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Autore: DiSchon    26/06/2015    2 recensioni
Ottobre 1981.
L'intero mondo magico si tinge di rosso, il rosso del sangue delle vittime innocenti di una guerra ingiusta e terribile; migliaia di vite spezzate e destinate a cadere nell'oblio; famiglie distrutte, sogni infranti.
E' difficile per chi lotta trovare una flebile speranza, uno spiraglio di luce che l'aiuti a difendere la propria vita con le unghie e con i denti, tuttavia a Marlene McKinnon è stata data questa grande possibilità. Ma...
«Tutte le cose, tesoro mio, hanno sempre due volti. Sono belle e allo stesso tempo fanno male. Imparerai, Marlene, che spesso le cose che ti rendono felice, sono le cause dei dolori più atroci.»
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Marlene McKinnon, Ordine della Fenice, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I will protect them both


Ottobre non era mai stato così freddo.

Un vento pungente soffiava dalla finestra aperta e faceva gonfiare le tende color malva della camera da letto di Marlene.
La ragazza era in piedi, di fronte allo specchio.
L'aria fredda le sferzava il viso tondo spruzzato di lentiggini, le palpebre erano abbassate e le labbra dischiuse mostravano i denti bianchi in un sorriso ampio e luminoso. Non era mai stata così felice in vita sua.
Inspirò a fondo.
Il vento sembrava portare con sé un insistente profumo di rose che d'improvviso riempì la stanza. Un vento che sapeva di ricordi.

Si ritrovò piccola, Marlene, in un bel giardino fiorito di un piccolo cottage della Cornovaglia; i ribelli riccioli dorati lasciati cadere liberi sulla schiena si spostavano in avanti, mossi dalla brezza ottobrina, mentre lei si piegava ad osservare più da vicino un fiore meraviglioso, la cui corolla si apriva in un gran numero di petali dal colore rosato.
Avvicinò il nasino al fiore, con una scintilla di stupore nei suoi vispi occhioni azzurri, con la curiosità e la vivacità tipiche di una bambina di tre anni. Fu un po' troppo avventata però, tanto che si ritrasse subito non appena sentì una spina affilata pungerle il naso.
Non pianse, ma aggrottò le sopracciglia e rivolse uno sguardo arrabbiato prima al fiore e poi alla sua mamma, che nel frattempo aveva osservato la scena trattenendo una risata.
«Perché quel fiorellino è cattivo, se è così bello?» chiese, inclinando la testolina bionda di lato.
Tanta bellezza non poteva portare dolore, pensò la bambina.
«Quella è una rosa, Marlene. E' bellissima e ha un profumo meraviglioso, ma come vedi ha le spine.» spiegò la signora McKinnon, con voce paziente, mentre asciugava con un fazzoletto una gocciolina di sangue sul nasino di sua figlia.
«Tutte le cose, tesoro mio, hanno sempre due volti. Sono belle e allo stesso tempo fanno male. Imparerai, Marlene, che spesso le cose che ti rendono felice, sono le cause dei dolori più atroci.»
La voce della donna si fece lontana, mentre Marlene ritornò nella sua stanza.

Felice. Non poteva utilizzare parola migliore per descriversi quel giorno.
Di quella felicità pura e autentica, che fa scoppiare il cuore ed eclissa tutte le altre cose.
Non poteva esserci un risvolto della medaglia; la causa della sua felicità non poteva arrecarle dolore, oh no.
Il suo sorriso divenne più ampio e luminoso, mentre con la mano destra si accarezzò piano il ventre.
Era ancora piatto, certo, ma era carico di speranze e promesse. Promesse di una nuova vita.
Quelli erano tempi bui per tutti e trovare una ragione per andare avanti era difficile, se non impossibile.
Tutti brancolavano al buio, ciechi ed inermi, come mosche intrappolate nella viscida melma della palude, che invano battono le ali; costretti a vivere in una condizione così fragile e precaria per una causa più grande di loro, costretti a combattere una guerra che nessuno di loro aveva voluto o solamente chiesto.
Aveva le lacrime agli occhi, Marlene. Era stata così fortunata, in fondo. Le era stata donata la sua opportunità di salvezza.
Perché, adesso l'aveva capito, non avrebbe vissuto per la morte, Marlene, non più. Lei avrebbe vissuto per la vita. E per dare alla luce una nuova vita.

Ormai era da alcune settimane che una nuova vita stava crescendo in lei, ma la giovane l'aveva scoperto soltanto quel giorno, quel freddo giorno di ottobre del 1981.
Avrebbe ricordato per sempre quel giorno come il giorno più bello della sua vita. Certo, sembra scontato, ma è davvero così.
Le si erano riempiti gli occhi di lacrime quando aveva scoperto quella notizia, si era sentita speciale. Per il momento non lo aveva ancora rivelato a nessuno, lei era l'unica custode di quel segreto così bello.
Naturalmente non vedeva l'ora di dirlo a Sirius, quella sera, prima della riunione dell'Ordine.
Un bambino. Un bambino tutto loro.
Già lo amava in un modo incondiziato, il frutto del suo amore incondizionato.
Si accarezzò di nuovo il grembo, questa volta sovrappensiero.
Avrebbe avuto i bellissimi lineamenti del padre, o quelli suoi, più dolci? E gli occhi? Sarebbero stati scuri, come il mare di notte, o del colore del cielo limpido a mezzogiorno? Avrebbe ereditato i suoi riccioli biondi sempre disordinati o i capelli scuri e lisci di Sirius?
Sarebbe stato un rubacuori, come qualcuno di sua conoscenza, o una piccola guerriera?
Di una cosa era certa però, non avrebbe /mai/ e poi /mai/ chiamato suo figlio o sua figlia “Elvendork”, come una volta le aveva proposto quell'idiota che le aveva rubato il cuore.
Una risata cristallina fuoriuscì dalle sue labbra. Una risata che spezzò il silenzio...un silenzio troppo strano.
Marlene non sentiva più il ronzio del televisore nel salotto, né il chiacchiericcio sommesso della madre a telefono, né la discussione accesa del padre e del fratello.
Il tempo si fece più lento, i secondi scanditi dai lenti battiti del suo cuore.
Uno strano presentimento le causò un brivido che le percorse la spina dorsale. Finalmente si mosse e, cautamente, cercando di fare il minimo rumore possibile scese gradino per gradino le scale di casa sua.

Giunta al piano terra si coprì la bocca con la mano e serrò gli occhi, cercando di trattenere un grido di terrore e di ricacciare indietro le lacrime, ma invano. Si accasciò sul pavimento, poco distante dai cadaveri esangui della madre, del padre e del fratello.

Perché? Si chiese. Perché quella giornata tanto perfetta doveva concludersi in un modo così atroce?
Battè forte un colpo sulle assi di legno del parquet, mentre i singhiozzi scuotevano il suo corpo e le lacrime le bagnavano le guance.

«McKinnon.» una voce provocatoria, melensa e bassa.
La ragazza spostò lo sguardo dal pavimento a colui che aveva parlato, rivolgendole un'occhiata carica di odio e di disprezzo, nonostante i suoi occhi fossero gonfi ed arrossati dal pianto.
«Travers.» esclamò, imperiosa. Il suo orgoglio da Grifondoro non l'avrebbe mai abbandonata, nemmeno in una situazione del genere.
Tutto sembrava a Marlene incredibilmente surreale, fatiscente ed onirico come un sogno.
L'uomo davanti a lei storse la bocca in un ghigno orribile, rivelando un incisivo spezzato.
Lei rabbrividì, ma non lo diede a vedere, cercando di mantenere sempre un comportamento impassibile.
«Sai che è il tuo turno, vero?» mormorò, come se fosse una cosa di poco conto, avvicinandosi a lei e lisciandole una ciocca di capelli.
Lei lo guardò di nuovo, furiosa, con la sete di vendetta negli occhi. Stava per ribattere che non sarebbe stata una preda facile, da uccidere ma lui la precedette e disse ciò che segnò il punto di non ritorno.
«...A meno che tu non mi dica dove sia quel bastardo di Black. E i suoi amichetti, ovviamente.»
Marlene strappò con violenza la ciocca bionda dalle mani di quell'uomo viscido e orribile e, digrignando i denti, lasciò che tutto l'odio che si era accumulato nel suo corpo venisse alla luce.
«Mai. Dovrai prima passare sul mio cadavere.»
Coraggiosa, Marlene. Lo era sempre stata. Mai e poi mai avrebbe permesso che quell'uomo scoprisse la sede segreta dell'Ordine, che uccidesse James, Lily, il piccolo Harry, Dorcas, Mary e tutti gli altri.
Ma soprattutto, mai avrebbe permesso che Sirius morisse.
Una scarica di adrenalina pervase il suo corpo; la sua circolazione parve fluire più veloce e questo le diede l'energia necessaria per salire di corsa le scale a due a due e prendere la sua bacchetta.
Ci riuscì, d'altronde era un portento negli scatti di velocità, come le ricordava sempre Sirius.
Non tentò di incantare la porta. Sapeva benissimo che il Mangiamorte l'avrebbe sfondata a calci, se fosse stato necessario.
«Ah-ha-ah-ha, McKinnon. Non si fa. Non si scappa.» La voce fastidiosa di lui risuonava come un rimprovero fatto ad una bambina.
La guardò con aria di sfida, puntando la bacchetta contro di lei.


«Te lo ripeterò un'altra volta. Dimmi dov'è Black.»
Scosse la testa, la coraggiosa Marlene, preparandosi al peggio.
La sua mente però, era distante. Cercava inutilmente di ricordare qualche incantesimo che le avesse permesso di salvare suo figlio, il figlio di Sirius.
Digrignò i denti, quella bestia e sferrò il primo colpo.
Un fiotto di sangue sgorgò abbondante dal naso di Marlene.
Chiuse gli occhi e ricordò quante volte Sirius l'aveva sfiorato con il proprio prima di baciarla.

«Dov'è Black.» ripeté, con gli occhi ardenti come due braci.
Non rispose la giovane, mentre ancora cercava di trovare un modo per salvarlo.
Li avrebbe protetti fino alla fine. Li avrebbe protetti entrambi.
E non tardò ad arrivare anche il secondo colpo.
Una costola rotta.
Marlene si piegò in due dal dolore, ma nella sua mente prese forma l'immagine di lui che le sfiorava con delicatezza l'addome.

«Dov'è...»
«Sono incinta.» rispose, alla fine, inchiodandolo con le sue iridi chiare ed acquose.
Aveva un aspetto davvero pessimo, accovacciata a terra, con le braccia strette intorno al grempo, nell'ultimo tentativo di difendere il suo bambino. Ma aveva ancora la dignità e il coraggio che solo una donna forte, una donna che ama, è capace di avere.
«Se non vuoi salvare me...salva almeno il mio bambino.»
Le parole le uscirono dalla bocca di getto.
Lui la fissò, con sguardo vacuo, apparentemente senza parole. Ma poi scoppiò in una risata sadica.
«E tu ti aspetti che io ti risparmi perché aspetti il figlio del bastardo? Dovresti essermi riconoscente: faccio fuori io il bastardo del bastardo, prima che lo faccia qualcun altro.»

Digrignò i denti, Marlene, strinse le dita intorno alla sua bacchetta fino a farsi sbiancare le nocche.
«Ava--» tentò di mormormorare.

Ma poi lui lo fece.
Pronunciò quelle due parole letali.
E in quel momento Marlene avrebbe tanto voluto almeno cinque minuti in più per annunciare all'amore della sua vita che aspettavano un bambino.
Avrebbe tanto voluto piangere, urlare, dare pugni contro il muro.
Quel segreto, lo sapeva, sarebbe morto con lei. Nessuno l'avrebbe saputo.
Lui non l'avrebbe saputo. Si sarebbe guardato allo specchio ogni mattina e non si sarebbe mai visto come un padre.
Come ultimo gestò, accarezzò di nuovo la pancia, come se stesse accarezzando direttamente il suo piccolino, per tranquillizzarlo. La mamma non l'avrebbe mai abbandonato.

«S-s-sirius...t-ti amo.»

Tre parole, un rantolo basso che le morì sulle labbra, non appena chiuse gli occhi. Per sempre.

 

 

«Nonna, dov'è il nonno?»
«E' andato lassù, mia piccola Marlene.»
«Lassù dove?»
«In cielo. Vedi, ecco, il nonno è lì, su una stella. Non ci abbandona mai e ci guarda da lassù.»
«Quando morirò anch'io, andrò anch'io su una stella?»
«Tesoro è ancora presto per parlare di certe cose...»
«Andrò anch'io su una stella?»
«...Sì, ci andrai anche tu.»

 

Ed era lì, Marlene, insieme al suo bambino. Sulla stella più luminosa di tutte: Sirio.

 

 

 

 

  
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