Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Marra Superwholocked    23/06/2015    1 recensioni
Un rapper dall'aria rude ed una scrittrice alle prime armi potranno mai essere amici?
Una promessa con se stessi e tutto fu più magico...
Dal testo:
Io, dopo un «Grazie» quasi soffocato, gli sorrisi emozionata. Stava lavorando ad una delle sue prime canzoni, ne ero certa, così giurai a me stessa che avrei ripagato quel suo gesto. E sapevo anche che Giulio era sempre stato uno di parola.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[I nomi dei personaggi presenti sono del tutto inventati, di vero vi sono solo parte dei fatti narrati.
Wlly esiste veramente.]
 

Un giorno, noi due

 

Grazie, Willy

 

Perché non posso essere ciò che sono?
Un giorno, quando ero piccola, dissi a mia madre: «Da grande voglio fare la cantante.» Avevo sei o sette anni e mi piaceva trasformare la mia corda per saltare in un bellissimo microfono. Una fotografia mi aiutò a ricordare, tempo fa, il pomeriggio passato a casa di mia nonna. Le feci compagnia cantandole Vamos a bailar di Paola e Chiara. Solo quella, tutto il pomeriggio, perché era l'unica canzone che sapevo a memoria. Mi ricordo che lei continuò fino a tardi ad applaudire e a ballare insieme a me. Ma i miei giorni da cantante non ebbero una lunga vita.
Poco tempo dopo, decisi che sarei diventata la medium della mia città. Non perché avessi cominciato a guardare Ghost Whisperer o Ghost Hunters, ma per una specie di esperienza personale. Vidi mio nonno, morto molti anni prima che io nascessi. O almeno questo è ciò che penso di aver visto. Sapete, la mente di una bambina di otto anni è molto condizionabile.
Nell'arco di altri nove anni – circa – cambiai idea sul mio futuro lavoro almeno una decina di volte. Ci fu il periodo in cui avrei voluto fare la stuntgirl, se così si dice, per indigestione di film con Jackie Chan; il periodo in cui avrei pagato pur di fare la poliziotta o, meglio ancora, lo sceriffo. Poi mi venne in mente che amavo gli animali, anche se – tuttavia – io non piaccio a loro: volevo dunque aprire un negozio tutto per loro. E poi volevo fare la pilota di aerei, la capostazione, la venditrice ambulante di braccialetti di caramelle...
Poi, un giorno, riuscii a ristabilire i contatti con Cloe.
Cloe è una ragazza eccezionale. È forte, determinata ed è capace di abbattere qualsiasi ostacolo pur di arrivare al suo obiettivo. Ha solo bisogno di una spinta, poi non c'è nulla che la trattenga.
Ed è stata proprio Cloe ad instradarmi. Mi spiego: stavamo pranzando insieme, parlando dei “vecchi tempi”, quando spunta fuori l'argomento futuro e lei, a quel punto, comincia a parlarmi di una delle sue più grandi passioni. Con mia meraviglia, constatai che avevamo molto in comune e quella sua passione era la ciliegina sulla torta, perché non era solo sua, ma anche mia: entrambe amiamo scrivere.
Scrivere su uno scontrino, un tovagliolo, sull'angolo sgualcito di una pagina di quaderno. Scrivere pensieri, domande, versi, strofe, tutto. Tutto quello che non mi usciva a parole, riuscivo a farlo passare dal cuore al cervello, alla penna, al foglio.
E ci riesco tutt'ora.
Ormai sono anni che sogno ad occhi aperti; sogno di essere l'eroina della mia storia, sogno di essere l'antagonista, l'aiutante o anche solo una passante un po' bizzarra. Ma fu quando cominciai a sognare di essere una motociclista dai lunghi e folti capelli rossi, in viaggio per l'America, che ebbe inizio la magia.
Lo stesso anno, infatti, che cominciai a scrivere di Paola la motociclista, un mio ex compagno di classe mi diede modo di credere ancor di più in me stessa.
Giulio non fu mai uno di quei ragazzi pronti a chiederti scusa, sia in presenza di nessuno che davanti ad altre persone. Ne andava del suo orgoglio e della sua reputazione. E lui non faceva altro che deridere me e tutti quelli che, come me, amano il mondo dei film, dei libri e delle serie tv. Sì, ero e sono ancora una fangirl. Ma io non mi diedi per vinta, mai. Ero convinta che quella testa calda sarebbe potuta cambiare. E avevo ragione!
Un giorno, in classe, la professoressa spiegava una formula keynesiana per la quinta – forse sesta – volta ed io, stufa dell'ennesimo trucco dei miei ex compagni di classe per evitare una disastrosa interrogazione, mi stavo per addormentare di botto, quando mi venne un'idea: dato che non ero affatto tra le prime file e la professoressa guardava tutti tranne che me, sfilai dallo zaino un quaderno. La copertina anonima faceva pensare che fosse un quaderno per gli appunti, ma era tutt'altro: era la storia di Paola, la mia Paola.
Mi isolai – dal mondo, dalla classe, da Giulio, che in quel momento era il mio compagno di banco – e cominciai a scrivere. Credo che, in quasi trenta minuti, scrissi almeno mezzo capitolo. Ad un certo punto, però, mi accorsi che Giulio stava fissando il mio quaderno.
«Quelle non sembrano formule keynesiane» mi disse divertito.
Lui era – ed è – la classica persona che riesce sempre a farti rimanere a bocca aperta per le sue risposte. Se lo deridevi anche solo per scherzo, poi dovevi fare i conti con una doccia gelata: è un ariete mica per nulla!
Pensai che un semplice «Già» fosse troppo banale: avrebbe sviato la conversazione – che era esattamente ciò a cui miravo – così cercai di imitarlo il più possibile e dissi: «Non lo sembrano perché non lo sono!» Fu il meglio che mi uscii, lo giuro, ma lui sembrò soddisfatto e mi sorrise.
Quel giorno lo ricorderò per sempre, poiché quel sorriso fu il suo primo sorriso rivolto a me. E ci conoscevamo da cinque anni! Ovviamente, ne rimasi sconvolta: non me lo sarei mai aspettato da lui, che negli anni precedenti mi evitava senza preoccuparsi di nasconderlo.
«E cos'è?» mi chiese, prendendomi alla sprovvista.
«È un racconto» dissi io, continuando a scrivere.
«E di cosa parla?»
Mi si gelò il sangue nelle vene. In molti, all'interno di quella classe, avevano già notato che durante le lezioni più noiose io scrivevo, nonostante non ci fosse alcun bisogno di prendere appunti. Mi chiedevano cosa stessi facendo, così concentrata com'ero, e la mia risposta era sempre la stessa: «Scrivo un racconto.» Ma nessuno, prima di Giulio, era andato oltre.
Gli dissi che si trattava di una specie di romanzo d'avventura, ma non aggiunsi altro.
Lui fece una smorfia come per dire Mhm, niente male. Sbirciò per qualche secondo quello che avevo scritto nel capitolo cinque per poi rifilarmi un'occhiata simile alla precedente. Subito dopo, eccolo concentrato su delle rime scritte con una calligrafia talmente sottile e snella da apparire quasi illeggibile nonostante l'eleganza e io ritornai a scrivere di Central Park.
«Se un giorno riuscirai a pubblicare quel romanzo, io sarò uno tra i primi a comprarlo» mi disse; la fronte corrucciata nell'intento di mantenere una certa concentrazione.
Io, dopo un «Grazie» quasi soffocato, gli sorrisi emozionata. Stava lavorando ad una delle sue prime canzoni, ne ero certa, così giurai a me stessa che avrei ripagato quel suo gesto. E sapevo anche che Giulio era sempre stato uno di parola.


Dieci anni più tardi, eccomi ad aiutare le commesse della libreria a sistemare lo stand della giornata più lunga della mia vita. Finalmente il mio libro, la mia fatica, era stato pubblicato e solo quattro persone erano venute da me per l'autografo.
«Tranquilla, un passo alla volta!» mi disse Tiziana, una delle commesse. Poi si fermò e mi indicò un punto alle mie spalle. «Guarda quell'uomo laggiù.»
Io mi voltai e per poco non svenni: un uomo, mio coetaneo, stava passeggiando tra gli scaffali di libri ben ordinati e reggeva in mano un libro: il mio.
Lasciai subito perdere Tiziana e mi misi a volteggiare il più silenziosa possibile verso quell'uomo. Non era tra i quattro che avevo conosciuto poco prima, ne ero sicura, e credevo di non averlo mai visto prima di quel momento. Ma poi lui si voltò.
«Giulio?!» esclamai incredula.
«Hola, Marti!» Giulio mi sorrideva, tenendo stretto a sé il mio romanzo. Picchiettò con un dito sulla copertina di quest'ultimo. «Marilena R. Semplici? È uno strano pseudonimo» disse, ora più serio, ma solo per scherzo.
«Parli proprio tu, Willy
Entrambi ridemmo come non eravamo mai riusciti a fare, poi mi ricordai della promessa silenziosa che gli avevo fatto. In realtà, la ruppi subito: la sua musica mi piaceva veramente, così portavo – e porto – sempre con me il suo primo album, uscito solo un paio d'anni prima. Lo tirai fuori dalla borsetta e glielo mostrai. «Ce l'abbiamo fatta!» dissi.
Gli vidi gli occhi riempirsi di lacrime. Mi abbracciò forte, mi ringraziò, mi strinse ancor di più a sé e mi disse qualcosa che per poco non mi fece sciogliere: «Scusa! Per tutto...»


Eravamo noi, due anime diverse che cercavano un pezzo di sé nell'altro.
Tutto qui.
Solo Marilena e Willy.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Marra Superwholocked