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Autore: Luna_R    22/06/2015    0 recensioni
La finestra era aperta alle spalle del suo aguzzino, riuscì a scorgere dal limbo della sofferenza, una striscia del mare di Odessa e fu felice di morire guardando per l'ultima volta, qualcosa che le ricordasse casa sua.
Era sciocco pensarci.
Era sciocco non provare una parvenza di paura.
Era sciocco patriottismo e vana speranza di essere appartenuta veramente a qualcosa.
I suoi genitori l'avevano venduta. Così, tutto era cominciato. E così, tutto stava per finire.
Era sciocco, sì.
Era sciocco avere diciassette anni e trovarsi sul punto di morte.
"Dì le tue ultime preghiere."
Udì, prima che il boato di uno sparo, risucchiò la sua vita in un secondo.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ekaterina

(La fuggitiva)




La fuggitiva. Capitolo 6




"Prendetela! Non deve scappare, prendetela!"


Saltò in macchina con gli occhi pieni di lacrime.

Alexsander le corse dietro affannato, il petto nudo e i pantaloni slacciati.

Emily, nell'ovetto, piangeva disperata. Non aveva il tempo di assicurarla, perciò con una mano afferrò il volante e con l'altra la teneva salda al sedile. Il tirapiedi di Alexsander, le si parò davanti tentando di fermare la sua corsa, accellerò verde d'ira, costringendolo a ripiegare su un fianco e caracollare in terra.

Sprangò il cancello automatico con il Dodge antiproiettili che era riuscita a individuare, fortunatamente appena tirato fuori dalle rimesse per il piacere di Barajev e delle sue scorribande fra i monti ucraini del fine settimana, creando un foro in cui passò senza intoppi, ripendo mentalmente di restare calma ed essere lucida.

Controllò lo specchietto retrevisore, sapeva che era questioni di attimi prima che qualcuno, lo stesso Alexsander se fosse stato altrettando lucido da tirarsi su i pantaloni, si lanciasse all'inseguimento; la guancia dove aveva ricevuto il malrovescio, iniziava ad arrossarsi.


Si era ribellata.

Aveva rovesciato le carte in tavola e come un leonessa chiusa in gabbia per troppo tempo, aveva mostrato al pubblico pagante il suo ringhio; c'era ancora, era lì, era stata calcolatrice e subdola e alla fine c'era riuscita, non senza qualche intoppo, un guancia dolorante, ma ora era lì con la sua bambina a cercare la via di fuga.

Aveva rubato una lista di nomi e cognomi qualche tempo prima, ed era saltato fuori che quella lista fosse di vitale importanza per Barajev, dei contatti punitivi, gente che gli doveva dei soldi, deliquenti con debiti, strozzini a loro volta, mercenari.. e lei l'aveva rubata. Ne aveva fatto delle copie e le aveva spedite ad ogni singolo nome con un avvertimento; morte. Capì che i messaggi erano arrivati a destinazione perchè Alexsander si faceva di giorno in giorno sempre più cupo, nervoso, indossando in viso una maschera che non gli aveva mai visto prima; la paura.

Era incredibile vederlo così piccolo, frustrato, inutile.

Fra loro era sceso il gelo, non la toccava ne si occupava della bambina, così che nei sempre più frequenti momenti di solitudine, era riuscita ad escogitare un piano di fuga che comprendesse l'espatrio nel minor tempo possibile.

Tutto stava filando liscio, Alex era via da qualche giorno e non le aveva lasciato nessuno dei suoi tirapiedi addosso, quando rincasò la notte prima della fuga, sporco di sangue e con degli evidenti segni di collutazione sul corpo.

Uno dei contatti alla quale aveva destinato il messaggio, fedele scagnozzo insospettito dalla missiva ritenendola fosse una prova di fiducia del criminale nei suoi confronti, per paura d'essere tormentato a vita, si era autocostituito con Barajev, mostrandogli il reperto; non c'era voluto molto tempo perchè Alexsander arrivasse a lei quale fautrice e ringraziò l'amico per la fedeltà piantandogli una pallottola in fronte.

Ekaterina aveva capito tutto, appena udite le sue grida nel cortile.

I suoi occhi di ghiaccio vibravano fiamme nelle pupille, le sue mani tremanti stringevano la pistola, il suo animo grigio gridava vendetta; si era accorta di lui e si era nascosta in una delle stanze al pian terreno ma Emily aveva pianto, smacherando il nascondiglio.

"Viaggio improvviso?" Aveva detto con quel tono di voce piatto e mellifluo, mirando alla sacca a tracolla.

"Ho in braccio Emily, non fare cazzate."

"Dammi la bambina." Le aveva ordinato inflessibile.

"Mai."

"Non ti farò nulla se me la dai." Insistè, posando lentamente la pistola ai suoi piedi; Ekaterina inarcò il sopracciglio e sputò in terra, sfidandolo. "Questo non dovevi farlo." Aggiunse in fine l'uomo, con il volto rattrappito d'odio.

Con una mano si era sfliato la cintura e l'aveva scagliata contro il suo braccio nudo; il dolore della cinghiata si fece da subito prepotente e per un attimo, chiudendosi a riccio, aveva dato le spalle; Alexsander le si era avventato contro, strappandogli la bambina dalle mani e lasciandola in terra, dove giaceva la pistola, prendendo a spogliarsi.

"Brutto bastardo, lasciami stare!" Gridò, immobilizzata dalla sua morsa.

Per tutta risposta e con una risata perfida le aveva rifilato un malrovescio, scaraventandola contro il pavimento.

La paura per quello che le avrebbe fatto l'annientò e lui ebbe tutto il tempo di montarle addosso nuovamente stringendo la cintura in mano; guardò la sua bambina contorcersi sul pavimento, lontano da lei, e urlò più forte che potè.

"Dovevi solo ubbidire, Ekaterina. Solo ubbidire. Ubbidiscimi ora e giuro che non farà tanto male."

Vide la pazzia infondo alle sue pupille, vide la cattiveria, vide la morte.

Ma vide anche la speranza. Alexsander si sdraiò su di lei, attorcigliandole la cintura intorno al collo.

"Farò quello che vuoi." Disse con voce rotta e flebile.

I suoi occhi guizzarono. "Oh si che lo farai." Sembrò cambiasse idea, levò la cintura dal collo spostandosi leggermente per legarle le mani, ma liberando una delle braccia da sotto il peso delle sue ginocchia, le lasciò tempo e istinto di graffiargli una guancia, con tutta la foga che poté. Gridò come un ragazzino, il sangue già in superficie.

La colpì in pieno viso ma nel farlo, liberò anche l'altro braccio.

Ekaterina capì che quella era la sua ultima possibilità; afferrò la cintura che aveva lasciato cadere per tastarsi il viso e affondò il gancio della stessa contro il collo di Alexsander, che nello schivare il colpo, si tirò indietro sbloccandole anche le gambe.

Si alzò come una gatta infuriata e senza pensare due volte, corse incontro alla bambina, l'afferrò e scappò via.

L'uomo strepitò, lento nel rialzarsi forse per le precedenti collutazioni, regalandole così, attimi preziosi per la rincorsa alla libertà.

Quella follia, quella cattiveria, l'avevano salvata.



Guardò ancora nello specchietto, afferrò il cellulare, rigettando alle spalle i terribili attimi d'angoscia passati.

Una voce femminile le rispose concitata.

"Marishka sono io. Alexsander mi ha scoperta e non sono riuscita a portare con me la borsa con i documenti, sto raggiungendo la statale, ti prego vedamoci al casolare sulle colline. Piano b."

Non avrebbe mai voluto ci fosse un piano B, ma in quel momento era necessario; riagganciò malamente il cellulare gettandolo dal finestrino verso i campi, affondò il piede sull'accelleratore e proseguì dritta fino a destinazione.

Quando arrivò, la donna minuta era li ad aspettarla.

"Prendila tu." Esordì, indicando la bambina. "Quando sarò sistemata, tornerò a prenderla."

I suoi occhi erano annegati di lacrime; non avrebbe mai permesso che qualcuno gliela strappasse via, ma non poteva rischiare che le accadesse qualcosa costringendola, così piccola, alla traversata dell'Adriatico -nuovo mezzo di ripiego nel lasciare Odessa, ora che non aveva i documenti con se- o peggio rischiare che le trovasse prefigurando il suo futuro in mano a quell'assassino. Quest'ultima opzione, le diede una botta allo stomaco.

Doveva salutarla. Non v'era più tempo, lo aveva capito, guardando il sole al centro esatto del cielo.

"Ma.."

"Niente ma. Le tue consorelle si prenderanno cura di lei. Io troverò il modo di arrivare al porto entro sera."

"Dove andrai esattamente?" Chiese quella in apprensione.

"Non posso dirtelo. Dio non voglia arrivino a te e ti costringano a farsi dire tutto." Le accarezzò la guancia al terribile pensiero che quella donna così buona, morisse a causa sua. "Si chiamerà Dorotea, dono di Dio, alle tue consorelle dovrebbe piacere. Promettimi che salverai la mia bambina, ti prego."

Quella unnuì e smise di fare domande. "Te lo prometto. Sulla mia vita."

Ekaterina inspirò così forte che Emily rise ascoltando quel suono. Le baciò dolcemente la fronte e abbracciò forte Marishka. "Dille che l'ho amata dal primo istante che l'ho vista e che quando tornerò, staremo persempre insieme."

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e le allontanò dolcemente da lei. "Va.. adesso va."

La donna annuì, voltando le spalle in silenzio.


Rimasta sola s'accasciò sulle sue stesse gambe, il volto piegato fra le mani, in un pianto disperato.

Non si accorse dei passi silenziosi alle sue spalle, ma udì chiaramente il rumore della rivoltella contro la sua nuca.

Sussultò, l'ombra dell'uomo che la teneva sotto tiro le passò accanto, fino a trovarsela davanti.

"Quella macchina.. ho sempre detto al capo di non usarla durante un inseguimento. Non puoi farla sparire."

Rise mostrando denti rancidi, sistemandosi sulle gambe per eseguire l'ordine d'esecuzione.

La finestra era aperta alle spalle del suo aguzzino, riuscì a scorgere dal limbo della sofferenza, una striscia del mare di Odessa e fu felice di morire guardando per l'ultima volta, qualcosa che le ricordasse casa sua.

Era sciocco pensarci.

Era sciocco non provare una parvenza di paura.

Era sciocco patriottismo e vana speranza di essere appartenuta veramente a qualcosa.

I suoi genitori l'avevano venduta. Così, tutto era cominciato. E così, tutto stava per finire.

Era sciocco, sì.

Era sciocco avere diciassette anni e trovarsi sul punto di morte.



"Dì le tue ultime preghiere."



Udì, prima che il boato di uno sparo, risucchiò la sua vita in un secondo.

Cadde a terra, terrorizzata, agitandosi e tremando come una foglia; una macchia di sangue andava allargandosi sotto ai suoi occhi sbarrati. Una macchia di sangue proveniente dal corpo rigido difronte al suo.

Non sono morta, pensò ancora più spaventata.

"Non sono morta!" Esalò, voltandosi.

Marishka era in piedi accanto all'entrata, le braccia ancora protese in avanti con una pistola fumante fra le mani.

"L'ho sentito arrivare, appena assicurato la bambina in auto." Pronunciò con labbra serrate. "Hai la via libera."

Ekaterina si alzò. "Mi hai salvato la vita due volte."

"Te ne devi andare subito. Non sei più al sicuro quì."

Annuì sconvolta. "Taglierò per i campi. Non mi vedranno."

"Prendi questi. In macchina ho un camice da lavoro." La donna si tolse la maglietta e il giubbino, porgendoglieli.

La ragazza si spogliò delle sue vesti, gettandole in terra con stizza e indossando le nuove.

"Non so come ringraziarti."

"Tieni in salvo la tua vita."

"Lo farò."

E dopo un'ultima occhiata, corse fuori verso i campi, verso la libertà.



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Stringeva quel biglietto da visita come se d'un tratto potesse sparire dalle sue mani.

La visuale era confusa, anche se la strada percorsa era piuttosto familiare; nella sua testa un grande vortice le stava risucchiando i pensieri, l'ansia graffiava già nel fondo nella gola, il piede tremante appena appoggiato sull'acceleratore indicavano lo stato di smarrimento in cui versava.

Aveva preparato la valigia con il cuore in tumulto, il Paradise era stata la sua casa in quei lunghi sette anni.

Lì si era trasformata nella persona che non credeva di diventare ma era diventata anche molto forte.

Marcello l'aveva tradita o forse voleva tradirla, chi lo sa, quel dolore lancinante che sentiva dentro al petto era la chiara e netta sensazione d'abbandono che conosceva bene, essendo stata venduta da chi l'aveva messa al mondo, ma era anche la spia salva vita che la costringeva a guardare in faccia la realtà e preservare la sue esistenza.

Non si erano incrociati, il suo avviso molto chiaro, perciò era fuggita via.. non senza prima garantirsi un pò di sopravvivenza; il contatto che Guido aveva lasciato alla reception, il biglietto da visita con le sue generalità, adesso ce l'aveva lei, stretto fra le mani, insieme al cellulare.

Ed era proprio la sua voce, quella che rispose dall'altro capo.

"Elena.. sei tu?"

Abbozzò un sì tetro e fugace, trattenendo un pianto colmo di speranza. "Puoi aiutarmi?" Chiese.

"Dove sei? Ti sento malissimo."

"Credo di essere sotto casa tua." Biascicò. "Sono in strada, accanto il gabbiotto della vigilanza."

Guidò sospirò. "Arrivo subito."

L'indirizzo corrispondeva ad un cancello di ferro imponente, sul finire di una strada alberata, un cancello con delle mura molto alte, dalla quale oltre, si intravedeva il profilo del tetto di una villa; il tizio di guardia la fissò, quando il cancello si aprì e un ciuffo biondo apparve, si rilassò all'istante.

Guido le venne incontro, vestito casual, la camicia sbottonata e il jeans slavato con i mocassini chiari; più lo guardava avvicinarsi, più la sua estrazione borghese le sbatteva in faccia la realtà dei fatti. Aveva passato con quel ragazzo forse la notte più intima di tutta la sua vita, si era presa la sua verginità, ma quel viso così pulito, quel sorriso così sincero, la presero alla bocca dello stomaco, facendola sentire sporca.

Illividì e accese di nuovo il motore della macchina.

Guido intuì le sua intenzione e con uno scatto, bloccò la partenza infilando la mano nell'abitacolo, sul volante.

"Non scappare." Disse perentorio.

"Siamo troppo diversi." Esalò Elena.

"Hai bisogno di aiuto e hai chiamato me. Non senti questa grande differenza, dopotutto."

Mollò il volante e tirò indietro la schiena contro il sedile. "Ho paura."

"Elena di che cosa? Di chi?" Si protese verso l'abitacolo, incoraggiandola a parlare.

Lo fissò a lungo prima di parlare. Era chiaro che si fidava di lui, era chiaro che provava verso quel giovane un sentimento puro del quale non conosceva un nome ma che la terrorizzava; non era mai stata guardata con quegli occhi, non era mai stata il "pensiero" di qualcuno, tutto questo era nuovo e scioccante.

"Il mio nome è Ekaterina Murjel e vengo da Odessa, Ucraina. Ho una figlia di sette anni che non vedo da quando era poco più che una neonata. L'uomo che ho sposato all'età di quindici anni è sulle mie tracce perchè vuole uccidermi." Prese un respiro profondo, il viso di Guido era una statua, ma profondo nello sguardo. "Ed io sono a quì per chiederti di aiutarmi ma ho paura perchè tu sei così limpido, pulito. Non avevo capito chi fossi veramente se non vedendoti uscire da quel cancello."

"E' solo un cancello." Bofonchiò Guido, sorridendole. Girò intorno all'auto e si accomodò sul sedile passeggero; fece cenno all'uomo che li osservava di aprirlo e si voltò verso Elena. "Metti in moto, il resto me lo racconti di fronte una buona tazza di caffè."

"Hai sentito quello che ti ho detto?"

"Parola per parola. Adesso vai." Insistè incoraggiandola.

Elena ingranò la prima ed imboccò cautamente il viale di ghiaia circondato da un giardino di finissima erba rasata e aiule di azalee viola e bianche; la proprietà, qualche migliaia d'ettari non seppe giudicare bene, si aprì alla sua vista come un ventaglio. Un delicato cespuglio di ibisco lilla ne percorreva tutta la cinta muraria e si perdeva dietro la villa sullo sfondo, bassa e a due piani, con un grande portico che celava le vetrate ampie dell'ingresso.

Il ragazzo indicò di svoltare verso destra dove terminava la ghiaia e nasceva un percorso fatto di pietra lavica che portava ad una costruzione più isolata e leggemente rialzata, rispetto all'altra. Dallo specchietto retrovisore si accorse di aver lasciato una piscina a forma di goccia, nascosta da alcune roccie e cascate stile paradiso perduto, alle spalle.

Si voltò a guardarlo truce. "E scommetto che quella è solo una piscina?"

"Esattamente." Rispose Guido laconico. "Quella è solo una villa." Proseguì indicando il paesaggio intorno a loro. "E quest'altra, solo la dependace in cui vivo. Come vedi.. solo dettagli."

"Si certo. Dettagli." Elena guardò velocemente in giro, quando accostò accanto alla porta d'entrata. "I tuoi genitori.. non ci sono? Li hai descritti come due.."

"Rompicoglioni? Si, proprio così. Ma attualmente infestano un lussuoso resort delle Maldive dove si ritirano due volte l'anno per dimostrare al loro manipolo di amici ricchi di essere altrettanto ricchi, trendy e sopratutto felici. Che schifo."

Elena rise. "Adesso sei tu l'ipocrita."

"Mi era parso di capire che fossi dalla mia parte." La invitò ad entrare, seguendola subito dopo.

La dependance era piccola e accogliente, moderna nello stile, grandi pavimenti grigio scuro e mobili bianchi, vetrate che davano sul bel portico con eleganti elementi da giardino, soffitto di travi a vista smaltate.

C'era un discreto disordine tipico maschile e tipico dei ragazzi della loro età, parecchi capi formali sparsi sulle sedie del bancone cucina di cui lui si accorse e che si apprestò a riordinare e portare via in una sala attigua che immaginò fosse la camera da letto.

"Caffè o preferisci altro?" Le chiese di ritorno.

Elena sospirò. "Vorrei qualcosa di forte."

Guido attraversò la sala principale fino ad arrivare alla parete attrezzata, dove con una leggera pressione delle dita aprì un'anta che nascondeva una riserva di gran vini e liquori; afferrò un paio di bottiglie, poi trafficò in cucina voltandosi infine con lo shaker fra le mani sorridendo.

"Un'altra delle cose finite nella lista da primatista del cazzo di mio padre." Versò il preparato in due coppe e sorrise ancora. "E' un'arte che mi ha sempre appassionato."

Elena lo ringraziò portandosi la coppa alle labbra. "Sono stupita."

"Lo so." Le rispose demoralizzato. "La mia immagine mi tradisce ancora una volta,"

La ragazza lo fissò torva. "Veramente sei tu che ti affossi senza alcuna ragione." Posò il bicchiere sul tavolo bianco e perfetto della cucina e rise. "Bello, ricco e anche barman. Questo ti aiuterebbe con le ragazze, non dimenticare di dirlo al primo appuntamento. E non dimenticare di aggiungere la vodka.. fa meno cocktail di classe, ma ti assicuro che mette tutti a proprio agio."

"Ah si? Sei un'esperta?"

"Qualche migliaia di consumazioni al club mi rendono esperta?" Chiese divertita.

"Direi di si." Annuì. Poi la guardò, lasciando il bicchiere in sospeso. "Se vuoi metterti comoda, ti mostro dov'è il bagno." I pensieri angoscianti tornarono a tormentarla, Guido se ne accorse, stringendole la mano. "Quì sei al sicuro davvero, puoi rimanere quanto vuoi, ma dovrai spiegarmi bene l'intera faccenda se vuoi che ti aiuti."

Elena annuì e dopo aver ingollato quanto restava dell'alcolico, tutto d'un fiato, raccontò la storia dall'inizio, da quando era una ragazzina che amava ballare sulle punte ad Odessa fino a diventare la stripdancer di un club a luci rosse. Parlò di Marishka, di Leonardo e Marcello, della sua intoccabilità e del probabile invischiamento di quest'ultimo circa il suo ritrovamento, per conto del folle Barajev. Parlò delle sue paure, prima fra tutte di non riabbracciare mai più sua figlia Emily o Dorotea non sapeva più neanche come si chiamasse, così tanto che il corpo venne squassato da singhiozzi che Guido curò con altro alcool, stavolta non dimenticando la vodka, stordendola a tal punto che ad un tratto si rese conto di essere a letto.

Si agitò, tastando le coperte intorno a lei e quando lo trovò, vigile e fermo a vegliare sul suo sonno, si strinse forte alla sua camicia, trovando il suo caldo abbraccio. "Sono quì." Le bisbigliò fra i capelli. "Non vado da nessuna parte."

"Mi aiuterai?" Chiese, inspirando il suo odore così buono e rassicurante.

"Ho già chiamato il tuo amico, Leonardo, ci sono delle novità."

Elena aprì gli occhi spaventata. "Che cosa hai fatto?" Si tirò su, pallida in viso.

Guido la fissò negli occhi. "In qualità di tuo avvocato -forse ho dimenticato di dirti che mi occupo di scienze umane, sociali e gestionali- ho il diritto di sapere lo sviluppo delle indagini. Per quanto riguarda la bambina c'è molto altro da scoprire ma ho già preso contatto con qualche istituzione clericale e orfanotrofi di Odessa e dintorni ma come puoi ben immaginare di lavoro dietro ce n'è abbastanza e la piccola potrebbe essere finita ovunque, tanto più che la donna che vi ha aiutate non mi sembrava una sprovveduta da farla ritrovare. Dovrai darmi tutti i contatti che ti ricordi, numeri di telefono, tutto ciò che riguarda Marishka, se vogliamo arrivare alla bambina in tempi brevi."

Elena annuiva senza capire, il cervello in estasi. "C-come faremo poi a..?"

"Di questo non devi preoccuparti ora, una volta individuata non manderemo in fumo il sacrificio al quale ti sei sottoposta per tenerla al sicuro, per la mera fretta. Dobbiamo agire cautamente e con astuzia. In tal caso ho già preso contatti anche con un'amica dei servizi sociali, se serve a tranquillizzarti per il futuro. Purtroppo non è abbastanza Elena te lo dico con sincerità, sarà difficile, ma intanto possiamo tenere quello stronzo lontano da voi."

Poi s'azzittò, guardandola indeciso.

"Che c'è, perchè mi guardi così?"

"L'ispettore Colonna mi ha detto che trovandosi in territorio italiano c'è un'alta probabilità che possano prenderlo per processarlo secondo le nostre leggi. Stavolta c'è la possibilità che tu possa ricevere un'identità legale alternativa, trattandosi di un soggetto altamente pericoloso e legato alla mafia internazionale, quindi anche questo non sarà un problema come vedi."

Elena alzò un sopracciglio. "Quindi gli hai detto la verità circa la mia identità?"

"E' un poliziotto, credi non lo sapesse? E da me non un fiato in più ma ritengo oppurtuno, in quanto tuo avvocato, mettere in chiaro la totale e reciproca fiducia che ci vedrà cooperare. Nel miglior modo possibile, spero."

Elena sospirò, straiandosi di nuovo. "Come ti ho raccontato ho usato Colonna per farmi da scudo contro Alexsander, senza però affrontare la questione apertamente. Volevo mi raccontasse tutto, non riuscivo a fidarmi completamente di lui. Ne di chiunque altro se proprio vogliamo dirla tutta. Ma di te sì. Tu mi hai mostrato chi sei senza vergogna."

Guido si toccò il mento. "Possiamo fidarci di lui." Sorrise e scosse il capo. "Un pò scorbutico certo, ma ha mostrato un interesse sincero, quasi oltre il compassionevole senso umano, quando ha capito che parlavo di te. E questo caso, risolvere questo caso, apporterà alla sua carriera un'impronta importante." La donna annuì, ma il suo sguardo si perse sulla sua fronte corrugata. Guido annuì a sua volta. "Non gli ho detto dove ti trovi, vuole incontrarti solo se anche tu sei d'accordo e con cautela; Alexsander Barajev è in Italia, Elena. Ha fatto affari con la mala Brenta, giri di droga e prostituzione, i servizi segreti sono sulle sue tracce e si hanno prove concrete che abbia avuto ripetuti contatti con Marcello Moretti per un grosso affare, ergo anche Colonna vuole mantenere riserbo."

Le si sdraiò di fianco, guardandola profondamente negli occhi, lasciandole il tempo di metabolizzare le sue parole.

Elena prese a respirare affannosamente, il petto si gonfiava e si svuotava ad un ritmo frenetico, che Guido temette le scoppiasse il cuore da un momento all'altro; le accarezzava la schiena senza fiatare, incatenando i loro sguardi, l'unica arma che possedeva al momento per farla tranquillizzare.

Era spaventata, il viso pallido dal quale schizzavano fuori i suoi occhi cinerei, la bocca contratta.. un angelo ferito che aveva disperatamente voglia di baciare. E la baciò, avvicinandosi piano, cercando il suo consenso, dal momento che in quelle pupille, attraverso il terrore, leggeva di cosa era fatta la sua paura e tremò egli stesso.

Non era riuscito a togliersela dalla testa, da quando il Paradise si era fatto sempre più piccolo alle sue spalle il giorno in cui ci aveva messo piede, sapeva che non l'avrebbe dimenticata tanto facilmente.

Aveva sperato ogni giorno in una telefonata da parte di Moretti. "Sì, accetto." Immaginando queste parole.

Il consenso ad averla per se. Anche se significava comprare il suo tempo.. tutto, pur di strapparla alla realtà della quale si circondava; non aveva mai fatto sesso con una donna prima di allora e non sapeva nulla delle donne in generale ma non riusciva ad accettare che una ragazza tanto intelligente, dolce e carismatica come Elena, accettasse bonariamente quella vita così dissimile da ogni tratto che la riguardava.

Le aveva letto negli occhi, nei gesti del corpo, le sue movenze.

Voleva essere salvata. Gridava silenziosamente.

E non si era sbagliato, perchè adesso era lì fra le sue braccia, a chidergli di fare ciò per cui si era ossessionato fino ad allora. Lo avrebbe fatto. E non cercava ragioni.

Voleva salvare quell'angelo ferito.



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Migliaccio bussò alla porta d'ufficio del capo con due bicchieri colmi di caffè.

Sarebbe stata una lunga mattinata, quella. E l'avrebbero segnata sul calendario, ne era certo.

L'intoccabile Marcello Moretti, appariva meno intoccabile di sempre, oppure era stata la caparbietà di Leonardo di rivoltare il sistema -dopo l'assassinio di un esponente della politica locale si era fatto portavoce di legalità- fatto sta che dopo velate minacce dall'alto di lasciarlo in pace, tutto a un tratto Moretti appariva come un'aringa in un mare di squali. Un'aringa solitaria, perduta.

La mafia ucraina era alle sue calcagna, dai tabulati telefonici e le intercettazioni era saltato fuori un grosso giro d'affari legato alla criminalità organizzata di prostituzione, droga e rachet, un giro finito male, qualche intoppo, forse lo stesso Moretti e la sua ambizione da piccolo "imprenditore" locale lo avevano portato a pestare i piedi ad Alexsander Barajev, noto esponente della Solncevskaja bratva attualmente a piede libero in Italia.

Questo significava una sola cosa; arresto immediato, prima di vederlo sparire alla volta di qualche meta esotica e lontana, dove sarebbe divenuto irraggiungibile per chiunque, persino Barajev.

"L'hanno trovato?" Chiese Leonardo con una faccia stravolta, da poche ore di sonno.

"La pattuglia di ronda è tornata dal club a mani vuote. Quelli della speciale, idem. Non c'è traccia al momento." Rispose Migliaccio intuendo già la sua smorfia di disapprovazione. Odiava quel ghigno, come odiava deluderlo. "Sono stati allertati i maggiori areoporti, dogane. Lo troveremo capo, sono sicuro che lo troveremo."

Leonardo sospirò, tornando a quel fotomontaggio stampato che ritraeva la foto di Barejev in un distrubutore di benzina; la fissava torvo, preoccupato, quasi cercasse in quella faccia slavata la risposta alle sue domande:

Che fosse lui il vile dalla quale stava scappando Elena?

Perchè la ragazza aveva ingaggiato un avvocato?

E sopratutto, cosa legava Elena-Ekaterina Murjel- ucraina di Odessa, a quel giro losco?

Odiava non avere risposte. Era sempre stato così.. impaziente, frenetico, desideroso di verità.

Ma c'era di più; non riusciva a togliersi quello sguardo tormentato dalla testa.

Si erano tenuti sporadicamente in contatto, dopo il funerale, più che altro per tenerla aggiornata sull'andamento delle indagini proprio come da accordo, poi c'era stata la sua tresca con Francesca, il muto silenzio reciproco fatto di prudenza, paura del giudizio.. tutto fino ad allora, alla bomba esplosa e alla verità piano-piano venuta a galla.

Sembrava un grande quadro incompleto e a quel quadro mancavano tocchi che solo lei poteva aggiungere, ma aveva promesso d'incontrarla solo quando sarebbe stata pronta e capiva che qualsiasi risposta gli fosse tornata indietro, doveva prepararsi al peggio. Non era di difficile intuizione data la sua presentazione; ballerina nel club di Marcello Moretti, il magnaccia travestito da imprenditore che aveva infestato il nord con i suoi festini a luci rosse quando era stato solo un giovane figlio di papà, fino ad insozzarlo con la scalata odierna di attività illegali del suo locale.

Si chiedeva dove fosse finita, ora che non risiedeva più lì, fino a sentirsi quasi preoccupato per lei.

Il suo avvocato era stato chiaro, non glielo avrebbe rivelato e lui non poteva avvelersi di un diritto non suo.

Non era una testimone, per lo meno non ancora, non era un'indagata.

Ma forse..

"Sta pensando alla Murjel non è così?" Migliaccio lo riportò indietro dai pensieri.

"E' la chiave di svolta di questo caso, ne sono quasi sicuro." Affermò, sorseggiando dal bicchiere.

"Capo, parliamo di un uomo pericoloso, la piaga dell'est Europa osarei dire, come può arrivare a pensare che ci sia una donna dietro la sua barbaria omicida? Mi spiego meglio, avrebbe trucidato quelle donne, per arrivare a una soltanto?" Ogni parola detta, nell'eco della sua stessa voce, appariva come una realtà un pò meno improbabile. "Lei crede sia arrivato al Moretti perchè a conoscenza della protezione che garantiva alla donna?"

"Sono quasi sicuro che sia così. Voglio sapere perchè. E senza Moretti non posso saperlo."

"Ci sarebbe sempre la Murjel da interrogare.."

Si guardarono consci dei segreti che nascondevano i quali non potevano più far finta di non considerare.

"Non mi istigare." Rispose Leonardo tracannando il caffè come fosse vodka. "Ho dato la mia parola di tenerla fuori al momento. Ma sto pensando di mettere alle armi tutto il Brenta, pur di cacciarla fuori dalla tana di quell'avvocato da strapazzo. Ha ventiquattro anni, ti rendi conto?"

Miliaccio rise dietro il bicchiere. Leonardo Colonna era un uomo molto controllato, lucido, perfettamente padrone delle sue emozioni; davanti a quella donna diventava un ragazzino.. un ragazzino geloso. Un ragazzino.. alla prima cotta. Chiuse gli occhi e inspirò forte. Li riaprì e lui era lì che si tormentava il labbro, mentre gli occhi vagavano ancora su quella foto dai pixel sgranati. "Cazzo, Colonna in che guaio ti stai andando a cacciare?"

"Che hai da fissarmi?" Gli chiese freddamente, alzando gli occhi dal tavolo.

Non poteva essere diretto, anche se da amico, da uomo che lo rispettava al di là delle loro posizioni, avrebbe voluto. Come dirgli che si sentiva uno scemo in quel momento, per aver creduto che c'entrasse davvero un probabibile ritorno a Napoli, in pompa magna e nelle nuovi veste di eroe?

Aveva creduto che dietro quei furenti occhi di ghiaccio si nascondesse l'ambizione per una carriera tutta in salita, fino a quel momento, il suo riscatto nel mondo delle forze dell'ordine e agli occhi di chi lo giudicava solo un ribelle dalle mano facile, che spaccava la faccia ai superiori, uno che dava noie.

E invece dentro quegli occhi.. la sagoma di una donna.

"Forse ha ragione lei. Meglio non tormentarla." Disse fingendo un sorriso.

Leonardo lo guardò sottecchi, prese la foto e la infilò malamente in una cartellina.

"Certo che ho ragione." Parlò e Migliaccio finalmente tornò a respirare. "Sono il capo."

Gli sembrò che sorridesse, la testa già altrove, ma restò a guardarlo fino a quando non si rimise capochino su altri file, lasciandolo completamente in silenzio. Il suo cellulare vibrò, il volto affascinante di Francesca coprì tutto lo schermo, Leonardo con gesto secco annullò la chiamata e tornò su di lui.

"Ma ancora quà stai?" Chiese.

"Non mi ha congedato, capo."

"Vai, ma torna con due caffè." Scosse il capo, brandendo la cornetta del telefono fisso. Dalla voce che replicò dall'altro capo della cornetta, capì che era in contatto con qualche collega. "Non raccontare nulla a Francesca." Disse ancora, coprendo la cornetta con la mano.

Sembrava una minaccia e anche un'ammissione.

Migliaccio sospirò e pensò che era venuto il momento di delegare qualche affare alla nuova recluta; chiuse la porta e lo lasciò lì, con una penna stretta fra le labbra, il capo verso la finestra mentre pensava a chissà cosa.



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La schiena nuda di Elena, riluceva al baluginio fioco della lampada.

Guido era estasiato, totalmente infettato dal suo odore, dalla sua presenza.

Avevano fatto l'amore, stavolta. Ed era stato qualcosa di molto forte, diverso dalla prima e non solo perchè quella volta si era presentato inesperto e impacciato, c'era stata come una sorta di elevatura nel loro rapporto, se così poteva chiamarlo. Era il suo avvocato, ma era anche il suo amante. Qualcosa era cambiato.

Sorrise e si alzò, lasciandola riposare.

Il pc in sala trillò. Mosse il mouse per tornare alla schermata desktop ed aprì la mail.

I suoi contatti iniziavano a produrre qualcosa; scorse velocemente alcuni file di posta, captando parole chiave e annotando numeri e nomi su un taccuino quando una mano delicata gli accarezzò le spalle.

Si voltò. Elena era alle sue spalle. "Ti sei riposata?" Domandò.

"Qualcuno mi ha fatto fare gli straordinari." Rispose guardando lo schermo del pc. "Novità?"

"Nulla di particolarmente eclatante." Le baciò la mano e la invitò a sedersi sulle sue gambe. Elena acconsentì, girando intorno alla sedia. "Devi stare tranquilla, qualcosa verrà fuori, devi solo avere pazienza e lucidità. Al resto ci penso io, va bene?" Si protese verso le sue labbra ma la donna schivò quel bacio con un'innata naturalezza.

"Forse dovremmo parlare del nostro rapporto non lavorativo." Azzardò, guardolo negli occhi.

Guido socchiuse le palpebre. "Ero insicuro sulla sua definizione. Grazie per averla trovata per me."

"Sei proprio un avvocato." E rise, appoggiando distrattamente le mani sul suo petto nudo e definito. "Allora, il nostro rapporto non lavorativo ha bisogno di regole."

Guido strappò un foglio e scrisse la parola baci con una X sopra. "Niente baci. Peccato, sono un bravo baciatore a dispetto della mia scarsa esperienza sessuale."

Eena gli strappò la penna dalle mani e scrisse. "No ironia sessuale. Il sesso si fa, non se ne parla."

"Questa regola mi piace." Guido riprese la penna. "Fiducia?!" Elena annuì.

"Libertà reciproca." Ordinò poi.

Il ragazzo alzò un sopracciglio. "La libertà pone diversi aspetti interessanti."

Elena sgranò gli occhi. "Giuro che non volevo trasformarti in un pervertito. Ma se serve a far ampliare la tua esperienza sessuale.." Risero in coro, ma azzittandosi l'aria si fece pesante.

"Un giorno te ne andrai. E può essere anche domani, va bene. Non ti costringerei mai a restare." Le passò una mano fra i capelli mossi e lucidi, sorridendo. "Nel frattempo potrei prendermi cura di te e tu.. fare di me quello che vuoi." Concluse con una risata argentina ed Elena ebbe una gran voglia di baciarlo.

Era bellissimo; un ragazzo divertente, intelligente, socialmente attivo.. e con un gran bel fisico.

Si sentiva molto attratta da lui, innegabilmente attratta. O forse era la figura del salvatore, ancora non lo sapeva, ma doveva pensarci su, decidere cosa fare di questo bellissimo salvatore. Intanto l'idea di farsi proteggere da lui non era affatto male ed era sicura ne sarebbe stato capace, in cambio avrebbe levigato le sue paure di non essere abbastanza e fatto nascere la farfalla rinchiusa nel suo bozzolo.

"Perchè sorridi in quel modo?" Le chiese a pochi centimetri dalla sua bocca.

"Perchè pensavo a te come a una crisalide." Guido fu sul punto di replicare, ma Elena si posò sulle sue labbra, suggellandole con un bacio. "Piccola clausola sui baci; sì, nei momenti intimi. Dopotutto qualsiasi regola ha margine di flessibilità ma.. tu non te ne approfitterai."

Guido le morse il labbro, negando il controllo di sè, Elena impazzì e gli montò a cavalcioni, togliendo via la vestaglia, rimase nuda fra le sue braccia; con entrambe le mani fece scivolare un pò la tuta dai suoi fianchi e con un gesto rude gli liberò il pene dagli slip. "Voglio baciarti.." Soffiò sulle labbra del ragazzo che si protese verso di lei, ma la donna scivolò dalle sue gambe fino al pavimento, facendosi spazio fra le sue cosce. Guido seguì la scena con stupore e lei rise maliziosa e non disse null'altro, beandosi dei gemiti, che di li a poco, il ragazzo liberò nell'aria.



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"Quello ha tutta l'aria di essere un mandato, capo."

"Perchè lo è." Leonardo si passò la lingua sui denti, beandosi del senso di soddisfazione che provava.

"Gioca sporco per uno che fa promesse." Silvio sentiva montare la preoccupazione per le scelte dell'uomo, ora dopo ora, sapeva che non si sarebbe tirato indietro nel fargli da spalla e questo se possibile lo preoccupava ancora di più. "Come mai questo cambio repentino d'idea?" Chiese cercando di apparire interessato ma non terrorizzato.

"Smettila di cagarti addosso." Rispose quello stizzito. "Ho capito che genere di idee ti passano per la testa. Vuoi la verità?" Chiuse la porta dell'ufficio con un calcio e lo trascinò vicino alla finestra, lontano dal corridoio e dai quei muri di cartone. Migliaccio ammutolito non potè fare altro che annuire con il capo. "Voglio chiudere questo ciclo e voglio farlo quì e ora. Per anni sono stato trattato come un delinquente e sai che ti dico? Forse lo sono, ho spaccato la faccia ad un superiore e se tornassi indietro lo farei di nuovo, perchè vedi Silvio, sotto questa divisa c'è un uomo. E l'uomo sbaglia, paga i suoi errori e poi si rimette in carreggiata. Sempre più spesso vedo molte divise perseverare in questi sbagli e questo non sono io. Ecco ciò per cui lotto oggi, ecco perchè sto sul cazzo a più di una persona. Ma io i miei errori li ho pagati tutti, anzi li sto ancora pagando, eppure non ho perso di vista i valori che mi hanno insegnato indossando questa divisa. Se vuoi farti togliere da questo caso, se non la pensi come me, io ti comprendo. Ci vuole il coraggio per cambiare le cose, ed io non sono quì in giudizio di nessuno."

Migliaccio lo guardò corrucciato, come se non dovesse neanche rispondere a quell'offesa; scosse un pò il capo e Leonardo lo colpì affettuosamente sulla spalla, grato per rinnovargli la sua tacita fiducia.

Eppure non riuscì a trattenersi. "Quella donna non c'entra proprio nulla?"

Leonardo sorrise sghembo, le mani sui fianchi, totalmente arrendevole. "Le donne indifese sono il mio punto debole."

Migliacciò insistè. "Lei lo ha capito che la Murjel è tutto fuorchè indifesa, vero?"

"Cosa vuoi sentirti dire, Silvio?" Replicò senza inflessione.

"Che cercherà di anteporre il movente di questa operazione nei confronti della donna, anzichè gli ormoni." Leonardo spalancò la bocca e sventolò le ciglia ripetutamente. Migliaccio lo guardò truce. "Quella faccia non attacca con me, capo."

"Mi farò una doccia fredda semmai i miei ormoni impazzissero alla sua vista."

"Neanche la sua ironia attacca."

Leonardo sbuffò. "Quando verrà il momento, ti ordino di fermarmi anche con la forza, se fossi incapace di farlo da solo."

I duei uomini si guardarono, Silvio socchiuse gli occhi e allungò la mano verso l'altro. "Questa la registro però."

Colonna abbozzò un sorriso sarcastico e ricambiò la stretta. "C'è dell'altro che non ti torna?" Quando lesse il nome di Francesca nei suoi enormi occhi castani, alzò gli occhi al cielo. "Francesca non c'entra niente con questa storia, teniamola fuori. E' una situazione che possiamo gestire entrambi, da adulti. E mi scoccia doverlo sottolineare."

"Lei e mia moglie sono amiche." Tentò di giustificarsi l'altro con un tono di voce flemmatico.

Leonardo prese possesso nuovamente della sua sedia. "Migliaccio torna a lavorare!" Gracidò divertito. "Ti pagano per questo, forza siediti!" E l'altro ubbidì frastornato, sedendosi al suo posto.



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