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Autore: Duchannes    23/06/2015    1 recensioni
Forse era proprio quel tatuaggio “Love tear us apart” perché loro dicevano di amarsi a metà, l’altra parte era compensata dall’odio; l’odio per la troppa venerazione, l’odio per quei sorrisi che strappavano il cuore, l’odio per le gambe che tremavano, la paura di perdersi e il terrore che li accompagnava tutte le notti, sperando che nulla cambiasse il giorno dopo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Why won’t you let me stay.
 

A lils, che troverà la sua strada, le persone belle così, la trovano sempre. 

 
Forse erano le piccole attenzioni, le premure, i sorrisi al momento giusto, gli abbracci dopo una richiesta muta, la capacità di capirsi istantaneamente, o forse erano i suoi occhi.

Forse era stato il bacio all’una di notte quando tutto crollava e loro sembravano ridere delle loro ferite, dei loro guai.

Forse era stato il litigio alle quattro, con la birra che scorreva nelle vene e le parolacce gridate sotto il balcone di qualche sconosciuto che li avrebbe maledetti il giorno dopo, nelle preghiere del mattino.

Forse era stato quell’abbraccio quando si conoscevano appena e lei l’aveva stretto forte perché sapeva che ne aveva bisogno e forse a saperlo non era nemmeno lui.

Forse era il sussurrarsi frasi nel pieno della notte con le mani che si cercavano e gli occhi puntati nell’altro.

Forse erano le risate a squarciagola, i baci rubati, i bronci scacciati via e i film di Harry Potter nelle giornate piovose, con una pizza e le caviglie incrociate.

Forse erano i pugni stretti per la gelosia, le sfuriate imponenti e le occhiatacce di chi vorrebbe fulminarti.

Forse era il sesso, quello lento e asfissiante, quello in cui l’attesa era meglio del piacere stesso o quello veloce con le grida e i vestiti incollati addosso per il sudore.

Forse erano le colazioni a letto nei giorni di pioggia, con i baci lenti e i libri sempre troppo intensi.

Forse era il camino, quello al centro del loro salone, quello su cui era appeso la foto dei loro tatuaggi uguali sulle caviglie, quel complesso di foto che recitava la base solida del loro amore.

Forse era proprio quel tatuaggio “Love tear us apart” perché loro dicevano di amarsi a metà, l’altra parte era compensato dall’odio; l’odio per la troppa venerazione, l’odio per quei sorrisi che strappavano il cuore, l’odio per le gambe che tremavano, la paura di perdersi e il terrore che li accompagnava tutte le notti, sperando che nulla cambiasse il giorno dopo.

Forse era il suo essere lunatica, quell’aspetto che Zayn giurava di odiare e le rinfacciava tutte le volte, ma forse era proprio quello a tenerli uniti, quell’incertezza, quell’instabilità che li caratterizzava.

O forse erano i suoi occhi.

Zayn era profondamente innamorato di quegli occhi verdi, che dicevano troppo o troppo poco; quegli occhi sfuggenti, enigmatici, che a volte Zayn doveva inchiodare con la forza pur di poterli scorgere. Quegli occhi sempre troppo lontani, distanti anni luce, immersi nei loro pensieri malinconici, in drammi che Zayn non avrebbe capito mai fino in fondo.

Era enigmatica, questo Zayn l’aveva capito subito, fin dalla prima volta che si erano conosciuti. Quando lei aveva quei lunghi capelli castani lisci, un vestito nero, di quelli larghi con il reggiseno che si intravede nei lati, come una lunga maglia che lo scopriva le cosce, delle vans e un rossetto scuro di quelli che le mettevano in risalto gli occhi. Quando Zayn l'aveva vista ridere e coprirsi la bocca buttando la testa indietro per qualche stupida battutina, bevendo birra come se lo facesse sempre, anche se non era così.
Quando Zayn le si era avvicinato con il suo atteggiamento poco spavaldo e gli aveva detto la cosa peggiore che si potesse dire in quei casi –Sai che la birra non ti rende più figa?-
Lei l’aveva fissato sbalordita, offesa da quella constatazione e Zayn si era maledetto perché non era esattamente quello il suo pensiero ed era suonato addirittura meglio nella sua testa.
Lei allora l’aveva fissato per qualche secondo mandando giù un altro sorso di birra e –Sai che non sapevo che la birra rendesse le persone fighe? Pensavo fosse l’intelligenza a farlo- aveva risposto, a muso duro, anche se Zayn poteva leggere in quegli occhi quanto quel commento l’avesse ferita. Così le aveva sorriso e –Io sono Zayn- aveva mormorato in risposta, incurante della frecciatina o dell’offesa di lei.
Malia aveva alzato un sopracciglio ancora del tutto infastidita e prima che potesse rispondergli era stata afferrata e portata via, sotto lo sguardo insidioso di Zayn.
 
Poi erano finiti a salutarsi tutte le volte e a parlare di cosa forse non lo sapevano nemmeno loro; Zayn l’affiancava tutti i venerdì nelle conversazioni abituali, ridevano delle stesse battute, si capivano con un solo sguardo e Zayn ne restava incantato una volta sì e l’altra pure.

Non sapeva com’erano passati al contatto fisico, come si era ritrovato poi ad abbracciarla ogni volta che voleva, a parlare con le persone circondandole la vita e a parlarci tutte le notti con degli stupidi messaggi; a sorridere di cuore e prenderla in giro perché quello era l’unico modo in cui Zayn sapeva dimostrare il suo interesse.

Poi Zayn ricordava bene come le cose tra di loro fossero sbocciate in maniera malsana, come il climax del loro rapporto era arrivato in un giorno nero come la pece. Quel venerdì sera non sorrideva, si toccava i capelli in continuazione e si guardava intorno a disagio.
 Zayn l’aveva capito subito che qualcosa non andava, ma quando gliel’aveva chiesto Malia aveva fatto spallucce e –Sono lunatica, oggi va così-  senza convincerlo.
Quella stessa sera, quando lei continuava ad essere scostante, a non sorridere con gli occhi né con la bocca, lì Zayn l’aveva afferrata per un gomito e l’aveva portata in disparte –Adesso mi dici che succede- le aveva ordinato imperativo e Malia aveva cominciato a contorcere le dita a disagio.
 
Poi Zayn l’aveva vista piangere, per la prima volta in tutta la sua vita.
 
Quegli occhi verdi erano diventati lucidi e le lacrime avevano cominciato a bagnare le sue guance.
 –Non c’è niente Zayn, oggi mi sento così, inadeguata, è come se a volte provassi il semplice bisogno di essere capita, di avere qualcuno che ci sia lì per me quando tutto va male senza motivo alcuno- aveva sputato fuori, come se si sentisse terribilmente sola, impotente, infelice.
 
Era stato lì, in quel preciso momento che Zayn aveva capito che Malia era un rompicapo bello grosso, che a volte sembrava portare tutto il peso del mondo sulle spalle.
 
Era stato lì che si era reso conto di averla studiata da vicino, di aver cercato tutti i cavilli possibili per condurre ai suoi pensieri più segreti.
-Anch’io mi sento così, come se ogni volta che chiudo gli occhi sentissi quella mancanza corrodermi le viscere, come se fosse una sensazione di cui non riuscirò mai a liberarmi- sussurrò premendo i pollici sulle sue guance lisce per scacciare via le lacrime prima di –Sai a cosa penso quando mi succede?- continuare, misurando bene le parole, col cuore che batteva e le mani che rischiavano di tremare.
-Ai tuoi occhi- sussurrò poi, terribilmente serio, con gli occhi sicuri, anche se dentro sentiva di morire.
E Malia aveva tremato un po’ e poi era sfuggita a quello sguardo e alla sua presa –Tu ti stancherai di correre dietro alla mia testa Zayn- mormorò con tono rassegnato come se avesse ripassato quell’idea migliaia di volte nella sua immaginazione.
Zayn si era accigliato allora e –E’ proprio quello che mi piace di te, che non smetto mai di conoscerti- aggiunse, in parole che la facevano sentire così bene, ma anche così male, perché alle parole era quello a cui aveva creduto per tutta una vita.
-Eppure avresti potuto provarci tutte le volte e hai preferito lasciar stare- lo accusò, colpendo duro, trafiggendolo con i suoi occhi penetranti e sbattendogli in faccia la codardia che lo aveva divorato vivo.
 
–Sono spaventato, ho paura di perdermi per te e di non avere via d’uscita- sputò fuori, rivelando la paura che gli attanagliava le viscere e che la notte lo teneva sveglio a fissare il soffitto.
 
-L’amore non ha uscite d’emergenza Zayn, o sei dentro o sei fuori- rispose lei, piccata, arrendevole come solo chi ha rivissuto quella scena troppe volte poteva; chi non ha mai avuto l’onore di passare alla scena successiva, quella che un po’ le cose l’avrebbe cambiate.
 
-L’amore non è una gabbia- aveva risposto lui, tentennando, cercando di capire l’enigma che aveva davanti agli occhi.
 
-L’amore sì, per questo c’è l’odio, bisogno amarsi a metà, l’amore non basta- aveva spiegato lei con lo sguardo rivolto altrove e i pensieri di piombo.
 
-Io li odio i tuoi occhi- aveva esordito Zayn, terribilmente serio, e lei questa volta si era voltata colpita, affondata da quelle parole che avevano tutta l’aria di fare male da morire.
 
Poi l’aveva baciata, piano, con gli occhi chiusi e le mani a cingerle il volto, mentre lei ricominciava a piangere, di un dolore che si liberava, che finalmente veniva spazzato via da qualcosa di più grande.
 
Proprio lì Zayn aveva capito che il loro non sarebbe mai stato un rapporto sano, che sarebbe stata una guerra e che forse  nessuno dei due ne sarebbe uscito vivo.
 
O forse era stata quella volta al mare, quando verso le sei del pomeriggio, il sole stava per calare e c’era quella brezza che ti faceva sentire al posto giusto; quando Malia aveva indossato la maglietta di Zayn accoccolandosi al suo fianco con la testa sul suo petto; quando aveva sospirato serena, con i capelli umidi e –Ho sempre sognato di fare questo. Forse i sogni sono più belli della realtà a volte- aveva detto, lasciando Zayn del tutto perplesso di fronte a quella poca carineria.
Così aveva aperto gli occhi fissandola accigliato e lei era scoppiata a ridere –Tu sei stato tutto il giorno sdraiato, io sognavo di correre e urlarti di smetterla di bagnarmi- aveva poi spiegato, sfidandolo con lo sguardo.
E poi aveva corso davvero, con Zayn che la rincorreva, lei che inciampava ad ogni tratto, rideva, lo pregava e poi finiva schiacciata contro il suo corpo dritta nell’acqua fredda dov’erano piovuti baci salati e  languidi.
 
 
Forse era stata quella volta al ristorante messicano, quando lei aveva indossato quella gonna lunga che adorava, con il top troppo scollato per i gusti di Zayn e le sue amate vans; quando quella cameriera ci aveva spudoratamente provato con lui e Malia si era incazzata da morire; quando aveva mangiato in religioso silenzio rigirando la paella, il suo piatto preferito, come se all’improvviso non le piacesse più.
Non erano servite le parole di Zayn, le spiegazioni, né gli abbracci, Zayn poteva leggerle negli occhi che si fosse chiusa in quelle mura dove riprenderla era sempre stato più difficile.
E in macchina non gli aveva tenuto la mano.
Poi Zayn si era fermato all’improvviso al centro della strada sotto lo sguardo sconvolto di lei e –Adesso la smetti di tenermi fuori dalla tua testa o non mi muovo di qui- aveva detto perentorio, sotto lo sguardo sorpreso di lei che –Zayn spostati andiamo, ne parliamo a casa, te lo prometto- gli aveva detto con tono indulgente, senza però smuoverlo dalla sua decisione.
-No, Malia ti odio da morire quando fai così, cazzo parla, dimmelo che sono uno stronzo e che ti sei offesa, ma non stare zitta, per favore- aveva sbottato, cercando di rendersi più gentile alla fine.
Lei l’aveva fissato e –Mi odi davvero quando faccio così?- aveva detto, con quegli occhi scrutatori, che esigevano sincerità.
E Zayn aveva annuito allora, sperando di farla ragionare.
E lei l’aveva baciato.
Sì, forse lì Zayn aveva capito che nulla in quel rapporto sarebbe girato nel verso giusto.
 
 
Oppure era stata quella volta, quando erano usciti con gli amici di lei e lui le aveva tenuto la mano tutto il tempo, quando in macchina aveva canticchiato felice le canzoni di Taylor Swift e poi aveva cominciato il racconto dettagliato riguardo quel cantante, quello per cui si era tatuata la croce sul polso nel suo stesso posto, quello che lei venerava e di cui non smetteva di parlare mai. Aveva cominciato a raccontargli di come il suo migliore amico avesse pubblicato quella canzone di Ed sheeran e lei era sicura fosse per lui. E Zayn ormai conosceva a memoria tutti i dettagli della relazione di quei due, sapeva perfino che marca di shampoo o che profumo il ragazzo preferisse utilizzare perché Malia era tutta matta, non avrebbe smesso di parlare mai, e lui di ascoltare.
Quella sera quando il ragazzo per cui lei aveva avuto una cotta a lungo e che alla fine aveva preferito la sua migliore amica gli aveva detto –Dio, non so come fai a subirti tutti i racconti su cose così assurde- quando Malia non era all’ascolto, troppo impegnata a riferire la stessa cosa ad una delle sue amiche; Zayn l’aveva fissato per qualche secondo aspirando con calma e –Non mi perderei mai i suoi occhi luminosi quando ne parla, guarda, è come se fosse l’unica luce in tutta la strada- gli aveva detto, prima di voltargli le spalle e affiancarla di nuovo, perché lui aveva bisogno di sentirla sempre vicina.
 
Forse era stato quando nell’appartamento di Zayn, con troppo vino in circolo lei aveva cominciato a ridacchiare e a baciarlo in quel modo. Quando si era seduta sulle sue gambe con le cosce aperte e aveva succhiato un lembo della sua pelle.
Quando era partita quella canzone, e lei aveva spalancato gli occhi sorpresa –Ho sempre desiderato ballarla- aveva sussurrato come nello svelargli un segreto.
Zayn allora l’aveva fissata per qualche secondo e poi l’aveva trascinata al centro del salone -Adoro anch’io questa canzone- aveva sussurrato, prima di legare gli occhi ai suoi e di tenerla stretta come se potesse sfuggirgli via. Never let me go era passata in secondo piano quando gli occhi di Zayn l’avevano fissata rapito, quando le sue labbra avevano baciato le sue in un bacio morbido e carico di sentimenti.
Quando –Io ti odio Malia- aveva sussurrato e –perché non penso di volerla più un’uscita d’emergenza- aveva poi concluso. E lei aveva sorriso luminosa, prima di cominciare a piangere di nuovo e Zayn se ne era innamorato ancora, perché era tutto così strano, eppure così perfetto.
 
 
Forse era stato quando erano a casa di Zayn, sdraiati sul letto, con i the 1975 in sottofondo e i progetti su un futuro concerto. Quando lui l’aveva stretta a sé e poi si erano baciati a bocche aperte, con le lingue che si rincorrevano e le mani che non volevano saperne di stare ferme.
Zayn le aveva aperto le cosce e si era posizionato sul suo corpo, con le intimità a contatto e i respiri accelerati. Il passo era stato breve, si erano liberati dei vestiti frettolosamente, con la voglia di sentirsi completamente, si erano denudati con sorrisi luminosi e la voce di Matt a contornare il tutto.
Si erano baciati a lungo, con le mani a sfiorarsi, a percorrere la schiena bianca di lei e quella scura di lui, con il sudore che cominciava a scendere e l’impazienza che cresceva dentro di loro.
Poi c’era stato solo Zayn dentro di lei, avvolto nel calore asfissiante del suo corpo, gemiti, grugniti, graffi, morsi e lividi.
Avevano fatto l’amore con la passione a corrodere le loro vene e il piacere invaderli come i pirati facevano con le isole più preziose.
 
 
Oppure quella volta, quando Malia non aveva risposto per tutto il giorno, aveva ignorato i suoi messaggi e le sue chiamate e Zayn esasperato era andato a cercarla.
Quando era entrato in cucina l’aveva trovata con la testa immersa sui libri, gli occhi gonfi e i capelli sparati in tutte le direzioni, e Zayn aveva capito, così aveva afferrato entrambe le braccia cercando di svincolarla dai libri nonostante le sue resistenze e poi l’aveva stretta sé, con le dita ad asciugare le sue lacrime e –Andrà bene, oppure no, ma non importa, andrà bene lo stesso- allora le disse, sapendo che un semplice incoraggiamento non le sarebbe bastato. Non le bastava mai.
Allora aveva singhiozzato e –Mi butto dall’istituto- aveva detto facendolo ridacchiare, poi si era abbassato per poterla guardare negli occhi e –Domani ti accompagno, mmh?- aveva aggiunto, mentre lei lo baciava, in una risposta che era sempre quella esatta.
 
O ancora quando erano andati in discoteca, lei con un vestito corto nero, il suo solito paio di vans, gli occhi troppo truccati; lui con un paio di skinny jeans neri, una maglietta dei Ramones e la voglia di baciarla per tutta la sera.
Le era bastato un solo drink per cominciare a ridacchiare brilla, per cominciare a barcollare e ad inciampare nei suoi piedi; Zayn l’aveva stretta a sé dopo una lunga risata all’ennesima perdita di equilibrio e –Sei proprio una principessa- aveva sussurrato, sapendo di indispettirla.
Lei l’aveva fissato imbronciata e aveva tentato di colpirlo –Io non sono una principessa- aveva ribattuto con un cipiglio serio e le bellissime labbra increspate.
Zayn aveva ridacchiato e aveva scosso la testa –No, non lo sei- aveva poi concordato, sciogliendo il broncio che gli faceva venire voglia di abbracciarla e tenerla ferma lì per sempre.
-Non sarò mai una principessa- aveva ribadito lei, per cercare di rimarcare il concetto e Zayn aveva intrecciato le mani con le sue avvicinandosi a rubarle un bacio morbido.
Quando poi si era staccato –E se fossi nato dal sangue blu, saresti stata una principessa allora?- aveva chiesto divertito, giocando sporco, solo perché sentirla ribadire i suoi sentimenti lo faceva innamorare di lei ancora un po’ ogni volta.
Lei l’aveva fissato terribilmente seria, come se fosse una domanda di fondamentale importanza e non una semplice provocazione, poi aveva annuito appena e –Credo di sì- aveva aggiunto, prima di puntargli un dito contro –Però metterò le vans e i vestiti saranno tutti neri- stabilì perentoria come se fosse possibile e Zayn ridacchiò ancora.
Ridacchiò sotto lo sguardo compiaciuto di lei e poi la baciò più forte, con le mani strette intorno a lei in una morsa che l’avrebbe imprigionata.
 Zayn in momenti come quelli in cui si sentiva inquieto, con la paura di perderla stampato addosso, sentiva la voglia di rinchiuderla nella gabbia dorata, per tenerla con sé e non permettere che un giorno scappasse via.
 
Forse erano gli sbalzi d’umore, i balli in giro per la casa, la disperazione per gli esami, le uova alle otto del mattino; l’abitudine di lasciare tazze sporche di caffè in giro.

Forse era l’abitudine di camminare sempre con un paio di calzini per casa, anche in pieno agosto, perché i piedi nudi la infastidivano.

Forse era il modo di toccarsi i capelli quand’era nervosa, o di ripetere che si sarebbe ritirata dall’università se solo avesse fallito quell’esame, anche se era lei stessa a non crederci.

Forse era la sua abitudine di cominciare libri e di lasciarli a metà per riprenderli solo quando era dell’umore giusto.
Forse era il suo essere testarda e il volere avere sempre ragione.

Forse era la sua passione sfrenata per il lilla; per le sue parole sempre troppo sincere; per la sua voglia di coccole ad ore improbabili e il suo odio per le effusioni il giorno dopo.

Forse era per quella volta in cui era corsa da lui piangendo e –Io ti amo Zayn, e ti prego non smettere- aveva singhiozzato ancorandosi alla sua maglietta.

Forse era stata per quella volta in cui aveva pianto per uno stupido pesce rosso, anche se era da un po’ che non si prendeva cura di lui. Quando aveva scritto un elogio funebre e poi aveva avuto quel musino triste per tutto il giorno.

Forse era per il suo continuo ripetere di volere un gatto e poi la sua paura anche ad avvicinarsi ad uno di essi.

Forse era per le contraddizioni, per il troppo amore, per l’odio, per il tè solo al limone, la nutella su qualsiasi superfice spalmabile, anche i loro corpi; o le serie tv fina a tarda notte con le lacrime per ogni personaggio.

Forse era per gli sguardi carichi d’amore, le parole sempre giuste al momento giusto, la sua capacità di capire le persone o il suo senso dell’humor.

Forse era per le pagine mai troppo bianche, con il suo nome scarabocchiato da tutte le parti e i cuoricini in ogni angolo disponibile.

Forse era per il suo lato materno, il sorriso che metteva su di fronte ad un bambino.

Forse era il suo imprecare senza mai imprecare davvero.

Forse era il suo rispetto per le persone, la sua voglia di ascoltare gli altri, il suo altruismo.

Forse era quella foto in cui rideva coprendosi la bocca.
 
O forse erano i suoi occhi.
 
Forse erano proprio quegli occhi, quello che Zayn non riusciva a dimenticare. 





 
Piccole note finali:
E' un delirio dovuto ad una piccola idea, un delirio prettamente autobiografico che probabilmente nessuno di voi cagherà.
E' Zayn, tutta colpa sua.
Chiunque sia arrivato fin qui, grazie di cuore cwc Non mi aspetto pareri, ma se vi va, sapete dove scrivere cwc
Addio, evaporo cc 
   
 
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