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Autore: TigerEyes    14/01/2009    22 recensioni
Akane cambia dal giorno alla notte, assumendo movenze feline e diventando inaspettatamente... audace! Sarà forse a causa dello spirito di una gatta sacra? E Ranma come reagirà? Tutti infatti sappiamo quanto adora i gatti...
IX e ULTIMO CAPITOLO ON LINE con una fanart di Kelou!
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lo so che non ci speravate più, invece ecco il seguito della storia, in un raptus di ispirazione, ho scritto ben 7 pagine in appena due giorni. Evidentemente dovevo staccarmi da NRSU per poter riprendere a scrivere questa ff. ^_^ Mi spiace di avervi fatto aspettare tanto e vi chiedo immensamente perdono per il ritardo, ma non vorrei ricevere solo lamentale per questo come mi è capitato col precedente capitolo, altrimenti stavolta mollo la ff! ç__ç è_é
Bene, prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ringraziare – in ordine cronologico di commenti – Killkenny, Rik, Moira, Silvia91, elisa90 - nonostante la sua non fosse una recensione, ma una constatazione ironica del mio ritardo - Laila, bluemary, XcoccinellaX – hai visto che alla fine ho realizzato il tuo desiderio? Meglio tardi che mai, no? ^_- darkfrance, Aleberyl90, Elfetta93, Apple92 e Kuno.
Grazie di cuore a ognuno di voi, spero che questo capitolo vi piaccia e che vi piaccia anche il disegno di Kelou, che ringrazio di tutto cuore! ^_^

PS: ringrazio infinitamente la mia beta Moira, che mi ha evitato di postare delle sviste colossali. ^^;; Ho mandato via mail il capitolo anche al fratellone Rik, ma non sapendo se la mail questa volta gli fosse arrivata, ho postato senza il suo beneplacito. Rik, fammi sapere se qualcosa si può migliorare, che provvedo. ^_-



IV parte

Bastet al contrattacco




Ranma aveva fatto ritorno al dojo Tendo a tarda sera con un’inverosimile collezione di dolori articolari, senza contare i lividi, le cui tonalità avrebbero fatto invidia a un arcobaleno. La sua fidanzata, adorabile e premurosa come poteva esserlo un barracuda, lo aveva spedito in un quartiere sconosciuto e aveva faticato non poco a ritrovare la strada di casa. Fu l’unica volta nella sua vita, quella, in cui comprese il senso di smarrimento di Ryoga. Come faceva quel suino cicciuto a convivere con un disorientamento costante? Beh, era facile: era disorientato mentalmente, dopotutto si era innamorato di Akane, come poteva pensare che avesse tutte le rotelle a posto?
Akane…
Ranma si fermò davanti all’ingresso del vialetto dei Tendo. Quella scema rintronata aveva travisato tutto, tanto per cambiare, ma si poteva essere più idioti? Avrebbe fatto prima a insegnare a una scimmia a parlare, piuttosto che spiegare a quella cretina che non stava affatto ridendo di lei. Come faceva a non capire quanto fosse preoccupato? Beh, forse non era proprio l’impressione che aveva dato, ma era chiaro che lo fosse, no? E adesso gli toccava chiederle scusa, il solo modo per quietare gli animi e mettersi a escogitare in santa pace una soluzione, tanto era impensabile che lo facesse lei. La immaginava anzi chiusa nella sua stanza a frignare, accusandolo di essere un egoista, un insensibile e bla, bla, bla davanti a quel maiale svalvolato di Ryoga.
Lo stomaco emise una protesta prolungata quanto dolorosa. A proposito di prosciutti, era ora di cena, doveva sbrigarsi a riempire quella caverna che aveva per stomaco, se non voleva prendere seriamente in considerazione l’idea di infilzare P-chan su un bello spiedo…

“Sono tornato!”, gridò Ranma dall’uscio di casa Tendo togliendosi le scarpe.
“Oh, finalmente!”, lo accolse Kasumi con un sorriso. “Ti ho tenuto la cena in caldo, vai a cambiarti, qualcuno potrebbe pensare che sei uscito da un cassonetto dell’immondizia…”.
Ranma abbassò lo sguardo sui propri vestiti. Strappi pronunciati, macchie di unto dai colori sgargianti, foglie di insalata appiccicate ai pantaloni, bucce di patate che sbucavano dalle maniche della casacca e una lisca (intera) con cui avrebbe potuto pettinarsi i capelli se non fosse rimasta intrappolata nel codino.
“Tu credi?”, le chiese inarcando un sopracciglio, prima di avviarsi su per le scale. Avrebbe buttato i vestiti nella cesta dei panni sporchi, si sarebbe infilato una yukata e sarebbe sceso di corsa a mangiare. Invece arrivò davanti alla camera di Akane e si bloccò: la porta era aperta, la stanza vuota, il letto immacolato.
Forse è nel dojo…
S’infilò la vestaglia da camera e scese in salotto, dove Kasumi gli servì la cena, mentre Nabiki, sdraiata sul tatami con una matita in precario equilibrio fra il naso e il labbro superiore e le gambe che non la smettevano di fare su e giù, sembrava sprofondata in calcoli matematici degni di un astrofisico.
“In palestra? No di certo, Ranma, Akane ha seguito Kisuda al museo: stanotte dormirà lì, così il professore potrà tenerla sotto osservazione e intanto cercare fra i suoi papiri ammuffiti una soluzione a questo nuovo disastro. Devo sbrigarmi a cavarci il maggior guadagno possibile, ho solo cinque giorni per sfruttare la situazione”.
“Cinque giorni?! Ma Lasuda non aveva detto che ne avevamo a disposizione sei?”.
“Qual è il tuo voto in matematica, Ranma? Sveglia! Un giorno è già trascorso, quindi ne restano cinque… Su, non fare quell’espressione sconsolata, anche se questa volta non potrai essere tu a salvare la tua bella, l’importante è che Akane si liberi della sua possessione, no?”.
“Hai un bel coraggio a definire bella quel gorilla…”, grugnì Ranma incrociando le braccia al petto.
“Però non ho sbagliato a definirla tua, vero?”, sorrise ammiccante Nabiki.
“Smettila di dire scemenze, che vuoi che me ne importi di quello che le accade? Ero solo preoccupato per la mia fobia!”, ruggì dandole le spalle e poggiando un gomito sul basso tavolino per reggersi la testa.
“Ceeerto, per questo muori dalla voglia di raggiungerla, vero?”.
“Ma come ti viene in mente?!”, sputò Ranma a denti stretti.
“Perché stai fissando con morbosa insistenza la porta del vialetto, ecco perché. Ti ricordo che se quella divinità artritica prende il sopravvento anche stanotte, non potrai avvicinarti ad Akane a meno di cento metri…”.
Ranma sbatté sul tavolino la mano stretta a pugno su cui si era appoggiato. Era vero, purtroppo, e quella calcolatrice ambulante non faceva che rigirare il suo ditino ossuto e artigliato da strega nella piaga, ricordandoglielo ogni istante. Tutte le volte che quella balena della sua fidanzata si era trovata in pericolo, chi l’aveva salvata? Ma lui, ovviamente, perché solo lui aveva le qualità e le capacità per farlo, in sostanza solo lui era autorizzato a farlo. O almeno, così aveva creduto fino al giorno prima. E adesso si ritrovava improvvisamente a dover aspettare, anziché agire.
Lui doveva aspettare che altri salvassero la su… Akane.
Roba da non credere. Assurdo. Inammissibile. Lui che se ne rimaneva con le mani in mano.
Lui, porca miseria.
Ranma saltò in piedi stringendo i pugni.
“Che vorresti fare?”, chiese Nabiki addentando un cracker di riso e alghe senza distogliere l’attenzione dai suoi diagrammi.
“Vado a dormire!”, sbraitò da bisonte infuriato sul punto di caricare un nemico immaginario. Nabiki lo vide lasciare il salotto a falcate talmente ampie da far tremare il pavimento.
“Comunque non preoccuparti, Akane non è sola, si è portata appresso P-chan…”.
Un urlo riecheggiò dalle scale accompagnando numerosi tonfi fino al pianerottolo. Nabiki sorrise scuotendo la testa e riprese i suoi calcoli.

Dall’altra parte della città, in una stanza blindata del museo egizio dove il professor Kisuda custodiva i reperti egittologici da catalogare, il suddetto P-chan stava per sperimentare sulla propria pelle il detto: “giocare al gatto col topo”. E anche se non assomigliava a un ratto manco di striscio, Ryoga alias “suino cicciuto” stava per fare la stessa fine.
Il suo angelo incarnato, che lo stringeva teneramente a sé nel sonno, si era improvvisamente svegliata, lo aveva annusato e si era leccata le labbra. Quella era stata l’unica volta nella sua vita di insaccato in cui avrebbe voluto fuggire dalle candide braccia di Akane, ma lei l’aveva tenuto talmente stretto a sé per tutto il tragitto fino al museo, che il povero disgraziato non solo non era riuscito a sfuggirle, ma era addirittura svenuto per la seconda volta, risvegliandosi solo quando aveva udito una porta chiudersi. E ora si ritrovava bloccato in una stanza a prova di bomba con una divinità gattesca che già pregustava le sue tenere chiappette.
Alla vista delle zanne e degli artigli di Akane-Bastet, P-chan iniziò a strillare come solo un suino scannato potrebbe fare. Sfuggì per una setola a una zampata e iniziò a saltare per tutta la stanza, seguito a ruota da un’invasata affamata che rovesciò tutto il rovesciabile: statue, sarcofagi, steli funerarie, mobili di tutte le fogge, finché la sua superiore agilità felina permise alla divinità di agguantare la codina riccioluta del suo pasto un po’ troppo attaccato alla vita. Bastet sorrise trionfante e sollevò il maialino nero davanti al viso, che strepitava e si agitava in preda a una crisi isterica. Akane stava per mangiarselo! La sua Akane! Ma Bastet non si lasciò impietosire dal fiume di lacrime: sollevò il porcellino penzoloni fino a portarselo sopra il viso e spalancò la bocca.
“Ma che sta succedendo qui dentro?!”, irruppe il professor Kisuda spalancando la pesante porta d’acciaio in faccia ad Akane-Bastet. La divinità mollò la presa su P-chan, che volò letteralmente nell’aria per atterrare in testa al professore e subito saltare fuori dalla stanza.
“Ma che cosa…?”.
L’esimio non fece in tempo a finire la domanda che qualcosa di ben più pesante atterrò sulla sua calvizie incipiente: Bastet l’aveva appena eletto a trampolino di lancio per inseguire la sua succulenta preda. Il povero luminare cadde così in avanti e rimase seppellito dalle sue preziose quanto voluminose antichità.
Bastet, intanto, girovagava per le immense sale del museo alla ricerca della sua ostinata cena. Nero com’era, alla fine l’aveva perso di vista e ora non riusciva nemmeno a rintracciarne l’odore. Dove si era nascosto? La parte terminale della lunga coda, che emergeva da sotto la gonna di Akane, si agitava frenetica da una parte e dall’altra, inutilmente: il rotondo ammasso di ciccia sembrava svanito nel nulla. A quel punto, perché perdere tempo a cercarlo, quando poteva procurarsi facilmente da mangiare a casa del suo umano preferito? Non vedeva l’ora di strusciarglisi contro e comunicargli la lieta novella: l’aveva appena scelto quale compagno della sua vita terrena.

Preoccupato oltre ogni dire per la sorte di Akane, Ranma russava nel chiaro intento di imitare una motosega, ma non c’era timore che il padre potesse svegliarsi: da bravo panda gigante, gli dava la schiena ronfando persino più forte di lui. Vuoi perché formavano un duetto sfondatimpani, vuoi perché Bastet conservava la silenziosità di una gatta anche nel corpo di un essere umano, nessuno dei due si accorse della sua presenza nella stanza da letto, dandole così modo di osservare in tutta tranquillità il suo nuovo passatempo. Persino quando dormiva, con la coperta gettata lontano dalle lunghe gambe divaricate come le braccia, le ricordava un gatto. Era troppo perfetto, per essere vero.
Bastet si sfilò la giacchina che Akane aveva indossato sopra la maglietta, si avvicinò al futon di Ranma col sorriso famelico di una gatta in calore e con la leggerezza di una piuma si sedette cavalcioni su di lui sollevando la gonna. Un’unghia acuminata lacerò la canottiera di Ranma per tutta la sua lunghezza e ne scostò i lembi, consentendo alla divinità di ammirare il torace muscoloso del ragazzo. Bastet ampliò il sorriso e le pupille verticali si dilatarono ancor di più, diventando quasi rotonde. Fece lentamente aderire il seno di Akane al petto di Ranma, ritrasse le unghie e sfiorò con ambo le mani il viso del ragazzo, che ancora incredibilmente dormiva. Sarebbe stato un piacere svegliarlo: la notte precedente si era limitata a dormirgli accanto assecondando i desideri inconsci del suo involucro umano, ma questa volta era decisa a spingersi ben oltre.
Poggiò i gomiti sul futon ai lati della testa di Ranma e avvicinò le labbra alle sue, finché la lingua iniziò a seguirne i contorni in una carezza impossibile da ignorare.
La reazione non si fece attendere. Un mugolio accompagnò le mani di Ranma, che si sollevarono dal futon come se avessero vita propria per appoggiarsi sulle gambe di Akane-Bastet e risalire lentamente sino ai fianchi. Ranma avvicinò al contempo le sopracciglia in un’espressione dubbiosa e contrariata insieme, sfoggiando la smorfia tipica di chi è stato appena destato da un sogno spettacolare: Akane si era sdraiata su di lui, gli aveva carezzato il viso e poi aveva iniziato a fare interessanti giochini con la…
“…lingua?!”.



Ranma spalancò tanto gli occhi che poco ci mancò li rigettasse dalle orbite. Akane era davvero sdraiata su di lui. E stava sorridendo.
“Prrraauuuu…”.
Il petto di Ranma si gonfiò come un pallone aerostatico. Stava per emettere l’urlo più terrificante di tutta la sua breve esistenza, quando Bastet gli prese il volto fra le mani e questa volta lo baciò, insinuandogli la lingua fra le labbra.
Ranma si accasciò sul futon, graniticamente certo di essere morto d’infarto. Eppure continuava a sentire Akane che non era Akane, bensì quella stramaledetta divinità col corpo formoso di Akane
(Formoso? Ma quando mai?!)
che esplorava la sua bocca meglio di un dentista, che strusciava su di lui il seno prosperoso della sua fidanzata
(E dagli!)
che affondava le mani nei suoi capelli fin quasi a strapparglieli. Ma peggio di qualsiasi cosa, che non smetteva di premere ritmicamente il bacino contro il suo. Altri 10 secondi
(Anche meno…)
e il cervello avrebbe smesso di funzionare per lasciare campo libero al corpo, che già cominciava a non ubbidirgli più. Akane aveva le labbra così incredibilmente carnose e mmmm…
(Ma che sto pensando?!)
Akane
(Bastet, accidenti, è Bastet!)
cinse le gambe attorno alle sue, per poi afferrargli le mani e trascinarle verso…
È vero! Anch’io ho un paio di mani? Ma dov’erano?!
(Sul suo fondoschiena, idiota, ecco dove!)
Con uno scatto degno di un felino, Ranma staccò le proprie dita dalle natiche della fidanzata quasi fossero arroventate e le piazzò sulle spalle della divinità per scaraventarla lontano da sé. Peccato che Bastet si fosse talmente avvinghiata a lui che riuscì soltanto a costringerla seduta su di lui. La divinità piantò a sua volta le unghie sulle spalle del ragazzo e lo ributtò sul futon.
“Non mi sembrava ti dispiacesse, che ti prende?”, sorrise compiaciuta la dea.
“Levati di dosso, bestiaccia, altrimenti…
“Ti gattizzerai? Il culmine della perfezione, a miei occhi. Io saprei come controllare il tuo stato animalesco e portarlo a livelli sublimi. Sei il compagno perfetto per me: forte, agile…”.
“Scor-da-te-lo!”, soffiò Ranma fra i denti. Cercò di issare il busto, scoprendo con orrore che Akane-Bastet possedeva una forza mostruosa: riusciva a tenerlo inchiodato al letto trattenendolo semplicemente per le braccia.
“Perché? Tu desideri questo corpo, il tuo basso ventre non può mentire, quindi qual è il problema?”.
Ranma non sapeva se era peggio sentire Akane esprimersi in quel modo osceno o vederla comportarsi in modo oscenamente disinibito. Ma del resto…
“Non sei in te, ecco qual è il problema!”.
“Ma che dici? Io sono perfettamente padrona di questo corpo, per fortuna tu non puoi dire lo stesso del tuo…”.
Bastet si accomodò meglio sul grembo di Ranma, che si morse un labbro e chiuse gli occhi.
“Ignora quello che succede laggiù! È fuori controllo, non sa quel che fa!”.
Bastet si passò la lingua sulle labbra.
“Secondo me, lo sa eccome. E non vede l’ora…”.
“Affatto! Toglimi quelle zampacce di dosso! Non ho alcuna intenzione di fare alcunché, almeno non con te!”.
“Perché no? Ti sto offrendo l’opportunità di possedere me, una dea, e allo stesso tempo l'involucro terreno che tanto vorresti stringere a te!”.
“Ma io non voglio te, voglio Akane!”.
Ranma sgranò le pupille.
(Ehhhh?! Che ho detto?!)
La divinità inarcò un sopracciglio e reclinò il viso di lato, con un’espressione sorpresa.
“Ohhh, adesso è chiaro: tu ami questa ragazza…”.
“No! Nient’affatto!”.
“…proprio come lei ama te…”.
La penetrante intelligenza di Ranma, nonché la sua proverbiale acutezza mentale, subirono un scossone impercettibile.
“Le… le… lei… m… m… mi…”.
“Vuoi dire che non te n’eri accorto?”, ghignò Bastet passandogli un’unghia lungo una guancia. La luna illuminò gli orribili tagli che erano le sue pupille e il blocco mentale di Ranma si sgretolò.
Con un colpo di reni riuscì a scrollarsi Bastet di dosso, che con un balzo acrobatico atterrò sulle punte dei piedi. Anche Ranma si era prontamente alzato, ma era lontano dal sapere come affrontare la situazione. Forse all’alba Akane sarebbe tornata padrona del proprio corpo, ma l’alba pareva ancora lontana e Bastet si avvicinava con un’unica idea in testa: fargli sperimentare il Nirvana sulla terra. Doveva escogitare un modo per immobilizzarla o almeno tenerla impegnata senza finire a ruzzolare sul pavimento a fare quello.
Era una parola.
Bastet avanzava verso di lui col corpo di Akane, ancheggiando spudoratamente e iniziando a lacerarsi la maglietta. Ranma serrò di nuovo gli occhi, anche se era certo che Akane indossasse il reggiseno. Cosa poteva fare, a parte indietreggiare fino al muro? Chiedere aiuto al padre in coma profondo? E comunque dubitava l’avrebbe aiutato, anzi, sarebbe stato felice di poter avere un nipotino semidivino. Cosa poteva escogitare? Cosa?
(Scappare dalla porta, magari? Altrimenti, c’è sempre la finestra…)
Ah già! La sua via di fuga preferita! Spalancò le iridi deciso a compiere un salto fenomenale.
“Dove pensi di fuggire? Ho sigillato dall’interno la porta e la finestra con un incantesimo, non puoi aprirle, né sfondarle. Sei in trappola…”, sorrise raggiante la divinità.
Ranma si lanciò ugualmente verso la porta, ma anziché buttarla giù con una spallata, si ritrovò semi incastrato nel legno: sembrava diventato di gomma e come gomma lo respinse. Bastet lo afferrò al volo con la lunga coda, tenendolo sospeso in aria a testa in giù.
“Desisti?”.
“Mai!”.
Bastet lo lasciò andare, divertita e pronta a ricominciare l’assalto. Ma Ranma, dopo aver sbattuto la testaccia dura sul tatami, balzò verso i pantaloni gettati in un angolo.
“Trattamento Saotome per i gatti ostinati!”.
Bastet rimase impietrita. Non avrebbe mai immaginato che il ragazzo possedesse un’arma simile: Ranma sfoggiava trionfante una lunghissima piuma che, opportunamente arrotolata, portava sempre con sé per i casi di emergenza. E bastardamente iniziò ad agitarla sul pavimento.
“Qui, micio-micio-micio…”.
“Non… non penserai che io ceda, vero?”, soffiò Bastet iniziando a sudare freddo, mentre seguiva avidamente gli scatti della piuma a destra e a sinistra. Era così lunga e slanciata e morbida e… e… invitante!
Bastet scattò in avanti sfoderando gli artigli e le zanne e Ranma per un istante temette il peggio, ma la dea si accucciò davanti a lui, completamente rapita dal nuovo giocattolo. Ranma si domandò allora quanto avrebbe potuto resistere: la divinità agitava la coda al ritmo della piuma e lui già iniziava a sentire qualcosa solleticargli il naso. Presto l’allergia avrebbe preso il sopravvento, doveva inventarsi qualcos’alt…
“E… E… Etciùùù!”. Ranma si passò un dito sotto il naso e si accorse di aver afferrato la piuma con ambo le mani, spezzandola di netto nell’impeto dello starnuto. A Bastet non parve vero.
Saltò su di lui con rinnovato slancio amoroso, ma Ranma questa volta fu più lesto e con un balzo si aggrappò mani e piedi alle assi del soffitto.
“Vuoi farlo lassù? E sia, anche se un po’ scomodo, ti accontenterò!”.
Bastet saltò a sua volta e grazie ai suoi artigli si aggrappò comodamente alle travi, il corpo che aderiva perfettamente a quello di Ranma, la bocca che non aveva perso tempo ad appiccicarsi al suo collo.
“Staccati, dannazione, staccati!”.
Invece Bastet si avvinghiò a lui lasciando la presa sulle assi. A Ranma non restò che mollare le travi e ricadere a terra per togliersi quella collosa divinità da dosso, ma finì per atterrare su una pelliccia bicolore morbida e folta. Una zampa si grattò il peloso fondoschiena e un cartello fece capolino dietro il voluminoso ventre paterno:

PIANTALA DI FARE IL DIFFICILE


“Ehhh? Che vorresti dire?”, sbraitò Ranma seduto di nuovo sul futon, mentre Bastet lo abbracciava sbaciucchiandogli il collo.

CHE SI TRATTA PUR SEMPRE DI AKANE
QUANDO TI RICAPITA?

“Ma sei scemo, o che? E togliti tu!”.

PENSA AL NOSTRO FUTURO
AKANE O NO, QUESTA QUI EREDITERA’ LA PALESTRA
CEDILE E FATTI ONORE
(ALTROVE MAGARI)


“Cosaaaa?! Non ci penso nemmeno! E tu ti vuoi staccareeee?”, urlò Ranma fuori di sé prendendo la dea per le spalle.
Per tutta risposta, Bastet gli diede una spinta che lo fece aderire al letto. Era di nuovo al punto di partenza e questa volta la divinità gli teneva bloccati i polsi. Accidenti a lei e alla sua forza erculea, non bastava quella di Akane?
“Ma… un momento… lui dov’è finito?”, chiese Bastet inorridita.
“Te l’ho già detto, botolo di peli, tu non mi interessi”, sputò Ranma a denti stretti.
“Ma davvero? Cos’è che ti interessa, allora? Vediamo… forse sapere che la decifrazione del papiro che mi riguarda è errata? Che non ho bisogno di aspettare sei giorni per prendere definitivo possesso di questo corpo, ma posso farlo quando voglio?”.
Il cuore di Ranma mancò un battito.
“Co-Cosa?!”.
“Tutto ciò che Akane sperimenta lo sperimento anch’io, è il contrario che non avviene. Per questo lei non ricorda nulla quando io prendo il sopravvento su di lei, mentre io ricordo ogni cosa di ciò che lei fa, ascolta, odora, mangia. Resto inerte dentro di lei, ma sempre cosciente, quindi so della traduzione e dei vostri puerili tentativi per aiutare la ragazza a liberarsi di me. Se non la smetti di resistermi, annienterò la sua anima seduta stante!”.
“Tu… Tu menti! Se avessi voluto, lo avresti già fatto!”.
“Non l’ho ancora fatto solo per poter assorbire da lei le informazioni che mi servono riguardo al tempo e al luogo in cui mi trovo, non mi piace brancolare nel buio…”.
Maledizione, se era vero ciò che la belva aveva detto, era rischioso irritarla o provocarla, eppure sentiva che stava mentendo: era improbabile che il professore si fosse così grossolanamente sbagliato o che chiunque avesse vergato quel foglio incartapecorito avesse scritto una fesseria così enorme.
“Avanti allora, fallo, che aspetti? E puoi star certa che da me non avrai un bel niente!”.
Le iridi di Bastet si ridussero a due sottili fessure e un’unghia disegnò il contorno di una guancia di Ranma.
“Non tirare la corda, umano. Sei carino, ma non sei l’unico…”.
Altro che gatta in calore, quella avrebbe congelato persino una tempesta di sabbia.
“Perché dovrei assecondarti, se tanto entro pochi giorni annienterai comunque Akane?”.
“Perché se lo farai, potrei decidere di non annientare affatto la sua anima e permetterle di emergere a livello cosciente, di tanto in tanto…”.
Ranma rilassò i muscoli, accasciò la testa sul futon e sospirò. Anche se aveva la sensazione che fosse una bugiarda patentata – proprio come l’altra gattaccia di sua conoscenza – non poteva rischiare l’anima di Akane.
“Bravo, così, rilassati e pensa a lei…”, sussurrò Bastet mentre riprendeva a baciargli il viso.
Ranma era disgustato a livelli cosmici: gli era impossibile tollerare che una qualunque divinità disponesse della su… di Akane come meglio credeva, arrivando a farle fare le peggiori sconcezze. E non l’avrebbe tollerato un secondo di più! Bastet lasciò nuovamente libero uno dei suoi polsi per carezzargli il torace.
Ora!
Con lo scatto di una tigre, Ranma fece saettare due dita verso il collo della dea, ma lei fu lesta a bloccargli la mano. L’impeto di Ranma gli permise però di rovesciarla sulla schiena e di immobilizzarla a sua volta per i polsi. Fu allora che le prime luci dell’alba invasero la stanza.
“Bada, Ranma! Non farmi arrabbiare o sarà lei a pagarne le conseguenze!”.
“Minaccia quanto vuoi, non credo a una sola parola!”.
Bastet divaricò le gambe e le incrociò sul fondoschiena di Ranma.
“Tu sarai mio, che ti piaccia o no…”, sibilò con un sorriso maligno.
“Vuoi capirlo che non mi interessi?!”. Ranma chiuse per un istante gli occhi, fuori di sé dalla rabbia. “È AKANE CHE VOGLIO!”.
“Adesso sì che diventerò ricca da fare schifo…”.
Ranma riaprì le palpebre. Non era la voce di Nabiki, quella che aveva sentito, vero? No, certo che no, altrimenti lui avrebbe cessato di vivere.
Incrociò lo sguardo di Bastet e si accorse che era Akane quella che lo stava fissando a bocca aperta e pupille sgranate. Le bloccava i polsi costringendola sul tatami, steso sopra di lei, fra le sue gambe. Allora si accorse anche che l’insostituibile fidanzata indossava solo il reggiseno, mentre la gonna era completamente sollevata.
“Oddio…”.
Poteva esistere situazione peggiore? Ma ovviamente sì. Il peggio del peggio era che Nabiki Tendo era proprio sulla porta e aveva ripreso tutto con la videocamera, confessione compresa, per la gioia di Soun che dietro di lei piangeva a calde lacrime, di Kasumi che si copriva gli occhietti pudici e di suo padre, naturalmente, che saltellava per la stanza spargendo petali di ciliegio da una cesta di vimini.
“TOGLITI IMMEDIATAMENTE DI DOSSOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”.
Un pugnò scattò contro il suo viso e Ranma si ritrovò a volare contro la finestra. Inutile sperare di rimbalzarvi contro, Bastet se n’era andata, quindi anche i suoi incantesimi. E infatti, Ranma ne frantumò il vetro, superando di parecchio la barriera del suono.
Questa volta avrebbe impiegato molto, molto tempo a tornare a casa.
Sempre che ci fosse riuscito, è chiaro.
Stava volando dritto verso la bocca del Fujiyama.
E non era nemmeno spento.
   
 
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