Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: Maty66    27/06/2015    3 recensioni
Può un'amicizia sopravvivere a tutto il dolore che a volte la vita ci riserva? Al senso di colpa che ti attanaglia per aver lasciato il tuo migliore amico solo nel momento del bisogno? O al dolore di vedere la propria vita travolta da menomazioni fisiche che forse mineranno la tua indipendenza per sempre?
E cosa si nasconde nel luogo in cui Ben si è rifugiato per sfuggire a tutto? Possono le persone che incontrerà sul suo cammino aiutarlo a riprendere in mano la tua vita?
Sequel di "Il paradiso può attendere". E' consigliabile anche se non necessario, leggere la storia precedente.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA CLINICA  DEGLI ORRORI DI MATY66 e CHIARA BJ
 
 Capitolo 1
Espiazione
La neve andava sciogliendosi sugli alberi del piccolo giardino di casa Gerkan, ai raggi del timido sole di primavera che faceva capolino fra i rami, annunciando la rinascita della natura.
“Ben… fa freddo lì fuori, sei senza giacca… vieni dentro”
Semir Gerkan richiamò il suo giovane amico con voce preoccupata dalla finestra del soggiorno, ma  Ben non si voltò, né diede l’impressione neppure d’averlo sentito.
“Maledizione…” imprecò Semir prendendo la giacca a vento e avviandosi verso la porta.
Erano passati quattro mesi dal loro ritorno a Colonia e non erano stati mesi facili.
Passato il primo periodo d’euforia, i due soci si erano subito resi conto che probabilmente le cose non sarebbero andate come loro speravano.
Perché nonostante la fisioterapia e le cure di Max, Ben non camminava.
Era bloccato sulla sedia a rotelle senza alcun progresso da quando erano rientrati da Dallas.
E il giovane stava sprofondando sempre più nella depressione, trascinando anche Semir in un vortice di disperazione e sensi di colpa.
Sensi di colpa che inutilmente  il piccolo turco cercava di calmare diventando l’ombra dell’amico.
A parte il tempo che passava al lavoro Semir seguiva Ben ovunque, era ossessivamente presente qualunque cosa facesse e dovunque andasse, dalla fisioterapia ai pasti, e offriva ossessivamente il suo aiuto per qualsiasi cosa.
Era arrivato a  cercare di controllarlo anche durante il sonno, piazzando il baby-control di Lily sotto il suo letto.
La scoperta dell’aggeggio aveva provocato l’ilarità di tutta la famiglia, ma non quella di Ben; Semir  aveva visto lampi d’ira passare negli occhi scuri del giovane.
Ben era sempre più nervoso, sempre più solitario e triste.
Passava quasi tutta la giornata in camera sua, ad eccezione delle ore di fisioterapia che affrontava sempre più demoralizzato, e da alcune settimane mangiava sempre meno, a stento prendeva un boccone o due dai manicaretti che tutti i giorni Andrea preparava appositamente, per poi rifugiarsi di nuovo nella stanza a piano terra.
L’unica con cui sembrava  riuscire a bucare per un attimo il muro di solitudine e isolamento in cui si era richiuso il giovane era Aida.
La bambina passava ore intere la sera a giocare ai videogames con lo zio ed erano gli unici momenti in cui Semir vedeva tornare per un attimo sul viso del socio il sorriso.
 
“Semir… lascialo stare, non stargli sempre addosso” intervenne Andrea mentre il piccolo turco si avviava nel giardino.
“E’ ancora freddo e ha solo la camicia, si becca una polmonite” ribeccò stizzito il marito.
“Semir… ma perché non lasci che stia un po’ per i fatti suoi?”
Andrea non demordeva rendendosi conto che l’atteggiamento del marito stava trascinando Ben ed un po’ tutti all’isteria.
“Forse perché tengo alla sua salute…  tu piuttosto, non  hai visto quando è uscito che stava in maniche di camicia?” la voce di Semir ora era davvero irata e Andrea non rispose al rimprovero, limitandosi a guardarlo sospirando mentre si avvicinava al giovane, seduto sulla sedia a rotelle sotto la piccola quercia in giardino.
“Ehi socio… non mi pare il caso di stare qui senza giacca… fa ancora freddo” disse piano porgendogli la giacca a vento.
Ben prese la giacca dalle mani del suo socio, ma non dette il minimo cenno di volerla indossare, continuando a fissare un punto indefinito nel vuoto.
“Ehi tutto bene?” chiese preoccupato Semir.
“Sì tutto bene…”
La voce del ragazzo era atona, senza emozione.
“Allora metti la giacca, forza ti do una mano io” fece il piccolo turco, riprendendo la giacca e cercando d’infilarla all’amico.
La reazione di Ben lo lasciò di stucco.
“Non voglio mettere questa stupida giacca Semir, e se anche volessi metterla potrei farlo da solo, le braccia mi funzionano ancora” disse irato mentre spingeva la sedia a rotelle verso l‘ingresso della villetta.
Semir rimase a guardarlo senza fiatare, non era la prima volta che aveva quel tipo di reazione, anzi si facevano sempre più frequenti, ma ogni volta Semir  ne rimaneva sconvolto.
Ma non aveva tempo per pensarci, era già in ritardo di almeno mezz’ora per l’inizio del turno di lavoro.
Rientrò in casa, prese la giacca e le chiavi dell’auto e con il cuore di piombo si avviò al distretto.
 
Quando rientrò a casa era già ora di cena.
Entrando in casa lo accolse il delizioso profumo che proveniva dalla cucina: le famose lasagne di Andrea, il piatto preferito da Ben.
Mentalmente Semir si complimentò con la moglie: era quello che ci voleva per tirarlo su.
Entrando in cucina trovò Andrea e le bambine che stavano per sedersi a tavola, ma non Ben.
“Ciao tesori miei, tutto bene?” chiese Semir mentre le bambine lo baciavano ognuna su di una guancia.
Questo era in assoluto il momento della giornata preferito da Semir.
“Ciao cara, hai chiamato Ben per la cena?” chiese poi avvicinandosi alla moglie e baciandola sul collo.
Andrea lo guardò triste.
“Non vuole venire, dice che non ha fame” lo informò.
“Ma gli hai detto che ci sono le lasagne?” chiese il marito.
“Certo… ma non vuole venire”
“Non ha mangiato neppure a pranzo” intervenne con vocina dispettosa Lily.
“Non può stare digiuno, Max dice che è sottopeso…”
Semir stava avviandosi a passo di carica verso la stanza dell’amico, ma venne bloccato dalla moglie.
“Semir, ti prego, lascialo stare… lascia che stia un po’ da solo. Non capisci che così fai peggio? Dopo cena mandiamo Aida a vedere se vuole mangiare qualcosa, ma non puoi forzarlo, non è un bambino”
“E poi oggi è stata proprio una giornata no, non ha neppure voluto fare la fisioterapia, lasciamolo stare tranquillo per un po’” continuò la moglie mettendo i piatti in tavola.
A malincuore Semir si sedette, ma l‘appetito gli era completamente passato.
 
“Dice che proprio non ha fame” annunciò Aida uscendo dalla stanza di Ben.
“E non ha neppure voglia di giocare stasera” continuò triste la ragazzina, andandosi a sedere sul divano.
Semir strinse più volte la mani a pugno nel tentativo di domare l’ansia.
Poi andò in cucina e prese un piatto, ritagliò una porzione dalla teglia della lasagne che era ancora in caldo e si avviò verso la stanza dell’amico.
“Se Maometto non va alla montagna…” pensò mentre bussava piano prima di entrare.
Ben non aveva mai saputo resistere al profumo della lasagne di Andrea.
“Ehi socio ho pensato che dovevi vedere e sentire il profumo delle mitiche lasagne prima di rifiutare” disse con forzata allegria, entrando nella stanza illuminata solo dalla luce sul comodino.
Ben era come al solito vicino alla finestra a fissare il vuoto.
“Non ho fame Semir, l’ho già detto ad Andrea ed anche ad Aida” disse senza neppure voltarsi a guardarlo.
“Dai… solo un boccone, Max dice che sei sottopeso, e non mangi da stamattina…”
Istintivamente Semir prese una forchettata di pasta e gliela porse.
La violenza della reazione lo soprese del tutto.
Con un movimento improvviso del braccio Ben rovesciò dalle mani di Semir il piatto che finì con tutto il suo contenuto sul pavimento.
“Lo vuoi capire che non ho fame??? Basta!!! Lasciami in pace… voglio stare solo” urlò.
Semir cercò di conservare calma e lucidità.
Prese dei tovaglioli di carta dalla scrivania e si mise a pulire.
“Se non ti piacevano le lasagne potevi dirlo… che ne dici di una bella pizza? Ci metto un minuto ad andarla a prendere” disse con voce calma.
“Non voglio la pizza e non voglio mangiare!” urlò rabbioso il giovane.
“Ben… ti prego… non fare così, capisco che è difficile e frustrante, ma ce la faremo, ci vuole solo un po’ di tempo, ma tornerà tutto a posto” provò a calmarlo il socio.
“No Semir, tu non capisci proprio nulla. Non sai cosa significa essere bloccati su questa sedia, aver bisogno d’aiuto per qualsiasi cosa, anche per fare la doccia. Non sai cosa significa non potersi muovere liberamente, non arrivare a prendere le cose in alto, non poter andare nei posti dove ci sono le scale. E non tornerà tutto a posto solo perché tu lo desideri”
“Max dice che la parte di cervello che è rimasta danneggiata può essere ripresa, che deve passare tempo per capire se…”
“Lo so anche io cosa dice Max. Ma sono passati quattro mesi Semir, quattro mesi… e non c’è stato il minimo miglioramento… ”
“Sei sempre precipitoso, devi avere pazienza, ci vuole solo un po’ di tempo ed insieme possiamo fare tutto…”
“Basta con questa storia Semir, insieme non possiamo fare tutto. Lo sai anche tu che probabilmente rimarrò così per sempre!!!”
“Questo non è vero… andrà tutto bene, vedrai…”
“Basta con questo finto ottimismo, Semir, basta. Mi stai sempre addosso, ma questo non mi fa stare meglio. Nulla che tu possa fare o dire mi fa stare meglio. Vuoi sapere cosa penso davvero? Lo vuoi proprio sapere? Che era meglio se mi lasciavate morire quella notte!!!”  urlò alla fine Ben con le lacrime agli occhi.
A queste parole un’ira furibonda si impadronì di Semir.
Furioso s’ avvicinò all’amico e girò di forza la sedia a rotelle, prendendogli il viso fra le mani.
“Non dire mai più una cosa del genere!!! MAI PIU’!!! Mi hai capito???” urlò scuotendolo.
“Cosa ne sai tu di cosa è stata la nostra vita senza di te? Di cosa è stata la mia vita??? Come fai a non capire quanto sei essenziale nelle nostre vite??” urlò ancora.
“Essenziale? Sono uno storpio, Semir,  un peso per tutti, e non posso far finta che vada tutto bene solo per non farti sentire in colpa”
La frase colpì Semir come una coltellata.
“Tu non sarai mai un peso per me…mai…” mormorò uscendo dalla stanza.
Appena richiusa la porta si lasciò scivolare contro il muro, prendendosi la testa fra le mani.
“Come faccio ad aiutarlo? Come faccio? Non so proprio cosa fare…” mormorò alla moglie che intanto lo aveva  raggiunto ed abbracciato.
 
“Posso entrare?” chiese Andrea dalla porta socchiusa.
“Sì certo…” Ben la guardò dispiaciuto.
“Scusa per prima, abbiamo urlato, ed io non volevo…”
“Non fa nulla Ben…ma possiamo parlare un attimo?” chiese la donna sedendosi sul letto.
Ben annuì triste.
“Ben… Semir ti ha parlato di quello che è successo l’anno scorso? Di quello che ha fatto dopo il tuo  incidente?”
“Se ti riferisci a Tanja Marcus…”
“No, non solo a lei…”
Ben la guardò e scosse la testa.
“Allora lascia che te lo racconti… forse capirai alcune cose…” disse la donna.
Il racconto fu duro e doloroso e per la prima volta Ben apprese della discesa agli inferi che aveva affrontato il suo migliore amico.
“Ora capisci perché Semir è così terrorizzato da quello che ti può accadere…per lui è stato un incubo, e neppure io so come e dove  abbia trovato la forza di uscirne”
Ben rimase in silenzio per un po’.
“Io so che lui mi vuole bene, ma ora come ora sento che sono solo un peso per lui, per tutti voi…”
“Qualsiasi cosa Ben, qualsiasi cosa non potrà mai essere peggio che non averti nelle nostre vite. Noi siamo la tua famiglia, e tu per noi sei essenziale, ricordatelo. Io non so se riuscirai di nuovo a camminare. Non voglio illuderti con false speranze. Quello che so è che noi ti amiamo e ti ameremo sempre e comunque. E saremo sempre al tuo fianco, pronti a qualsiasi cosa per aiutarti, se lo vorrai”
Andrea gli mise una mano sulla spalla prima di uscire.
Ben rimase per molto tempo seduto a fissare la porta da cui era uscita la donna.
Poi prese la sua decisione.
Si avvicinò alla scrivania e prese dal cassetto il dépliant che giaceva lì da quattro mesi.
Poi incurante dell’orario prese il cellulare e chiamò Max.
“Max sono io… scusa l’ora, no sto bene, non ti preoccupare… solo che… ho deciso, per favore organizza tutto per quella clinica. Sì voglio andarci al più presto possibile”
 
 
“Cosa??? Come sarebbe a dire che ti ricoveri domani???” balbettò Semir.
La mattina seguente Ben si era presentato a colazione con un’aria quasi allegra e stava mangiando quasi di gusto.
“Non se ne parla… queste decisioni vanno prese con calma…”
“Ho già aspettato abbastanza Semir. Andrà tutto bene, Max dice che è la migliore clinica riabilitativa della Germania” rispose con tono sicuro Ben.
“Sì ma… ma…staresti lontano da noi, è a più di un’ora d’auto… ed io devo lavorare…”
“Verrai quando potrai”
Ma il panico si era impadronito del piccolo turco.
“No non mi piace. Piuttosto potemmo rivolgerci a quel medico che ha trovato tuo padre…” provò ancora ad opporsi.
Andrea stava a guardare silenziosa.
“Semir sai bene che questa è l’unica soluzione, avrei dovuto andarci subito, non aspettare tutto questo tempo…”
“Aspetta ancora un po’…”
“Semir basta dai, la decisione spetta a Ben e a Max che è il suo medico” intervenne Andrea.
Il marito le rivolse uno sguardo irato.
“Non ti ci mettere pure tu. Starebbe solo lì, senza di noi…”
“E’ una clinica Semir non un ospizio…” provò a scherzare Ben.
Ma il viso dell’amico rimase scuro.
“Semir… andrà tutto bene. Questa è l’unica possibilità, anche a me dispiace lasciarti, ma non posso continuare così… lo capisci vero? Mi devo dare una possibilità di tornare come prima”
Il piccolo turco annuì con le lacrime agli occhi.
“Se questo è quello che desideri davvero…”
“Io devo farlo…” rispose Ben mentre spingeva la sedia a rotelle fuori dalla cucina.
Andrea si avvicinò al marito e lo abbracciò.
“Semir non ti preoccupare, vedrai andrà bene, lui guarirà…”
“Solo, lo sto lasciando di nuovo solo…” balbettò lui mentre una lacrima solitaria gli scendeva sulla guancia.
 
Angolino musicale: Recensiste tremate le streghe son tornate... Allora questa è la versione di Maty ‘Biancaneve’, il finale ‘tarallucci e vino’, condito però dalla perfidia della strega ‘Grimilde’ quindi non è detto che sia poi tutto rose e viole... Bene direi che per adesso è tutto, quindi colonna sonora: Mary J. Blige con Tiziano Ferro ‘Each tear’ (ogni lacrima)
 
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=B8zQ-qMBCvw
C'è qualcosa che voglio dire, ma sento di non sapere come fare Penso che non potrò trattenerla più Quindi la lascerò uscire Tu sei nella mia mente più di quanto io possa sapere Sei nel mio cuore più di quanto tu possa sapere E l'ultima cosa che voglio È che tu ti allontani da me Io sarò chiaro con te Voglio che tu ricordi. In ogni lacrima c'è una lezione Ti rende più saggio di prima Ti rende più forte di quanto tu possa sapere In ogni lacrima Ti fa avvicinare ai tuoi sogni Nessun errore, nessun crepacuore Ti può distogliere da cui per cui sei stato creato Non possiamo cambiare le cose Che abbiamo fatto in passato. Ma combattere non ci porterà da nessuna parte Allora se vuoi, ecco la mia mano Ogni sera c'è una cosa che faccio Chino il capo e prego per te Dentro il male del dolore che ti ho detto Più della mancanza forte che ti ho detto Più di tutti quanti i drammi che ti ho detto No no non possiamo mollare No io ho non posso mollare Tu non puoi lasciare la presa Noi non possiamo lasciare 
 
 
 
  
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