiato tutto, ma lei sarebbe stata sempre la mia stella polare, era l’unica presenza che per me avesse davvero valore. Non importava il modo, importava solo lei.

    “Benvenuto, mio giovane amico…”

La voce antica del cappello di Godric mi riportò al presente, squarciando i sogni in cui mi ero rifugiato, con gli occhi sempre puntati su di lei. Ero arrivato al dunque, finalmente tutte le tessere si sarebbero messe al proprio posto: dubbi, certezze e speranze avrebbero lasciato il posto alla realtà. In quel mare d’incognite e variabili, io avevo già la mia costante cui tener fede.

    “… Eccoci qui, il tanto atteso erede dei Black…”

Ghignai tra me ascoltando il modo in cui mi aveva apostrofato il vecchio cappellaccio: il tanto agognato erede, certo… Quello che i propri genitori non amavano... Quello che non vedeva l’ora di essere il più lontano possibile dalla sua dannata casa…

    “Ah davvero? L’unica cosa che t’interessa è stare lontano dagli altri Black? Non t’interessa la grandezza, la fama, l’onore? La purezza di sangue?”
    “Se davvero riuscissi a vedermi dentro, come dicono, sapresti benissimo che ho un’unica cosa nel cuore e non è nulla di tutto questo…”

Lanciai uno sguardo nella sala, alcuni iniziavano a rumoreggiare, Narcissa disse qualcosa al suo vicino di tavolo: di sicuro, visto il mio nome, la lentezza del cappello appariva a tutti quanti a dir poco inaudita. Rapido scorsi la tavolata e sorrisi a Rigel, anche lui mi guardava perplesso, poi tornai a sfilare lungo le fila delle altre matricole fino a lei: era preoccupata, ma era difficile dire se per me o per se stessa. Avrei dato qualsiasi cosa per ridarle il sorriso.

    “Che strani pensieri nella mente di questo Black… davvero arriveresti a tanto per lei?”

Ghignai tra me, sapevo bene che mi stava prendendo in giro, mai si era visto un Black generoso, questo aveva detto mio padre.

    “Per lei, offrirei anche la mia vita…”
    “… questo non è il modo di pensare di un serpeverde, lo sai, vero, mio giovane amico? Mostri ardore e coraggio, e sprezzo per i guai in cui vorresti volontariamente cacciarti… so che sto per complicarti la vita ma… tu non puoi che essere …"

    "GRIFONDORO!”

La parola mi esplose dentro lasciandomi devastato. Io, Sirius Black, erede dell’antichissima e nobile casata dei Black, erede doppiamente Black del grande Phineas Nigellus, ero stato smistato nella casa di Godric Grifondoro? Nella casa di quelli che mi avevano sempre insegnato a disprezzare? Quelli noti in tutto il mondo magico perché traditori del sangue puro? Allora i miei sospetti erano fondati, dentro di me c’era davvero quanto avevo intuito a Zennor?
Ero rimasto senza fiato, mi resi conto che non ero l’unico a essere impietrito, ma dovevo, da bravo Black, fingere di non essere toccato dagli eventi, così mi alzai, mostrando naturale baldanza, mi guardai attorno, mostrandomi addirittura strafottente e vittorioso, finché non intercettai lo sguardo sgomento di Meissa e a quel punto non riuscii più a fingere appieno. In realtà ero davvero perplesso e spaventato, non tanto per la reazione dei miei, che non stentavo a immaginare ma perché non avevo idea delle altre conseguenze di quanto era avvenuto. La nostra amicizia, almeno la nostra amicizia, avrebbe resistito? E Alshain mi avrebbe voluto ancora a Herrengton, o per lui sarei stato solo uno dei tanti grifoni che disprezzava fin da quando era un ragazzo? Sapevo che potevo comunque prendere le rune, ma Alshain mi avrebbe ancora accettato? E difeso e sostenuto? E che valore dare alle parole del cappello? Offrendogli la mia vita ero forse riuscito a mutare il destino di Meissa?
Mi sedetti e con aria indifferente accolsi insieme ai miei nuovi compagni via via i nuovi grifoni che si aggiungevano: poco dopo arrivarono Lily e Alice, Frank e Remus, James e Peter. Vidi scorrere minuti e facce, nascosto dietro una maschera di supponenza, con cui rigettavo indietro le occhiate ostili e dubbiose dei grifoni più grandi e le facce sconvolte e sprezzanti di buona parte dei serpeverde: Narcissa non osava nemmeno guardarmi, come se fossi talmente sporco che osservandomi potesse macchiarsi il suo bello sguardo, Rigel mi osservava con un’aria enigmatica, ma ancora benevolente, come se, in fondo, per lui non fosse poi una grande sorpresa. Quella sua espressione un poco mi risollevò, forse almeno quelli della sua famiglia l’avrebbero presa bene, magari mi avrebbero ospitato loro, visto che di sicuro mia madre mi avrebbe fatto trovare le mie cose fuori da Grimmauld Place. Quando vidi la ragazzina che precedeva Meissa avviarsi a tassorosso, e sentii la professoressa chiamarla, i miei pensieri si azzerarono di nuovo, appena la vidi avanzare incerta e sedersi, sentii bruciare dentro di me un fuoco, ero pronto a salire e puntare la bacchetta contro quel dannato cappello, incendiarlo magari, minacciarlo, perché a quel punto doveva farsi bastare quello che gli avevo appena dato io, per quella sera non doveva più esibirsi in altre uscite a sorpresa. Scorsi lo sguardo famelico di Malfoy e quello ancor più inquietante di Lestrange su Meissa mentre il cappello esistava e lei cambiava espressione. Per un attimo mi parve di cogliere del sollievo sul suo viso. Infine, come tutti, ne capii il motivo: la voce si levò e tra lo stupore generale la smistò a Serpeverde ed io sospirai sollevato: era salva. Era scesa con qualche esitazione, probabilmente sconvolta e stupita, eppure quando, durante il banchetto, mi guardò il suo non era uno sguardo sereno, ma pieno di tristezza. Probabilmente nei suoi occhi si specchiavano i miei. Rigirai a lungo le pietanze nel piatto, fingendo di scherzare con James, che mi sfotteva, scommettendo che entro la mattina seguente i miei genitori sarebbero venuti a protestare con il preside pretendendo un nuovo smistamento, ma oltre a quello non sentii una sola parola che fu detta a quel tavolo, né qualcosa del lungo discorso del preside.
I miei non sarebbero venuti a protestare con il preside. Sapevo che faccia avrebbe fatto mia madre appena Phineas le avesse raccontato la verità. Avrebbero litigato e sarebbero stati convocati tutti i Black, per decidere il da farsi, per decidere come prendere quella sventura. E solo se avessero avuto misericordia di me, mi avrebbero dato un’altra possibilità. Mio padre non mi aveva nascosto nulla. E nessun altro a quel tavolo poteva immaginare quanto diverso dagli altri io fossi. Quanto diversi dagli altri fossero i rapporti tra genitori e figli a Grimmauld Place. Ero solo felice per Mei… Avevo contribuito in qualche modo al suo destino? O le nostre sorti erano già state decise da qualcun altro al di sopra di noi? Che cosa importava ormai?

    Lei è salva... Ed io l’ho perduta per sempre...

Come mi aveva detto mio padre.

    "Un Black che non segue la sua famiglia è solo un rinnegato."

Mi addormentai per la prima volta tra i colori rosso oro della torre dei grifondoro, nel buio di quella stanza anonima, che sarebbe stata la mia per sette lunghi anni. Una lacrima scivolò lungo la mia guancia. Mai mi ero sentito così solo e sperduto. La mia vita, per come la conoscevo fino a quel momento, giusta o sbagliata che fosse, era finita. Per sempre. Al mattino mi sarei svegliato semplicemente Sirius, un me stesso completamente diverso. Avrei dovuto trovare la forza di creare il mio mondo tutto da capo.
Da solo.


*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010). L'immagine di inizio capitolo è stata realizzata per me da Ary Yuna (che ringrazio), potete trovare i suoi lavori su DeviantArt e nella sua pagina Artista su FB.  
Valeria


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