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Autore: HergePearl    22/06/2015    3 recensioni
Lasciai andare il controllo sulla mia vita. Non per sempre, solo per un giorno. E poi era come se sapessi fin dalla mattina, dal momento che mi ero alzata, che desideravo il mio compagno di classe. [One shot Sequel di "Halt' mich fest - Tienimi stretta"]
Genere: Erotico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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~ Nota dell'autrice:
Dedico questa One shot all'utente AndreaMesso45, al quale ho mentito spudoramente affermando che non avrei proprio continuato a scrivere la storia tra i due ragazzi, nata in modo molto particolare tra i banchi di scuola. La prima parte potete trovare sotto il titolo "Halt' mich fest - Tienimi stretta".
Vi auguro una buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate!
HergePearl

Chiusi la porta con un leggero tonfo dietro di me. Non dovevano sentir niente, i miei genitori. Sapevo che si sarebbero arrabbiati di fronte un mio atteggiamento immaturo, ma non potevo farci niente, ero passionale come un fuoco che non si può domare. A volte dovevo pur dar sfogo alle mie voglie di lasciar cadere il mio piccolo mondo che tenevo tra le mani per terra.
Un'energia di negatività alimentava le mie forze e dava un'incontrollabile spinta alle mie gambe di muoversi, di scendere le scale, di attraversare il cortile e di farmi strada tra le villette dei benestanti della mia città.
Avrei lasciato che le mie gambe mi portassero da qualche parte. Avevo soldi e la carta d'identità nel portafoglio, avrei potuto prendere il treno e raggiungere un'altra città o per giunta attraversare il confine. Sarebbe stato troppo facile.
Scesi le scale due a due. Ero in un battito di ciglia fuori casa e un leggero soffio di vento riuscì a darmi il benvenuto costrigendomi a stringermi nel maglioncino che portavo addosso nonostante fosse estate.
Un'estate umida e ventosa, quell'anno.
Forse l'unico errore che avevo commesso nel mio scappare era il fatto di aver lasciato casa verso l'ora del tramonto. Non amavo la mia città al buio in caso che non venissi accompagnata da qualcuno.
Attraversai le strade all'ultimo momento prima che passava una macchina. Il suono dei freni era come musica per la mia mente ribelle, cattiva perché stanca di dover guidare una ragazza perfettina, proveniente da una famiglia per bene.
Decisi di lasciarmi andare, stanca di tutto, stanca di fare le cose come le leggi prevedevano. Fermai un giovane uomo per strada, chiedendogli una sigaretta. Indossava uno smoking, il che mi aiutò a indovinare che avesse appena finito di lavorare in uno degli studi legali della città. Al suo indice sinistro luccicava una fede troppo grande. Aprì il pacchetto di Dunhill lasciandomi pescare con i polpastrelli dell'indice e pollice una sigaretta. Sfiorai il filtro contro il labbro inferiore, incastrandolo poi dolcemente tra le labbra guardando quell'uomo negli occhi. Lui mantenne lo sguardo anche mentre accese la sigaretta con l'accendino. Aspirai e gli feci l'occhiolino proseguendo quindi sulla mia strada verso la libertà dagli impegni.
Non era da me. E c'era tanto di tutto questo da considerare 'non da me'.

Non so come fece a venirmi in mente proprio lui.
Non avevamo chissà quale rapporto, anzi. Eravamo semplici compagni di classe.
Avevo perso il treno delle 21:25 per Roma, l'ultimo treno per una città, quello per Verona avevo già perso. Il mio piano aveva fallito.
Io provavo rispetto per lui. Forse semplicemente perché lui con quel velo di arroganza si faceva rispettare.
Lui era imprevedibile e anche per questo per me era un grande enigma. Riusciva a innervosirsi da un momento all'altro, scherzare l'attimo successivo. Ma la cosa mi fece rimanere più scettica che mai nei suoi confronti era quando vidi i suoi occhi inumidirsi. Ero l'unica che l'aveva visto e speravo egoisticamente che mi notasse e capisse che desideravo confortarlo.
In ogni caso, dopo quel innocuo bacio che mi diede nel collo il pomeriggio che passai a casa sua per lasciargli gli appunti di matematica era come se non fosse mai esistito. Continuavamo a considerarci estranei, le poche volte che parlavamo si trattava solo di temi scolastici, senza mai entrare nella sfera personale dell'altro. Non lo conoscevo - e in fin dei conti mi interessava ben poco di lui.
Mi ricordavo dove abitava. Ero altrettanto imprevedibile, ebbene, lui era l'unica persona che mi veniva in mente. Non avrei potuto passare la notte per strada e di tornare dai miei genitori non se ne parlava nemmeno. Da una compagna di classe tantomeno. Le loro mamme erano in stretto contatto con la mia, proprio come alle elementari che le mamme si chiamavano per organizzare la vita sociale della figlia. Era un comportamento che odiavo - e dovevo tenerci conto se non volevo che il mio piano falisse del tutto.

Citofonai una, due volte. Non rispose. Sospirai rumorosamente, guardandomi intorno, la strada semideserta visto l'orario. Un brivido percosse la colonna vertebrale, impaziente di incontrare il caldo. Infine riconobbi la sua voce: "Mi spiace ma non ci interessa, può lasciare il volantino dai vicini.".
Inarcai le sopracciglia, fissando in silenzio il suo cognome, scritto vicino al pulsante per citofonare. Scritto in maiuscolo come se volesse urlarmi qualcosa contro. Casomai gli avrei sgridato io, implorandolo di aprire visto che erano già le dieci passate.
Sospirai un'altra volta e mi voltai, persa nella sera.
Una finestra si aprì rumorosamente e sentì una voce una voce maschile schiarirsi la gola. Mi voltai ancora, verso la direzione da cui veniva il suono, cercandolo. Cercando lui.
Non è che mi piaceva. C'era qualcosa tra di noi che era più di una semplice attrazione fisica. Forse era una reciproca gelosia verso il successo dell'altro. Eravamo entrambi bravi a scuola e volevamo tutti e due tanto dalla nostra vita, sfruttandola al massimo.
Lo vidi. Non aveva un'espressione definita sulle labbre e la distanza era troppa per poter vedere bene i suoi occhi.
Mi indicò il cancello di casa su cui avrei potuto arrampicarmi, salendo successivamente sui rami della castagna per arrivare alla sua finestra.

Passò del tempo per via della mia scarsa agilità e tanta goffezza, lui tuttavia mi aspettò pazientemente. Riuscii comunque a mettere piede nella sua stanza sana e salva.
Indossava una maglietta e dei pantoloncini corti. Non disse niente e tantomeno mi guardò negli occhi, lasciandomi sola nella stanza dopo aver spento il computer al quale lavorava a un documento word.
Mi guardai intorno, ricordandomi la stanza così com'era quando ero stata per l'ultima volta da lui. Mi tolsi le scarpe da ginnastica, cercando contemporaneamente di sentire qualche rumore dalle altre stanze. Estrai il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e lo appoggiai vicino al mouse del computer.
Mi tolsi i pantaloni e la maglietta, sperando vivamente che non rientrasse in quel momento. O che entrassero i suoi genitori. Ma perché avrebbero dovuto? mi tranquillizzai.
Aprii una mezzaporta dell'armadio trovandomi davanti medaglie e coppe. Doveva essere bravo a... Mi avvicinai all'oro e argento che mi trovavo davanti, leggendo il suo sport. Tennis. Chiusi la mezzaporta e aprì la destra, trovando questa volta i suoi vestiti, piegati tutti quanti in un modo amabilmente ordinato.
Presi una maglietta tentando invano di mantenere l'eccessiva perfezione d'ordine. La indossai, contenta che non mi stesse troppo grande e sciolsi la alta coda a cavallo che portavo lasciando cadere i miei capelli mossi sulle spalle.
Senza alcun permesso mi avvicinai al suo letto. Spostai le coperte accoglienti e calde. La tentazione di nascondermici sotto era grande, mi lasciai andare. Tentai e rimasi lì.

Il tempo passò senza che lui arrivasse. Non mi importava se mi addormentassi per via della stanchezza causata da tutte quelle emozioni, speravo solamente che non si irritasse a vedermi lì. Il mio ultimo pensiero era il dubbio se non fossi stata invasiva. Mi lasciai cullare dalle coperte rispondendomi da sola. Non avevo altre scelte, e questa era la scelta migliore.

Mi svegliai quando percepii un tocco delicato sulla guancia. Una piuma che mi sfiorava il viso, partendo per un viaggio d'esplorazione dalla tempia e arrivando alle mie labbre, provocando un dolce solletico.
Aprii gli occhi. Era buio.
Non mi serviva vedere, decisi, e mi concentrai sugli altri sensi che Dio mi regalò.
Percepivo la sua presenza vicino a me. Anche lui era sotto le coperte. Ed era molto vicino. Il suo respiro calmo mi accarezzò il viso.
"Scusami che sono qui..." azzardai con la voce stanca.
"Non importa. Non voglio sapere." mi disse lui.
Si avvicinò ulteriormente. Mi tenne stretto a sè, sentivo la sua mano bruciare dal contatto con l'osso sinistro del mio bacino.

Per la prima volta assaporai le sue labbra. Passionali e possessive. Un bacio che tralasciava voga.
Le sue lunghe ciglia mi sfioravano gli occhi chiusi. Nonostante lui fosse immobile sulle mie labbre, un miscuglio di respiri e emozioni, sentivo le sue ciglia per un attimo muoversi.
Chiuse gli occhi e lasciò andare via il controllo, liberandolo, come si lascia scorrere l'acqua bloccata nel lavabo.
   
 
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