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Autore: SakiJune    20/06/2015    0 recensioni
Sto, Cintura di Casivanian. Vastra e Jenny stanno progettando di avere un figlio e il loro socio Alonso s'innamora di un certo Jack Harkness.
Terra, Sistema Solare. Gordon Stewart si è appena fidanzato con Billie, la sua amica d'infanzia, e progetta di lasciare il suo lavoro negli Stati Uniti.
Gallifrey, Costellazione di Kasterborous. Lord Jelpax, Coordinatore della Matrice, è diviso tra la sua fedeltà al Dottore e i continui ricatti del famigerato Vansell e della sua Agenzia Interventista.
E c'è un'unica finestra da cui può vedere il futuro... una finestra aperta su Trafalgar Square.
Seguito di "Stars of Kasterborous"
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - Altro, Jenny, Nuovo personaggio, Osgood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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- Lord Narvin, nella serie audio "Gallifrey", è a capo della Celestial Intervention Agency in seguito alla morte di Vansell, e si rivela dapprima un oppositore e poi un alleato di Romana.
Avevo intenzione di non farlo apparire affatto, ma ogni tanto rispuntava nella mia mente guardandomi con disapprovazione.
- Magnus è il War Chief (The War Games) nonché un membro dei Deca.
- Il quadro di cui si parla è stato dipinto in questo capitolo di Stars of Kasterborous, mentre la scena che coinvolge il Tredicesimo è un missing moment dell'avventura di quest'ultimo e Gordon su Trion (capitolo 5 di questa storia).

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Ci sono molti luoghi, nella Matrice, e molti non-luoghi. Esistono per un tempo breve e ti risucchiano ogni volta in un differente universo, altrettanto instabile, al pari straniante. Non si è che coscienza, con un potenziale di concretezza soltanto nelle aree in cui altri prima di noi hanno trovato la forza di persistere, echeggiando la propria identità come il lento filo di un bozzolo attorno ad un sé altrimenti destinato a svanire.

Koschei, il Maestro, ne era stato estirpato senz’appello e lo stesso si poteva dire di Rassilon, ma altre presenze aleggiavano come nebbia sulle paludi di tempo morente. Lord Narvin non avrebbe relegato a nessun altro il compito di assicurarsi della loro fine, memore del ruolo di Pandora nelle tragedie che avevano preceduto la guerra del Tempo, spinto da un senso del dovere troppo forte per pensare alla propria incolumità.
E fra quelle ombre era accaduto qualcosa.

Era stato trascinato e annientato e qualcun altro aveva ripreso il posto che gli era appartenuto, nel mondo dei vivi.

Ma un frammento della sua coscienza era a sua volta divenuto nebbia, e poi s’era condensato intorno alla semplice idea del proprio nome… ignaro, come quasi tutti, dell’entità che possedeva la chiave della porta sul retro e si affacciava talvolta a plasmare quel mondo, discarica di sogni e cose spezzate.

 

Precipitare ha un significato soltanto verticale, su alcuni pianeti. Respirare, un significato fisico per tutte le specie. Damon imparò a conoscere nuove sfumature di questi concetti - da una sacca di esistenza all’altra, sentiva staccarsi da sé scaglie disseccate dal vuoto che mulinava in correnti sghembe. Potevano le perturbazioni temporali che avvolgevano Gallifrey essere una loro proiezione? Xillianthrogubryyaven avrebbe potuto dargli una risposta. Ma lui non la stava cercando - precipitava, semplicemente, impigliandosi nei tentacoli dell’increato.

In uno dei bozzoli percepì una presenza più forte delle altre, un bisbiglio crescente man mano che si accorgeva di essere percepito. Un nome che si era imposto di non dimenticare se stesso, e quindi di continuare ad esistere, in attesa di ricevere vendetta. Lo assalì, affermandosi, come un cane rimasto troppo tempo da solo, come un asteroide, attratto dalla gravità di un pianeta, che prende ad orbitarvi attorno.

- Narvinectralonum. Narvinectralonum. Narvinectralonum!

Damon indietreggiò sorpreso; quella parola non significava nulla per lui, eppure fece inconsciamente vibrare l’intera trama dei suoi ricordi e  l’altro l’afferrò prima che la sua coscienza cadesse nel vuoto.

- Mi ha… cancellato. Vi ha fatto credere di non essere mai andato via. Ma devi ricordare! Lui era già morto prima della Guerra del Tempo!
- Lui chi?

Ebbe timore di pronunciare il nome del proprio assassino. Afferrò Damon, invece, facendogli tastare ogni particella della sua amarezza.

- Presi il suo posto alla guida dell’Agenzia. Non fu semplice, con Pandora e il Virus Dogma e i nostri ideali si scontrarono più e più volte, ma infine Lady Romana ed io trovammo un’intesa. Eravamo alleati. Avrei dato la mia vita per lei… e l’ho fatto. Lui approfittò dell’occasione quando venni qui a eliminare le tracce dei nostri nemici e trovò la strada per tornare. Ha rubato il mio corpo, ha modificato la sua linea temporale per cancellare la mia stessa esistenza, e vorrebbe… vorrebbe dimenticare a sua volta di averlo fatto, credo. Forse l’ha davvero dimenticato; il tempo è stato riscritto. Ciò che vissi in quei tempi difficili eppure gloriosi non è mai avvenuto...

- Lord… Narvin! - Damon si liberò parzialmente dalla stretta di quella presenza, ma essa gli aveva ormai trasmesso l’impronta dei suoi giorni rimpianti e cancellati dalla Storia. - Ricordo, adesso. - L’eco di ciò che avrebbe potuto essere continuò ad espandersi, finché ogni cosa non gli fu chiara. - Oh, sì… lui è anche mio nemico. Ma non sono qui per questo, non sono qui per vendicare nessuno, devo...

 

- Lascialo andare, Narvin. Per adesso, per il bene di tutti, per il bene di Gallifrey… lascialo andare. - Damon sussultò. Conosceva quella voce… no, non era una voce, era anch’esso un pensiero. Forte, autorevole, eppure etereo quanto il resto.

Narvin lo liberò, piuttosto malvolentieri; sembrava soggiogato dalla nuova presenza. - Sì, vai, adesso… Ma tornerai. Mi aiuterai. Io sono Narvinectralonum. Narvinectralonum. Narvinectralonum!

La voce gli intimò di placarsi. - Perché credi che sia qui? Vuole salvare il figlio di Leela. - Narvin parve raggelare, tuffandosi poi in un crogiolo di attonita speranza, una pozza di meraviglia blu come gli occhi indomiti della sua amica perduta.

 

- Non pensare a lui, adesso. Concentrati. Raggiungimi.

 

Damon vibrava ancora della rabbia che Narvin gli aveva trasmesso, ma non lasciò che questa lo distogliesse dal suo obiettivo.  Lord Jelpax aveva fiducia in lui, non poteva deluderlo…

Cadde.

Rotolò nel nulla e si aggrappò alle sue stesse grida, tangibili quanto tutto il resto, finché non si sentì infilzare con una lama di ingordo riconoscimento.

- Magnus. Io sono Magnus. Il Capo degli Eserciti, il Vincitore di ogni Battaglia. Io sono…

A sua volta riconobbe il vecchio compagno d’Accademia, un Rinnegato come molti altri, da tempo annientato ma ancora palpitante in quella dimensione di rimpianti e spazzatura.

- Qualcuno vuole ristrutturare, qui. Haaaaa. Ha. Non sei curioso di scoprire cosa sarà di questo luogo? Che cos’ha in serbo per tutti noi? Io avrò soldati e cannoni, e tu, miserabile?

Damon rabbrividì e annaspò, chiedendo aiuto con ogni atomo della sua volontà all’essere che gli aveva parlato poco prima… forse secoli prima, ma non aveva importanza...

“Per il bene di Gallifrey”

Gli era sembrato sincero, nonostante tutto…

 

Gridò un’altra volta e fu libero, ma la libertà significava soltanto precipitare di nuovo. Finalmente l’altro gli rispose, e in quel nulla riuscì a muoversi come se intorno a lui le dimensioni fossero tornate a significare qualcosa.

- Raggiungimi. Parlami, la strada nascerà davanti a te.

- Io… sono…

- So benissimo chi sei, ragazzo.

- Devo trovare un luogo che si chiama National Gallery. Devo incontrare l’ultima incarnazione del Dottore, devo fargli sapere cos’è accaduto senza che Lord Van-

- Non dirlo! Non pensarlo. Non lasciare che il suo nome riecheggi. Potrebbe… sentire. Lasciati andare.

Era come discendere la scala di un fienile, o lasciarsi andare su quella scorrevole di una biblioteca, o ancora arrampicarsi sul gambo di una pianta di fagioli magica. Non c’era un sopra o un sotto; c’erano pozze di colore, come orme che lo guidarono fino al varco.
Anche la sua guida aveva tentacoli. Ma se Lord Narvin aveva affondato in lui l’equivalente di dieci artigli affilati, nella sua soffocante ansia di rivalsa, e Magnus una spada di follia ghignante, questi sembrarono piuttosto abbracciarlo con sollecitudine e spingerlo, così nudo e vulnerabile fra gli scarti del Tempo, contro una parete che si rivelò cedevole e lo accolse dolcemente in sé.

 

Si ritrovò in una stanza. Era riccamente arredata con un tocco squisitamente femminile, senza però risultare stucchevole. Trasudava un’atmosfera di elegante comodità, ma c’era da dire che a Damon, dopo l’incubo di quel vuoto angosciante e infestato, qualsiasi luogo sarebbe sembrato rassicurante e ospitale.

Poi la vide.

Era identica al giorno in cui l’aveva vista per la prima volta, in piedi accanto alla sua scrivania, timida e piena di speranza nei suoi primi passi su Gallifrey.

Sfumature ramate ancora indugiavano sui suoi capelli chiari, il colore dei suoi occhi era di un verde intenso, e le forme tradivano il suo stato interessante.

L’incubo si era trasformato in un bellissimo sogno… nulla di più, non poteva essere nulla di più, ma gli bastò per sorridere.

Non era l’unica figura nella stanza, né la più sfuggente; il Dottore - il suo Dottore, il Dodicesimo - era accanto a lei, intento a conversare con Lady Romana. I loro contorni erano grigi, quasi invisibili, le loro voci indistinte, come un tenue rumore di pioggia.

- Il vetro - disse la voce, e lui la maledisse perché l’aveva distolto da tanta bellezza e meraviglia. - Devi rompere il vetro.

Damon si riscosse a malincuore e come un automa cercò lungo le pareti, ma esse sfumavano e si contorcevano non appena vi si avvicinava. Ada era soltanto un fantasma immobile, quella stanza era un nido di spettri, e lui era stato un ingenuo a lasciarsi attirare fin lì… eppure...

- Non è un cubo di stasi completo, ragazzo. È solo… un rigurgito sentimentale.

Capì dove si trovava, finalmente.

Accettò l’identità di chi l’aveva attirato là dentro, anche se non riusciva ancora a credere che esistesse ancora, seppure in quel mondo irreale… ma cos’era reale, in fondo? L’Agenzia e le sue sporche trame o un frammento di memoria su tela, intriso di tutto ciò che aveva perduto?

Sentiva che avrebbe potuto restare per sempre a contemplare quella scena. Si credeva più solido rispetto a quell’ambiente e, stava per pensare, anche invisibile - la verità, però, era che nessuno di loro poteva vederlo perché non vedevano davvero. Non esistevano davvero. Erano echi. Erano… niente.
Allungò una mano verso Ada, così giovane e umana e fragile negli abiti del loro primo incontro, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a toccarla. Pensava che le sarebbe passata attraverso, ma scoprì di essere lui, in realtà, meno concreto, incorporeo. E poi, oltre quell’immagine di lei, oltre il proprio desiderio, trovò ciò che la sua guida aveva chiamato il vetro. Era liquido sotto la sua percezione imprecisa, e ancora oltre vi scorreva una luce, un sospiro.

Non era ancora la Finestra… eppure...

- Questo quadro si trova a Lungbarrow. Come potrei mai raggiungere la Terra da qui?

- Diglielo - lo invitò la voce. - Digli di portarlo sulla sua TARDIS.

- Quando? Quando potrebbe succedere?

- Non posso saperlo. Non posso aiutarti, io non sono più… vivo.

Troppe domande affioravano, ma doveva concentrarsi. Era come tenere la mano immersa nella corrente di un fiume. Ma era calda. Vibrante. Sentì un odore…

 

Camomilla?

Sapone?

 

Si ritrovò in un luogo buio, umido. Suoni metallici. Sempre quel profumo…

Intravide un guizzo. Una figura snella e incredibilmente agile si era issata oltre l’estremità del tubo e guardava giù con aria assente, come in trance, come...

In un sogno.

- Dottore! - La sua voce era attutita da un crepitare di bolle e da un sordo, lontano scrosciare come di una cascata. Gridò ancora e ancora: - Dottore! - Ma il Tredicesimo scomparve fra la schiuma e Damon si gettò al suo inseguimento.

Fuori dalla TARDIS, il palazzo presidenziale di Ohwrotco era immerso nei festeggiamenti.



Innocet si riscosse dal torpore e aprì gli occhi. Il drone-telecamera di Morth, puntato verso il muro in modalità proiettore, la invitava con una danza di lucine ad attivarlo. Ma non era pronta a rivedere il video del matrimonio, non ancora.

C’era qualcosa che stonava, sulla parete. Uno dei drappi che coprivano i ritratti pendeva in modo innaturale, e aggrottò la fronte mentre si alzava dal divanetto e si avvicinava a controllare. Guardò a terra: i chiodi ormai arrugginiti che l’avevano tenuto su erano rotolati lontano dal battiscopa, rischiando di ferire qualcuno che, incautamente, avesse deciso di avventurarsi nella stanza a piedi nudi. Possibile che…

Un presentimento l’afferrò, oscuro e intenso. Scostò il tessuto e deglutì davanti a quel riquadro di muro spoglio, fissandolo con occhi vacui finché un’ombra in movimento non la fece voltare verso la porta.

- Il Dottore se n’è andato. Di nuovo.

Ryndane corse a rifugiarsi tra le sue braccia, tremante di rabbia. Innocet le accarezzò le treccine e si assicurò che indossasse le scarpe. - Tesoro, è già tanto che sia venuto per il matrimonio… - Sospirò, mordendosi le labbra.

- Sembravamo di nuovo felici! Credevo che lui e Thistle potessero fare pace davvero, credevo che potessimo essere di nuovo una famiglia, io…

- Ascoltami. Saremo sempre una famiglia. Tu, io, Thistle, Kedred, Morth e Corgan. Non si può avere tutto, ma...

Un miagolio proruppe dal corridoio e un musetto fece capolino nella stanza.

- Sì, Glitz, anche tu.

Dane s’irrigidì, scostandosi. - L’ha portato via? - Toccò la parete, come se temesse o sperasse che quel vuoto fosse un ologramma ingannevole.

- È… era solo un dipinto. Lei se n’è andata da tanto tempo, non fa nessuna differenza per noi, non pensi? Un giorno la troverà, e saranno di nuovo insieme. - Si sforzò di sorridere e al contempo di credere in ciò che stava dicendo.

Rabbrividì, e Lungbarrow con lei.



Damon si ritrovò di nuovo nel quadro, incredulo di non sentirsi ancora fradicio di schiuma. Ce l’aveva fatta. Il vetro era diventato reale, era finalmente all’interno della Finestra. Contemplò la scena che già aveva visto su uno schermo olografico: l’uomo sulla poltrona, con un libro fra le mani. Gli veniva da piangere. Sintonizzò i suoi pensieri su quel respiro lieve… e il vetro si frantumò senza rumore.

Parlò ai suoi sogni, chiamandolo per nome, con la vergogna e il rimpianto che rischiavano di inondare quel discorso urgente e rendere impreciso il suo messaggio.

Quando fu certo che, al risveglio, il Curatore avrebbe trovato sua figlia e le avrebbe sbloccato i ricordi, lo lasciò andare e si ritirò, come un fantasma triste, a contemplare quegli altri spettri congelati nel tempo.

Ada era così bella, così preziosa da fargli desiderare di contemplarla per l’eternità. Dopotutto… la sua missione era conclusa. Non era necessario che tornasse nel mondo reale.

E Lord Jelpax… non aveva… davvero bisogno di lui, non più. Senza dubbio l’aveva già sostituito.

Tornò a guardare verso la Finestra e con un misto di orrore e rassegnazione si accorse ch’essa era scivolata nel tempo, mostrando istante per istante gli anni successivi alla sua breve visita.

Davanti al quadro il Curatore sostò innumerevoli volte, sospirando, un breve sorriso a accentuargli le rughe e illuminare gli occhi celesti.

Ed eccola, Thistleswincetlungbarrowmas, nella sua seconda incarnazione. Della giovane Signora del Tempo che ricordava rimanevano solo gli occhi castani, costantemente indispettiti. Fu tentato di penetrare anche la sua mente, ma non osò. Le immagini scorrevano comunque troppo velocemente per tentare qualcosa del genere; doveva aver fiducia nella loro volontà di sottostare a quell’infame ma necessario ricatto. Ma poteva avere dei dubbi? Aveva assistito alle sue nozze con Kedredaselus, seppure di nascosto, ed era certo che il suo amore per lui l’avrebbe spinta a resistere. Dopotutto, vi era un fondo di verità in ciò che Lord Jelpax aveva detto al processo: quale Kithriarca sarebbe mai diventata, se si fosse mostrata debole alla prima vera sfida?

E poi vide lei. Non un fantasma cristallizzato in un dipinto, ma lei, lei, davvero.

Lontana da Gallifrey, la sua natura umana aveva ceduto al trascorrere del tempo.

Come avevano potuto permetterlo?

 

La Finestra iniziò a rallentare. Anche i suoi cuori, se avesse potuto sentirli in quella non-esistenza, quasi si fermarono dall’emozione.

Ada sfiorò la superficie del quadro, creando l’equivalente dei cerchi concentrici provocati dalla pioggia in uno specchio d’acqua.

Poteva vederlo?

Era mai possibile che lo vedesse, oltre la propria antica immagine?

 

   
 
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