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Autore: izetsukikun    23/06/2015    0 recensioni
"Ghoul. Pioggia. Asfalto. Sangue. Una ragazza che rincorre la sua vita e gioca tra la morte e la sopravvivenza."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Uta
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buondì a tutti!
Chi mi conosce già sa che ho 20mila ff sospese. Scusate davvero tanto ragazzi/e. Tra disegni ed eventi cos play e lavoro (-_-“) non ho mai tempo per scrivere. Mah , a voi non interessa una cippa della mia vita, quindi buona lettura carissimi e spero di ricevere qualche risposta a questo mio ultimo scritto che prometto sarà breve ! Spero di ricevere qualche vostro parere, Grazie !!
 

 
CAPITOLO 1

Correvo sotto la pioggia che non sembrava darmi tregua. Il cielo color plumbeo, così scuro da sembrar finto, mi ricopriva. Le nubi nere e ostili mi inseguivano lanciando ogni tanto dei lampi di luce come per avvertirmi, non ero la benvenuta. Non si vedeva una fine, nemmeno un inizio.
Faceva male.
Le gocce di pioggia battevano forti sul mio viso unendosi alle lacrime che scendevano incessantemente. Scendevano e senza fregarsene del mio male interiore solcavano con fare spavaldo le mie guancie, rigandole. Correvo ancora e ancora. Avevo il fiato ormai spezzato da quello sforzo. Le poche energie che mi restavano venivano consumate dai miei incessanti passi su quell’asfalto umido e silenzioso.
Stavo girando per le strade di quella città senza capire dove esse mi portassero. Ero in quella città da poco più di una settimana. Non conoscevo praticamente nulla. Giravo a vuoto, a destra, a sinistra, ancora a destra senza capire dove stessi andando. Non potevo chiedere informazioni, a causa della pioggia fuori non c’era anima viva. Uscendo dal mio corso serale poi mi ero addentrata in alcune strade a mio parere giuste, ma sicuramente sbagliate senza saperlo e mi ritrovai in una zona abbandonata, desolata e lasciata a se stessa. Una zona grigia, morta. Le mura degli edifici trasudavano di disperazione. Nessuna luce. Non c’era nemmeno un bar dove potessi ripararmi. Il braccio mi faceva ancora male. Dovevo assolutamente trovare qualcuno o sarei sicuramente finita i  altri guai.
La pioggia continuava a battere, il cielo diveniva sempre più scuro.
In fondo alla strada finalmente un uomo? Non capivo bene se fosse un ragazzo o un signore.

“E se fosse come quello di prima Aki?”

Si, l’uomo di prima.
Mi ero fermata a chiedergli indicazioni e questo con uno sguardo da morto, gli occhi neri come la notte pieni di desiderio e sangue, mi aveva attaccato il braccio. Mi aveva morso a fondo e strappato via della pelle. Avevo una ferita abbastanza profonda, e come mi bruciava. Al solo pensiero la mano che tenevo chiusa a morsa sulla ferita per no perdere ulteriore sangue si strinse.
Avevo paura ad avvicinarmi a quella sagoma così sconosciuta. Non potevo sapere se era un altro di quegli esseri. Volevo solo tornarmene a casa.
Quando mi avvicinai riuscii a definire l’uomo.
Avrà avuto 27 anni più o meno. Capelli neri come la pece, che scendevano dritti lasciando spazio a un lato rasato, finissime sopracciglia quasi inesistenti sbucavano da sopra i suoi occhiali, occhiali da sole.
“Occhiali da sole? Con la pioggia?” pensai io. “Che tipo strano”.
Era vestito in un modo molto casual, sembrava un’artista, una di quelle persone che vivono nel loro mondo e hanno una considerazione propria di ogni cosa. I vestiti erano tutti rigorosamente neri e bianchi, gli cadevano quasi addosso. Non capivo come potessero stargli su, lui era molto magro, sembrava “affamato” da quanto scarna era la sua corporatura. Potevo capirlo dalle vistose, scheletriche clavicole che sbucavano dallo scollo della canotta. Era alto, con delle braccia mingherline coperte da numerosi tatuaggi. Se ne stava fermo li, raccogliendo tutta la pioggia sui suoi abiti. Non aveva nemmeno lui l’ombrello. Forse come me non si aspettava che iniziasse a piovere.
Mi osservava, e io osservavo lui. Stavo tremando e non capivo se era paura, freddo oppure se le forze del mio corpo mi stavano abbandonando. La ferita bruciava sempre di più e io mi sentivo ogni secondo che passava più debole.
Lui iniziò ad avvicinarsi verso di me con passo lento. Io restavo immobile, avevo paura di ciò che poteva succedere. Alzò una mano e mi prese il braccio ferito. Lo osservò.
Osservò la mia pelle candida dilaniata, sgualcita. Le gocce di sangue che si univano alle gocce di pioggia. L’odore metallico del mio sangue non era più penetrante come all’inizio. Si era mescolato man mano con l’odore bagnato della pioggia e dell’asfalto umido. Odore di tristezza e sofferenza.

- Chi ti ha fatto tutto ciò ?- chiese lui in modo molto tranquillo aggrottando le minute sopracciglia .

- N-n-non lo so. Stavo camminando e un signore mi ha attaccata. Non ricordo altro.-

- Devi venire con me ragazzina.- disse lui con tono un po’ freddo. Abbondava di preoccupazione?

Si. Quella era preoccupazione.

 - Se non lo curi adeguatamente potrebbe peggiorare.-

- Mi può indicare la strada per l’ospedale ? P-preferirei andare la.- dissi io un po’ preoccupata.

La mia voce tremava in continuazione. Le forze mi stavano abbandonando definitivamente.

-  No! Devi venire con me. All’ospedale ti direbbero che stai bene e basta. Una fasciatura e dell’ottimo iposo signorina. Ma no! Non sanno quello che dicono quegli incapaci.-

- N-n-non sto bene? In che senso? Alla fine è solo una brutta ferita- tentennando chiesi spiegazioni ma arrivò il limite.

Caddi a terra sfinita e troppo stanca per capire veramente ciò che mi circondava. Mi lasciai scivolare verso quell’asfalto su cui si poggiavano le gocce tristi. Bramavano avare quell’asfalto.
Con il poco senno che mi restava sentii solo due braccia che mi raccolsero da quel tappeto di acqua. Il rumore di un’auto e poi un soffice e profumato ripiano.
Chiusi definitivamente ogni percezione e mi addormentai in un sonno sfinito e addolorante.
 
 
 
  
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