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Autore: KomadoriZ71    20/06/2015    5 recensioni
{ Ivan & Max ─ Hardenshipping } "Erano passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più intriganti. Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte come una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città dalle tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua esperienza all'interno del campo Rocket. [...] Le pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un cambiamento radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio, Team Rocket
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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chi siamo noi reclute rocket

Capitolo Uno

- Chi siamo noi? Reclute Rocket!







« Mi sentivo come se fossi seduto
a un tavolo da poker insieme a quattro
giocatori che non sapevano perdere,
armati di tutto punto e diffidenti per natura.
E mi erano stati appena serviti quattro assi.
A volte le belle notizie sono talmente belle
da essere brutte »
» Sangue e Neve, Jo Nesbø









archie max






















Prima di cominciare...
Dedico questo racconto ai miei amici Xavier, Anthony, Thunder, Silvia e Danail. 
Allegri e divertenti al punto giusto, ogni giorno si impegnano per farmi compagnia.
Spero che la vita ci faccia incontrare, prima o poi.
Vi voglio bene, grazie per essermi vicini anche se lontani!
Lily




Nel periodo estivo l'aria di Azzurropoli diventava quasi irrespirabile e Ivan, muscoloso ragazzo di vent'anni compiuti, trovava difficoltà nel percorrere qualche chilometro a piedi; erano anni che viveva lì per seguire i diabolici piani del Team Rocket, eppure il caldo soffocante non gli dava tregua.
Infine c'era quel maledetto laghetto popolato da soli Grimer a rovinare il viaggio di ritorno, ogni giorno diventava sempre più inquinato e solo gli uomini pieni di coraggio avevano la faccia tosta di passarci accanto. Quei Pokémon di tipo veleno erano micidiali sotto ogni prospettiva, i loro corpi erano composti da strati di melma violacea in grado di distruggere anche il materiale più resistente, ormai erano anni che sguazzavano allegramente lì dentro. Ma quella mattina lo stagno urbano emanava un fetore più denso a causa dell'alta temperatura, perciò Ivan si tappò il naso con un'espressione sdegnata in volto e appoggiò sull'asfalto il sacco di tela che portava sulla spalla, poi si fermò a contemplare le creature per una manciata di minuti. Si contavano sulle dita gli abitanti che discutevano di quell'ecosistema tossico, per lo più erano anziani che a stento si alzavano dalla sedia. Il resto della popolazione non concepiva la gravità del problema, erano più impegnati a boicottare il Casinò piuttosto che toccare con mano la verità. Ivan si era abituato a percepire il disprezzo dei paesani, in molti si accanivano contro all'edificio per purissima invidia, ma i commenti più arguti provenivano dalle casalinghe: donne di età avanzata che se ne stavano in casa e si nutrivano di pane e pettegolezzi, le quali perdevano la pazienza a causa dei mariti che sprecavano lo stipendio del mese nel gioco d'azzardo. Intanto lo stagno restava vittima di quella spazzatura vivente, i Grimer erano le bestie preferite da ogni membro del Team, infatti quel minuscolo spazio vitale era visto come una specie di allevamento e nessuno aveva l'incarico di purificarlo
 per migliorare le condizioni della città. 
E il giovane ventenne soffriva in silenzio davanti a quello spettacolo raccapriciante, l'acqua era il suo elemento e non digeriva un simile atteggiamento nei confronti della natura. Da bambino era cresciuto su un'isola della regione di Hoenn, aveva passato l'infanzia a contatto con il mare e sapeva come amarlo, rispettarlo oppure a prendersene cura. Grazie alle esperienze che si era fatto durante le interminabili nuotate, era diventato abile nell'ammaestrare i Pokémon di tipo Acqua, non era un caso se i suoi colleghi lo ricordavano per aver addestrato un esemplare di Tentacruel evoluto in natura; le meduse giganti erano rinomate da ogni marinaio per il carattere malvagio e meschino, chi sfidava uno dei mille tentacoli velenosi poteva incontrare solo la morte.
Ma non Ivan, era rimasto una settimana a letto con la febbre. Niente di più.
Terminata l'osservazione Ivan sistemò il cappello nero della divisa Rocket, contemporaneamente issò sulla spalla il sacco di tela che trasportava dalla Zona Safari e continuò il breve tragitto per raggiungere la base. L'afa prendeva la meglio su quell'ammasso di muscoli e lo costringeva a rallentare, era il classico personaggio che apprezzava la bella stagione solo se si trovava nei pressi di una spiaggia, per il resto detestava le giornate in cui il sole era così forte da spaccare le pietre. Ansimava mentre il sudore colava lungo la fronte e le tempie, le guance divampavano e il tessuto della divisa era talmente fastidioso da causargli un forte prurito. Almeno intravedeva la sagoma imponente del Casinò, lì c'erano ampie sale ben condizionate e un letto comodo pronto a ospitarlo, per cui il sorriso cresceva sul volto giovane di Ivan e i suoi movimenti si facevano più lesti. Se la verifica dei Pokémon che aveva catturato aveva un buon esito, poteva occupare il resto delle ore con del meritato riposo, in caso contrario un pesante impiego part-time l'avrebbe tenuto sveglio fino all'esame successivo. Gli errori all'interno del Team Rocket non restavano mai impuniti, i superiori utilizzavano il pugno di ferro con i cacciatori che lavoravano di notte per rubare Pokémon rari: i migliori erano destinati alla squadra del Capo Giovanni, i restanti venivano spacciati come premi per il Casinò.
La missione di Ivan si poteva considerare la più sicura tra le tante, era un professionista della pesca dei Dratini che si trovavano nel lago più isolato della Zona Safari, quest'ultima era reperibile soltanto nella città vicina e ogni giorno, volente oppure no, la recluta doveva cimentarsi in un doloroso viaggio privo di soste.
Dopo un paio di passi il tragitto era giunto al termine, Ivan si incoraggiò con un bel respiro ed entrò nel Casinò senza prendere in considerazione la porta sul retro. Per le vie di Azzurropoli si nascondeva dagli sguardi indiscreti, faceva attenzione nel celare la divisa nera, almeno nella base si prendeva qualche libertà in più, in fin dei conti conosceva molto bene i clienti 
che passavano la notte davanti allo schermo delle macchinette, quei soggetti non avevano mai fatto caso a lui. Il personale dell'edificio era composto da reclute Rocket impegnate con il turno notturno, le femmine erano dietro al bancone con indumenti sfavillanti e ben sistemati, i maschi invece erano in veste di camerieri/uomini delle pulizie e si spezzavano la schiena per accontentare le necessità degli spendaccioni che frequentavano la struttura.
Ivan salutò i colleghi con movimenti leggeri della testa e si rifugiò nella parte più appartata della stanza, più precisamente era un corridoio che non conduceva da nessuna parte. Schiacciò il tasto che da anni era nascosto sotto a un poster dalle immagini scolorite, solo in quel momento una rampa di scale si aprì con la solita andatura lenta e tediosa, almeno il soave rumore metallico era una melodia invitante per le orecchie stanche della recluta.

Era a casa.

Il sacco che Ivan portava sulla spalla pesava una tonnellata, era complicato percorrere i gradini fino in fondo, ma doveva correre se non voleva perdere l'appello. Ariana non era la donna che sorvolava sui ritardi.

«È già cominciato l'appello?»

Domandò Ivan poco prima di abbandonare le Pokéball a terra, si era appoggiato al muro e aveva intrecciato le braccia muscolose contro al petto. Davanti a lui c'erano un gruppo di cinque individui piuttosto giovani, erano degli ottimi cacciatori ma avevano gli occhi ornati da mostruose borse violacee. Sicuramente erano stati puniti da Giovanni, andare a rubare Pokémon agli allenatori era come giocare al gioco d'azzardo, si vinceva solo se si aveva una buona mano. O tanta fortuna.
Dato che non riceveva alcuna risposta, Ivan si avvicinò all'unico ragazzo con cui aveva un briciolo di rapporto e che sembrava in ottima forma: Gerardo. Era snello di corporatura e i suoi occhi erano scuri come le cortecce degli alberi, la carnagione olivastra entrava in sintonia con i capelli castani dalla media lunghezza e scompigliati dal cappello della divisa. Gerardo non era un ragazzo che amava stare a contatto con le persone in generale, però i due si conoscevano dal giorno in cui Ivan si era "arruolato", la coppia aveva affrontato l'addestramento insieme, infine si erano ritrovati nel Rifugio di Azzurropoli e da allora non si erano più allontanati. 

«Allora Gerardo, è cominciato l'appello?».
«No Ivan. Ariana non si è fatta vedere, sei stato fortunato».
«Dici davvero?!» lo stupore già l'assaliva. «E come mai? Mi sono perso qualcosa?».
«Niente di eccezionale, si stanno preparando per accogliere il nuovo plutone di Reclute» spiegò Gerardo, poi riuscì a far sussultare Ivan con una gomitata improvvisa. «Ricordi? Dopo un periodo di tempo ci invadono i novellini, ma questa volta provengono dal campo base di Johto; non ho avuto modo di informarmi sui nomi, però ho sentito dire che sono quasi tutti scienziati».
«Secchioni quindi, ma quanto saranno intelligenti?».
«Tanto, credimi. Giovanni non è andato ad assistere agli esami, sanno il fatto loro».
Nello stomaco Ivan possedeva uno stormo di Beedrill infuriati, l'emozione era davvero a mille, non apprezzava l'idea di essere circondato da persone troppo intelligenti. Lo facevano sentire in estremo disagio.
«Hanno già previsto la data del loro arrivo?».
«Credo la settimana prossima, non è semplice spostare un plutone di Reclute da Johto a Kanto. Le divise nere spiccano in mezzo alla folla».
«Quanti sono stati ammessi quest'anno?».
«Otto».
«Otto?! Stai scherzando spero!».
«No è la verità. Ariana li smisterà a dovere sotto il consiglio di Giovanni».
«...».
«Cosa c'è, Ivan?» domandò Gerardo con il solito sorrisetto sul volto, evidentemente si era accorto delle sensazioni del compare. Maledette espressioni.
Gerardo voleva un gran bene all'amico, ma era abile nello stuzzicarlo.
«Niente, sono stanco. I Dratini non si lasciano catturare facilmente» mentì Ivan, si massaggiò la nuca e inumidì le labbra secche con la lingua. «Le Reclute più anziane faranno il party di benvenuto? Lo spero tanto, ho una gran voglia di divertirmi».
«Sì, avremo come minimo due settimane di ferie».
«Per un po' si dorme come le persone normali, ti va di andare al centro commerciale più tardi? Ti offro una bevanda dal distributore».
«Mi assicurerò di prendere quella più cara, tanto tu non badi a spese».


«Smettetela di parlare voi due, Ariana sta arrivando»


La conversazione terminò, Ariana era già dentro alla stanza.
Ivan, Gerardo e le altre reclute si erano messe in fila davanti a lei, poi avevano messo in evidenza il saluto onorario, come se fossero dei soldati pronti alla battaglia.
Nonostante gli stati d'animo che gli invadevano la mente, Ivan posò lo sguardo su Ariana: era incantevole ed elegante nella lunga divisa bianca, in grado di metterle in risalto le forme femminili del corpo, poi i capelli rossi le incorniciavano alla perfezione il viso dai lineamenti perfetti e marcati. Dietro di sé lasciava una scia di profumo che inebriava i cinque sensi di ogni recluta e, quando quello sguardo glaciale colpiva in pieno Ivan, il mal capitato non riusciva a staccarsi da quelle due perle cangianti.
Quella donna era un bocconcino di prima qualità, una perla preziosa racchiusa dentro al guscio resistente di un'ostrica, però Ivan non riusciva a inquadrarla come amante:

«Signori» sentì la sua voce e tornò alla realtà, ma senza interrompere il saluto: «Nei prossimi giorni dovremo accogliere un plutone di otto reclute, perciò le attività dentro al Rifugio Rocket saranno sospese fino al termine dell'orientamento. Potete consegnare la refurtiva ai due generali, siete esonerati dalla verifica giornaliera»
A momenti Ivan sveniva dall'emozione.
Doppio colpo di fortuna, aveva il cuore che batteva a mille.
Però tutto andò in frantumi grazie all'intervento di Ariana:
«Ivan. Giovanni ti vuole vedere, vai subito nel suo ufficio».

Dannazione!



* * *



Erano passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più intriganti. Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte come una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città dalle tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua esperienza all'interno del campo Rocket. In prima pagina c'era una foto di gruppo: lui con gli allenatori che si erano reclutati in quello stesso periodo, Max la osservava attentamente e si rendeva conto che allora era paragonabile a un bambino con un diavolo per capello. Le pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un cambiamento radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Max sospirò per cacciare la stanchezza, si massaggiò le tempie con i polpastrelli dell'indice e del medio, probabilmente il mal di testa era assicurato. Lasciò la sedia e sfilò il camice bianco posto sullo schienale in legno, poi lo indossò velocemente. Uscì dalla stanza senza provocare il minimo rumore e, intrecciate le mani dietro alla schiena per mantenere una posizione corretta, imboccò il tragitto che conduceva al laboratorio.
Pochi passi ed era già immerso nell'ambiente che lo caraterizzava al meglio, teneva in mano un voluminoso blocco per gli appunti e, mentre la penna scorreva frettolosamente sulla carta bianca, passeggiava attorno alle strane pietre che aveva scovato durante la scursione mattutina. Max era un geologo molto rinomato, ma i minerali lo appassionavano.

«Ancora sveglio Max?».

Max sussultò nell'udire quella voce femminile, il modo improvviso con cui si era intromessa l'aveva spaventato.
Si girò velocemente, giusto per rivolgere uno sguardo alla collega: Dana. I due scienziati si erano conosciuti durante alcuni corsi, si tenevano al Campo d'addestramento e tutte le reclute dovevano prenderne parte. Dana e Max erano compagni di banco così, alla fine della lezione e di alcune occhiatine complici, si erano fermati a chiacchierare nella classe rimasta vuota, grazie a ciò avevano scoperto di avere molti interessi in comune e, da allora, non si erano persi di vista. Dana aveva la stessa età di Max anche se non lo dimostrava, inoltre era uscita da una condizione familiare disastrosa ma possedeva un carattere delizioso, un po' fanciullesco e sopra le righe in alcune occasioni. Dana non era fiera per il fisico snello che nascondeva sotto al camice, a tratti era assai mascolino e privo di curve femminili; però aveva una lunga chioma di capelli tinti di blu, li teneva legati in un'elegante coda di cavallo che entrava in armonia con gli occhi castani, nascosti al di là di un leggero paia di occhiali dalla montatura metallizzata. Erano assai espressivi, pieni di determinazione.
Max l'adorava. La trattava come una sorellina, era felice di averla al suo fianco a Kanto:

«Sì» esclamò Max con voce bassa. «Sono qui per controllare le pietre che ho trovato stamani, nel percorso qua vicino. Ma sembrano molto diverse da quelle a cui siamo abituati, devo capire se hanno degli effetti se entrano a contatto con i Pokémon».
«Può darsi» mormorò Dana e si avvicinò velocemente, chinandosi per esaminare i sassolini variopinti: avevano un forma circolare e perfetta, ma erano così piccoli che potevano essere paragonati a delle semplici biglie, tuttavia sembravano decorati da degli strani simboli, quel particolare era strano se messo insieme al bagliore che emanavano.
«È difficile da comprendere, a me sembrano dei comuni sassi» continuò Dana.
«Sembrano, ma ti posso assicurare che non lo sono. Dovrò riguardare il mio manuale sulle lingue antiche, magari posso identificare quegli assurdi simboli, potranno condurci a qualcosa».
«Al massimo puoi chiedere aiuto a Leila, è lei l'esperta in archeologia».
«Esatto, mi rincresce non aver seguito il suo stesso percorso di studi. I corsi di specializzazione che fanno al campo, non sono paragonabili a quelli dell'Università».
«Max...».
«Sì, Dana?».
«Non ti sei fatto più vedere dai risultati dell'esame, qualcosa non va?».
«Sono in gran forma, ho passato l'intero pomeriggio a studiare il terreno attorno al campo, Camerupt si è divertito parecchio durante la gita. Poi ho ordinato i miei appunti per il viaggio, per questo non mi sono presentato a cena» raccontò Max per tranquillizzare la collega, successivamente si levò il camice. Era pronto per andare a letto, le ore lavorative si concludevano lì: «Avremo molti incarichi in più quando saremo ad Azzurropoli, ma non è un buon motivo per terminare le ricerche. Il mio scopo è quello di fare una nuova scoperta per la scienza, per una volta voglio spiccare in mezzo alla folla e sono sicuro che queste pietre sono la chiave che mi condurranno al successo».
«Tu sei sempre così sicuro e pieno di ambizioni Max».
«Se fossi stato il contrario, sicuramente mi sarei accontentato di fare l'impiegato».
«Non sto dicendo questo» esclamò Dana scocciata, non sopportava i momenti in cui Max si comportava più da leader che da collega, poi gonfiò le guance per evidenziare la frustrazione. «Preferirei lavorare a un progetto più concreto, magari usare la scienza per scopi più utili, è un anno che le nostre ricerche non conducono a niente».
«Scordatelo Dana» tuonò Max. «Sono a un passo dalla verità, non posso fermarmi ora».

   
 
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