Capitolo Uno
- Chi siamo noi? Reclute Rocket!
- « Mi sentivo come se fossi seduto
- a un tavolo da poker insieme a quattro
- giocatori che non sapevano perdere,
- armati di tutto punto e diffidenti per natura.
- E mi erano stati appena serviti quattro assi.
- A volte le belle notizie sono talmente belle
- da essere brutte »
- » Sangue e Neve, Jo Nesbø
Dedico questo racconto ai miei amici Xavier, Anthony, Thunder, Silvia e Danail.
Allegri e divertenti al punto giusto, ogni giorno si impegnano per farmi compagnia.
Spero che la vita ci faccia incontrare, prima o poi.
Vi voglio bene, grazie per essermi vicini anche se lontani!
Lily
Nel
periodo estivo l'aria di Azzurropoli diventava quasi irrespirabile e
Ivan, muscoloso ragazzo di vent'anni compiuti, trovava
difficoltà nel percorrere qualche chilometro a piedi; erano
anni
che viveva lì per seguire i diabolici piani del Team Rocket,
eppure il caldo soffocante non gli dava tregua.
Infine c'era quel maledetto laghetto popolato da soli Grimer a rovinare
il viaggio di ritorno, ogni giorno diventava sempre più
inquinato e solo gli uomini pieni di coraggio avevano la faccia tosta
di passarci accanto. Quei Pokémon di tipo veleno erano
micidiali
sotto ogni prospettiva, i loro corpi erano composti da strati
di
melma violacea in grado di distruggere anche il materiale
più
resistente, ormai erano anni che sguazzavano allegramente lì
dentro. Ma quella mattina lo stagno urbano emanava un fetore
più
denso a causa dell'alta temperatura, perciò Ivan si
tappò
il naso con un'espressione sdegnata in volto e appoggiò
sull'asfalto il sacco di tela che portava sulla spalla, poi si
fermò a contemplare le creature per una manciata di minuti.
Si
contavano sulle dita gli abitanti che discutevano di quell'ecosistema
tossico, per lo più erano anziani che a stento si alzavano
dalla
sedia. Il resto della popolazione non concepiva la gravità
del
problema, erano più impegnati a boicottare il
Casinò
piuttosto che toccare con mano la verità. Ivan si era
abituato a
percepire il disprezzo dei paesani, in molti si accanivano contro
all'edificio per purissima invidia, ma i commenti più arguti
provenivano dalle casalinghe: donne di età avanzata che se
ne
stavano in casa e si nutrivano di pane e pettegolezzi, le quali
perdevano la pazienza a causa dei mariti che sprecavano lo stipendio
del mese nel gioco d'azzardo. Intanto lo stagno restava vittima di
quella spazzatura vivente, i Grimer erano le bestie preferite da ogni
membro del Team, infatti quel minuscolo spazio vitale era visto come
una specie di allevamento e nessuno aveva l'incarico di purificarlo per
migliorare le condizioni della città.
E il giovane ventenne soffriva in silenzio davanti a quello spettacolo
raccapriciante, l'acqua era il suo elemento e non digeriva un simile
atteggiamento nei confronti della natura. Da bambino era cresciuto su
un'isola della regione di Hoenn, aveva passato l'infanzia a contatto
con il mare e sapeva come amarlo, rispettarlo oppure a prendersene
cura. Grazie alle esperienze che si era fatto durante le interminabili
nuotate, era diventato abile nell'ammaestrare i Pokémon di
tipo
Acqua, non era un caso se i suoi colleghi lo ricordavano per aver
addestrato un esemplare di Tentacruel evoluto in natura; le meduse
giganti erano rinomate da ogni marinaio per il carattere malvagio e
meschino, chi sfidava uno dei mille tentacoli velenosi poteva
incontrare solo la morte.
Ma non Ivan, era rimasto una settimana a letto con la febbre. Niente di
più.
Terminata l'osservazione Ivan sistemò il cappello nero della
divisa Rocket, contemporaneamente issò sulla spalla il sacco
di
tela che trasportava dalla Zona Safari e continuò il breve
tragitto per raggiungere la base. L'afa prendeva la meglio su
quell'ammasso di muscoli e lo costringeva a rallentare, era il classico
personaggio che apprezzava la bella stagione solo se si trovava nei
pressi di una spiaggia, per il resto detestava le giornate in cui il
sole era così forte da spaccare le pietre. Ansimava mentre
il
sudore colava lungo la fronte e le tempie, le guance divampavano e il
tessuto della divisa era talmente fastidioso da causargli un
forte
prurito. Almeno intravedeva la sagoma imponente del Casinò,
lì c'erano ampie sale ben condizionate e un letto comodo
pronto
a ospitarlo, per cui il sorriso cresceva sul volto giovane di Ivan e i
suoi movimenti si facevano più lesti. Se la verifica dei
Pokémon che aveva catturato aveva un buon esito, poteva
occupare
il resto delle ore con del meritato riposo, in caso contrario un
pesante impiego part-time l'avrebbe tenuto sveglio fino all'esame
successivo. Gli errori all'interno del Team Rocket non restavano mai
impuniti, i superiori utilizzavano il pugno di ferro con i cacciatori
che lavoravano di notte per rubare Pokémon rari: i migliori
erano destinati alla squadra del Capo Giovanni, i restanti venivano
spacciati come premi per il Casinò.
La missione di Ivan si poteva considerare la più sicura tra
le
tante, era un professionista della pesca dei Dratini che si trovavano
nel lago più isolato della Zona Safari,
quest'ultima era
reperibile soltanto nella città vicina e ogni giorno,
volente
oppure no, la recluta doveva cimentarsi in un doloroso viaggio privo di
soste.
Dopo un paio di passi il tragitto era giunto al termine, Ivan si
incoraggiò con un bel respiro ed entrò nel
Casinò
senza prendere in considerazione la porta sul retro. Per le vie di
Azzurropoli si nascondeva dagli sguardi indiscreti, faceva attenzione
nel celare la divisa nera, almeno nella base si prendeva qualche
libertà in più, in fin dei conti conosceva molto
bene i
clienti che
passavano la notte davanti allo schermo delle macchinette, quei
soggetti non avevano mai fatto caso a lui. Il personale dell'edificio
era composto da reclute Rocket impegnate con il turno notturno, le
femmine erano dietro al bancone con indumenti sfavillanti e ben
sistemati, i maschi invece erano in veste di camerieri/uomini delle
pulizie e si spezzavano la schiena per accontentare le
necessità
degli spendaccioni che frequentavano la struttura.
Ivan salutò i colleghi con movimenti leggeri della testa e
si
rifugiò nella parte più appartata della
stanza,
più precisamente era un corridoio che non conduceva da
nessuna
parte. Schiacciò il tasto che da anni era nascosto sotto a
un
poster dalle immagini scolorite, solo in quel momento una rampa di
scale si aprì con la solita andatura lenta e tediosa, almeno
il
soave rumore metallico era una melodia invitante per le orecchie
stanche della recluta.
Era a casa.
Il sacco che Ivan portava sulla spalla pesava una tonnellata, era complicato percorrere i gradini fino in fondo, ma doveva correre se non voleva perdere l'appello. Ariana non era la donna che sorvolava sui ritardi.
«È già cominciato l'appello?»
Domandò
Ivan poco prima di abbandonare le Pokéball a terra, si era
appoggiato al muro e aveva intrecciato le braccia muscolose contro al
petto. Davanti a lui c'erano un gruppo di cinque individui piuttosto
giovani, erano degli ottimi cacciatori ma avevano gli occhi ornati da
mostruose borse violacee. Sicuramente erano stati puniti da Giovanni,
andare a rubare Pokémon agli allenatori era come giocare al
gioco d'azzardo, si vinceva solo se si aveva una buona mano. O tanta
fortuna.
Dato che non riceveva alcuna risposta, Ivan si avvicinò
all'unico ragazzo con cui aveva un briciolo di rapporto e che sembrava
in ottima forma: Gerardo. Era snello di
corporatura e i suoi occhi erano scuri come le cortecce degli alberi,
la
carnagione olivastra entrava in sintonia con i capelli castani dalla
media lunghezza e scompigliati dal cappello della divisa. Gerardo non
era un ragazzo che
amava stare a contatto con le persone in generale, però i
due si
conoscevano dal giorno in cui Ivan si era "arruolato", la coppia aveva
affrontato l'addestramento insieme, infine si erano ritrovati nel
Rifugio di Azzurropoli e da allora non si erano più
allontanati.
«Allora
Gerardo, è cominciato l'appello?».
«No Ivan. Ariana non si è fatta vedere, sei stato
fortunato».
«Dici davvero?!» lo stupore già
l'assaliva. «E come mai? Mi sono perso qualcosa?».
«Niente di eccezionale, si stanno preparando per accogliere
il
nuovo plutone di Reclute» spiegò Gerardo, poi
riuscì a far sussultare Ivan con una gomitata improvvisa.
«Ricordi? Dopo un periodo di tempo ci invadono i novellini,
ma
questa volta provengono dal campo base di Johto; non ho avuto modo di
informarmi sui nomi, però ho sentito dire che sono quasi
tutti
scienziati».
«Secchioni quindi, ma quanto saranno intelligenti?».
«Tanto, credimi. Giovanni non è andato ad
assistere agli esami, sanno il fatto loro».
Nello stomaco Ivan possedeva uno stormo di Beedrill infuriati,
l'emozione era davvero a mille, non apprezzava l'idea di
essere
circondato da persone troppo intelligenti. Lo facevano sentire in
estremo disagio.
«Hanno già previsto la data del loro
arrivo?».
«Credo la settimana prossima, non è semplice
spostare un
plutone di Reclute da Johto a Kanto. Le divise nere spiccano in mezzo
alla folla».
«Quanti sono stati ammessi quest'anno?».
«Otto».
«Otto?! Stai scherzando spero!».
«No è la verità. Ariana li
smisterà a dovere sotto il consiglio di Giovanni».
«...».
«Cosa c'è, Ivan?» domandò
Gerardo con il
solito sorrisetto sul volto, evidentemente si era accorto delle
sensazioni del compare. Maledette espressioni.
Gerardo voleva un gran bene all'amico, ma era abile nello stuzzicarlo.
«Niente, sono stanco. I Dratini non si lasciano catturare
facilmente» mentì Ivan, si massaggiò la
nuca e
inumidì le labbra secche con la lingua. «Le
Reclute
più anziane faranno il party di benvenuto? Lo spero tanto,
ho
una gran voglia di divertirmi».
«Sì, avremo come minimo due settimane di
ferie».
«Per un po' si dorme come le persone normali, ti va di andare
al
centro commerciale più tardi? Ti offro una bevanda dal
distributore».
«Mi assicurerò di prendere quella più
cara, tanto tu non badi a spese».
«Smettetela di parlare voi due, Ariana sta arrivando»
La conversazione
terminò, Ariana era già dentro alla stanza.
Ivan, Gerardo e le altre reclute si erano messe in fila davanti a lei,
poi avevano messo in evidenza il saluto onorario, come se fossero dei
soldati pronti alla battaglia.
Nonostante gli stati d'animo che gli invadevano la mente, Ivan
posò lo sguardo su Ariana: era incantevole ed elegante nella
lunga divisa bianca, in grado di metterle in risalto le forme femminili
del corpo, poi i capelli rossi le incorniciavano alla perfezione il
viso dai lineamenti perfetti e marcati. Dietro di sé
lasciava
una scia di profumo che inebriava i cinque sensi di ogni recluta e,
quando quello sguardo glaciale colpiva in pieno Ivan, il mal capitato
non riusciva a staccarsi da quelle due perle cangianti.
Quella donna era un bocconcino di prima qualità, una perla
preziosa racchiusa dentro al guscio resistente di un'ostrica,
però Ivan non riusciva a inquadrarla come amante:
«Signori»
sentì la sua voce e tornò alla realtà,
ma senza
interrompere il saluto: «Nei prossimi giorni dovremo
accogliere
un plutone di otto reclute, perciò le attività
dentro al
Rifugio Rocket saranno sospese fino al termine dell'orientamento.
Potete consegnare la refurtiva ai due generali, siete esonerati dalla
verifica giornaliera»
A momenti Ivan sveniva dall'emozione.
Doppio colpo di fortuna, aveva il cuore che batteva a mille.
Però tutto andò in frantumi grazie all'intervento
di Ariana:
«Ivan. Giovanni ti vuole vedere, vai subito nel suo
ufficio».
Dannazione!
* * *
Erano
passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team
Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era
immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più
intriganti.
Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la
postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a
casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte
come
una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città
dalle
tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di
tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla
sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album
stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua
esperienza all'interno del campo Rocket. In prima pagina c'era una foto
di gruppo: lui con gli allenatori che si erano reclutati in quello
stesso periodo, Max la osservava attentamente e si rendeva conto che
allora era paragonabile a un bambino con un diavolo per capello. Le
pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente
tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e
ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un
cambiamento
radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un
bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Max sospirò per cacciare la stanchezza, si
massaggiò le
tempie con i polpastrelli dell'indice e del medio, probabilmente il mal
di testa era assicurato. Lasciò la sedia e sfilò
il
camice bianco posto sullo schienale in legno, poi lo indossò
velocemente. Uscì dalla stanza senza provocare il minimo
rumore
e, intrecciate le mani dietro alla schiena per mantenere una posizione
corretta, imboccò il tragitto che conduceva al laboratorio.
Pochi passi ed era già immerso nell'ambiente che lo
caraterizzava al meglio, teneva in mano un voluminoso blocco per gli
appunti e, mentre la penna scorreva frettolosamente sulla carta bianca,
passeggiava attorno alle strane pietre che aveva scovato durante la
scursione mattutina. Max era un geologo molto rinomato, ma i minerali
lo appassionavano.
«Ancora
sveglio Max?».
Max
sussultò nell'udire quella voce femminile, il modo
improvviso con cui si era intromessa l'aveva spaventato.
Si girò velocemente, giusto per rivolgere uno sguardo alla
collega: Dana. I due scienziati si erano conosciuti durante alcuni
corsi, si tenevano al Campo d'addestramento e tutte le reclute dovevano
prenderne parte. Dana e Max erano compagni di banco così,
alla
fine della lezione e di alcune occhiatine complici, si erano fermati a
chiacchierare nella classe rimasta vuota, grazie a ciò
avevano
scoperto di avere molti interessi in comune e, da allora, non si erano
persi di vista. Dana aveva la stessa età di Max anche se non
lo
dimostrava, inoltre era uscita da una condizione familiare disastrosa
ma possedeva un carattere delizioso, un po' fanciullesco e sopra le
righe in alcune occasioni. Dana non era fiera per il fisico snello che
nascondeva sotto al camice, a tratti era assai mascolino e privo di
curve femminili; però aveva una lunga chioma di capelli
tinti di
blu, li teneva legati in un'elegante coda di cavallo che entrava in
armonia con gli occhi castani, nascosti al di là di un
leggero
paia di occhiali dalla montatura metallizzata. Erano assai espressivi,
pieni di determinazione.
Max l'adorava. La trattava come una sorellina, era felice di averla al
suo fianco a Kanto:
«Sì»
esclamò Max con voce bassa. «Sono qui per
controllare le
pietre che ho trovato stamani, nel percorso qua vicino. Ma sembrano
molto diverse da quelle a cui siamo abituati, devo capire se hanno
degli effetti se entrano a contatto con i Pokémon».
«Può darsi» mormorò Dana e si
avvicinò
velocemente, chinandosi per esaminare i sassolini variopinti: avevano
un forma circolare e perfetta, ma erano così piccoli che
potevano essere paragonati a delle semplici biglie, tuttavia sembravano
decorati da degli strani simboli, quel particolare era strano se messo
insieme al bagliore che emanavano.
«È difficile da comprendere, a me sembrano dei
comuni sassi» continuò Dana.
«Sembrano, ma ti posso assicurare che non lo sono.
Dovrò
riguardare il mio manuale sulle lingue antiche, magari posso
identificare quegli assurdi simboli, potranno condurci a
qualcosa».
«Al massimo puoi chiedere aiuto a Leila, è lei
l'esperta in archeologia».
«Esatto, mi rincresce non aver seguito il suo stesso percorso
di
studi. I corsi di specializzazione che fanno al campo, non sono
paragonabili a quelli dell'Università».
«Max...».
«Sì, Dana?».
«Non ti sei fatto più vedere dai risultati
dell'esame, qualcosa non va?».
«Sono in gran forma, ho passato l'intero pomeriggio a
studiare il
terreno attorno al campo, Camerupt si è divertito parecchio
durante la gita. Poi ho ordinato i miei appunti per il viaggio, per
questo non mi sono presentato a cena» raccontò Max
per
tranquillizzare la collega, successivamente si levò il
camice.
Era pronto per andare a letto, le ore lavorative si concludevano
lì: «Avremo molti incarichi in più
quando saremo ad
Azzurropoli, ma non è un buon motivo per terminare le
ricerche.
Il mio scopo è quello di fare una nuova scoperta per la
scienza,
per una volta voglio spiccare in mezzo alla folla e sono sicuro che
queste pietre sono la chiave che mi condurranno al successo».
«Tu sei sempre così sicuro e pieno di ambizioni
Max».
«Se fossi stato il contrario, sicuramente mi sarei
accontentato di fare l'impiegato».
«Non sto dicendo questo» esclamò Dana
scocciata, non
sopportava i momenti in cui Max si comportava più da leader
che
da collega, poi gonfiò le guance per evidenziare la
frustrazione. «Preferirei lavorare a un progetto
più
concreto, magari usare la scienza per scopi più utili,
è
un anno che le nostre ricerche non conducono a niente».
«Scordatelo Dana» tuonò Max. «Sono a un passo dalla
verità, non posso fermarmi ora».