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Autore: Mary P_Stark    27/06/2015    3 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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The eyes of truth
are always watching you (…)
In the distance, the mirage stands out
like horses and cattle. (…)
-Enigma-
 
1.
 
 
 
 
 
A day without rain.

Era il titolo di una canzone di Enya, una cantante irlandese piuttosto nota, ma era anche ciò che stava accadendo quel giorno di giugno inoltrato.

Passeggiando tranquillo per le vie del centro, lo sguardo assorto mentre ascoltavo il vociare della gente attorno a me, sorrisi non appena inquadrai un mio vecchio amico.

Konag mac Leogh, ora conosciuto da tutti come Connor MacLeogh – Ronan era un asso nel falsificare i documenti – si avvicinò a grandi passi, veloce e flessuoso.   

Tutti i fomoriani hanno un’andatura elegante, ma il suo essere un licantropo da un paio di mesi – mutato dalla sua fidanzata Megan – ne aveva aumentato l’effetto.

Per coloro i quali non erano a conoscenza della sua seconda pelle, per così dire, sarebbe apparso solo come un bell’uomo dalla falcata elegante.

Ma io sapevo cosa si nascondeva dietro quell’incedere possente e fiero.

Era la bestia mannara, che reclamava parte dell’esiguo spazio che le era permesso di avere in presenza dei comuni mortali.

Ci stringemmo la mano dinanzi alle vetrine di un bar, in cui alcuni avventori stavano già sorseggiando la scura bevanda schiumosa chiamata Birra Guinness.

Non l’avevo mai provata, ma il suo aspetto mi aveva sempre intrigato.

Ronan, però, me l’aveva sconsigliata.

Noi fomoriani non reggiamo l’alcol, almeno stando alle sue parole.

Non gli avevo mai chiesto in quale occasione l’avesse sperimentato, ma mi fidavo abbastanza di lui da non tentare.

Chissà quali danni avrei combinato, una volta perso il controllo di me stesso?

No, meglio non pensarci.

«Allora, come stai, amico mio?»

Sorrisi, lieto di vedere i suoi occhi scuri illuminarsi alla mia domanda, rispondendo da soli al mio quesito.

Era evidente quanto stesse bene, e quanto la sua nuova vita lo soddisfacesse.

Ugualmente, Konag – no, mi ostinai a pensare a lui come a Connor, visto che era il suo nuovo nome – mi rispose.

«Tutto benissimo, credimi. Non potrebbe andare meglio. Alcune cose mi sono ancora un po’ oscure, e per certe altre devo solo farci l’abitudine ma, nel complesso, mi sento molto bene nella mia nuova pelle.»

Il fatto che Ronan lo avesse assunto nel suo negozio di antiquariato, aveva aiutato.

Primo, Ronan aveva avuto la certezza di aver acquisito un valido e fidato aiuto, secondo, Connor non si era dovuto sorbire le noie di trovarsi un capo umano.

Mi sorrise, battendosi una mano sul torace, ora abbracciato da una maglia in cotone scuro, a cui aveva abbinato una giacca, jeans scuri e mocassini.

Un perfetto cittadino qualunque.

Peccato che lo fosse solo di recente. Per più di settemila anni, era stato un valoroso combattente fomoriano, temuto e stimato da tutti.

E ora, distrutta per sempre la sua pelle di delfino, era divenuto un licantropo come la sua compagna e fidanzata, Megan MacBride.

Di certo, un bel cambiamento.

«Che ne dici se me ne parli mentre ci mangiamo un gelato?» gli proposi, sogghignando.

Connor rispose al mio ghigno con un altro, ben sapendo quanto fossi goloso di quel dolce di creazione terrestre.

La prima volta che lo avevo provato, avevo quasi pianto per la gioia.

Non ricordavo neppure più dov’era avvenuta quella piacevole scoperta, se in Grecia, o in Italia, ma era bastato quell’unico assaggio per rendermi suo schiavo.

Connor mi diede una pacca sulla spalla, sorrise divertito e disse: «Voglio farti provare un genere diverso, oggi. Niente gelati soft all’americana. Hanno rinnovato da poco un localino nei pressi di un bar del centro, e devo dire che non ha eguali, in zona. Vieni.»

«Ma i gelati soft… sono soft. Scivolano in bocca come se fossero carezze vellutate e…»

Non mi lasciò proseguire.

Interruppe le mie deboli proteste con un’occhiataccia degna del miglior generale fomoriano degli ultimi seimila anni.

«Credimi, cancellerai dal tuo vocabolario i gelati soft, dopo aver provato questo

Fui certo che i miei occhi brillassero, in quel momento.

La cosa mi intrigava parecchio, perciò non mi lamentai più e lo seguii come un cucciolo adorante.

Non impiegammo molto a raggiungere il bar di cui mi aveva parlato, che si trovava a poca distanza dal fiume Riffley e il Trinity College.

Il Temple Bar, con le sue pareti metalliche rosso fuoco e le scritte gialle, dava l’impressione di essere l’entrata di una caserma dei pompieri, ma era ben altro.

Circondato dalle vecchie case di mattoni del centro, e raggiungibile attraverso strette vie ricoperte di san pietrini, appariva gradevole e accogliente agli avventori.

File di vasi di fiori delimitavano il primo piano dello stabile, mentre scritte ammiccanti invogliavano a entrare per degustare la pregiata Birra Guinness.

L’interno era esattamente come lo avevo immaginato dai racconti di Ronan – che si era sempre rifiutato di portarmici per paura che mi cacciassi nei guai.

Un bancone in legno curvava sinuoso attorno alla postazione del barman, dove si trovava una fila praticamente interminabile di bottiglie di liquori.

Distributori di birra, di almeno sei tipi diversi, si intravedevano grazie a dei beccucci colorati, che riportavano i nomi delle bevande più o meno ambrate.

Tavolini tondi e rettangolari erano sparsi un po’ qua e un po’ là, per il momento privi degli avventori regolari.

Dopotutto, erano solo le quattro del pomeriggio.

Ma non era quella la nostra meta ultima, per quanto quel luogo mi ispirasse, almeno al primo sguardo.

Ciò che ci interessava, stava proprio dietro l’angolo, dove un’allegra insegna bianca, a forma di nuvola, prometteva sogni soffici e spumosi.

Soft dreams.

Oh, sì, sarebbero stati davvero sogni morbidi e piacevoli, almeno a giudicare dalla fila discreta che si trovava all’interno del locale.

Non appena entrammo, potei captare immediatamente il dolce profumo dei gelati, quello frizzante delle granite e uno più sensuale, gradevole come una carezza.

Non faticai molto a indirizzare il mio sguardo verso la fonte di tale aroma così seducente.

Onde e boccoli ramati cadevano su spalle esili, mentre occhi color del whisky lanciavano occhiate gentili ai ragazzini che stavano acquistando il gelato.

Indossava una camiciola leggera di cotone, bianca come le nuvole dell’insegna, e arricchita da vezzosi polsini color ciliegia, al pari del colletto ricamato a fantasie di fiori.

Una gelataia davvero dolce e appetibile, così come i prodotti che vendeva.

«Che te ne pare?»

«Eh?»

Connor ridacchiò per quella mia non-risposta, ma in tutta onestà non ero molto concentrato, in quel momento.

Per lo meno, non su di lui. O sui gelati esposti nel frigorifero.

Per quanto fossero gustosi e dall’aspetto accattivante, in quel preciso istante ero concentrato su ben altro.

La bella gelataia occupava tutto lo spazio, nel mio cervello.

Avrei voluto farle ciò che, entro breve, avrei fatto con i gustosi gelati che avrei ottenuto dalle sue mani candide ed eleganti.

I miei occhi si concentrarono sulla gelataia, sul modo sinuoso con cui le sue dita si muovevano per riempire le coppette che stava preparando.

Sembrava stesse danzando, muovendo armoniosamente quella mano esile, quel polso delicato, quell’avambraccio dalla pelle color pesca, quel…

Connor mi diede di gomito, facendomi perdere di vista quell’accurata analisi dell’umana.

Lo squadrai accigliato, vagamente irritato per essere stato interrotto ma lui, insensibile al mio cipiglio, mimò di asciugarmi una goccia dalla bocca. 

«Stavi sbavando.»

«Non è vero!» sbottai, arricciando il naso di fronte alla sua accusa.

Non del tutto, insomma.

Lui mi irrise con lo sguardo, non credendo neppure per un attimo alle mie parole.

Cosa potevano fare una pelle nuova, e una nuova vita!

Quelli che, fino al giorno prima, erano stati seguaci fedeli, ora non credevano più alla parola del loro principe.

E neppure gli portavano più il dovuto rispetto.

Scossi il capo, esasperato quanto divertito, e replicai: «Ammettendo per pura ipotesi che io la stessi guardando con interesse, quale sarebbe il problema?»

«Non devo essere io a dirtelo, Kris» ribatté lui, calcando il tono di voce sul mio nome umano. «Sai benissimo che devi stare attento.»

«Non ho intenzione di portarmela a letto, desidero solo farmi fare una coppetta di gelato» sottolineai, cercando di apparire contrito e serio.

Connor, ancora, non mi credette minimamente, e io sapevo bene il perché.

Non era una novità per nessuno, che io prediligessi la compagnia femminile e che, nel corso dei millenni, avessi visitato parecchi letti di sopraddetta categoria.

Nessuna donna si era mai lamentata di me e io, da bravo fomoriano, mi ero avvicinato a loro in modo così discreto da non scatenare nessun pettegolezzo.

Ma la fama si acquista anche così, specialmente quando se ne parla tra uomini, la sera, in foresteria, mentre le armi vengono rimesse al loro posto.

Non avevo mai fatto mistero di amare il genere femminile, e di portare il mio giusto tributo a Freya, nostra dea protettrice.

Vantarmi un po’ con gli uomini di stanza al palazzo, era stato divertente.

A volte anche imbarazzante, quando le domande erano entrate troppo sul personale, ma mai nessun nome era stato fatto.

L’onore di una donna non andava dissacrato con una battuta.

Ma, come per il gelato, come si poteva resistere al solo pensiero di non toccarle?

Le donne sapevano stregarmi, ridurmi al lumicino con la loro esuberanza a letto, diametralmente opposta all’atteggiamento schivo e composto tenuto in pubblico.

Le fomoriane potevano anche apparire sobrie e pacate, all’esterno, ma dentro bruciavano di passioni incontrollate, e io ne ero un mastro conoscitore.

Il fatto che, occasionalmente, avessi assaggiato anche qualche esemplare di femmina umana, non voleva certo dire che sarei caduto tra le braccia della bella gelataia.

Forse.

«Sei un caso senza speranza.»

Il commento di Connor mi scivolò addosso senza che vi facessi caso.

Era il nostro turno, e non volevo perdere tempo a pensare a quanto il mio novello amico licantropo mi aveva appena detto.

Quando infine mi ritrovai di fronte all’ampia scelta di gusti, sorrisi spontaneamente prima salutare la gelataia e dire: «Una cialda con panna montata, cioccolato belga e crema chantilly.»

«Molto bene» mormorò, facendo vibrare ogni fibra del mio corpo con quella semplice risposta.

Quel tono caldo, sonnacchioso, vellutato, mi fece venire in mente una serie di immagini ben poco adatte a un momento ludico come quello.

In fretta, distolsi lo sguardo da quegli occhi ammalianti, certo che, se avessi indugiato un solo attimo di più, lei avrebbe sicuramente capito tutto.

E non è molto carino far capire a una donna cosa si sta pensando di lei, specialmente se la stai pensando in atteggiamenti non proprio consoni.

Mi limitai perciò ad aggirarmi con lo sguardo tutt’attorno, mentre le mani della ragazza componevano ad arte la mia cialda.

Alle pareti, notai degli splendidi disegni ad acquerello, raffiguranti scene campestri, scorci di mare e bellissime protuberanze rocciose sormontate da tempeste.

Chiunque li avesse dipinti, aveva la magia nelle mani.

Istintivamente, sorrisi. Quei quadri erano davvero meravigliosi.

«Le piacciono?»

Non appena attirò la mia attenzione con la sua voce calda, mi volsi verso di lei e afferrai il gelato, sorridendole gentile.

«Davvero molto. Li ha fatti lei, per caso?»

La gelataia si limitò ad annuire con un sorriso e, per un attimo, io fui schiavo di quella visione.

Connor fu lesto a prendere il mio posto, prima che mi cascasse la mandibola di fronte al sorriso educato – e maledettamente sexy – che mi tributò la gelataia.

Cos’aveva, quella donna, per tentarmi tanto?

Era bella, certo, eppure avevo visto – e avevo frequentato – donne altrettanto seducenti.

Perché, questa, mi distraeva così tanto?

 
***

La risata sguaiata di Sheridan non mi aiutò molto.

Dopo averle così gentilmente portato un gelato, le avevo raccontato del mio strano incontro con la gelataia … e lei, per tutta risposta, era scoppiata a ridere.

Se solo Ronan fosse stato presente – era a lavoro, il mio simpatico fratellino – avrebbe sicuramente avuto una buona parola per me.

Invece, parlandone solo con Sheridan, mi ero dovuto confrontare con la sua ironia velata di scherno.

E io che avevo solo cercato parole di conforto e aiuto!

Ecco cosa succedeva ad affidarsi ai parenti!

Le mani premute sul ventre prominente – magra com’era, la gravidanza si vedeva benissimo – Sheridan esalò sconcertata: «Solo tu sei capace di andare a prendere un gelato, e di innamorarti della gelataia!»

Piccato, replicai: «Non ho detto che mi sono innamorato della gelataia. Ho solo detto che mi ha fatto sentire strano. Pensavo che, come donna, avresti potuto illuminarmi in tal senso, ma vedo che non mi prendi sul serio.»

Lei allora levò una mano per afferrarmi, quando mi vide già pronto ad andarmene e, più seria, mi disse: «Scusami, Krilash, ma non immaginavo che una donna potesse farti questo effetto.»

«Sono un eccelso estimatore del genere femminile, cara. Sarebbe più strano il contrario, credimi» ribattei, quasi vantandomene.

Sheridan sorrise in maniera così forzata, che stentai a credere sarebbe riuscita a trattenere un’altra risata, ma fu così brava da contenerla.

Era meravigliosa e adorabile, quando era così di buonumore, e la gravidanza sembrava averla fatta diventare ancora più bella.

Ormai al quinto mese, pareva risplendere, e la sua pelle chiara riluceva perlacea.

Mi abbassai spontaneamente per parlare alla sua pancia e, con un sorriso, mormorai: «Sai, vero, di avere una mamma mezza matta?»

Sheridan ridacchiò e passò una mano tra i miei capelli tagliati a spazzola, replicando: «E tu chi sarai? Lo zio tutto matto?»

«Poco ma sicuro» le assicurai, sorridendo nel raddrizzarmi.

Lei allora tornò seria, mi guardò vagamente in ansia e, nel carezzarsi ancora il ventre, mi domandò: «Con Ronan preferisco non parlarne mai, perché so che la cosa lo angustia ancora molto, ma… devo aspettarmi qualcosa, dal parto?»

Non faticai a comprendere le sue ansie.

Dopotutto, il ricordo di Mairie non era solo nella mente di Ronan, ma in quella di tutti noi, e Sheridan conosceva più che bene tutta la storia.

Avrebbe dovuto essere una donna di pietra, per non esserne neppure minimamente toccata.

Mi grattai pensoso dietro un orecchio, ammettendo con candore: «Non sono un esperto, ovviamente, visto che non ho mai avuto bambini, ma posso dirti quello che so.»

«Mi basterà. Lithar si è fatta mortalmente pallida, quando gliel’ho chiesto la settimana scorsa, perciò ho preferito rinunciare.»

«Come saprai, i nostri genitori sono piuttosto… imponenti, in termini di statura, poiché i fomoriani provenienti da Vanaheimr avevano dimensioni diverse dagli attuali abitanti di Mag Mell, nati qui sulla Terra.»

Lei assentì, e io proseguii nella spiegazione.

«Posso parlarti dei figli di Oisin e di Niamh, che fanno parte, almeno lontanamente, della famiglia. Niamh, per la cronaca, era una lontana cugina di nostro padre.»

Sheridan fece tanto d’occhi, a quella notizia – per lei, Niamh era solo il personaggio di un mito, non certo una creatura reale – ma non mi interruppe.

Sorridendole a mezzo, proseguii nel racconto.

«Li conobbi millenni addietro, e loro erano del tutto normali. Naturalmente, essendo Niamh la fomoriana, e Oisin l’umano, forse le cose sono funzionate diversamente, ma i neonati erano perfettamente proporzionati. Non avevano alcun danno, o dimensioni anomale, se è questo che temi.»

Lei ovviamente non disse nulla, ma potei comprendere quanto la cosa la angustiasse. I suoi occhi di cielo parlarono a chiare lettere per lei.

«Se può aiutarti, vedrò di informarmi un poco senza dare nell’occhio. Se chiedessi direttamente alle nostre levatrici, loro lo direbbero immediatamente a Muath, e allora sì che sarebbero guai. Ma vedrò di trovare il modo. Promesso.»

Le battei una mano sul braccio, in corrispondenza della stella a cinque punte che Sheridan si era voluta far tatuare.

Era identica alle nostre e, pur se la sua era un semplice tatuaggio e non una rihall, ne conoscevo il valore intrinseco.

Voleva dichiarare di far parte, a tutti gli effetti, della nostra famiglia, e questo non poteva che rendermi lieto.

Ero fiero e orgoglioso di avere una sorella del suo calibro, checché ne dicessero i miei genitori.

Sbagliavano. Punto.

Per questo errore, avevano perso un figlio e, ora un nipote che, quasi sicuramente, non avrebbero mai conosciuto.

«Farò di tutto per aiutarti, Sheridan. Promesso» aggiunsi con maggiore veemenza, sperando che le mie parole bastassero a tranquillizzarla.

Lei mi sorrise, recuperando parte della sua verve e, le mani distratte ad accarezzare il ventre tondo, mi domandò: «Puoi dirmelo tu perché Ronan non ama parlarmi di Mag Mell? Cioè, capisco che non voglia parlarmi dei vostri genitori, ma tutto il resto? Si trovava così male? Stheta, o tu, o Lithar, pur avendo dei dissidi con i vostri genitori, non mi sembrate scontenti del vostro luogo di nascita.»

Si volse a scrutare le fotografie del loro matrimonio, che erano state sistemate in una serie di cornici di legno fatte da lei, e sospirò.

«A volte sento la mancanza del suo passato di fomoriano. Non so come spiegartelo, onestamente, ma percepisco il vuoto dietro di lui.»

I suoi occhi si fecero tristi e, ancora una volta, inveii mentalmente contro Tethra e Muath.

Sheridan non meritava simili pensieri, soprattutto in gravidanza!

Sospirai e, nel sollevare il mio bicchiere – dove si trovava un po’ di acqua – lo sospinsi con forza perché il liquido uscisse in una cascata di gocce.

Soffiando leggermente, le gocce divennero fiocchi di neve e Sheridan, scoppiando in una risata trillante, raccolse con la mano parte dei fiocchi.

«Bel gioco di prestigio. Complimenti» mi disse, portandosi alla bocca la neve per mangiarla.

Le sorrisi a mezzo, mormorando: «E’ bello usare il mio dono a questo modo. Ma non è il suo scopo ultimo.»

Lo sguardo di mia cognata si fece subito attento, alle mie parole e, fattomi ombroso, poggiai gli avambracci sulle cosce e mormorai: «Come ben sai, Stheta non ha alcun dono, a parte la lettura del pensiero che, in minima parte, possiedono tutti i fomoriani, pur se è una qualità che viene sempre repressa perché non diventi un punto debole in battaglia. Sentire troppo, potrebbe distrarre, stando almeno agli insegnamenti fomoriani.»

Lei assentii, sistemandosi meglio sul divano.

«Nostro padre non fu felice che il suo primogenito non avesse doni di alcun genere, ma soprassedette quando nacqui io, che possedevo il dono della trasmutazione al suo massimo fulgore. E’ una qualità che viene usata in battaglia con risultati più che ottimali… non farmi dire come, te ne prego. Usa la tua fantasia» la pregai, cercando di sorridere.

Pensare a ciò che avevo fatto in battaglia, standomene di fronte alla mia cognata incinta, mi fece rabbrividire.

Sheridan mi sorrise, allungò una mano a sfiorare la mia, e mormorò: «So che siete tutti guerrieri, e che avete combattuto aspre battaglie. Posso immaginare cosa puoi aver fatto, con un dono simile. Ma non per questo ti amerò di meno, Krilash.»

Ammiccai, e presi il coraggio a due mani per continuare.

«Quando nacquero Rohnyn e Lithar, mio padre andò su tutte le furie. Aveva sperato di bissare il risultato ottenuto con me, invece…»

Sospirai, passandomi una mano sul viso per il disgusto. Rammentare le parole di fiele di mio padre, il loro sapore acre sulla pelle, mi diede il voltastomaco.

«Se Rohnyn non fosse stato un principe, il suo ruolo, all’interno della Corte, sarebbe stato quello di Scriba Reale. Un mestiere più che dignitoso, visto il nostro interesse e rispetto per le arti e la cultura, ma non un ruolo adatto al figlio di un re.»

Sheridan aggrottò la fronte, accigliata, e borbottò: «Fammi capire bene. Il suo … dono, lo sminuì agli occhi di vostro padre?»

«Esatto. Non è la dote di un guerriero, ma di un Saggio. E nostro padre, da sempre, considera con maggiore rispetto i guerrieri,  non i Saggi. Tiene in debito conto questi ultimi, ma a nessuno sfugge il leggero disprezzo che prova nel trovarsi al loro cospetto, e al dover sottostare alle loro decisioni.»

Lo dissi con ironia velata di disgusto, e Sheridan sbottò.

«Con tutto il rispetto, lo odio ancora di più.»

«Ne hai tutte le ragioni. Per questo, fin da quando ho memoria, Rohnyn ha sempre tentato – riuscendovi – di essere il migliore in battaglia. Sapeva già di avere una predisposizione per le arti e la cultura, e lì ha sempre brillato, ma voleva dimostrare a nostro padre di essere anche un capace guerriero. A nulla servì il suo impegno, …neppure gettarsi dinanzi a una lama Tuatha per salvare il suo ingrato sovrano.»

Sheridan rabbrividì alle mie parole, e io sospirai.

«Non rammenta volentieri quell’epoca, Sheridan, per questo non te ne parla. Mag Mell è sempre stata una gabbia, per lui, un luogo in cui tutti lo additavano perché era il figlio meno amato del re. Per questo, iniziò a girovagare sempre più spesso sulla terraferma, imparando qualsiasi tecnica di lotta umanamente concepita. In cuor suo, forse, sperava un giorno di colpire a sufficienza Tethra da recuperare la sua fiducia… o il suo affetto.»

L’imprecazione che uscì dalla bocca di Sheridan fu così sentita, che mi fece sorridere. Come la capivo!

«Ma… se ha odiato così tanto Rohnyn, Lithar, allora…»

«Lithar è sempre stata la preferita di mamma, perciò Tethra non ha mai potuto infierire più di tanto, su di lei. Io ero il pupillo di nostro padre per via delle mie doti uniche, e Stheta il principe ereditario, buono per un’ottima unione tra famiglie ricche e potenti. Insomma, lui aveva ciò che gli serviva, Muath anche, e Rohnyn si ritrovò a essere un… di più.»

«Mi fanno schifo. Tutti e due» mormorò irritata Sheridan.

«Lo so.»

Levatasi in piedi, mia cognata si accoccolò accanto a me, sul bracciolo della poltrona e, abbracciandomi, mi diede un bacio sui capelli.

«Grazie per avermelo raccontato, Krilash. Sento quanto questi ricordi ti facciano star male, perciò meriti ancora di più il mio affetto. Non domanderò più nulla a Ronan. Ora che so, non c’è proprio bisogno che lo stressi con quegli stronzi dei vostri genitori.»

Scoppiai a ridere nonostante tutto e, annuendo, le sorrisi grato. Adoravo quella donna!

Ammiccando, lei allora mi domandò: «Quindi, i vostri Scribi, non scrivono come noi?»

Gesticolò con la mano, passando le sue lunghe dita su una rivista con aria comica.

Risi ancora, e annuii. «Esatto. Hai visto, Rohnyn, come fa, no? Il suo pensiero si traduce in parola scritta. Ogni Scriba lavora allo stesso modo.»

«Fichissimo» dichiarò, tutta giuliva.

«Dirò ai nostri Scribi, in gran segreto, che hanno una fan, allora» chiosai, e stavolta fui io ad abbracciarla.

Solo gli dèi potevano aver creato una simile creatura, e io ero grato a loro perché mio fratello aveva avuto la grazia di trovarla.





Note: E, con questo capitolo, ha inizio la storia di Krilash. La nostra bella gelataia altri non è che Rachel O'Rourke, la donna menzionata nel riassunto che trovate nella scheda di questa storia. Presto comparirà anche sua figlia, a destabilizzare la vita già disordinata di Krilash, e scopriremo come, queste due donne, solo in apparenza normali, nascondano un segreto che neppure il fomoriano si aspetta.
Per ora, vi auguro buona lettura!


  
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